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Didattica Speciale Seconda lezione

Didattica Speciale Seconda lezione. IL PEI e IL PROGETTO DI VITA.

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Didattica Speciale Seconda lezione

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Presentation Transcript


  1. Didattica Speciale Seconda lezione

  2. IL PEI e IL PROGETTO DI VITA Le condizioni problematiche che causano difficoltà di apprendimento e Bisogni Educativi Speciali sono molte: alcune gravi e ben definite, come può essere il ritardo mentale in una sindrome organica, altre più sfumate, come i disturbi dell’apprendimento o i problemi di comportamento. Di fronte a queste oggettive difficoltà nel seguire la programmazione rivolta alla classe e altre forme di partecipazione sociale ai vari ruoli della vita di alunno, gli insegnanti si trovano nella necessità di elaborare forme di didattica individualizzata. In generale, ciò significa costruire obiettivi, attività didattiche e atteggiamenti educativi «su misura» per la singola e specifica peculiarità di quell’alunno, ponendo particolare attenzione ai suoi punti di forza, dai quali si potrà partire per impostare il lavoro.

  3. Dobbiamo ricordare che la costruzione del Piano educativo individualizzato e la sua applicazione concreta non dovrebbero mai essere delegate unicamente all’insegnante di sostegno, coinvolgendo al massimo qualche suo volenteroso collega: tutti gli insegnanti devono esserne partecipi, perché l’integrazione degli alunni in difficoltà deve riguardare tutti gli ambiti della vita scolastica e non essere solo una presenza limitata a qualche ora o a qualche attività svolta con l’insegnante specializzato, magari in qualche «aula di sostegno» (Ianes e Cramerotti, 2009).

  4. Le attività dell’insegnante di sostegno dovrebbero estendersi e integrarsi in una più globale «funzione di sostegno», attivata dalla comunità scolastica nel suo insieme, nei confronti delle tante e diverse situazioni di disagio e difficoltà che si manifestano. In questo caso sarà l’insieme della comunità-scuola, composto di insegnanti, personale tecnico, altri alunni e varie persone significative, che mobiliterà tutte le risorse disponibili,formali e informali, per soddisfare i bisogni formativi e educativi speciali degli alunni, in relazione al tipo e al grado di difficoltà che presentano (Ianes e Macchia, 2008; Booth e Ainscow, 2008).

  5. In quest’ottica, che cerca di superare la vecchia logica di emarginazione della coppia «alunno con disabilità-insegnante di sostegno», si sono ormai sperimentate molte attività didattiche alternative e soluzioni organizzative diverse, che mettono in primo piano il ruolo attivo degli alunni, lo sviluppo di reti di rapporti di amicizia e di aiuto, il lavoro con gruppi di apprendimento cooperativo, il tutoring o insegnamento reciproco tra alunni, il coinvolgimento delle famiglie e delle realtà sportive, culturali e di volontariato della comunità territoriale

  6. La certificazione: dall’individuazione della disabilità al Piano educativoindividualizzato Dal 2000, il regolamento dell'autonomia scolastica ha individuato tra le finalità della scuola quella di rispondere alle "caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo" e ha sottolineato il pieno riconoscimento e la valorizzazione delle diverse abilità. Il comma 5 dell’art. 12 della Legge quadro identifica alcuni momenti significativi dell’iter finalizzato alla piena integrazione scolastica degli alunni con disabilità: – l’individuazione dell’alunno come «persona handicappata»; – la definizione di una «Diagnosi funzionale»; – la predisposizione di un «Profilo dinamico funzionale»; – la formulazione di un «Piano educativo individualizzato»; – le occasioni di verifica degli interventi realizzati e di aggiornamento della documentazione (questi ultimi, contemplati dai commi 6 e 8)

  7. Circa le modalità, la Legge quadro richiama l’esigenza di una integrazione di tutte le competenze e di tutte le professionalità che entrano in gioco: – la scuola, nelle sue diverse componenti (dirigente scolastico, docenti curricolari, docenti per il sostegno, eventuali insegnanti utilizzati con funzioni psicopedagogiche, collaboratori scolastici); – gli operatori delle Aziende Sanitarie Locali (ASL); – i genitori della persona con disabilità; – lo stesso alunno, specie nella scuola secondaria di secondo grado; – gli altri alunni.

