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Area di progetto Anno scolastico 1999 - 2000

Area di progetto Anno scolastico 1999 - 2000 . Classi: 2^P – 2^ I Il lavoro è stato svolto sotto al guida della Prof. Galdi Biondina. Diffusione della cultura della differenziazione dei rifiuti. Lavoro realizzato da: Vaiano Fabio D’Antonio Francesco classe 2^ P. Di cosa parliamo?.

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Area di progetto Anno scolastico 1999 - 2000

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  1. Area di progettoAnno scolastico 1999 - 2000 Classi: 2^P – 2^ I Il lavoro è stato svolto sotto al guida della Prof. Galdi Biondina

  2. Diffusione della cultura della differenziazione dei rifiuti

  3. Lavoro realizzato da:Vaiano FabioD’Antonio Francescoclasse 2^ P

  4. Di cosa parliamo? La maggioranza delle persone oggi mal usa la parola “rifiuto”. Infatti qualsiasi cosa scartata o non bene accetta è considerata un rifiuto. Ma si conosce il vero significato d rifiuto? Giuridicamente la corretta definizione di “rifiuto” è contenuta nel Decreto Legislativo n° 22 del Febbraio 1997, più comunemente detto, decreto Ronchi. Infatti in esso si legge: “…dicasi rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categoria elencate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi”. Nell’allegato A – riportato in seguito - ci sono 16 categoria di sostanze od oggetti che solo qualora sussista l’obbligo o la volontà di disfarsene sono detti rifiuti.

  5.  1975 (Direttiva CEE 442 ): “Qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi” •  1982 (DPR 915): “Qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umana o da cicli naturali abbandonato o destinato all’abbandono” • 1991 (Direttiva CEE 156): “Qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato 1 alla direttiva 91/156 CEE e di cui il detentore si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi” • 1980 ( Regolamento di applicazione n.3 del gennaio 1982 della L. regione Lombardia) : “Quei materiali, non riassorbiti nel ciclo produttivo originario o in altre attività produttive svolte nello stesso insediamento” • 1996 (Recycling and Waste Management Act del 7 ott.): “Qualsiasi sostanza abbia origine da un’attività produttiva senza che tale generazione costituisse l’intento originale del processo” • 1997 (D.Lgs 22 feb. 1997 n. 22, Ronchi): “Qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportare nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi” Le diverse definizioni normative di rifiuto

  6. Gestione dei rifiuti Principi fondamentali del decreto lgs. n. 22 del 5 febbraio 1997 Decreto Ronchi Principi generali La gestione dei rifiuti rappresenta attività di pubblico interesse ed è disciplinata dal presente decreto al fine di assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e controlli efficaci, tenendo conto della specificità dei rifiuti pericolosi. I rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti, metodi che potrebbero recare pregiudizio per l’ambiente. La gestione dei rifiuti si conforma ai principi di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti, nel rispetto dei principi dell’ordinamento nazionale e Comunitario Prevenzione della produzione Le autorità competenti adottano ciascuna nell’ambito delle proprie attribuzioni iniziative dirette a favorire, in via prioritaria, la prevenzione e la riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti. Recupero Ai fini di una corretta gestione dei rifiuti le autorità competenti favoriscono la riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti. Il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero di materia prima debbono essere considerati preferibili rispetto alle altre forme di recupero ( recupero di energia). Al fine di favorire e incrementare le attività di riutilizzo, di riciclaggio e di recupero, le autorità competenti e i produttori promuovono analisi dei cicli dei prodotti, ecobilanci, informazioni e tutte le altre iniziative utili. Smaltimento Lo smaltimento finale dei rifiuti deve essere effettuato in condizioni di sicurezza e costituisce la fase residuale della gestione dei rifiuti. I rifiuti da avviare allo smaltimento finale devono essere il più possibile ridotti potenziando la prevenzione e le attività di riutilizzo, di riciclaggio e di recupero. Lo smaltimento dei rifiuti è attuato con il ricorso a una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento, che tenga conto delle migliori tecnologie a disposizione, che non comportino costi eccessivi.

