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Le pagine del tempo

Le pagine del tempo. UN GIORNO DOPO L'ALTRO Un giorno dopo l'altro Il tempo se ne va. Le strade sempre uguali, le stesse case. Un giorno dopo l'altro e tutto è come prima. Un passo dopo l'altro, la stessa vita.

primavera
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Le pagine del tempo

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Presentation Transcript


  1. Le pagine del tempo UN GIORNO DOPO L'ALTRO Un giorno dopo l'altro Il tempo se ne va. Le strade sempre uguali, le stesse case. Un giorno dopo l'altro e tutto è come prima. Un passo dopo l'altro, la stessa vita. E gli occhi intorno cercano quell'avvenire che avevano sognato, ma i sogni sono ancora sogni e l'avvenire è ormai quasi passato. Un giorno dopo l'altro, la vita se ne va. Domani sarà un giorno uguale a ieri. La nave ha già lasciato il porto e dalla riva sembra un punto lontano. Qualcuno anche questa sera torna deluso a casa piano piano. Un giorno dopo l'altro, la vita se ne va, e la speranza ormai è un'abitudine. LUIGI TENCO Mappe Help Bibliografia REALIZZATO da prof. Tiziana Vannucci, Corso abilitante di Latino, anno 2000/2001 Tenuto dalla prof. Manuela Sbrana docente di Letteratura Latina al Liceo Scientifico “A.Vallisneri” di Lucca

  2. Il tempo IL TEMPO Come per tutto ciò che è quotidiano, è difficilissimo dare una definizione esatta di TEMPO. Il tempo non si tocca, non ha una forma, non ha un colore, non ha un profumo, non ha un sapore. E allora cosa può essere il TEMPO? Il Tempo è la vita… o forse è la morte; il tempo è risorsa… o forse consuma; il tempo distrugge …oppure risana; il tempo non c’è…ma fa parlare di sé. Concezioni del tempo sono state elaborate nel corso dei secoli nell’ambito della scienza e della filosofia, ed inevitabilmente tali elaborazioni hanno influenzato anche la produzione letteraria di autori sia del passato che del presente.

  3. DEFINIZIONE Il tempo è l’intuizione e la rappresentazione della modalità secondo la quale i singoli eventi si susseguono e sono in rapporto l’uno con l’altro in base ad indicatori temporali ( prima, durante, dopo), vista come fattore che trascina ineluttabilmente l’evoluzione delle cose o come scansione ciclica e periodica dell’eternità, a seconda che vengano enfatizzate l’irreversibilità e caducità delle vicende umane, o l’eterna ricorrenza degli eventi astronomici; tale intuizione è condizionata da fattori ambientali(cicli biologici, succedersi del giorno e della notte, cicli stagionali ecc.) e psichici( i vari tratti della coscienza e della percezione, la memoria) ed è diversificata da cultura a cultura. Oggi nelle società ricche occidentali si tende ad un appiattimento del senso del tempo verso il presente e nello stesso tempo si rafforza l’angoscia determinata dalla fretta, in conseguenza alla mancanza di percezione delle fasi del passato, presente e futuro; inoltre il processo di globalizzazione tende a livellare anche le differenze fra zone e culture del mondo, eliminando tutto ciò che risulta difforme rispetto alla strutturazione voluta. I fattori ambientali sono diventati confusi ( si vive molto di più la notte ed i cicli stagionali sono sempre più scombinati dalle variazioni climatiche), così come si è alterata la percezione psichica (la coscienza tende ad annullarsi, la percezione è falsata dalle nuove tecnologie, la memoria è scomparsa nella simultaneità).

