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Lavoro, Relazioni, Comunicazione

Lavoro, Relazioni, Comunicazione. Come sviluppare le competenze relazionali e collaborative Materiali di Cultura d’Impresa e del Lavoro-2012. L’uomo. L’uomo è ragionevole , autocosciente , libero … ma in che misura?

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Lavoro, Relazioni, Comunicazione

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Presentation Transcript


  1. Lavoro, Relazioni, Comunicazione Come sviluppare le competenze relazionali e collaborative Materiali di Cultura d’Impresa e del Lavoro-2012

  2. L’uomo • L’uomo è ragionevole, autocosciente, libero… ma in che misura? • L’uomo è capace di azioni quotidiane e di progetti di medio-lungoperiodo… • L’uomo è capace di azioni grandiose e di mediocrità, e perfino di crimini… • L’uomo ha passioni e innamoramenti, ma anche disamoramenti e stanchezze… • L’uomo… è, ha…

  3. L’uomo in relazione • L’uomo fa fatica a stare solo, ha bisogno degli altri, è nella relazione, • La relazione mette l’uomo davanti al suo simile, con cui deve mettersi in gioco, • Il simile richiama il limite dell’uomo stesso, che si rende conto guardandosi nello specchio dell’Altro, • L’Uomo è sempre anche l’Altro, • La relazione è ciò-che-collega un uomo a un altro uomo.

  4. La Relazione • La relazione prevede una distanziazione e un avvicinamento, è un gioco tra due poli e tra le parti: è un gioco delle parti, • La relazione è sempre in gioco nella vita umana, si può interrompere, ma non per sempre, se uno va a vivere in Antartide o sulle sponde del lago Bajkal, ma nel nostro quotidiano, essa persiste imperterrita, anche quando non vorremmo: quante volte non vorremmo che la relazione non ci condizionasse ogni giorno, ogni momento, in ogni luogo… o quasi? • …e anche qui dove lavoriamo?

  5. Il Dialogo • Dialogo significa “parola che congiunge due persone attraversando uno spazio fisico e mentale”, avviene mediante lo scambio vocale o scritto, a vista o meno, ma per essere tale, cioè “dia-logo” prevede un riconoscimento tra i due dialoganti e un proporzionato “investimento emotivo”, • Il dialogo richiede di accettare la fatica dell’ascolto e la possibilità del fraintendimento, dell’equivoco, del malinteso, del silenzio offeso e ammutolito, e perciò ha bisogno di una specie di “manutenzione”, • Il dialogo è “vita spirituale” e condizione per ogni comunicazione vera ed efficace tra esseri umani.

  6. La Comunicazione • È un mettere-in-comune (communisactio): ma che cosa? • Informazioni, • Nozioni e saperi, • Aggiornamenti, • Stati di avanzamento, etc., e richiede un uso corretto dei “mezzi di comunicazione”, che sono sia quelli tradizionali, cartacei, sia quelli telematici sempre più efficienti, ma che non possono mai sostituire… il dialogo e la relazione.

  7. Un Circolo virtuoso • Se riusciamo a considerare Relazione-Dialogo-Comunicazione come un “circolo virtuoso”, creiamo le condizioni per vivere, operare, lavorare bene, • Un circolo virtuoso è un meccanismo di rinforzo, del quale tutti partecipano, • È virtuoso proprio perché la sua circolarità aumenta progressivamente l’efficacia dell’azione, • La circolarità aumenta anche le possibilità di comprensione reciproca, arricchendo -a ogni passaggio- le conoscenze e le opinioni dei singoli.

  8. L’Io e il Tu • Di solito prevale l’Io, perché il Tu è l’Altro-da-te, ed è anche naturale che sia così, ma se questo prevalere permane come unica condizione della relazione, ogni “io” cercherà di marcare il proprio territorio, dimenticando che altrettanto può fare o sta facendo il “tu”, e allora come muoversi? • Non tanto delimitando il territorio come può fare un leone maschio, ma negoziare gli ambiti di azione complementare, concordandone alcuni insieme, in una collaborazione reciproca e utilmente in grado di far fruire a ciascuno dei due delle competenze specifiche dell’altro: il contrario di ciò che spesso si fa in un malinteso senso della competizione.