  7. E’ RIFIUTO qualsiasi sostanza od oggetto presente in allegato Articolo 6, comma 1a ALLEGATO A Q1: Residui di produzione o di consumo in appresso non specificati Q2: Prodotti fuori norma Q3: Prodotti scaduti Q4: Sostanze accidentalmente riservate, perdute o aventi subito qualunque altro incidente, compresi tutti materiali, le attrezzature, ecc. contaminati in seguito all’incidente Q5: Sostanze contaminate o insudiciate in seguito ad attività volontarie (ad esempio residui di operazioni di pulizia, materiali da imballaggio, contenitori, ecc.) Q6: Elementi inutilizzabili ( ad esempio batterie fuori uso, catalizzatori esausti, ecc.) Q7: Sostanze divenute inadatte all’impiego (ad esempio acidi contaminati, solventi contaminati, sa di rinverdimento esauriti, ecc.) Q8: Residui di processi industriali ( ad esempio scorie, residui di distillazione, ecc.) Q9: Residui di processi antinquinamento (ad esempio fanghi di lavaggio di gas, polveri di filtri dell’aria, filtri usati, ecc.) Q10: Residui di lavorazione/sagomatura (ad esempio trucioli di tornitura o di fresatura, ecc.) Q11: Residui provenienti dall’estrazione e dalla preparazione delle materie prime (ad esempio residui provenienti dalle attività minerarie o petrolifere, ecc.) Q12: Sostanze contaminate (ad esempio olio contaminato da PCB, ecc.) Q13: Qualunque materia, sostanza o prodotto la cui utilizzazione è giuridicamente vietata. Q14: Prodotti di cui il detentore non si serve più (ad esempio articoli messi tra gli scarti dell’agricoltura, dalle famiglie, dagli uffici, ecc.) Q15: Materie, sostanze o prodotti contaminati provenienti da attività di riattamento di terreni. Q16: Qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate. di cui il detentore produttore di rifiuti o persona fisica che li detiene (art. 6, comma 1 c ) Si disfi Abbia deciso di disfarsi Abbia l’obbligo di disfarsi

  8. Emissioni in atmosfera DPR 203/88 Rifiuti radioattivi D.Lgs 230/95 Rifiuti risultanti dalla prospezione, estrazione, trattamento, ammasso di risorse minerarie o dallo sfruttamento delle cave; DPR 128/59 E RD 1443/27 Carogne (carcasse di animali) I seguenti rifiuti agricoli: materie fecali a ed altre sostanze non pericolose utilizzate nell’attività agricola ed in particolare i materiali litoidi o vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi rustici e le terre da coltivazione provenienti dalla pulizia dei prodotti vegetali eduli. L.748/84 Le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido D.Lgs 152/99 I materiali esplosivi in disuso RD 773/31 RD 635/40 Le sostanze escluse dal D.lgs. 22/97 e successive modifiche e integrazioni ESCLUSIONI DISCIPLINATI da:

  9. EMERGENZA RIFIUTI Il problema dello smaltimento dei rifiuti da un po’ di anni, in Italia e non solo, costituisce una emergenza. Qualche numero per capire l’importanza del problema: ogni anno si produce sulla Terra un miliardo di tonnellate di rifiuti urbani. Circa 26 milioni di tonnellate solo in Italia, con una crescita di circa il 3% ogni anno. All’inizio del secolo si produceva quotidianamente 200 g di rifiuti pro capite, oggi si sfiora il chilo con una grande incidenza di carta e plastica. Insomma, siamo invasi dai rifiuti. Tra le tante soluzioni proposte al problema c’è quella della riutilizzazione dei rifiuti attraverso il riciclaggio. Come ha detto il Ministro dell’Ambiente, Edo Ronchi, inaugurando la manifestazione di Rimini “Ricicla ‘99”: ”Riciclare non può essere un hobby degli ecologisti, ma deve diventare una parte essenziale di una forte strategia industriale perché chi non ricicla rischia di andare fuori mercato”. Premessa indispensabile per il riciclaggio è la raccolta differenziata. L’Italia sta migliorando ma è ancora piuttosto indietro: l’obbiettivo del 15% fissato dal Decreto Ronchi, è stato raggiunto solo dal 25% dei comuni italiani.

  10. Le tappe fondamentali Già nel lontano 18/9/1989 la Comunità Europea ha cominciato ad interessarsi del problema della riduzione alla fonte di consumo di risorse naturali e a promuovere il recupero dei rifiuti. Nella sua “Strategia Comunitaria per la gestione dei rifiuti” raccomandava ai Paesi membri di predisporre degli interventi secondo il seguente ordine di priorità: ·PREVENZIONE; ·RIVALORIZZAZIONE dei rifiuti attraverso il RECUPEROdei materiali o di energia; USO e RIUSO; ·SMALTIMENTO OTTIMALE, cioè nella maniera più possibile compatibile con l’ambiente. LAPREVENZIONEsi attua intervenendo: ·         Sul progetto dei prodotti: 1.        Per ridurre la quantità di materiali pericolosi; 2.        Per allungarne la vita ( facilitandone la riparazione o l’adeguamento ai processi tecnologici); 3.        Per facilitarne il riciclo o lo smaltimento; ·         Sui metodi di produzione (tecnologie pulite); ·         Sui comportamenti dell’utenza. IL RECUPEROdi materiali ed energia si attua intervenendo: ·         Sulla raccolta; ·         Sulle tecnologie; ·         Sul mercato del recuperato. Si può ridurre l’impatto ambientale dello SMALTIMENTO intervenendo: ·         Sulle caratteristiche dei rifiuti (in fase di progetto e produzione); ·         Sulla raccolta; ·         Sulle tecnologie.

