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Empowerment

Empowerment, promozione professionale, gestione del tempo libero e della qualità della vita, organizzazione e miglioramento staff Docente Manuela Naccari. Empowerment.

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Presentation Transcript


  1. Empowerment, promozione professionale, gestione del tempo libero e della qualità della vita, organizzazione e miglioramento staff Docente Manuela Naccari

  2. Empowerment Empowermentviene dall’inglese “to empower” che tradotto in italiano significa "conferire poteri“ a qualcuno.I poteri conferiti riguardano l'accrescimento spirituale e politico sociale o della forza economica di un individuo o di una comunità inteso come “potenza o potenzialità”. Nella formazione per empowerment, se pur nelle molte sfaccettature che gli si possono attribuire, si intende un processo di sviluppo delle competenze e professionalità, di emancipazione nei contesti lavorativi e di potenziamento della creatività a tutti i livelli delle organizzazioni fondato sul meccanismo della delega (che viene sostituito e sovrapposto a concetti quali: responsabilizzazione, decontrazione e affini).

  3. Empowerment e potere La sezione più interessante è proprio l’approfondimento sulle tipologie di potere e di conseguente leadership che, all’interno delle correnti “empowered” possiamo trovare. Dobbiamo però prestare attenzione a non cadere nelle correnti new-age dato che ancora non esiste una teoria consolidata e ci sono ancora equivoci sul significato del verbo to empower. Premesse fatte, conviene entrare nel merito dell’idea di potere empowered. Si distingue innanzitutto tra potere positivo ( quello empowered) e negativo (quello convenzionale) (Mc Clelland [1975]):

  4. Nel modello di prepos Ricomprendere questa tabella nel linguaggio del modello transteorico vuol dire vedere le facce opposte delle medaglie, e vedere nelle potenzialità individuali, distinguendone l’intenzionalità, i fini ed i mezzi, applicazioni differenti. Da un lato, l’energico intimidatore (mobber) può evolversi e diventare un nobile incoraggiatore ed un audace innovatore, leader di un gruppo spento e scarico.

  5. Il percorso Nei processi di empowerment si intende così creare strutture organizzative a “misura d’uomo” sulla base dello sviluppo delle capacità individuali. L’empowerment è connotato da due stadi detti empowering, il processo ed empowered, lo stato finale a cui la persona perviene. Empowerment quindi è sia un "processo" che un "prodotto", di un'evoluzione di esperienze di apprendimento che portano un soggetto a superare una condizione di impotenza.(www.provincia.torino.it)

  6. Empowering/empowered Il processo “empowering” è lo stato che la persona attraversa per raggiungere un certo risultato “sentire di avere potere” . Mentre “empowered” è la capacità raggiunta di percepire l'influenza delle proprie azioni sugli eventi, saper scegliere e utilizzare le risorse sia interne che esterne. E’ la consapevolezza di possedere fiducia in sé, la capacità di sperimentare e di confrontarsi con la realtà circostante. Le azioni e gli interventi centrati sull'empowerment mirano a rafforzare il potere di scelta degli individui, migliorandone le competenze e le conoscenze in un'ottica di emancipazione globale della personalità.

  7. Promuovere il potere Il counselor insieme al cliente individua quali sono i punti mancanti o percepiti tali, necessari per la piena realizzazione delle proprie aspirazioni e, attraverso gli strumenti del counseling rende consapevoli le persone delle proprie risorse interne e della distinzione con quelle esterne lavorando sulla capacità di utilizzarle. Aumentare le competenze significa aumentare il ”potere” e quindi la possibilità di intervenire sulla propria vita,ovvero la capacità di decidere il proprio futuro professionale e della sfera privata.

  8. Acquisire empowerment E’ possibile attraverso la consapevolezza nella gestione delle emozioni. Saper gestire le emozioni equivale alla capacità di riconoscerle, comprenderle e accettarle ma al contempo saper gestire la loro presenza, a volte distaccandosi o imparando a “spostarsi emotivamente” nel linguaggio comune saper vedere la questione da un altro punto di vista.