  8. Rispetto alle caratteristiche della documentazione da elaborare, la Legge quadro chiarisce senza ombra di dubbio che l’iter da seguire per la sua predisposizione deve evitare il rischio di una sanitarizzazione degli interventi e valorizzare invece appieno gli aspetti propriamente educativi e didattici. Il comma 5 dell’art. 12 prevede un approccio non solo «alle caratteristiche fisiche, psichiche, sociali e affettive dell’alunno» o alle «difficoltà di apprendimento conseguenti alla situazione di handicap», ma più diffusamente alle «possibilità di recupero, alle capacità possedute che devono essere sostenute, sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate».

  9. Fig. 1 Le fasi di programmazione e di lavoro del Piano educativo individualizzato. Fonte:Ianes e Cramerotti, 2009.

  10. LA DIAGNOSI FUNZIONALE EDUCATIVA E’ la prima componente del piano educativo individualizzato e si pone come obiettivo fondamentale la conoscenza e la comprensione più approfondite dell’alunno in difficoltà. Deve anche essere FUNZIONALE EDUCATIVA, e cioè utile alla realizzazione concreta di attività didattiche ed educative appropriate Deve risultare da un lavoro interdisciplinare che veda la collaborazione degli insegnanti, degli operatori delle ASL e dei familiari

  11. QUALI SONO I DATI FONDAMENTALI DA RACCOGLIERE IN UNA DIAGNOSI FUNZIONALE UTILE PER LA PROGRAMMAZIONE INDIVIDUALIZZATA? D. Ianes individua la necessità di far derivare la diagnosi funzionale dall’attuale modello ICF. Questa diagnosi funzionale si lega ai processi di integrazione scolastica, di apprendimento e socializzazione, non si esprime solo in termini tecnico sanitari e cerca di attivare collaborazioni a più ampio raggio, coinvolgendo direttamente gli insegnanti e la famiglia. I dati di conoscenza raccolti nella diagnosi dovrebbero consentire di operare direttamente nel concreto della prassi scolastica quotidiana

  12. - La diagnosi funzionale, finalizzata ad un intervento educativo o ad un percorso didattico individualizzato rivolto agli alunni in difficoltà cerca di raggiungere la conoscenza più estesa possibile delle varie caratteristiche della persona nella situazione/relazione che esamina. - Oltre alla finalità descrittiva dovrebbe elaborare ipotesi e possibilmente verificarle, sulle interconnessioni e relazioni di reciproca influenza tra fattori diversi

  13. L’aspetto analitico e descrittivo dovrebbe essere compresente e integrato con lo sforzo di comprendere relazioni che interconnettono. Una diagnosi funzionale redatta facendo riferimento al modello proposto dall’ICF permette di organizzare in modo globale e concreto la raccolta di informazioni sul soggetto e sui suoi contesti di vita

  14. Fig. Struttura del modello ICF-CY in base alla quale definire la Diagnosi funzionale. Fonte: Ianes e Cramerotti, 2009.

  15. DUE PRINCIPI GENERALI: 1) Non è utile immergersi nei particolari, perdendo di vista la necessità di fare una sintesi significativa di una realtà umana globale e unitaria,di una persona reale, che è molto di più e ben altro che che una serie di dati oggettivi sul suo “funzionamento” 2) Non bisogna fermare il fluire nel tempo delle situazioni personali relazionali e contestuali, cristallizzando come definite e stabilile nostre osservazioni

  16. La situazione globale di una persona, del suo stato di salute e di funzionamento nei suoi reali contesti di vita, va descritta mettendo in relazione informazioni su: - condizioni fisiche - funzioni corporee - strutture corporee - Attività personali - partecipazione sociale - fattori contestuali ambientali - Fattori contestuali personali

  17. Condizioni fisiche Comprende malattie (acute o croniche), disturbi, lesioni o traumi. Può inoltre comprendere altre circostanze biologicamente significative come la gravidanza, l’invecchiamento, un’anomalia congenita o una predisposizione genetica. Le condizioni di salute vengono codificate secondo i criteri dell’ICD-10 (OMS, 2002)

  18. Questa parte della diagnosi funzionale dovrebbe essere suddivisa in due distinti campi di informazione: 1) La storia clinica. Gli eventi vissuti dall’alunno dal punto di vista organico: le malattie, i ricoveri, le cure tentate, i risultati raggiunti. 2) Gli effetti riscontrati o prevedibili sulla prassi scolastica causati dalle condizioni cliniche dell’alunno.

