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IPC in ambiente distribuito

IPC in ambiente distribuito. Caratteristiche dei sistemi distribuiti : esecuzione concorrente mancanza di nozione di tempo globale ritardo nella comunicazione difficolta’ di avere una nozione di stato consistente possibilita’ di failure di un componente. IPC in ambiente distribuito.

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IPC in ambiente distribuito

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Presentation Transcript


  1. IPC in ambiente distribuito • Caratteristiche dei sistemi distribuiti: • esecuzione concorrente • mancanza di nozione di tempo globale • ritardo nella comunicazione • difficolta’ di avere una nozione di stato consistente • possibilita’ di failure di un componente

  2. IPC in ambiente distribuito • Problemi di base nei sistemi distribuiti: • dove localizzare gli oggetti: locating • come gestire lo spazio dei nomi: naming • Due modelli per IPC distribuito: • modello a oggetti (Accent, Mach) • modello client/server(Amoeba) • Due approcci per sistemi di architetture a rete: • sistemi di rete: la rete non e’ trasparente alle applicazioni • sistemi distribuiti: la rete e’ trasparente alle applicazioni

  3. IPC in ambiente distribuito: scambio di messaggi • Un meccanismo di scambio di messaggi in ambiente distribuito differisce dall’analogo in ambiente fortemente connesso perche’: • il livello IPC e’ costruito sul livello inferiore della comunicazione di rete. • il livello IPC deve fornire anche la funzione di naming e di location: • se il processo A, sul nodo 1 manda un messaggio al processo B, l’ IPC deve riconoscere che B non e’ un processo locale e deve trovare dove risiede.

  4. IPC in ambiente distribuito: scambio di messaggi Scambio di messaggi asincrono: Comunicazione di rete Comunicazione di rete Process A SEND (pid, mess) Process B WAIT (send, add) Livello IPC Livello IPC WAIT SEND WAIT SEND Funzione di naming e di location Funzione di naming e di location

  5. IPC in ambiente distribuito: scambio di messaggi Cammini reali e virtuali di scambio di messaggio Process A (Nodo 1) SEND Process B (Nodo 2) WAIT IPC Level IPC Level Network communication Network Communication

  6. IPC in ambiente distribuito: scambio di messaggi Per realizzare lo scambio di messaggi in modo trasparente ci sono due approcci: • il kernel determina se il processo e’ o meno locale e nel caso sia remoto fornisce il suo indirizzo (location function) • il kernel determina se il processo e’ o meno locale e nel caso non lo sia, passa il messaggio ad un processo locale, responsabile della comunicazione NetServer process. Questo approccio e’ usato in Accent e Mach. In questo modo il kernel e’ piu’ semplice, ma ci sono piu’ switch di processi

  7. IPC in ambiente distribuito: scambio di messaggi NetServer Process Process A (Nodo 1) SEND (B, mess) NetServer process WAIT (any) Call Network Communication IPC Level scopre che B non e’ locale Network Communication Software

  8. IPC in ambiente distribuito: RPC • Un’ alternativa ai messaggi sincroni e asincroni e’ il paradigma RPC, ampiamente usato nelle architetture di rete. • Un sistema RPC consiste di: • un protocollo di comunicazione costruito sul livello di trasporto (ARPA UDP/IP) • routine per assemblare i dati da passare al protocollo • un meccanismo per legare i nomi delle procedure remote agli indirizzi di rete

  9. D C B E A IPC in ambiente distribuito: RPC Un sistema RPC Calling System (client) Called System (server) Network Caller call RPC service return Lower level protocol Lower level protocol RPC service return Called procedure A call

  10. A B E IPC in ambiente distribuito: RPC • gli argomenti sono impacchettati in una struttura dati adatta al trasferimento attraverso alla rete • a questa chiamata e’ assegnato un identificatore RPC • viene settato un timer • gli argomenti sono “spacchettati” dal buffer di rete e messi in forma adatta per fare una chiamata di procedura locale • si prende nota dell’ identificatore RPC • gli argomenti di ritorno sono impacchettaati • viene settato un altro timer • gli argomenti di ritorno sono spacchettati • il timer del punto A viene disabilitato • un acknowledgment e’ inviato a D che puo’disabilitare il timer D

  11. IPC in ambiente distribuito: RPC con malfunzionamento • A causa di malfunzionamenti o congestione nella rete i due timer al punto A e D possono scadere senza che la comunicazione sia stata completata. • Il servizio di RPC, al punto A puo’ ritentare piu’ volte la comunicazione senza coinvolgere il livello d’applicazione. L’ identificativo RPC serve al sistema chiamato (server) per scoprire una chiamata ripetuta. Se questa e’ gia’ in corso non e’ necessario fare nulla, se una risposta e’ gia’ stata inviata puo’ essere riinviata. Questo comportamento e’ detto: EXACTLY ONCE RPC Semantics. • Alcuni sistemi RPC danno all’utente la scelta tra la semantica EXACTLY ONCE e la AT MOST ONCE RPC Semanticsche significa che quando scade il timer, il controllo torna all’applicativo, che decide se vuole o meno ritentare la comunicazione.