  9. La gestione delle emozioni In termini pratici si tratta, una volta riconosciuta l’emozione che stiamo vivendo, e che ci sta creando problemi tali da impedirci di raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati, di imparare a cercarne il suo opposto. Bastare a se stessi deve diventare una nostra precisa competenza, che ci permetta di trovare un equilibrio dinamico interno il più possibile costante facendo si che il nostro bisogno degli altri diventi semplicemente il piacere di stare in compagnia, trovando nelle persone il loro meglio e sapendo distanziarsi dal loro peggio. In questo modo, smetteremo di inseguire chimere e di essere facile preda delle seduzioni o degli altri attentati. (L.Barbagli)

  10. Non cadere nei tranelli delle proprie emozioni • Saprò evitare un’oppressione perché nessuno potrà esercitare un potere coercitivo su di me facendo leva sul mio bisogno di certezze e legittimazioni; • non sarò vittima di intimidazioni perché nessuno dovrà autorizzarmi a seguire un mio obiettivo né alcuna persona potrà schiacciare le mie energie sprofondandomi nell’angoscia; • curerò e saprò difendere le mie ferite ed i miei affetti (sia riguardo alle persone che riguardo alle cose e a me stesso) dalle squalifiche;

  11. Non cadere nei tranelli delle proprie emozioni • saprò vedere la realtà e costruire nel mondo i miei sogni in modo che nessuno possa illudermi con le sue seduzioni, con la semplicità della passione ed il piacere degli incontri; • saprò mantenere le mie energie e le mie motivazioni anche quando qualcuno mi proverà a rubarmele demotivandomi; • agirò quando vorrò davvero qualcosa senza cadere in istintive istigazioni; • sarò in grado di condurre liberamente la mia vita nonostante chi, involontariamente o volontariamente mi cercherà di manipolare attraverso il suo affetto, vero o falso che sia. (L.Barbagli)

  12. La consapevolezza del proprio sentire Diventare quindi flessibili, dinamici e modificare i propri copioni di relazione con noi stessi, con gli altri e con le situazione senza per questo pensare di aver diminuito il nostro livello di coerenza interna o la nostra identità personale, che si sostanzia, filosoficamente e psicologicamente ben al di là dei comportamenti e dei copioni che attuiamo. Un copione, per quanto articolato e ben strutturato, è sempre qualcosa che è già stato scritto e impone dunque sempre un personaggio da recitare, a noi sta invece, credo, l’impegno di diventare, rimanere ed essere persone. (L.Barbagli)

  13. Il nostro baricentro Imparare ad auto potenziarsi significa aprire un dialogo riflessivo interno, tale da riconoscere i virus che ci hanno contaminato e non ci permettono di liberarci dagli attacchi ai sentimenti che periodicamente ci bloccano e non ci fanno evolvere. NOI ABBIAMO UN GRANDE POTERE: INCIDERE NELLA NOSTRA VITA “Da un grande potere, derivano grandi responsabilità” (Sam Raimi dal film Spiderman)

  14. Il cambiamento Entrare in contatto con se stessi e prendere consapevolezza delle proprie mancanze significa mettere in moto l’energia interna che ci sosterrà nel cammino verso il cambiamento di quei fattori che hanno limitato la nostra libertà. Il cambiamento procura fatica e resistenze è necessario un nuovo modello di pensiero e di atteggiamento nei confronti di se stessi, degli altri e delle cose.

  15. Sette passi preliminari per diventare protagonisti della propria vita Primo passo:Il luogo della pace e del silenzio Fare silenzio interiore attraverso la riflessività e il contatto con il sè Sec.do passo: 99 aggettivi positivi dell’innamoramento Trovare 99 aggettivi positivi da ripetere come un mantra ed ascoltare dentro di sé la progressiva crescita di potenza e intensità del sentimento di amore verso la vita Terzo passo: Il gruppo di incontro Ricordarsi di condividere con gli altri le proprie timidezze e grandezze, rivolgere verso gli altri la potenza acquisita e passare le competenze per amore dell’umano. Quarto passo: Aumentare l’energia interna Evitare di sprecare le proprie energie, tenere lontano voci che insinuano: "è inutile, non ce la faccio!" e concentrarsi su frasi tipo "Ma lo voglio davvero?", o, meglio, "Qual’è il mio vero desiderio?"