  9. Il Riconoscimento dell’Altro • Vi è un riconoscimento del soggetto altrui di tipo fattuale-giuridico-politico, cui giocoforza tutti ci assoggettiamo (nessuno può scegliersi i compagni di scuola, di lavoro, di stanza d’ospedale…), e vi può essere un riconoscimento di carattere antropologico-morale: in questo caso il riconoscimento ammette senza esitazioni l’uguaglianza ontologica e valoriale dell’altro-con-me: l’altro vale quanto me, l’altro può avere ragione e ragioni quanto e più di me, e, in altra situazione, viceversa, • Questo è il vero riconoscimento, atto a creare le basi per una collaborazione senza pre-comprensioni e pre-giudizi.

  10. La Persuasione • Ci capita di incontrare molte persone: alcune sono molto convincenti, altre di meno, alcune per nulla. • La persuasione non è una procedura manipolatoria, ma un ragionamento proposto e condiviso nel suo procedere: il grande filosofo goriziano Carlo Michaelstaedter distingueva rigorosamente la persuasione dall’arteretoricadel bel dire, che contraddistingue -e perciò può essere ingannevole- sia le personefededegne, sia gli imbonitori e i bluffatori di ogni risma, genere e specie. • La persuasione si mostra come capacità di coinvolgimento morale ed operativo nella realizzabilità, o almeno nella plausibilità, della proposta.

  11. Etica e Morale? • Etica e Morale linguisticamente sono sinonimi, derivando il primo termine dal greco antico e il secondo dal latino, e dunque diciamo etica e morale, nelle accezioni che hanno assunto nel tempo. • Il sapere etico è molto serio e importante, e significa la conoscenza e la capacità di giudicare la bontà o la malizia della azioni umane libere. • L’etica è dunque la scienza del giudizio sull’agire libero dell’uomo: sappiamo però che la libertà umana è condizionata e relativa.

  12. Il “Gruppo semplice” • Ogni agire umano-in-relazionecostituisce un “gruppo semplice”, che può essere formato da minimo due persone, come alcuni uffici, oppure tre o quattro/cinque, nel quale le dinamiche si dipanano reciprocamente intrecciate. • In ogni “gruppo umano semplice”, come in ogni relazione intersoggettiva, nulla è semplice, ma tutto è complesso. • L’apparente contraddizione si spiega con il fatto che ogni essere umano è in sé complesso (cum-plexum), e nella relazione con l’altro/gli altri moltiplica geometricamente questa complessità. • La complessità richiede non tanto spiegazione, quanto interpretazione e com-prensione (non nel senso moralistico del termine, ma nel senso cognitivo).

  13. Il “Gruppo complesso” • Se nel “gruppo semplice” tutto è complesso, nel “gruppo complesso” tale caratteristica è ulteriormente enfatizzata, in ogni caso: infatti, gli intrecci intersoggettivi sono più numerosi, probabili, e forieri di problematiche. • Lo sforzo di interpretazione e comprensione è dunque più elevato e continuo, mentre nel contempo si svolgono le esperienze soggettive nelle vite individuali, nella congerie di eventi, buoni e cattivi, gioiosi e dolorosi, che muovono energie e disponibilità, talora alimentandole e a volte esaurendole. • Il “gruppo complesso” è l’insieme degli uffici e dei reparti di un posto di lavoro (azienda, ente, scuola, ospedale, etc.).

  14. La Gerarchia e la Leadership • In ogni organizzazione umana vi è una Gerarchia e una Leadership, che possono essere di tipo naturale o carismatico, oppure di status o ruolo. • Nei luoghi di lavoro si può essere in presenza di qualsiasi tipo di gerarchia e leadership, ma quella che non manca è quella di “ruolo”: non sempre, però, il “ruolo” è ricoperto da chi esercita nella propria posizione gerarchica una leadership riconosciuta ed efficace. • Su queste carenze bisogna approfondire la consapevolezza ed agire per una crescita.