  19. FUNZIONI CORPOREE Le funzioni corporee sono le funzioni fisiologiche dei vari sistemi corporei. Le menomazioni sono problemi nella funzione del corpo, intesi come una deviazione o una perdita significativa.

  20. 1) funzioni mentali 2) funzioni sensoriali e dolore 3) funzioni della voce e dell’eloquio 4) funzioni dei sistemi cardiovascolare, ematologico, immunologico e dell’apparato respiratorio 5) funzioni dell’apparato digerente, e dei sistemi metabolico ed endocrino 6) funzioni genitourinarie e riproduttive 7) funzioni neuro-muscoloscheletriche e correlate al movimento 8) funzioni della cute e delle strutture correlate

  21. STRUTTORE CORPOREE Sono le parti anatomiche del corpo, come gli organi, gli arti, e le loro componenti. Le menomazioni sono problemi nella struttura del corpo, intesi come deviazioni o perdite significative.

  22. 1 strutture del sistema nervoso 2 occhio, orecchio e strutture correlate 3 strutture coinvolte nella voce e nell’eloquio 4 strutture dei sistemi cardiovascolare, immunologico e dell’apparato respiratorio 5 strutture collegate all’apparato digerente e ai sistemi metabolico ed endocrino 6 strutture collegate ai sistemi genitourinario e riproduttivo 7 strutture collegate al movimento 8 Cute e strutture correlate

  23. ATTIVITA’ PERSONALI L’attività è l’esecuzione di un compito o di un’azione da parte di un individuo. Le limitazioni dell’attività sono le difficoltà che un individuo può incontrare nello svolgimento delle varie attività. Ogni attività può essere descritta con due qualificatori

  24. Ogni attività può essere descritta con due qualificatori: - capacità ( l’abilità di eseguire un compito o un’azione senza l’influsso, positivo o negativo, di fattori contestuali e/o ambientali) - performance ( l’abilità di eseguire un compito o un’azione con l’influsso, positivo o negativo, di fattori contestuali personali e/o ambientali)

  25. 1 apprendimento e applicazione delle conoscenze 2 compiti e richieste generali 3 comunicazione 4 mobilità 5 cura della propria persona 6 vita domestica 7 interazioni e relazioni interpersonali

  26. PARTECIPAZIONE SOCIALE La partecipazione è il coinvolgimento attivo in una normale situazione di vita integrata. Le restrizioni della partecipazione sono i problemi che un individuo può incontrare nel coinvolgimento nelle normali situazioni di vita

  27. FATTORI CONTESTUALI AMBIENTALI I fattori contestuali ambientali costituiscono gli atteggiamenti, l’ambiente fisico e sociale in cui la persona vive. 1 prodotti e tecnologie 2 ambiente naturale e cambiamenti effettuati dall’uomo 3 relazioni e sostegno sociali 4 atteggiamenti 5 servizi, sistemi, politiche

  28. FATTORI CONTESTUALI PERSONALI I fattori ambientali personali sono il background personale della vita e dell’esistenza di un individuo e rappresentano quelle sue caratteristiche individuali che non fanno parte della condizione fisica. Questi fattori comprendono il sesso, la razza, l’età, lo stile di vita, modelli di comportamento generali e stili caratteriali

  29. DALLA DIAGNOSI FUNZIONALE AL PROFILO DINAMICO FUNZIONALE FASE 1: SINTETIZZARE IN MODO SIGNIFICATIVO I RISULTATI DELLA DIAGNOSI FUNZIONALE Le informazioni che sono state raccolte vengono confrontate tra loro e sintetizzate nelle aree significative del modello ICF (condizioni fisiche, funzioni e strutture corporee, attività personali ecc.) Le informazioni dovrebbero essere sintetizzate intorno a quattro poli principali

  30. 1 Punti di forza, cioè livelli raggiunti, abilità possedute adeguatamente (capacità ICF) 2 Punti di forza, livelli raggiunti, abilità manifestata grazie alla mediazione positiva dei fattori contestuali (performance). 3 Deficit, cioè carenza, mancanza, incapacità o sviluppo inadeguato rispetto ai criteri e alle aspettative 4 Relazioni di influenza e di mediazione tra i vari ambiti di funzionamento dell’alunno