  16. Sette passi preliminari per diventare protagonisti della propria vita Quinto passo: Baciare le proprie ferite Imparare il rispetto profondo per ogni dolore dell’uomo e aver cura delle proprie e altrui ferite si può cominciare a sollevarsi Sesto passo: Avere cura Liberarsi dal superfluo cose e persone, per prendersi cura di sé, degli altri e delle cose che ci appartengono e di cui ci sentiamo responsabili Settimo passo: Sapersi separare e saper respingere Diventare liberi richiede l’essere vigili per sapere quali seduzioni o debolezze ci portano in qualche prigione, perdere abitudini consolidate e separarsi dalle abitudini attraverso nuove visioni possibili. (Dai sette passi dei Cavalieri di San Valentino)

  17. Empowering- to give them power Dare potere per noi significa liberare le persone dalle dipendenze , dalle oppressioni, dalle intimidazioni, dalle squalifiche, dalle seduzioni, dalle demotivazioni, dalle istigazioni e dalle manipolazioni. Liberare le persone da poteri provenienti dall’esterno e dall’interno di sé, poteri che rendono deboli i processi di scelta e di direzione..

  18. To empower = autorizzare Tale parola sottende anche il concetto di autorizzare, dare il permesso inteso come liberare e dare potere di, quindi lasciare gli spazi affinché l’altro acquisisca “potenza” Nell’area della formazione di staff tale concetto significa “delegare”

  19. Lo sviluppo di potenzialità secondo gli idealtipi di Prepos Nel modello di Prepos differenziamo sette strutture idealtipiche a cui sottendono sette differenti valori ma ancor di più sette differenti aree di risorse. Per ognuno di essi il concetto di empowerment e quindi in senso lato di delega, assume significati e forme differenti. Responsabilità, Giustizia, Libertà, Generosità, Pace, Umiltà e Fedeltà, sono sette valori coessenziali a cui deve sottendere la delega e la “potenza di”:

  20. Il ruolo del leader Il compito di un buon leader dovrà essere quello di riconoscere nelle persone del suo staff queste differenti potenze e tutte le altre che si possano rilevare. Potenziarle, farle emergere. Sviluppare ed insegnare quelle carenti o assenti. Rispetto ai singoli del suo gruppo ma anche rispetto alle personalità collettive con cui avrà a che fare esercitando uno stile di leadership corretto e relazionalmente affine. Ricordandosi sempre che non si può delegare responsabilità a chi non ne sa avere.

  21. Il concetto di delega Delega diventa quindi a seconda dei casi: coinvolgimento per i responsabili per dare organizzazione, sostegno per gli impegnati-giusti per aumentare l’attivazione e la motivazione, gratificazione delle idee perché accrescere la creatività e l’innovazione, coordinamento delle differenze e delle mansioni per aumentare la coesione ed il coinvolgimento, per conquistare lo staff, rilevare e far vedere i limiti per aumentare l’armonia interna al gruppo e definire meglio e più realisticamente gli obiettivi, incoraggiamento all’espressione di sé perché ogni persona abbia il suo spazio e la sua riconosciuta umanità potenziamento dell’affettività reciproca per dare unità.

  22. La potenza liberata Potenza di coordinare, organizzare, analizzare e valutare. Potenza di lottare, attivarsi e accendere, rispettare l’impegno e di impegnarsi per qualcosa. Potenza di vedere oltre, di visualizzare strade nuove ed alternative, di essere autenticamente ed eticamente liberi. Potenza di appassionare, di amare e di conquistare. Potenza di mediare, di pacificare gli animi e di spegnere le tensioni. Potenza di sostenere, prendere e dare la mira, definire gli obiettivi e di lenire i dolori. Potenza di dare affetto, di prendersi cura e di attivare relazioni e mantenerle.

  23. Promuovere risorse positive Far emergere positivamente le risorse delle persone attraverso l’attribuzione di mansioni adeguate. In maniera che i responsabili non diventino oppressori-burocrati, gli impegnati non diventino minacciosi e violenti, i creativi non siano squalificatori, gli emozionali non siano motivo di dispersione e di narcisismi, i quieti non diventino demotivatori, i timidi non siano istigatori invisibili, gli affettuosi non diventino manipolanti ed invischianti.