  12. IPC in ambiente distribuito: RPC con crash e restart Failure dalla parte del cliente • Il cliente fallisce dopo aver inviato una richiesta. • La chiamata remota prosegue (orfana) • Nessun acknowledgment sara’ da D, allo scadere del timer • Se il server ha servito la richiesta questo puo’ aver causato cambi permenenti nel server • Il nodo cliente, una volta ripartito puo’ far ripartire la richiesta, ma questa avra’ un altro identificativo (checkpoint e rollback facilities)

  13. IPC in ambiente distribuito: RPC con crash e restart • Failure dalla parte del server • Il server fallisce dopo che il cliente ha una richiesta. • Il fallimento puo’ essere al punto B o C o D: in ogni caso il timer al punto A scade senza che ci sia stata risposta. • Il cliente potrebbe rifare la richiesta • Se il fallimento e’ stato al punto C o D, questo puo’ aver causato cambi permanenti prima del crash • Il nodo cliente, una volta ripartito puo’ far ripartire la richiesta, ma questa avra’ un altro identificativo(checkpoint e rollback facilities)

  14. IPC in ambiente distribuito: RPC e i livelli ISO RPC in relazione al modello ISO/OSI Livello Applicazione Livello Presentazione Livello Sessione Livello Trasporto Livello Rete Livello Datalink Invocazione dal linguaggio Protocollo RPC Rapprresentazione dati Gestione timer e primitive sincronizzazione Es. UDP Es. IP Es.. Ethernet protocol

  15. IPC in ambiente distribuito: integrazione di RPC con i linguaggi • Trasparenza della distribuzione • Approccio non trasparente: l’applicazione sa quali sono procedure remote e quali locali. • Vantaggi: il programmatore puo’ organizzarsi meglio sapendo che le chiamate remote richiedono piu’ tempo e che potrebbero fallire. • Approccio trasparente: e’ il compilatore (o un preprocessore) che deve scoprire quali procedure sono locali e quali non locali. E’ necessario avere un servizio di naming che elenca le procedure non locali. Ad ogni chiamata di procedura remota viene creata una stub, cui viene indirizzata localmente la chiamata.

  16. IPC in ambiente distribuito: integrazione di RPC con i linguaggi Implementazione di RPC trasparente RPROC A Call RPROC A (arg) Process level Process level Client STUB for A Server STUB for A RPC implementation level RPC implementation level Lower level of communication software Lower leve of communication softwarel Client System Server System network

  17. IPC in ambiente distribuito: integrazione di RPC con i linguaggi • Approccio trasparente. • Lo STUB si occupa di: • controllare l’ assemblaggio degli argomenti • invocare il protocollo di comunicazione • Att!! Le funzioni dello STUB sono necessarie anche nell’ approccio non trasparente, l’unica differenza e’ che nell’approccio trasparente lo STUB viene chiamato come una procedura locale.

  18. IPC in ambiente distribuito: Client/Server vs Oggetti • Il modello client/server e’ un approccio piu’ semplice: gli oggetti sono identificati (naming) e locati (locating) dal server e le operazioni su di essi sono eseguite dal server stesso. • Nell’ approccio a oggetto gli oggetti hanno un nome e una locazione in un contesto globale e le operazioni su di essi sono eseguite dagli utenti direttamente piuttosto che tramite il server. • Nell’ approccio a oggetto i nomi degli oggetti hanno un significato globale e quindi possono essere passati per riferimento.

  19. IPC in ambiente distribuito: critica di RPC • Scelta implementativa: • numero massimo di RPC aperte in un certo istante da parte di threads di uno stesso processo. • Scelta a livello di progetto di sistema: • il paradigma RPC e’ sufficiente a rispondere a tutte le necessita’ del sistema? Si potrebbero affiancare possibilita’ diverse: • primitive di SEND senza necessita’ di acknowledgment • RPC asincrono (versione di RPC in cui il cliente puo’ continuare la sua attivita’ e prelevare la risposta piu’ tardi • stream protocol (connessione source-destination) per grandi quantita’ di dati (video e voce)