  11. Dallaculla alla tomba La soluzione dei problemi di carattere ambientale legati ai rifiuti non è più quindi connessa solo allo smaltimento dei prodotti e quindi non riguarda più solo la fase finale di dismissione di un prodotto bensì deve tener conto dell’intera vita dei prodotti, dalla fase di progettazione a quella di produzione, di distribuzione, di uso e infine di smaltimento ottimale: la produzione di un prodotto va analizzata dalla culla alla tomba ! Attualmente si deve passare dal concetto di SMALTIMENTO a quello di GESTIONE SOSTENIBILE dei RIFIUTI. • GESTIONE SOSTENIBILE DEI RIFIUTI • Si occupa di: • Non causare inquinamento o danno alla salute umana nel presente; • Non compromettere le scelte di gestione dei rifiuti a disposizione delle generazioni future; • Non caricare le generazioni future di problemi di gestione dei rifiuti prodotti dalla generazione attuale. SMALTIMENTO Si preoccupa prevalentemente della salvaguardia della salute umana da a UNA GESTIONE SOSTENIBILE DEI RIFIUTI: ·        - Per essere possibile deve approssimare i sistemi naturali che sono ciclici; i sistemi di produzione industriale sono invece per lo più lineari, quindi devono essere modificati per somigliare ai naturali. ·       - Non deve essere un sistema a sé stante ma deve essere una parte di una GESTIONE SOSTENIBILE delle RISORSE.

  12. Gestione integrata dei rifiuti • E’ corretto parlare oggi di una GESTIONE INTEGRATA dei RIFIUTI ( Integrated Waste Management, IWM) che è un sistema che prende in considerazione tutte le opzioni tecnologiche a disposizione, cioè: • ·       il Riutilizzo; • ·il Recupero del materiale; • ·il Trattamento biologico ( compostaggio, biogassificazione); • ·il Trattamento termico (combustione, pirolisi, gassificazione); • ·la Discarica. • e che risponde con contemporaneamente ai requisiti di sostenibilità ambientale ed economica ( quindi, in altre parole, poco impatto ambientale a costi non rilevanti). Tutte queste modificazioni in Italia sono state recepite dal D.Lgs n.22 5 feb. 1997, noto come Decreto Ronchi.

  13. La prevenzione

  14. Life Cycle Assessment( analisi del ciclo di vita dei prodotti) Uno strumento fondamentale di prevenzione, e, quindi, di diffusione di una corretta gestione dei rifiuti, è l’analisi del ciclo di vita dei prodotti ( Life Cycle Assessment, LCA). Secondo la definizione stabilita nel 1991 dalla SETAC ( Society of Enviromental Toxicology and Chemistry) è “uno strumento atto a valutare: carichi ambientali associati ad un prodotto, processo o attività attraverso l’identificazione e la quantificazione dell’energia, dei materiali usati e dei residui rilasciati dall’ambiente, includendo l’intero ciclo di vita del prodotto, processo attività (estrazione e trattamento delle materie prime, fabbricazione, trasporto e distribuzione, uso, riuso, manutenzione, riciclo e smaltimento finale)”. Detto in altri termini, occorre considerare l’impatto ambientale del prodotto lungo tutto il suo processo di vita: è quindi sia strumento di progettazione ambientale consapevole di un prodotto, sia uno strumento di smaltimento razionale dei rifiuti, in quanto mira a valorizzare i materiali recuperabili in “materie seconde”.

  15. Emissioni atmosferiche Acquisizione materie prime Materie Emissioni idriche Manifatture Riciclo, Smaltimento Rifiuti solidi Acqua Uso/Riuso Co-prodotti Energia Manutenzione Altri rilasci o effetti Confini di sistema • Analisi del ciclo di vita • procedura di LCA – Life cycle Assessment

  16. Fase 1- acquisizione materie prime: Minimizzare la presenza di sostanze tossiche; ·   Incorporare materiali riciclati/riciclabili nel prodotto; ·         Ridurre la quantità di materiali utilizzati. Fase 2- manifattura: ·         Ridurre la quantità di rifiuto; ·         Ridurre l’uso di energia; ·         Ridurre l’uso di sostanze tossiche;. Fase 3- uso: ·         Aumentare l’efficienza energetica; ·         Ridurre le emissioni e i rifiuti; ·         Minimizzare il packanging; Fase 4 – riciclo / riuso: Incorporare materiale riciclato; ·         Facilitare il dissemblaggio;         Ridurre le tipologie di materiali; ·         Marchiare le parti ; ·         Semplificare le architetture del prodotto; Standardizzare le tipologie di materiale. Fase 5 - manutenzione: ·         Progettare componenti riutilizzabili; ·         Rendere le parti del prodotto accessibili per la sostituzione; Fase 6 - smaltimento: ·         Agevolare il dissemblaggio; ·         Agevolare il riclaggio. In particolare nelle varie fasi di una procedura di LCA, occorre:

  17. In definitiva l’adozione della LCA costringe le aziende ad intraprendere azioni, che hanno delle ripercussioni interne ed esterne all’impresa, che non sono consuete: USI INTERNI: ·       Definire le strategie ambiente; ·       Progettare in modo compatibile con l’ambiente e migliorare i prodotti o i processi; ·       Individuare azioni per ridurre la “pressione ambientale” da parte dell’azienda; ·       Fornire indicazioni al management per mettere a punto procedure. USI ESTERNI: ·       Migliorare la propria immagine sul mercato (anche attraverso l’etichettatura); ·       Valutare contestazioni da parte di altri produttori. D’altra parte, se le aziende si dimostrano sensibili a queste tematiche, anche le Istituzioni non possono non rispondere in maniera conforme : ·       Diffondendole informazioni; ·       Adattando una politica ambientale; ·       Formulando e sviluppando procedure specifiche.

  18. Altri strumenti validi di prevenzione, peraltro connessi al primo, sono gli orientamenti contenuti nei due regolamenti Comunitari approvati dall’UE : Regolamento Comunitario 880/92 ECOLABEL; Regolamento Comunitario 1836/93 ECOAUDIT. Recepiti in Italia con il d.m. 413/95 (poiché Ecolabel è stabilita da un Regolamento Comunitario non ha bisogno di atti di recepimento da parte delle legislazioni nazionali dei vari Paesi membri. L’unico atto richiesto è la nomina, da parte di ciascun Stato membro, di un Organismo Competente, O.C., che si renda responsabile del rilascio dell’Ecolabel sia sul territorio nazionale che nei confronti dell’UE).

  19. L’ecolabel • ECOLABEL è una etichetta ecologica per i beni di largo consumo. Con la sua adozione la Comunità europea si propone di: • ·         Promuovere/incentivare la presenza sul mercato di prodotti a ridotto impatto ambientale ; • ·         Regolamentare il numero crescente di etichette ecologiche presenti sul mercato internazionale. • Caratteristiche: • * Ha carattere volontario; • * Ha lo scopo di promuovere la produzione di prodotti a minore impatto ambientale e fornire maggiori • informazioni ai consumatori • ·  * La concessione dell’Ecolabel non è prevista per prodotti alimentari e farmaceutici; • ·  *   Può essere applicata su prodotti destinati al consumatore finale e non su prodotti intermedi; • · Ecolabel è rilasciata dall’Organismo Competente dello Stato in cui il bene è prodotto e commercializzato la prima volta; • ·   I criteri in base ai quali un prodotto può essere definito ecologico e quindi meritevole di una Ecolabel vengono stabiliti da una Commissione formata da rappresentati dell’industria, commercio, consumatori, ambientalisti, sindacati. • L’Organismo Competente italiano si è costituito nel 1995 con il D.P.R. 413/95 presso il Ministero dell’Ambiente ed è costituito da un Comitato composto da 12 membri (4 designati dal Ministero dell’Ambiente, 4 dal Ministero dell’Industria, 1 dal Ministero del Tesoro, 1 dal Ministro della Sanità, Presidente e Vicepresidente nominati di concerto dal Ministero dell’Ambiente e dell’Industria).

  20. Il regolamento EMAS Regolamento EMAS 1836/93: delinea un modo di produrre e gestire l’azienda finalizzata al miglioramento delle condizioni ambientali. Le aziende che chiedono di aderire al Reg. EMAS, di rispettarne le procedure, i principi e acquisire così il diritto di iscrivere il loro sito produttivo nell’apposito registro europeo, devono garantire l’attuazione di 5 compiti: 1.        Analisi ambientale iniziale; 2.        Programma ambientale (obiettivi, principi di azione – politica ambientale aziendale); 3.        Sistema di gestione ambientale – struttura organizzativa, responsabilità, prassi, procedure, risorse per attuare il programma ambientale; 4.        Attività di auditing (verifica che il sistema di gestione ambientale sia reso operativo in modo corretto); 5.        Dichiarazione ambientale (descrizione attività produttive, incidenze che esse hanno sull’ambiente, risultati ottenuti dall’impresa per un minore impatto ambientale, enunciazione degli obiettivi di miglioramento conseguibili con programmi futuri). U Un’impresa viene riconosciuta ambientalmente corretta nei suoi sistemi di produzione da un Organismo Nazionale Competente che dopo “l’Accreditamento e il controllo dei verificatori ambientali” istituisce il “Procedimento per la Registrazione del Sito”. L’EMAS è operativo i Europa dall’aprile 1995 e attualmente più di 1000 siti sono inseriti nel registro europeo. In Italia l’Organismo Nazionale Competente si è insediato solo nel febbraio 1997, ma, nonostante questo ritardo, molte imprese italiane sono interessate a registrare i loro siti, ciò non solo per motivazioni ambientali ma anche per ragioni di mercato e competitività industriale.