  31. FASE 2: DEFINIRE GLI OBIETTIVI A LUNGO TERMNE Si tratta degli obiettivi che idealmente ci piacerebbe raggiungere in una prospettiva temporale che va da uno a tre anni. Nella prospettiva del progetto di vita, questa dimensione può dilatarsi arrivando a definire obiettivi anche in dimensioni esistenziali dell’età adulta

  32. FASE 3: DEFINIRE GLI OBIETTIVI A MEDIO TERMINE Tra gli obiettivi a lungo termine vengono scelti quelli a medio termine, da raggiungere nell’arco di alcuni mesi o di un anno scolastico.

  33. FASE 4: DEFINIRE GLI OBIETTIVI A BREVE TERMINE E LE SEQUENZE DI SOTTO-OBIETTIVI Si deve lavorare sugli obiettivi a medio termine per ricavarne sequenze facilitanti di obiettivi più accessibili, da presentare al nostro alunno.

  34. Tre metodi più utilizzati per costruire sequenze di sotto-obiettivi facilitanti: 1) ridurre le difficoltà dell’obiettivo semplificando le richieste di corretta esecuzione, quali l’accuratezza, la velocità di azione, l’intensità, la durata e la frequenza ottimale di emissione di un determinato comportamento. SHAPING (modellaggio)

  35. 2) Ridurre la difficoltà dell’obiettivo attraverso l’uso degli aiuti necessari e sufficienti 3) ridurre le difficoltà dell’obiettivo attraverso l’analisi del compito (task analysis) che consente di scomporre l’obiettivo sia in senso sequenziale-descrittivo, elencando la serie di risposte singole che compongono quel compito, sia in senso strutturale gerarchico, individuando le abilità più semplici e prerequisite che costituiscono la struttura di base di quell’obiettivo e che vanno costruite per prime, in ordine gerarchico

  36. Le attività, i materiali, i metodi di lavoro In questa terza parte del PEI-Pdv si elaborano soluzioni operative di insegnamento-apprendimento per favorire il raggiungimento degli obiettivi definiti nel PDF. Si identificano gli spazi, i tempi, le persone e le altre risorse materiali, organizzative, strutturali e metodologiche che serviranno per realizzare attività didattiche,educative e di stimolazione

  37. Migliori prassi di didattica speciale e integrazione: Classi e gruppi di apprendimento eterogenei Modalità cooperative di apprendimento e di lavoro Rapporti prosociali e di collaborazione informale tra gli alunni Curricoli rivolti allo sviluppo di intelligenze multiple Istruzione collocata su diversi livelli di competenza

  38. Istruzione orientata all’acquisizione di competenze concrete Integrazione delle tecnologie nel curricolo Apprendimento attivo e basato su problemi reali Uso sistematico di modelli per la soluzione di problemi, di opportunità di azione con pochi rischi di errore Coinvolgimento attivo degli studenti nelle decisioni Valorizzazione degli insegnanti nelle decisioni di politica scolastica Aumento della collaborazione degli insegnanti di sostegno e curricolari con la altre figure professionali

  39. Alcune ipotesi per vivacizzare le lezioni frontali: - Presentazioni interattive con diapositive/video e dibattito - Attività di simulazione/role playing - Attività cooperative/competitive di piccolo gruppo per dibattere un tema problematico - Coppie di studenti che risolvono un problema pensando ad alta voce - Dibattiti in piccolo/grande gruppo - Attività di mediazione in cui si cerchi di trovare una posizione che metta d’accordo le parti in una controversia

  40. Strategie base di insegnamento/apprendimento Si fa riferimento all’approccio neocomportamentale, ambito operativo e di ricerca che include varie tecniche educative, di insegnamento e diverse metodologie di intervento. Necessità di fondare gli interventi sui dati della ricerca empirica e di rivolgersi al comportamento osservabile, attualmente manifestato dal soggetto e ai fattori controllabili che contribuiscono al suo mantenimento ed alla sua evoluzione.Utilizzo di procedure sistematiche e oggettiva di valutazione dei cambiamenti comportamentali prodotti (Ianes, 2006)

  41. La task analysis (analisi del compito) L’analisi del compito è un insieme di metodi che consente di scomporre in sotto-obiettivi più semplici e accessibili un compito-obiettivo inizialmente troppo complesso per essere proposto nella sua totalità (Ianes, 2006).

