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Il Trauma Psichico: tra Resilienza e Vulnerabilità

XXI Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Psicosomatica Psicosomatica e Qualità di Vita 17 Novembre 2007, Firenze. Il Trauma Psichico: tra Resilienza e Vulnerabilità. prof. Nicola Lalli dott.ssa Silvia Ingretolli. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007. Truman Capote.

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Il Trauma Psichico: tra Resilienza e Vulnerabilità

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Presentation Transcript


  1. XXI Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Psicosomatica Psicosomatica e Qualità di Vita 17 Novembre 2007, Firenze Il Trauma Psichico: tra Resilienza e Vulnerabilità prof. Nicola Lalli dott.ssa Silvia Ingretolli © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  2. Truman Capote “Noi non siamo così diversi…” Link a filmato “E’ come se fossimo cresciuti nella stessa casa…” Link a filmato

  3. “Ogni esperienza che risvegli sentimenti dolorosi, quali la paura, l’angoscia, la vergogna e la sofferenza psichica, può operare come un trauma”. S. Freud, 1893 “Quando un evento sufficientemente estremo va a urtare contro l’organizzazione mentale, il suo effetto è di annientare tutte le difese dall’angoscia”. C. Garland, 2001 Trauma psichico Evento esterno al soggetto capace, con le sue variabili di durata, gravità e imprevedibilità, di poterne modificare la struttura psichica in senso psicopatologico. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  4. Trauma psichico • Qualità • Naturalistico (terremoti, alluvioni, etc.) • Naturale (lutti, patologie, etc.) • “dell’uomo sull’uomo” (terrorismo, lager, tortura, abusi sessuali, etc.) • Secondario (vigili del fuoco, soldati, volontari, etc.) • Sociale (rifugiati politici, prigione, etc.) • Intensità • Lieve • Moderata • Grave • Ripetitività • Unico o circoscritto • Multiplo o cumulativo • Durata • Prevedibilità © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  5. Tipi di trauma In base ai criteri di classificazione del trauma, possiamo distinguere l’esperienza traumatica in due grandi gruppi: Trauma puntiforme: evento violento (shock) che può disorganizzare la struttura psichica e portare disturbi nevrotici (PTSD) o sintomi dissociativi. Trauma cumulativo: esperienze ripetute nel tempo che comportano una determinazione del carattere in senso resiliente o vulnerabile. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  6. Freud ha affermato che alcuni tipi di esperienze traumatiche precoci producono effetti irreversibili. Esperienze molto stressanti subite dai bambini possono portare allo sviluppo di forme di psicopatologia. Ricerche successive hanno confermato il contrario: raramente episodi singoli producono da soli conseguenze a lungo termine; le conseguenze vanno viste nel contesto più ampio di esperienze continuative, come quelle di un clima familiare alterato. Situazioni croniche di difficoltà non producono necessariamente danni permanenti: gli effetti negativi di alcune esperienze possono essere annullati grazie a cambiamenti drastici nelle condizioni di crescita. Trauma: effetti reversibili o irreversibili? © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  7. Trauma: effetti reversibili o irreversibili? • Diversi studi sul comportamento di bambini in situazioni stressanti mostrano l’esistenza di una grande variabilità di reazioni in risposta a circostanze apparentemente identiche: alcuni individui vengono completamente annientati, altri ne escono illesi. • La ragione per cui non tutti i bambini soccombono alle esperienze avverse è che ci sono altri fattori, oltre alle esperienze traumatiche, che giocano un ruolo nello sviluppo. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  8. Variabilità delle risposte individuali Rispetto a tutte le avversità ambientali (sia fisiche che psicosociali) si evidenzia un’ampia variabilità delle risposte individuali: alcuni soccombono, alcuni appaiono resilienti ed altri (pochi) appaiono addirittura rafforzati dall’aver affrontato con successo stress e avversità. Le caratteristiche connesse con le differenze individuali nella risposta ad un trauma includono le esperienze che rafforzano (o indeboliscono) l’individuo prima dell’esposizione al rischio, le influenze protettive che operano al momento dell’esposizione al rischio e le esperienze positive di recupero che rappresentano il punto-di-ritorno dopo l’esposizione. Nelle recenti ricerche è emersa che l’influenza della vulnerabilità al rischio (o della protezione) può essere anche di natura genetica. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  9. Fattori di resilienza e vulnerabilità Ciò indica che il trauma, in se stesso, non è una causa sufficiente per spiegare la comparsa della sintomatologia. Evidentemente entrano in gioco sia fattori di rischio (di vulnerabilità), che aumentano la probabilità di esiti negativi in risposta a situazioni stressanti, sia fattori protettivi (di resilienza), che hanno un effetto opposto e proteggono l’individuo da tali esiti. La resilienza e la vulnerabilità non sono entità unitarie: identificare le reazioni di un individuo nei confronti di un certo tipo di difficoltà non ci mette necessariamente nella condizione di prevederne le reazioni ad un altro tipo di avversità. Le condizioni possono cambiare nel tempo. I bambini vulnerabili possono sviluppare forme di resilienza e i bambini resilienti diventare vulnerabili. E’ d’altra parte probabile che ci sia continuità laddove le esperienze del bambino rinforzino le esperienze del passato. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  10. Fattori di resilienza e vulnerabilità • Fattori interni: • Sesso • Età • Ciclo vitale • Carattere: introverso o estroverso. • Intelligenza (buoni risultati scolastici = buona autostima). • Condizioni alla nascita: bambini nati con complicazioni (prematuri, etc.) necessitano di un sostegno maggiore per sviluppare le risorse personali per far fronte allo stress. • Stato fisico (benessere, malattia, etc.) • Genetica } Durante i primi 10 anni di vita i maschi hanno mostrano una minore resistenza delle femmine nei confronti di un’ampia varietà di stress di carattere fisiologico e psicosociale (difficoltà perinatali, problemi comportamentali, difficoltà scolastiche, etc.); durante l’adolescenza il profilo si inverte. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  11. La genetica Gli studi su campioni di gemelli e bambini adottati hanno dimostrato che, anche quando viene documentata l’influenza dell’ambiente sul processo di sviluppo, una parte di questo può essere spiegata geneticamente: i fattori genetici hanno il loro impatto sui comportamenti che manipolano o selezionano l’ambiente e, di conseguenza, influenzano la probabilità di sperimentare stress e avversità. I fattori genetici giocano un ruolo considerevole innanzitutto nella formazione dell’individualità del bambino (esempi ovvii sono caratteristiche come il sesso e diversi tratti caratteriali). © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  12. La genetica Esiste però anche un “equivalente ambientale” del genoma umano: l’ambiente influenza l’espressione genetica, la programmazione dello sviluppo cerebrale, la struttura e il funzionamento del sistema neuroendocrino e quindi lo sviluppo cerebrale. Le esperienze possono influenzare i pattern dell’interazione interpersonale che diventano così influenti sulla manipolazione successiva dell’ambiente. Inoltre le esperienze influenzano il processamento affettivo e cognitivo sottostante e quindi il modo i cui gli individui influenzano la rappresentazione e i modelli di se stessi e del loro ambiente. Infatti, anche se in tutte la caratteristiche comportamentali si può individuare una componente genetica, raramente tale componente spiega più del 50% della varianza: ma già nel 1958 Anastasi aveva espresso la necessità di andare al di là del problema di quanta varianza venga spiegata rispettivamente da fattori genetici e ambientali, e di considerare, invece, come questi due tipi di influenze interagiscano durante lo sviluppo. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  13. Fattori di resilienza e vulnerabilità • Fattori esterni o ambientali: • Famiglia • Armonia familiare: famiglie in cui non ci sono conflitti hanno minori probabilità di essere danneggiati. • Attaccamenti sicuri (relazioni soddisfacenti, sicurezza nella relazione piuttosto che trascuratezza e/o rifiuto). • Stili di cure genitoriali • Presenza di figure alternative ai genitori • Separazione • Numero di figli e intervallo tra fratelli • Psicopatologia nei genitori • Povertà • Rete sociale (scuola, amici, etc.) • Cultura (religione, etnia, clima, etc.) © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  14. Fattori ambientali • Operano anche nel range normale e non solo in situazioni estreme, nonostante in queste ultime gli effetti siano più rilevanti. • Hanno influenza non solo nell’infanzia, ma anche nell’adolescenza e nella vita adulta. • I rischi mediati dall’ambiente, che agiscono sulle funzioni neuroendocrine e dei neurotrasmettitori, includono: • influenze prenatali (abuso di droga e alcool durante la gravidanza, gravi stress della madre); • influenze fisiche post-natali (danno cerebrale, abuso di cannabis in adolescenza). • Le influenze ambientali che provocano maggiori effetti in termini di rischio sembrano essere: • restrizioni nella possibilità di sviluppare relazioni sociali intense (es. sostegni istituzionalizzati); • gravi disturbi nella sicurezza di tali relazioni (es. trascuratezza, rifiuto); • eventi che provocano danno a lungo termine