  24. Tipo di comunicazione

  25. Stili comunicativi Le azioni comunicative elaborate nel modello di “Prevenire è Possibile”, sono: responsabilizzazione, incoraggiamento (intraprendenza), informazione (indipendenza), coinvolgimento (espressività), tranquillizzazione, sostegno (espressività) e gratificazione (attaccamento) i cui valori si implementano negli stili relazionali suscitatori di affinità per dialogicità, complementarità, incontro, disponibilità, integrazione, mediazione e riconoscimento, favorite e perseguite dalla gestione della leadership mediante un sapiente incrocio tra stili partecipativi, autorevoli e tolleranti, già enunciati da Lewin, Likert e Fielder. (V. Masini)

  26. Ssette modelli di leadership individuati nel modello di Prepos prevedono una precisamodulazione del processo di delega onde non cadere nelle degenerazioni della cattiva leadershipanalizzata dalla Kellerman:

  27. Sette differenti modelli di leadership, connesse alle aree di educabilità e alle funzioni educative del leader Leadership organizzativa:è uno stile di leadership centrato sul controllo, sulla funzionalità e sulla responsabilità. Il leader organizzativo è colui che con fermezza e decisone, se pur con saggia oculatezza e diplomazia, ordina e struttura l’azione collettiva sentendosi responsabile degli eventi. Abbastanza freddo ed inespressivo, è affidabile e stabile. Tecnica e procedurale. Il suo rischio è di diventare decisamente oppressiva e/o ossessiva. Leadership motivante: è uno stile centrato sulle dinamiche di attivazione, di produzione e sulla reattività primaria. E’ uno stile deciso e istintivo, netto e determinato, instancabile. Il leader motivante trascina il gruppo nelle imprese e di fatto svolge la funzione del rompi-ghiaccio, instillando nel gruppo coraggio e fiducia per l’impresa. Difende il gruppo con forza. Può diventare uno stile intimidatorio. Leadership creativa: si caratterizza per una visone inventiva e creativa del gruppo e delle attività, riflessiva nella comprensione e acuta e geniale nelle soluzioni. Fortemente innovativa e brillante, carismatica è invece uno stile di leadership centrato sulle idee e sulla forza di queste. Fortemente ispirato ai valori della libertà, il leader creativo non dà incarichi ma raccoglie le libertà individuali e le riconosce e potenzia. Rischia però di diventare dispersiva e troppo blanda, aprendosi alle squalifiche interne ed esterne.

  28. Leadership coinvolgente: è questo invece uno stile decisamente carismatico e istrionico, narcisistico e centrato sulla figura del leader coinvolgente. Consensuale e seduttivo, il leader in questione conquista il gruppo come un suo pubblico, indirizzandone le energie e le azioni nelle necessarie direzioni, accendendo di passione e slancio gli animi del gruppo. Il maggior rischio è che dietro al carisma non si nasconda sostanza, lasciando spazio al suo interno a seduzioni per cui il fine reale del gruppo diventa la venerazione del leader. Leadership opportunistica: è molto blanda e leggera, potremmo definirla a maglie larghe, ma osserva e indirizza le energie con sapienza e attenzione. Ottimizza gli sprechi di energie e mantiene fermezza e stabilità con bassi costi anche nei momenti di tensione. Il leader opportunistico è una sorta di rimbalzista, non costruisce l’azione, ma la lascia evolversi dando qua e là aggiustamento e consigli procedurali e lasciando ampi spazi agli individui. Rischia però di diventare un’assenza di leadership, aprendosi a tutte le demotivazioni e le oppressioni da parte dei subordinati.

  29. Leadership invisibile:è un modello di leadership a maglie larghe, metaforicamente richiama all’immagine delle eminenze grigie delle organizzazioni. Si imposta sulla libertà d’azione dei componenti del gruppo, offrendo però canali e obiettivi in cui canalizzare le energie come nel caso della leadership opportunistica. A differenza di questa ha però l’attenzione ed il sostegno degli individui,  ed un forte orientamento all’espressione e allo sviluppo delle individualità. Suggerisce e sostiene le azioni dei componenti, avvertendoli di eventuali rischi e di pericoli per il gruppo, percependo le intrusioni ed i nemici esterni ed interni. Al contrario, corre il rischio anch’essa di apparire come una non-leadership, di ottenere un basso consenso interno (poiché non coinvolgente) o di diventare istigante auto-distruttiva perché incapace di difendersi dalle oppressioni e dalle seduzioni o di non trasmettere fiducia al gruppo.