  42. Una metodologia di task analysis, va sotto il nome di«descrizione del compito» ed è l’identificazione e la descrizione sistematica di tutti i movimenti e le risposte che compongono le sequenze ottimali dell’esecuzione efficace ed efficiente di un compito. Questa elencazione dei singoli comportamenti motori, verbali o cognitivi, deve rispettare esattamente la sequenza temporale in cui devono essere emessi e può essere raffigurata graficamente con il metodo del diagramma di flusso.

  43. Seconda metodologia di task analysis: - L’individuazione delle abilità componenti e prerequisite al compito, che nel livello precedentemente illustrato, è stato descritto in senso sequenziale. Si cerca cioè di identificare le varie abilità il cui possesso sia un requisito indispensabile per l’esecuzione del compito (abilità componenti) e per il suo apprendimento iniziale (abilità prerequisite).

  44. Le tecniche di prompting e fading L’acquisizione di un’abilità è facilitata anche dall’uso di istruzioni, aiuti gestuali, esempi e modelli ed altri stimoli aggiuntivi di vario genere (prompts). Si possono considerare prompts tutti «gli eventi di stimolo» che facilitano il soggetto che apprende nell’iniziare l’emissione della risposta desiderata o di una sua approssimazione positiva, in modo che possa poi sperimentare un risultato gratificante

  45. Il comportamento positivo può essere aiutato in molti modi: guidando fisicamente la risposta del soggetto, con istruzioni verbali specifiche sull’azione attesa, indicando l’elemento che dovrebbe essere scelto, mostrando attraverso un modello competente l’esecuzione adeguata delle risposte, aggiungendo immagini o figure esplicative, oppure enfatizzazioni delle caratteristiche distintive visive in compiti di discriminazione

  46. Questi ed altri esempi di aiuto possono definirsi forme di prompting solo se possiedono due caratteristiche essenziali: 1) essere efficaci, produrre cioè un effetto di decisa facilitazione sulla risposta corretta. 2) Essere progressivamente ridotti, sparire cioè gradualmente dalla situazione di stimolo che viene presentata al soggetto, la quale, più o meno lentamente, ritorna al suo stato normale, senza più nessuna aggiunta di prompts artificiali.

  47. I più diffusi modi per realizzare il fading sono: - riduzione graduale dell’aiuto inizialmente dato attraverso guida fisica diretta che diventa via via fornito solo da istruzioni verbali; - attenuazione di intensità del modello o del prompt verbale; - attenuazione di varie forme di enfatizzazione di alcuni elementi importanti delle istruzioni; - attenuazione della ripetizione di alcune parole chiave contenute nelle istruzioni verbali; attenuazione e sparizione progressiva delle figure, dei colori o di altre forme di aiuto visivo introdotte come aggiunte facilitanti in compiti di discriminazione (Ianes, 2006).

  48. Le tecniche di insegnamento «senza errori» cercano di facilitare apprendimenti discriminativi di varia natura, senza però fare incorrere in errori il soggetto. Ciò è possibile con un’accuratissima programmazione e «manipolazione» del materiale di stimolo che viene presentato al soggetto nel programma di insegnamento (Ianes, 2006). Il materiale visivo di stimolo viene realizzato introducendo massicciamente prompt costituiti da figure e vari richiami per l’attenzione, come colori, o altre aggiunte grafiche (frecce direzionali, disegni, ecc.) (Ianes, 2006).

  49. La tecnica più nota è lo stimulus fading che consiste nell’esagerazione di alcune caratteristiche fisiche dello stimolo discriminativo, quello che dovrà poi guidare la risposta di scelta, in modo che tale risposta corretta sia immediatamente facilitata in modo decisivo.

  50. Rinforzamento positivo e motivazione estrinseca “di risultato” La tecnica senz’altro più nota dell’analisi del comportamento è il rinforzamento positivo sistematico, che si basa sul principio, fondamentale nel paradigma dell’apprendimento operante, secondo cui un comportamento si rafforzerà, aumenterà cioè in frequenza e probabilità di emissione, se sarà seguito da un rinforzatore (positivo o negativo) vissuto dal soggetto che emette il comportamento.

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