  4. Scienza SCIENZA Il tempo della scienza • Il Tempo è un concetto fisico che viene utilizzato per stabilire la contemporaneità o l’ordine di una serie di eventi; è una delle grandezze fondamentali e sotto questo aspetto è analogo alla lunghezza e alla massa. La misurazione del tempo è fondata oggi su tre metodi astronomici diversi: i primi due, basati sulla rotazione giornaliera della terra attorno al suo asse, fanno riferimento al moto apparente del Sole (tempo solare) o a quello delle stelle (tempo sidereo); il terzo metodo è invece basato sul moto orbitale della terra attorno al Sole (tempo delle effemeridi). • TEMPO SOLARE • Il moto apparente del sole nella sfera celeste è stato a lungo considerato un criterio sul quale fondare la misura del tempo. In ogni luogo e in qualunque giorno, l’ora del mezzogiorno è definita dalla culminazione del Sole al meridiano celeste locale, il cerchio massimo passante per lo zenit del luogo di osservazione e per i poli della sfera celeste. L’intervallo di tempo tra due successivi passaggi del Sole attraverso il medesimo meridiano celeste è il giorno solare, per tradizione suddiviso in 24 ore.

  5. Scienza2 • Poiché il moto di rotazione della terra non è uniforme, la durata del giorno solare varia durante l’anno e di conseguenza, per la determinazione dell’ora civile, si introdusse come riferimento il giorno solare medio, misurato sulla base di un Sole immaginario che viaggi con velocità costante durante tutto l’anno. • TEMPO SIDEREO • Iltempo sidereo è misurato assumendo come riferimento la posizione delle stelle fisse. L’anno sidereo, definito come l’intervallo di tempo che intercorre tra due successive congiunzioni del Sole con una stessa stella, è di 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 45,5 secondi. • TEMPO DELLE EFFEMERIDI • Il giorno solare e il giorno siderale medi non sono sufficientemente precisi a causa delle irregolarità del moto di rotazione della Terra intorno al suo asse: la velocità di rotazione varia di uno o due secondi l’anno e il periodo di rotazione diminuisce di circa un secondo al secolo. Nel 1940, per superare questo inconveniente fu introdotto il tempo delle effemeridi, basato sull’annuale moto di rivoluzione della Terra attorno al Sole: come il tempo sidereo, esso assume come punto di riferimento l’equinozio di primavera.

  6. Scienza3 • E’ usato soprattutto dagli astronomi quando è richiesto il più alto grado di precisione nel calcolo della posizione dei pianeti e delle stelle. • L’UNITA’ DI TEMPO NELL’USO SCIENTIFICO • Fino al 1955 l’unità di tempo in uso nella scienza, il secondo, era definito, con riferimento al moto di rotazione della terra, come 1/86.400 del giorno solare medio. L’evoluzione della scienza, tuttavia, richiese una definizione più precisa e rigorosa cosicché nel 1967 il secondo fu ridefinito come la durata di 9.192.631.770 oscillazioni della radiazione emessa dall’atomo di cesio-133 nella transizione fra due livelli iperfini del suo stato fondamentale. • SISTEMI DI MISURAZIONE DEL TEMPO • Nel corso della storia il tempo è stato misurato in base al movimento della Terra rispetto al Sole ed alle stelle. Lo strumento più antico, in uso probabilmente in Egitto intorno al 3500 a.C., era una sorta di meridiana che sfruttava l’ombra proiettata da uno stilo o da un obelisco. La prima meridiana semisferica fu descritta nel III secolo a.C. dall’astronomo caldeo Berossus. Tra i metodi antichi per misurare il tempo in assenza di sole, vi sono l’uso cinese di bruciare una corda con nodi equidistanti e quello della candela con tacche incise. Di origini antiche sono pure le forme elementari di clessidra,

  7. Scienza4 in cui il tempo veniva misurato in base al flusso di sabbia o acqua attraverso un piccolo foro.Tale strumento ebbe un’evoluzione rapida intorno al 270 a.C., quando l’inventore greco Ctesibio di Alessandria mise a punto il primo orologio idromeccanico, introducendo un complesso sistema di ingranaggi. Talvolta al flusso dell’acqua si sostituì la caduta libera di un grave, anticipando così gli orologi meccanici. L’origine storica dell’orologio meccanico è difficile da definire: sicuramente nel XIII secolo furono congegnati meccanismi relativamente complessi, pesanti e ingombranti, dotati di suonerie elaborate e spesso collocati davanti alle torri campanarie (clock= orologio non portatile, ma in origine anche campana). Una serie di invenzioni nel XVII e nel XVIII secolo migliorò la precisione degli orologi e ne ridusse il peso e l’ingombro. L’isocronismo delle oscillazioni del pendolo, descritte da Galileo nel XVI secolo, permise al fisico danese Huygens di realizzare il primo orologio preciso che sfruttava questo meccanismo. Non molto dopo Hooke riuscì a utilizzare pendoli con piccole oscillazioni inventando lo scappamento, successivamente un sistema per compensare la variazione di lunghezza del pendolo, dovuta alle variazioni di temperatura, fu messo a punto da Harrison.