  21. Importanza dell’Ecolabel e del regolamento EMAS La richiesta da parte delle aziende di ottenere l’Ecolabel e di aderire al regolamento EMA spinge i produttori a valorizzare i prodotti dismessi e a controllare che i propri sistemi produttivi siano gestiti in modo compatibile con l’ambiente. In particolare l’obiettivo del “prodotto non rifiuto” (emissione zero) va ricercato attraverso la definizione, fin dalla fase progettuale, della sua smontabilità, riciclabilità e riduzione dell’impatto ambientale LCA. Infatti particolare attenzione è dedicata alla fase dello smaltimento, all’utilizzo del materiale riciclato, alla predisposizione del prodotto ad un facile recupero di materiali a fine vita. Un’impresa viene considerata a gestione ambientale corretta se promuove l’uso di materiali riciclati e se facilita il recupero dei prodotti durante lo smaltimento (campagna italiana rottamazione). Ad esempio: ·         Le cartarie possono essere considerate a gestione ambientale corretta se usano carta da macero per produrre carta per uso igienico o domestico; ·         Le industrie di elettrodomestici (lavatrici, lavastoviglie…) possono aderire all’EMAS se tra le altre cose, marchiano i componenti in plastica secondo la loro tipologia (ciò agevola la selezione dei materiali plastici quando l’elettrodomestico è dismesso ) (campagna rottamazione elettrodomestici) Per i prodotti per i quali si richiede l’Ecolabel, grande attenzione è dedicata all’imballaggio: la scatola deve essere proporzionata in maniera ottimale con il contenuto, e deve essere prodotta con materiale ad alto contenuto di materiale riciclato.

  22. Il recupero

  23. Flussi prioritari di rifiuti La Commissione CEE nel 1991 sempre nell’ambito della Strategia Comunitaria per la gestione dei rifiuti ha individuato alcune categorie di rifiuti di particolare interesse vuoi per la loro quantità ma anche per la loro pericolosità e difficoltà di gestione (strategia dei flussi prioritari di rifiuti). Ovviamente questa strategia coinvolge le imprese produttrici di beni soggetti a rifiuti di interesse. Queste imprese sono, quindi, quelle che più di altre dovrebbero essere interessate ad adottare procedure LCA e di conseguenza richiedere etichette Ecolabel e ad informarsi al regolamento EMAS. IIn Italia il Decreto Ronchi (D.Lgs n.22 5 feb. 1997 “attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CEE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggi”) recepisce queste direttive europee. Rifiuti di interesse prioritario sono: Ø  pneumatici usati di autoveicoli Ø  veicoli a fine di vita Ø  solventi clorurati Ø  rifiuti ospedalieri Ø  rifiuti da demolizioni e costruzioni Ø rifiuti da dispositivi elettrici ed elettronici.

  24. Emergenza rifiuti La situazione in Italia

  25. Il sistema di governo italiano del settore dei rifiuti si trova in una fase critica. Dopo aver accumulato ritardi molto consistenti nel recepire gli indirizzi e le direttive della Commissione europea, nel 1997 è stata emanata una legge molto complessa, il decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio ‘97, che ha l’ambizione di un riordino definitivo della materia. A più di tre anni di distanza tuttavia, siamo ancora lontani da una piena attuazione perché il decreto prevede una numerosa serie di decreti attuativi (ben 45) che sono stati predisposti solo in piccola parte. Il meccanismo di entrata in vigore del decreto stesso rende effettivamente incerta la sua effettiva attuazione a causa della mancata promulgazione del regolamento (v.art.57, comma 2) che deve individuare gli atti normativi incompatibili e ne sancisca l’abrogazione. Inoltre, nel campo delle definizioni, della classificazione, del monitoraggio, della pianificazione, dell’informazione sullo stato di attuazione, sulle condizioni di autorizzazione, l’Italia si trova tuttora in forte difformità rispetto ala normativa comunitaria e spesso la conformità esistente risulta aver soltanto natura enunciativa, senza una trasposizione reale nella prassi di governo.

  26. Diffusione della cultura della differenziazione dei rifiuti: riciclaggio di pile e batterie esauste

  27. Lavoro svolto da: Todisco Fabrizio classe 2^I

  28. Pila o batteria? I termini pila e batteria sono indifferentemente usati nel linguaggio comune per indicare generatori elettrochimici di energia. Vediamo, invece, quale é la grande differenza che sussiste tra le due.

  29. La pila La pila non è ricaricabile e, pertanto, puo' essere utilizzata una volta sola. Infatti, è costituita da un singolo circuito elettrochimico in cui la corrente elettrica prodotta si muove da un elettrodo all'altro, verso una sola direzione.