  30. Leadership affettiva-relazionale: l’ultimo modello, si centra infine sulle relazioni e sulle persone. L’obiettivo di tale leadership non è la gestione della produzione, dell’innovazione o la prontezza amministrativa e normativa ma l’affiliazione gruppale e l’unità interna, nel rispetto delle differenze e nella valorizzazione dei comportamenti socio-solidali interni al gruppo o di collaborazione. Trasmette il senso di squadra e di team, unisce e affilia i componenti verso una dimensione affettiva e quasi familiare, riassorbendo le intemperanze e gli eccessi. E’ dinamica e attiva, ma rischia di diventare invischiante e manipolatoria.

  31. Comunicazione e didattica: tecniche di formazione La comunicazione, dunque strettamente connessa alla relazione, deve però essere visualizzata comunque come un mezzo di trasmissione di informazioni o di gestione di relazione utile alla funzioni ed agli obiettivi delle persone e dei gruppi. I punti da osservare sono principalmente cinque: 1.                         Avere cose importanti ed interessanti da dire (!). 2.                         Mantenere viva l’attenzione degli astanti. 3.                         Osservare tutti i presenti nell’aula 4.                         Mantenere integra la “cornice” 5.                         Rispettare gli stili cognitivi e d’apprendimento.

  32. Avere cose importanti ed interessanti da comunicare. Anche se, scritto così, possa sembrare scontato, non è poi così ovvio. Il concetto è quello di costruire una “rilevanza condizionale” (vedi Goffman) con il pubblico. Stabilire una rilevanza condizionale vuol dire anche usare un linguaggio comprensibile e compatibile con il contesto; affrontare, infine, il discorso dal punto di vista di chi ci deve seguire. E’ pertanto necessario a tal scopo modulare il proprio linguaggio sulle caratteristiche del gruppo con cui dobbiamo interagire ed altresì toccare con esempi e connessioni logiche eventi o situazioni vissute dai partecipanti che siano utili per rendere vicini i temi che si devono affrontare.

  33. Mantenere viva l’attenzione degli astanti. Come si fa? Muovendosi costantemente lungo tutto il “palcoscenico”. Ovviamente si deve stare in piedi, gesticolare ampiamente, avere una mimica facciale e fisica marcata e considerare che chi ci sta di fronte deve essere interessato anche a noi, non solo a quello che diciamo… altrimenti potrebbe ascoltare una cassetta! Come le apine che da piccoli avevamo sopra il lettino. Le guardavamo perché erano colorate, visibili ma soprattutto perché si muovevano. In secondo luogo è necessario utilizzare un linguaggio emozionante ed evocativo, che trasmetta emozioni e coinvolga i partecipanti, a volte con una battuta, oppure utilizzando una parola un po’ osè si può ottenere il doppio dell’attenzione circa il tema che si deve sviluppare. Pur senza insegnare le parolacce!

  34. Osservare tutti i presenti. Credo che questo punto sia di facile interpretazione.. La sostanza è che ognuno dei presenti deve sentirsi direttamente coinvolto, deve sentirsi come diretto destinatario dei concetti esposti. Alcuni (li riconoscete subito perché fanno mille domande e sono seduti subito sotto di voi!) hanno addirittura bisogno di essere riconosciuti. Fategli un complimento appena entrate e vedrete che staranno buoni e calmi!

  35. Mantenere integra la “cornice”. Durante una lezione (se questa funziona bene) si crea un certo livello di attenzione e di tensione che è bene mantenere. Quest’ambiente viene definito nei contesti formativi come “cornice”, ovvero il perimetro che delimita questo contesto.  Mantenerla vuol dire assicurarsi che i più esterni della stanza stiano seguendo e quindi rivolgere a loro una maggiore attenzione. Se i più esterni stanno seguendo quasi certamente lo staranno facendo anche gli altri.

  36. Stili cognitivi e di apprendimento

  37. Scuola di Counseling Relazionale PREPOS Docente Manuela Naccari (riferimenti bibliografici: V. Masini e L. Barbagli) tel. 338 3536311 E mail - manuelanaccari@prepos.com

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