  8. Filosofia FILOSOFIA Il tempo della coscienza Nel pensiero filosofico e scientifico la nozione di tempo ha costituito un problema costante e basilare della riflessione fin dalle trattazioni mitologiche. Nel pensiero antico il tempo, inizialmente collegato al movimento del Sole e del Cielo in generale, viene considerato, specialmente dai pitagorici, sia come un continuo divenire, per lo più ciclico (il ritmo del cambiamento cosmico), sia come la misura della durata. Per Parmenide, invece non è che un’illusione e per Zenone, un assurdo, come il movimento stesso, essendo l’Essere, considerato la vera essenza delle cose, immutabile (es.la tartaruga e Achille).Per Eraclito “panta rei” e solo il saggio conosce il “logos” che regola il mondo. Il concetto di tempo come gerarchicamente inferiore all’eternità ritorna in Platone, per cui solo nel mondo materiale corruttibile hanno senso il passato e il futuro, mentre alla sostanza eterna compete un eterno presente immobile. Il pensiero aristotelico riconcilia queste concezioni, da un lato assumendo il movimento perfetto dei Cieli come riferimento per la misura del tempo, dall’altro ponendo il primo motore immobile fuori dal tempo e quindi eternamente presente. Con il pensierocristiano, specialmente in Sant’Agostino,abbandonata la concezione ciclica per la lineare, si ha una decisa interiorizzazione del tempo e una sua riduzione a “estensione dell’animo”,

  9. Filosofia2 successione di stati di coscienza in quanto ricordo del passato, attesa del futuro, ma anche attenzione al presente visto come passaggio, come tensione lineare e progressiva verso la perfezione e la liberazione, una volta dissolto il tempo nell’eternità spirituale. Con la rivoluzione scientifica del ‘600 ed in particolare con Galileo, il tempo viene analizzato come entità fisica e diviene parametro misurabile del movimento. Per Cartesio e Spinoza il tempo va distinto dalla durata: la durata è reale mentre il tempo è un modo di pensare la durata. In Pascal il tempo è infinito che schiaccia l’estrema finitezza e nullità dell’uomo, “ombra che non dura se non un istante senza ritorno”. Da Newton in poi, prende corpo la distinzione tra tempo assoluto (scenario metafisico,insieme allo spazio assoluto, di ogni evento naturale) e tempo relativo, riferito cioè a particolari sistemi di misurazione in determinati sistemi di riferimento Gli empiristi inglesi ne accentuano la soggettività, sottolineandone l’origine psicologica. Con Kant, lo spazio e il tempo assoluti diventano le forme a priori di ogni esperienza possibile e il carattere irreversibile della successione temporale degli eventi viene connesso alla relazione anch’essa irreversibile tra causa ed effetto. Il tempo è la forma con la quale noi ordiniamo i dati del senso interno (i fatti psichici) e indirettamente quelli fisici. La concezione soggettivistica infine prevale nell’idealismo e, in genere, in tutto il pensiero contemporaneo. Bergson critica la nozione del tempo come successione di istanti, in quanto non riconosce il valore qualitativo della durata.