  30. Tipi di pile • pile a torcia: forniscono energia a piccoli apparecchi domestici (sveglie, telecomandi, giocattoli, apparecchi musicali, radio etc.); • pile a bottone: forniscono energia a orologi, macchine fotografiche, piccoli calcolatori tascabili; altre tipologie.

  31. La batteria La batteria, o accumulatore, è ricaricabile ed è costituita da una serie di accumulatori attraverso i quali la corrente elettrica prodotta si muove prima in una direzione, poi, con il processo di ricarica, in senso contrario. Attraverso numerosi cicli di lavoro, dunque, la batteria fornisce elettricita'. I processi di scarica e ricarica non sono infiniti e, alla fine, anche la batteria cessa di svolgere la sua funzione d'uso.

  32. Contenitore monoblocco (1) La piastra positiva (2)Si ottiene spalmando su un supporto reticolare (griglia) la materia attiva, detta anche pasta o massa. Questa è il derivato di un amalgama composto da ossido di piombo in polvere, acido solforico, acqua ed altri additivi inorganici: le rispettive quantita' sono dosate secondo una ricetta gelosamente custodita dai singoli produttori. La piastra negativa (3) Si ottiene con il medesimo procedimento sopra descritto, impiegando pero' additivi diversi. Ha uno spessore maggiore della piastra negativa, ed è quello che sopporta il maggior funzionamento della batteria. Separatore (4)Serve ad evitare che le piastre di segno opposto vengano a contatto, provocando il cosiddetto cortocircuito. Consentono pero' lo scambio ionico fra le stesse perchè costituiti da materiale microporoso, abbastanza resistente meccanicamente, e buon isolante anche se immerso nell'elettrolita. ElementoPoichè la quantità di energia immagazzinabile in un accumulatore dipende dalla superficie delle piastre per averne in misure diverse, a parità degli altri elementi (dimensioni tubetti, spessore tubo, calza, separatori), dovremo avere piastre di varie dimensioni in una vasta gamma. Lo spazio entro una batteria è tuttavia limitato, così che una possibilità del genere non è data. La soluzione al problema è stata ottenuta collegando in parallelo più piastre positive di ridotte dimensioni, intercalate da più piastre negative delle stesse dimensioni ugualmente disposte, e inserendo tra le une e le altre il separatore. Ogni elemento è formato da un numero dispari di piastre: le negative sono sempre più numerose di quelle positive di una unità. Ogni elemento ha una tensione caratteristica di 2 Volt pertanto per avere una batteria da 12 Volt occorreranno 6 elementi.

  33. Utilizzo L'accumulatore fornisce energia ad apparati elettrici di ogni tipo di autoveicolo, impianti di allarme, impianti industriali, ospedali, treni, aerei, navi e sommergibili, centrali telefoniche, etc. Ogni accumulatore è caratterizzato quindi da proprie condizioni ottimali di impiego ed è tecnologicamente specializzato in quanto a: caratteristiche costruttive; sistemi elettrochimici utilizzati; tensione elettrica espressa in Volt; corrente di scarica espressa in Ampere; capacita‘ elettrica espressa in Ampere/ora; materiali costitutivi impiegati. Esso consente di accumulare e conservare energia nel tempo per poi dispensarla, in modo controllato, dove e quando vogliamo, assumendo la forma di movimento meccanico, corrente elettrica, luce, calore.

  34. La batteria, dopo una serie di cicli di scarica e ricarica, non è piu' in grado di accumulare e conservare l'energia e si esaurisce. Da questo momento essa diventa un rifiuto ambientale. La direttiva 91/157/CEE recepita dal DMA 476 del 20.11.1997 definisce gli accumulatori a batteria come "accumulatori costituiti da piu' elementi".

  35. Perché riciclare le batterie? Riciclare la batteria usata permette di recuperare il piombo che, se trattato correttamente, servira' per produrre tubazioni, proiettili, saldature, altre batterie. Inoltre in questo modo le sostanze inquinanti come l'acido solforico non vengono disperse nell'ambiente.