su tali relazioni (es. esperienze di umiliazione); • etiche sociali o di gruppo che esercitano un’influenza di disadattamento (es. gruppi antisociali). © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  15. Fattori culturali: Israele-Palestina • Gli studi che valutano l’influenza della cultura sulle traiettorie di sviluppo funzionale e disfunzionale sono rari. Recentemente è stato pubblicato uno studio interessante di Feldman e Masalha (2007) che espone i risultati di una ricerca longitudinale effettuata su un campione di 86 coppie israeliane e 55 coppie palestinesi valutate al 5° mese dopo la nascita del primo figlio e di nuovo al 34° mese. • Le prospettive di tale studio sono quelle transazionale ed ecologica in base alle quali si ipotizza che lo sviluppo si verifichi nell’ambito di una matrice crescente di influenze prossimali e distali: tra esse viene inclusa anche l’influenza delle disposizioni biologiche del bambino stesso che interagiscono a livello familiare con la personalità dei genitori, le esperienze di vita familiare e le caratteristiche della relazione genitori-figlio; vengono poi prese in considerazione le influenze collocate a livello della rete sociale più ampia in cui la famiglia è collocata e infine le influenze più distali dovute alle attitudini e alle filosofie culturali che a loro volta influenzano, secondo gli autori, le attitudini, le condizioni di vita e i patterns interpersonali dei genitori. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  16. Fattori culturali: Israele-Palestina • Secondo gli autori “gli effetti della cultura sull’architettura dei fattori di rischio e di quelli protettivi possono derivare da diverse sorgenti” (Feldman, Masalha, 2007, p.2): • esistono solitamente caratteristiche nucleari delle culture che ci permettono di classificarle in forma dicotomica: ad esempio nello studio presentato la cultura israelitica e quella palestinese venivano classificate rispettivamente come esempi di cultura individualistica e collettivistica; • la cultura può definire i parametri della salute e della patologia, delineare i comportamenti accettati e non accettati e offrire condizioni di vita che possono intensificare o mitigare i fattori di rischio che si presentano a livello più prossimale nella vita familiare del bambino; • la cultura incide sull’attribuzione di significato rispetto alle disposizioni temperamentali del bambino: ad esempio la presenza di emotività negativa in un bambino di 5 mesi può avere un significato molto negativo in una cultura collettivistica che vede come obiettivi educativi quelli della deferenza verso l’autorità e la riduzione dell’aggressività, mentre in una cultura individualistica – che si propone di crescere individui assertivi e creativi- questi tratti temperamentali possono essere considerati positivamente ed incoraggiati; • anche i comportamenti interattivi dei genitori sono influenzati dalle attitudini e dalle credenze culturali soprattutto per ciò che riguarda gli obiettivi educativi e il processo di attribuzione di significati. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  17. Fattori culturali: Israele-Palestina • Questo studio è molto interessante sia per la metodologia che per l’accuratezza della raccolta dei dati. Si evidenzia che lo stesso evento (morte o malattia grave della madre) ha effetti molto diversi: nel bambino israeliano (famiglia mononucleare) può in genere rappresentare un grave fattore di rischio, mentre in quello palestinese la presenza di una famiglia allargata diventa un fattore protettivo determinante. • I dati hanno dunque confermato che la cultura ha una influenza specifica sullo sviluppo umano soprattutto rispetto alla possibilità di bilanciare fattori di rischio e protezione che possono essere considerati universali se presi singolarmente. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  18. Continuum resilienza-vulnerabilità L’individuazione e lo studio di questi fattori è oggi oggetto di un grande sforzo di ricerca: capire perché la posizione degli individui differisca lungo un continuum vulnerabilità-resilienza renderà infatti più facile la previsione dei risultati di esperienze traumatiche e ci aiuterà a prevenire esiti indesiderati. Il percorso evolutivo, che ogni individuo segue, deve essere tracciato da studi longitudinali che esaminano tutti gli anelli della catena e non solo il primo e l’ultimo: la resilienza è un costrutto evolutivo dinamico. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  19. Resilienza: tratto di personalità o risultato di un processo dinamico? • Ego-resilienza: caratteristica personale dell’individuo che riflette inventiva, creatività, robustezza di carattere e flessibilità di funzionamento in risposta alle variabili ambientali. • Resilienza: processo dinamico di sviluppo che presuppone l’esposizione a sostanziali avversità e l’adattamento positivo in uno o più campi di competenza. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  20. Adattamento positivo e resilienza Cicchetti et Al. (2000) sostengono che, nonostante il concetto di resilienza possa apparentemente sovrapporsi a quello più generale di “adattamento positivo”, sia opportuno mantenere la distinzione perché: • questo può essere di stimolo a studiare l’adattamento positivo di fronte ad avversità significative; • il concetto di resilienza ingloba il costrutto che l’adattamento si verifica attraverso traiettorie di sviluppo che rappresentano una sfida rispetto alle aspettative “normative”; © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  21. Adattamento positivo e resilienza • stimola una migliore articolazione della ricerca sullo sviluppo normativo, in quanto gli studi sui campioni normativi e la definizione dei fattori di rischio e di protezione (che spiegano l’adattamento e il disadattamento) non sempre sono adeguati a spiegare quali siano i fattori in base ai quali soggetti a rischio non seguono – come prevedibile – traiettorie di disadattamento; • “i pattern di adattamento positivo che si verificano con, piuttosto che senza, condizioni di avversità spesso hanno diversi correlati e quindi riflettono costrutti distinti”: è’ stato dimostrato, ad esempio, che il supporto scolastico ha maggior effetto sui bambini poveri rispetto ad altri, in quanto la relativa carenza di risorse esterne alla scuola produce una valorizzazione maggiore dell’influenza dei fattori di protezione presenti all’interno della scuola. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  22. Metodologia della ricerca Il progresso nell’area di ricerca sulla Resilienza e sulla Vulnerabilità rimarrà seriamente limitato finché gli studi, centrati in larga misura su basi empiriche, rimarranno considerati in opposizione agli studi effettuati su basi teoriche e finché si darà scarso riconoscimento all’influenza di contesti multipli sullo sviluppo del bambino. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  23. Teoria evolutiva Accumulare indicazioni su fattori di resilienza e fattori di vulnerabilità nello sviluppo al di fuori di una teoria evolutiva seria che tenga conto della complessità delle influenze ambientali non è utile ai fini della ricerca e della prevenzione. • E’ necessario, quindi, tenere conto sia di variabili prossimali agli esiti (variabili familiari) sia di variabili distali (socio-culturali) che tuttavia esercitano un’influenza su quelle più prossime. • E ‘ inoltre necessario individuare le variabili che possono avere un’influenza “moderatrice” sia su quelle prossime che su quelle distali dagli esiti evolutivi. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  24. Fattori distali e fattori prossimali E’ importante distinguere questi due fattori per comprendere i processi di adattamento e disadattamento: ad esempio, è stato riconosciuto che la povertà è un fattore distale che rende più probabile i fattori prossimali di rischio, come i rapporti genitori-figli difficili. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  25. Indicatori di rischio e Mediatori di rischio • Indicatori di rischio: caratteristiche che indicano un rischio ma non provocano essi stessi in modo diretto il rischio. • Mediatori di rischio: caratteristiche coinvolte nei processi che si attivano per arrivare al disturbo mentale. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  26. Circolarità tra fattori E’ importante considerare la circolarità tra fattori ambientali e individuo. Infatti oggi negli studi viene considerata non solo l’influenza che i genitori esercitano sui figli, ma anche quella che i figli esercitano sulla famiglia nel renderla disfunzionale. Così un bambino più problematico può rendere i genitori più tesi e, di conseguenza, insofferenti e arbitrari nel modo in cui interagiscono con lui. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  27. Prospettive di riferimento • Prospettiva tripartita (Garmezy, 1985; Werner e Smith 1982, 1992): prende in considerazione i processi protettivi e quelli di vulnerabilità più salienti nell’influenzare i bambini a rischio e operanti a 3 livelli: • Bambino (tratti di personalità, come ad es. intelligenza o competenze sociali) • Famiglia (ad es. calore genitoriale o maltrattamento) • Comunità (ad es. supporto sociale) © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  28. Prospettive di riferimento • Modello ecologico-transazionale (Bronfenbrenner 1979, Sameroff e Chandler 1975, Cicchetto e Lynch 1993): i contesti di sviluppo come la cultura, la scuola e la rete sociale e la famiglia sono concettualizzati come livelli concentrici che variano rispetto alla prossimità all’individuo. Si evidenzia una transazione reciproca nel tempo di tali livelli: un’interazione