  10. Filosofia3 La durata è da lui intesa psicologicamente, come il dato originario della coscienza e, insieme, come la realtà stessa, in quanto perpetuo fluire, continua creazione, in cui non si possono distinguere gli stati successivi se non a patto di immobilizzarli astraendo dalla realtà vivente e continua. Nell’esistenzialismo di Haidegger, il problema del tempo è affrontato analizzando le strutture essenziali dell’esistenza umana cioè i modi di essere dell’uomo. L’essere umano è gettato in un mondo che non ha costruito, dove incontra oggetti potenzialmente utili (naturali o prodotti della cultura), poiché questi oggetti giungono dal passato e sono usati nel presente per un vantaggio futuro, il tempo autentico è superamento del passato e apertura verso il futuro e proprio il futuro è ciò che dovrebbe dare senso al presente, se non ci fosse la morte, di fronte alla quale proviamo angoscia, ma è proprio l’angoscia che ci fa capire che la radice dell’esistenza è il nulla e ci fa guardare con distacco la morte stessa, liberandocene. La concezione soggettivistica e relativistica del tempo si afferma nel pensiero scientifico di Einstein, che intende il tempo come quarta dimensione dello spazio: egli nega l’esistenza di un tempo assoluto, cioè di una misura unica del tempo, che dovrebbe essere valevole per i diversi sistemi di riferimento in moto gli uni in rapporto agli altri; la nozione fisica di simultaneità può avere solo un senso relativo perché bisogna sempre indicare il sistema di coordinate spaziali a cui ci si riferisce.

  11. Orologio biologico OROLOGIO BIOLOGICO Il tempo della natura E’ un sistema fisiologico che permette agli organismi di vivere in armonia con i ritmi della natura, come il ciclo del giorno e della notte e delle stagioni. Nel mondo animale e vegetale vi sono orologi biologici per quasi ogni tipo di periodicità, ma le nostre conoscenze derivano soprattutto dallo studio dei ritmi giornalieri o circadiani. Questi stimolano i tipici modelli comportamentali che ruotano attorno alle varie fasi del giorno anche in assenza di stimoli esterni quali il sorgere del sole, dimostrando così come la periodicità di questi schemi dipenda essenzialmente da orologi interni. Nessun orologio è tuttavia perfetto: quando gli organismi sono privati degli stimoli che il mondo esterno normalmente offre, essi continuano a mantenere una periodicità, che, tuttavia, nel tempo si sfasa rispetto al ritmo delle 24 ore, presente nel mondo naturale. Questo è dimostrato dagli esperimenti in cui alcuni soggetti, tenuti isolati per lunghi periodi di tempo, continuano a mangiare e dormire secondo scadenze regolari, ma sempre più sfasate rispetto a quelle originarie. Questo sfasamento non avviene in condizioni normali, poiché gli stimoli esterni “ricaricano” gli orologi ogni giorno: la luce è uno degli stimoli più importanti, ci sono poi le variazioni della temperatura ed altri segnali sensoriali.

  12. Percezione ciclica Nelle società arcaiche il tempo veniva misurato dal ciclico alternarsi del giorno e della notte, delle fasi lunari, delle stagioni: in quelle società così legate alla natura individuare il tempo giusto era importante per procurarsi il cibo e quindi per sopravvivere. La rappresentazione grafica di questa concezione era data dal cerchio: il tempo non aveva una direzione, ma si ripeteva nell’eterno ciclo sempre uguale delle stagioni. La divisione del tempo in anni veniva determinata dai rituali che governavano il rinnovamento delle riserve alimentari e garantivano la continuitàdella vita. L’anno nuovo dunque cominciava in periodi diversi a seconda del tipo di coltivazioni ed aveva anche durata diversa. In questo tipo di concezione, ripresa in parte anche nella teoria della “storia ideale eterna” di Vico, tutto ciò che è passato muore, scompare: l’ inizio del nuovo anno è un ritorno al tempo mitico primordiale, è un riavviarsi del tempo dall’inizio, sempre uguale, all’infinito. Catullo Orazio Seneca Marco Aurelio Poliziano Leopardi Giudici

  13. Percezione lineare Per avere una concezione lineare del tempo bisogna arrivare all’elaborazione della prima religione monoteista (quella ebraica), la rivelazione di Dio infatti ha luogo nel tempo come durata storica: Mosé riceve le leggi in un certo luogo e in una certa data. Col Cristianesimo dunque il tempo diventa luogo di un evento irripetibile ed il suo scorrere è il tendere alla meta del Regno di Dio. In questa linea immaginaria si può individuare un prima e un poi, ma soprattutto questo tipo di concezione fornisce all’uomo la speranza: qualsiasi evento si verifichi nel presente si intravede la salvezza futura e lo scorrere della vita acquista un senso e una direzione. La morte diventa importante per l’uomo poiché apre la via alla vera vita che è quella spirituale. S. Agostino Dante