  36. In Italia per raccogliere, riciclare e riusare le batterie esauste è nato il COBAT, Consorzio Obbligatorio Batterie al piombo esauste e rifiuti piombosi. Il COBAT ha tra i suoi fini quello di far conoscere i pericoli relativi alla dispersione delle batterie al piombo esauste in modo da sensibilizzare l'opinione pubblica e poter agire efficacemente per migliorare la situazione ambientale

  37. Lavoro svolto da: Calabritto Paola – Costantino Veronica De Nicola Gerardina – De Rosa Stefania classe 2 P

  38. Le materie plastiche

  39. Le materie plastiche: cosa sono? Sono materiali polimerici costituiti in genere da macromolecole organiche, caratterizzati dalla possibilità di essere modellati in qualsiasi forma quando si trovano allo stato plastico; vengono lavorati mediante procedimenti vari, generalmente a caldo. Le unità di base delle materie plastiche, cioè i polimeri, possono essere naturali (come la cellulosa, la cera e la gomma naturale), artificiali, cioè costituiti da polimeri naturali modificati (come l’acetato di cellulosa e il cloridrato di caucciù) o sintetici, cioè prodotti mediante reazioni chimiche di sintesi o di addizione (come il nylon, politene ecc.). I materiali iniziali sono resine sotto forma di granulati, polveri o soluzioni, dai quali si formano le materie plastiche finite. Le materie plastiche sono caratterizzate da un alto rapporto resistenza-densità, un’eccellente proprietà di isolamento termico, elettrico e acustico, e una buona resistenza ad acidi, alcali e solventi. Le macromolecole dalle quali sono costituite possono essere lineari, ramificate o reticolate; nei primi due casi esse sono termoplastiche, cioè rammolliscono quando vengono riscaldate mentre nell’ultimo caso sono termoindurenti, cioè induriscono in seguito ai innalzamenti della temperatura.

  40. Cenni storici Lo sviluppo delle materie plastiche iniziò intorno al 1860, quando la fabbrica statunitense Phelan e Collander, produttrice di biliardi e palle da biliardo, offrì un premio di 10.000 dollari a chi avesse proposto un sostituto soddisfacente dell'avorio. L'inventore statunitense John Wesley Hyatt sviluppò un metodo per la lavorazione a pressione della pirossilina, una nitrocellulosa a bassa nitrazione plastificata con canfora e con una ridotta quantità di solvente alcolico. Hyatt non riuscì a vincere il premio, ma il suo prodotto, brevettato come celluloide, trovò un'ampia diffusione e venne usato nella fabbricazione di svariati tipi di oggetti, dalle dentiere ai colletti. Nonostante fosse facilmente infiammabile e soggetta a deterioramento se esposta alla luce, la celluloide raggiunse un notevole successo commerciale. Nei decenni successivi vennero introdotte altre materie plastiche, tra le quali le prime sostanze totalmente sintetiche, composte dalla famiglia delle resine fenoliche ottenute dal chimico belga-statunitense Leo Hendrik Baekeland intorno al 1906 e commercializzate con il nome di bachelite. Durante lo stesso periodo, vennero introdotti i polimeri sintetici come il rayon, prodotto dai derivati della cellulosa.

  41. La chimica delle materie plastiche  Nel 1920 si verificò un avvenimento che determinò il futuro sviluppo delle materie plastiche. Il chimico tedesco Hermann Staudinger ipotizzò che esse fossero polimeri costituiti da macromolecole: i conseguenti sforzi per provare questa affermazione diedero un notevole impulso alla ricerca scientifica che giunse a risultati importanti. Negli anni Venti e Trenta furono introdotti molti nuovi materiali, tra cui il cloruro di polivinile (PVC), usato per produrre tubi, pannelli di rivestimento e guaine isolanti per cavi elettrici, e le resine ureiche, usate per produrre vasellame e per applicazioni elettriche. Una della materie plastiche più conosciute tra quelle che vennero sviluppate in questo periodo è il metilmetacrilato polimerizzato, brevettato in Gran Bretagna come perspex e noto anche come plexiglas o lucite. Questo materiale ha eccellenti proprietà ottiche ed è adatto per produrre lenti da occhiali, obiettivi fotografici e materiale per l'illuminazionestradale e pubblicitaria.

  42. Le resine polistireniche, derivate dal polistirene, o polistirolo, prodotto commercialmente per la prima volta intorno al 1937, sono caratterizzate da alta resistenza all'alterazione chimica e meccanica a basse temperature e dall'assorbimento contenuto di acqua. Queste proprietà le rendono particolarmente adatte soprattutto per la produzione di materiale per l'isolamento dalle frequenze radio e per accessori di apparecchi, macchine e strumenti usati in condizioni di basse temperature, come gli impianti di refrigerazione e gli aeroplani progettati per voli ad alta quota. Il politetrafluoretene (PTFE), apparso nel 1938, fu brevettato come teflon nel 1950 e quindi commercializzato con questo nome. Molto importante, durante gli anni Trenta, fu inoltre la sintesi del nylon, la prima materia plastica usata nell'ingegneria.

  43. La seconda guerra mondiale Durante la seconda guerra mondiale le nazioni belligeranti dovettero fronteggiare la scarsità di materie prime. L'industria della materie plastiche trasse da questa circostanza un impulso considerevole, divenendo una ricca fonte di sostituti: la Germania, ad esempio, iniziò un importante programma che portò allo sviluppo di una gomma sintetica, mentre negli Stati Uniti il nylon divenne la principale fonte di fibre tessili, i poliesteri furono usati nella fabbricazione di blindati e di altro materiale bellico, e vennero prodotti vari tipi di gomma sintetica.