reciproca e progressiva tra le caratteristiche del bambino e le caratteristiche dell’ambiente. Sistema multidimensionale delle influenze © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  29. Modello transazionale • Il modello transazionale considera, quindi, un sistema multidimensionale di influenze e sottolinea come tanto il bambino quanto l’ambiente portino le proprie particolari caratteristiche in ogni episodio di interazione; tanto l’uno quanto l’altro vengano trasformati psicologicamente dalle interazioni; come gli effetti siano cumulativi e il loro esito a lungo termine sia una funzione di molteplici influenze interagenti. • Lo sviluppo, quindi, non è determinato solo in modo diretto da un evento specifico, ma anche indirettamente dall’effetto che tale evento produce su un particolare ambiente: è un processo dinamico che implica il cambiamento reciproco del bambino e dell’ambiente sociale. • Questa prospettiva evidenzia quanto la ricerca sia andati avanti rispetto alla prospettiva tradizionale, che vedeva i genitori come onnipotenti modellatori dello sviluppo dei propri figli. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  30. Prospettive di riferimento • Prospettiva strutturale-organizzativa (Cicchetti & Schneider-Rosen, 1986; Sroufe, 1979): “nonostante i fattori storicamente distali e le influenze attuali vengano considerate entrambe importanti nel processo di sviluppo, si considera la scelta attiva dell’individuo e l’auto-organizzazione come fattori che esercitano un’influenza critica sullo sviluppo”. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  31. “I traumi sono sempre diversi poiché sopraggiungono in momenti differenti su strutture psichiche diverse”B. Cyrulnik © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  32. Direzioni future nella ricerca • E’ necessario esplicitare i criteri in base ai quali viene operazionalizzata la resilienza e quindi quelli per misurare sia la competenza che l’avversità con cui essa si confronta; • il termine “resilienza” dovrebbe essere usato solo quando ci si riferisce ad un processo o ad un fenomeno di competenza di fronte ad avversità, mentre il termine di “ego-resilienza” dovrebbe essere usato quando ci si riferisce ad uno specifico tratto di personalità; • è necessario sia specificare il campo in cui si evidenzia la resilienza, perché è evidente che bambini a rischio che eccellono in particolari campi possono avere problemi in altre competenze, sia selezionare i campi e i gradi di competenza più rilevanti rispetto alla natura delle avversità, sia eventualmente combinare diversi campi di adattamento piuttosto che esaminarli separatamente; © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  33. Direzioni future nella ricerca • studi longitudinali a breve termine e a lungo termine sulla resilienza sono indispensabili perché la resilienza è un costrutto evolutivo dinamico. Gli studi longitudinali devono indagare sia la stabilità nel tempo della resilienza sia l’abilità di individui precedentemente resilienti di “rimbalzare indietro” dopo i periodi di difficoltà per raggiungere l’adattamento resiliente precedente; • è necessario prendere in considerazione i processi psicologici, sociali e biologici/genetici in base ai quali possono variare i percorsi della resilienza (equifinalità), così come nei gruppi a rischio si possono evidenziare diversi esiti (multifinalità). © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  34. Considerazioni metodologiche Gli studi sui fattori di resilienza e di vulnerabilità hanno una validità se sono fondati su una valida teoria dello sviluppo psichico e se valutano la complessità dei fenomeni considerati (multidimensionalità e circolarità eziologica). In questo modo tali studi possono contribuire ad approfondire sempre più la teoria dello sviluppo psichico. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  35. Utilità e strategie di intervento Masten nel 1994 elenca quattro strategie di base mirate a questo scopo: • Ridurre la vulnerabilità dei bambini; • Ridurre l’esposizione a situazioni stressanti (ad esempio, offrendo servizi di mediazione a genitori in procinto di divorziare e riducendo, in tal modo, il loro conflitto); © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  36. Utilità e strategie di intervento • Aumentare la disponibilità di risorse per bambini a rischio (ad esempio, mettendo al corrente gli insegnanti delle necessità dei bambini vulnerabili); • Mobilitare processi protettivi (ad esempio, utilizzando servizi psicosociali di aiuto alla genitorialità). © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

  37. Per ulteriori approfondimenti è possibile consultare il sito www.nicolalalli.it che contiene una sezione dedicata al trauma. Grazie. © N. Lalli, S. Ingretolli 2007

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