  14. Percezione psichica Virginia Woolf James Joyce Marcel Proust E’ una percezione interiore che seleziona gli avvenimenti e si verifica sia in relazione al presente, in conseguenza a stati d’animo particolari, sia in relazione al passato, in conseguenza al recupero effettuato mediante la memoria: in ogni caso sconvolge l’ordine cronologico degli avvenimenti, modificando anche il concetto di durata. Quando è in relazione al presente, modifica la percezione della durata: i momenti tristi ci sembrano più lunghi di quelli felici, i momenti in cui non facciamo niente che ci interessa ci sembrano terribilmente lunghi; non ripensiamo al passato, se stiamo vivendo un momento felice, e abbiamo paura del futuro; se invece viviamo un momento doloroso, recuperiamo la memoria dei momenti felici del passato, trascurando il presente e aspettando il futuro; se ci stiamo annoiando, vorremmo che il futuro arrivasse subito, nella speranza di qualche novità interessante. Quando è in relazione al passato, ci porta a recuperare con la memoria, in seguito a stimoli esterni o per associazione d’idee, in maniera apparentemente disordinata, elementi del passato che da molto tempo non ricordavamo più: il presente finisce con l’essere dilatato da quel passato che ricordiamo e dunque recuperiamo dal flusso continuo di avvenimenti, perché richiamato dalla memoria in modo spesso incosciente: la durata del presente e del passato finisce col perdere limiti precisi e tutto si mescola nella percezione stessa.

  15. Rappresentazione grafica RAPPRESENTAZIONE SPAZIALE CICLICA FUTURO PRESENTE LINEARE PASSATO FUTURO PASSATO PRESENTE FUTURO PRESENTE PASSATO FUTURO PRESENTE PASSATO RAPPRESENTAZIONE MENTALE PSICHICA 1 PASSATO PASSATO-PRESENTE FUTURO FUTURO PASSATO PASSATO-PRESENTE PASSATO PSICHICA 2 PRESENTE dolore noia fame freddo FUTURO felicità PSICHICA 3 PRESENTE PRESENTE

  16. INDICE DEGLI AUTORI CIRO di PERS SABA MITO SHAKERSPEARE GIUDICI PLAUTO FOSCOLO CATULLO BELLI ORAZIO LEOPARDI SENECA MARCO AURELIO V.WOOLF S.AGOSTINO J. JOYCE DANTE M. PROUST PETRARCA UNGARETTI POLIZIANO QUASIMODO

  17. MITO DI CRONOS Cronos era l’ultimo dei sei maschi Titani e dunque figlio di Urano e Gea: Urano aveva paura dei figli e, appena nati, li nascose nelle profondità della Terra e nel Tartaro. La loro madre Gea, adirata per questo atteggiamento poco paterno, persuase i Titani a ribellarsi al loro padre e a detronizzarlo: diede infatti a Cronos una falce con la quale egli mutilò il padre dei genitali. I Titani nominarono re Cronos. Cronos sposò Rhea, detta anche Cibele e da lei ebbe parecchi figli fra i quali Zeus; poiché un oracolo aveva predetto a Cronos che uno dei suoi figli lo avrebbe spodestato, non potendo ucciderli in quanto come dei erano immortali, a mano a mano che nascevano li mangiava. Poiché Cronos sarà più tardi assimilato con Chronos, termine che in greco significa “Tempo” questo mito, in origine nato per spiegare i cicli dell’anno agricolo e gli aspetti connessi con le funzioni regali, finirà per assumere un nuovo significato: servirà ad indicare il tempo che infatti divora tutte le cose che egli stesso ha creato. Tutto questo accade finché uno dei figli di Cronos, Zeus, sfuggito con l’aiuto della madre e delle ninfe al triste destino dei fratelli, divenuto grande, salì al cielo e costrinse il padre a bere un emetico che gli fece rigettare i figli che aveva precedentemente trangugiati; successivamente lo detronizzò e prese il suo posto di re degli dei.Sembra comunque che in origine Cronos fosse un dio dell’agricoltura ed è per questo che i Romani lo identificarono con Saturno, il dio italico delle seminagioni, il cui nome Cicerone dice, in “De natura deorum” (II,63), sia in relazione a “satio”: si sazia di anni.