  44. Il boom del dopoguerra Lo slancio scientifico e tecnologico nell'industria delle materie plastiche continuò nel dopoguerra. Di particolare interesse furono i progressi dei materiali da costruzione come i policarbonati, gli acetali e i poliammidi; altri materiali sintetici vennero usati al posto di quelli metallici in macchinari, caschi protettivi, dispositivi utilizzabili in condizioni di alte temperature ecc. Nel 1953 il chimico tedesco Karl Ziegler introdusse il polietene, originariamente noto come polietilene, e l'anno successivo il chimico italiano Giulio Natta sviluppò il polipropene, o polipropilene, isotattico, brevettato e commercializzato come Moplen; nel 1963 Ziegler e Natta ottennero il premio Nobel per la chimica per i loro studi sui polimeri.

  45. Tipi di materie plastiche • Le materie plastiche possono essere classificate secondo : • il processo di polimerizzazione, • la lavorabilità • la natura chimica.

  46. La polimerizzazione I due processi base di polimerizzazione sono le reazioni di condensazione e le reazioni di addizione. Le prime producono piccole molecole di sottoprodotti come l'acqua, l'ammoniaca e il glicole, mentre le seconde non generano sottoprodotti. Polimeri tipici ottenuti per condensazione sono nylon, poliuretani e poliesteri; per addizione, invece, si producono polietene, polipropene e polistirene. Il peso molecolare medio per i polimeri da addizione è generalmente maggiore di quello dei polimeri da condensazione.

  47. La lavorabilità La lavorabilità è diversa per materie termoplastiche e termoindurenti. Le termoplastiche (e le termoindurenti leggermente reticolate) sono fusibili: rammolliscono quando vengono riscaldate e induriscono per raffreddamento; la maggior parte delle materie termoindurenti, invece, indurisce in modo irreversibile quando viene riscaldata.

  48. La natura chimica La natura chimica di un materiale plastico viene definita in base al monomero, cioè all'unità di ripetizione, che costruisce la catena del polimero: ad esempio, le poliolefine sono costituite da monomeri di olefine, che sono idrocarburi a catena aperta con almeno un doppio legame. Il polietene è una poliolefina che ha come unità monomerica l'etene. Altre categorie sono gli acrilici (come il polimetilmetacrilato), gli stireni (come il polistirene), gli alogenuri di vinile (come il cloruro di polivinile), i poliesteri, i poliuretani, i poliammidi (come il nylon), i polieteri e le resine gliacetaliche, fenoliche, cellulosiche e amminiche.

  49. Da dove si ricavano le materie plastiche Originariamente molte materie plastiche venivano prodotte con resine di origine vegetale, ad esempio la cellulosa (dal cotone), il furfurale (dalle glumette d'avena), gli oli (dai semi di alcune piante), i derivati dell'amido e il carbone; tra i materiali non vegetali usati è invece da citare la caseina (dal latte). Sebbene la produzione di nylon fosse basata in origine su carbone, acqua e aria, e il nylon 11 sia ancora basato sull'olio estratto dai semi di ricino, la maggior parte delle materie plastiche è attualmente derivata dai prodotti petrolchimici, facilmente utilizzabile e poco costosa. Tuttavia, poiché la riserva mondiale di petrolio è limitata, si stanno sperimentando nuove tecniche basate sull'uso di altre materie prime, come la gassificazione del carbone. Dalle materie prime (petrolio, metano, carbone…) si ottengono i prodotti chimici di base ( benzolo, fenoli, etilene, propilene…) . Per mezzo di complessi processi chimici le molecole semplici si trasformano in polimeri (resine sintetiche).

  50. Gli additivi Gli additivi chimici vengono spesso usati nelle materie plastiche per conferire a queste alcune particolari caratteristiche: ad esempio, gli antiossidanti proteggono il polimero dalla degradazione chimica causata dall'ossigeno o dall'ozono; allo stesso modo gli stabilizzatori ultravioletti lo proteggono dall'azione degli agenti atmosferici. I plastificanti rendono il polimero più flessibile; i lubrificanti riducono i problemi dovuti all'attrito e i pigmenti conferiscono il colore. Gli antifiamma e gli antistatici sono tra gli altri additivi più usati. Molte delle materie plastiche sono impiegate nella produzione dei cosiddetti materiali compositi nei quali il materiale rinforzante, di solito fibre di vetro o di carbonio, viene aggiunto a una base di materia plastica. I materiali compositi possiedono resistenza e stabilità paragonabili a quelle dei metalli, ma hanno generalmente un peso inferiore. I polimeri con gli additivi vengono trasformati in polveri o granuli, adatti ad essere lavorati in modo diverso a seconda del prodotto che si vuole ottenere.

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