  20. IPC in ambiente distribuito: naming • In un sistema fortemente connesso il SO (kernel) conosce il nome di tutti i processi, il loro spazio degli indirizzi e gli indirizzi delle loro eventuali porte. • In un sistema distribuito l’IPC deve conoscere i nomi degli oggetti coinvolti nella comunicazione; in particolare occorre stabilire : • Quali oggetti devono essere identificati con un nome (processi, porte, mailbox, procedure remote,..) • Come devono essere strutturati tali nomi • Come un potenziale cliente trova il nome del server • Quando viene fatto il legame tra nome e indirizzo di rete • Chi controlla la comunicazione

  21. IPC in ambiente distribuito: naming • Problema: assegnare un nome unico agli oggetti di un sistema distribuito. • Soluzione: nell’ ipotesi che ogni nodo abbia un identificatore unico (indirizzo di rete) ogni oggetto potrebbe avere come nome la coppia: • <numero del nodo, numero dell’oggetto all’interno del nodo> • Svantaggi: un oggetto e’ legato in modo permanente al nodo I nomi devono essere indipendenti dalla locazione

  22. IPC in ambiente distribuito: naming • Problema: assegnare agli oggetti di un sistema distribuito un nome unico • indipendente dalla locazione • Soluzione: si assegni agli oggetti un intero in modo univoco all’interno del sistema • Svantaggi: difficile gestire un controllo degli accessi: ad esempio un utente puo’ cercare di ottenere dal processo 123 il servizio 456 • Possibile soluzione: usare un sistema a capability, cioe’ il nome dell’ oggetto contiene i diritti d’accesso all’oggetto stesso. Il possesso del nome significa il possesso del diritto di accesso allo stesso. • Problema: come impedire al possessore di cambiare i suoi diritti?

  23. IPC in ambiente distribuito: naming • Se si usa un sistema a capability, come e’ possibile impedire al possessore di cambiare i suoi diritti? • Con tecniche di crittografia, ad esempio (Accent e Mach kernel): • Il servizio di gestione degli oggetti dispone di una funzione di crittografiaF tale che: F(secret, object name, access rights) = check digits • Il valoresecretviene generato all’atto della creazione dell’oggetto e viene memorizzato con l’oggettto stesso. • La capability per l’oggetto e’ dato dal valore dei check digits • Quando l’utente presenta la capability, si ricalcola il valore della funzione F ; se icheck digitsnon corrispondono si nega l’accesso

  24. IPC in ambiente distribuito: locating In un sistema fortemente connesso il SO (kernel) conosce lo spazio degli indirizzi e gli indirizzi delle porte dei processi. In un sistema distribuito ci sono varie possibilita’: • 1. Ogni kernel mantiene: • le informazioni di tutti gli oggetti locali che possono essere richiesti da altri nodi; • una tabella di tutte le chiamate remote che possono essere invocate da processi locali; • la tabella potrebbe essere troppo grande • il naming degli oggetti potrebbe essere inconsistente • gli indirizzi potrebbero essere non piu’ validi

  25. IPC in ambiente distribuito: locating • 2. Ogni kernel mantiene: • le informazioni di tutti gli oggetti locali che possono essere richiesti da altri nodi; • quando un processo locale richiede un oggetto remoto, localizza l’oggetto interagendo con gli altri kernel chiedendo chi e’ il kernel proprietario, mantiene in cache alcune di queste informazioni. (Questo approccio e’ usato da Amoeba e SUN RPC) • i valori in cache potrebbero diventare non piu’ validi, per cui sono usati solo come hints

  26. IPC in ambiente distribuito: locating • 3. Ogni kernel mantiene: • le informazioni di tutti gli oggetti locali che possono essere richiesti da altri nodi; • quando un processo locale richiede un oggetto remoto, invia un messaggio a tutti nodi che sono strutturati in una configurazione ad anello logico; il kernel proprietario cattura il messaggio e lo invvia a destinazione. (e’ un approccio vecchio) • non e’ adatto a reti di grandi dimensioni.

  27. IPC in ambiente distribuito: locating • 4. Su ogni nodo un processo user mantiene: • le informazioni di tutti gli oggetti locali che possono essere richiesti da altri nodi; • questi processi user interagiscono tra loro per localizzare gli oggetti richiesti; si configurano in situazione di server per i processi del nodo che desiderano effettuare comunicazioni remote. (Accent e Mach usano questo approccio).

  28. IPC in ambiente distribuito: locating • 5. Il sistema dispone di un name service: • quando un servizio e’ creato invia il suo nome, il suo indirizzo e ogni altra informazione necessaria al name service. • Quando un cliente deve avere un servizio, richiede le informazioni necessarie per la comunicazione al name server. Name Server Client Server

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