  15. La Dimensione Top-Down • Vi è dunque una dimensione top-down, rappresentata dalle posizioni gerarchiche presenti negli organigrammi e un flusso conseguente di azioni, di ordini di servizio, di verifiche, etc.: è importante, anzi fondamentale, che queste relazioni tra la dimensione top e la dimensione down sia siano sempre “a due vie”, evitando l’isolamento del down e la mancanza di feedback: il feedback è il principale degli strumenti atti a sviluppare la collaborazione e i processi di delega. • Nella nostra esperienza questo accade? E se non accade, perché?

  16. La Dimensione Bottom-Up • Se vi deve essere una circolarità sistemica nelle relazioni tra le dimensioni top e down, in ogni struttura organizzata è bene sistematizzare verifiche reciproche, che comprendano anche valutazioni periodiche del lavoro fatto e del lavoro da sviluppare nei progetti futuri. • Tale circolarità permette di creare l’ambiente adatto alla formazione di backup di profili e figure provviste di potenziale. • Una struttura organizzata manifesta la propria accortezza solo se riesce a pensare e ad agire con un occhio alla prospettiva degli sviluppi e dei cambiamenti futuri, cogliendo i segnali deboli del cambiamento stesso e considerandolo non come un fastidio, ma come un’opportunità.

  17. Responsabili! • Non sempre quando si sente declinare il tema della responsabilità ci si accorge che chi parla e chi ascolta ha presente il significato vero e profondo del termine… quante volte sentiamo gente che dice: “mi assumo la responsabilità di… e di…”, verrebbe da chiedergli: “ma allora tu rispondi di quel danno lì, che ammonta a…”, “bè no, perché non ho agito solo io, ma anche altri…” e via scusandosi. • La responsabilità è una cosa seria, significa “rispondere di qualcosa”, in liquido e in solido, ma soprattutto sotto il profilo morale.

  18. Il Mestiere del Lavoro • Ogni lavoro prevede che il lavoratore abbia, per così dire, un “mestiere”, che significa le giuste competenze per il ruolo assegnato, e sapendo che le competenze sono date dal mix virtuoso tra conoscenze ed esperienze. • Ma, e ciò a volte non lo pensiamo, il lavoro stesso è un mestiere, nel senso che è un’attività esistenziale, volta quindi non solo alla creazione del reddito personale e familiare, ma anche alla propria realizzazione come persona. • Potremmo dire che il lavoro fa parte integralmente del mestiere di vivere che ognuno impara con fatica e a proprie spese nel tempo e nel contesto suo proprio.

  19. Il Mestiere del Capo • Dentro questo mestiere del lavoro vi è il “mestiere del capo”, che si può imparare, anche se taluni ritengono che “si nasca capi”, e non si possa diventarlo. • Tale tesi è sbagliata dal punto di vista di una sana e completa antropologia: infatti noi diventiamo ciò che possiamo diventare in base ad almeno tre fattori fondamentali: a) la nostra genetica (base biologica), b) l’ambiente in cui nasciamo e cresciamo (educazione), c) la formazione che riceviamo (scuola e università): si può vedere dunque che il mestiere del capo può svilupparsi da almeno tre sorgenti fondative dell’essere umano. • Capi, dunque, si può diventare, anche perché in situazione si possono manifestare carismi nascosti, o per timidezza o per mancanza di opportunità espressive.

  20. Aspirazioni e Potenzialità • Se abbiamo detto che i “galloni di capo” possono essere cuciti su ogni spallina, bisogna che ogni ambiente lavorativo curi attentamente la conoscenza delle aspirazioni dei singoli e nel contempo delle potenzialità, mettendo a disposizione strumenti di analisi e valutazione del comportamento, dell’impegno, del senso di responsabilità, delle competenze… e infine della volontà di fare, di crescere, di collaborare, senza secondi fini e senza calcoli miseri. • Allora si metterà in moto il meccanismo del rinnovamento, della sana competizione e della collaborazione per un fine condiviso.

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