  18. PLAUTO BEOTIA PARASITUS. Ut illum di perdant primus qui horas repperit Quique adeo primus statuit, hic solarium, Qui mihi comminuit misero articulatim diem! Nam me puero venter erat solarium, Multo omnium istorum optumum et verissumum. Ubi is te monebat, esses, nisi quom nihil erat; Nunc etiam quod est non estur, nisi Soli lubet. Itaque adeo iam oppletum oppidum est solariis: Maior pars populi aridi reptant fame. Ubi primum accensus clamarat meridiem. Misuratori:1) Tempo-Fame, Beotia 2)Tempo-amore, Anfitrione, Cistellaria, Mercator 3)Tempo-dolore, Anfitrione

  19. CATULLO C. v Vivamus, mea Lesbia, atque amemus, Rumoresque senum severiorum Omnes uniusaestimemus assis! Soles occidere et redire possunt: Nobis, cum semel occidit brevis lux, Nox est perpetua una dormienda. Da mi basia mille, deinde centum, Dein mile altera, dein secunda centum, Deinde usque altera mille, deinde centum. Dein, cum milia multa fecerimus, Conturbabimus illa, ne sciamus, Aut ne quis malus invidere possit, Cum tantum sciat esse basiorum. “…una lunga notte riposeremo” Dice nell’epigramma “A se stesso” AsclepiadeIV sec

  20. ORAZIO C. III. 30 EXEGIMONUMENTUM Exegi monumentum aere perennius Regalique situ pyramidum altius, Quod non imber edax, non Aquilo impotens Possit diruere aut innumerabilis Annorum series, et fuga temporum. Non omnis moriar, multaque pars mei Vitabit Libitinam: usque ego postera Crescam laude recens, dum Capitolium Scandet cum tacita virgine pontifex. Dicar, qua violens obstrepit Aufidus Et qua pauper aquae Danaus agrestium Regnavit populorum, ex humili potens Princeps Aeolium carmen ad Italos Deduxisse modos, sume superbiam Quaesitam meritis et mihi Delphica Lauro cinge volens, Melpomene, comam. …il giorno è solo un’attimo, Prendi, amor mio, le grandi, Le bellissime coppe variopinte:… Alceo “Beviamo” VII sec. C. I. 11 CARPE DIEM Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios temptaris numeros, ut melius, quidquid erit, pati, seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam, quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare Tyrrhenum: sapias, vina liques,et spatio brevi spem longam reseces, dum loquimur, fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.

  21. SENECA • DE BRAEVITATE VITAE • I. Maior pars mortalium, Pauline, de naturae malignitate conqueritur, quod exiguum aeuigignimur, quod haec tam uelociter, tam rapide dati nobis temporis spatia decurrant,adeo ut exceptis admodum paucis ceteros in ipso uitae apparatu uitadestituat. Nec huic publico, ut opinantur, malo turba tantum et imprudens uulgus ingemuit; clarorum quoque uirorum hic affectus querellas euocauit. Inde illa maximi medicorum exclamatio est: "uitam breuem esse, longam artem". Inde Aristotelis cum rerum natura exigentis minime conueniens sapienti uiro lis: "aetatis illam animalibus tantum indulsisse, ut quina aut dena saecula educerent, homini in tam multa ac magna genito tanto citeriorem terminum stare." Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus. Satis longa uita et in maximarum rerum consummationem large data est, si tota bene collocaretur; sed ubi per luxum ac neglegentiam diffluit, ubi nulli bonae rei impenditur, ultima demum necessitate cogente, quam ire non intelleximus transisse sentimus. Ita est:non accipimusbreuem uitam sed fecimus, nec inopes eius sed prodigi sumus. Sicut amplae et regiae opes, ubi ad malum dominum peruenerunt, momento dissipantur, at quamuis modicae, si bono custodi traditae sunt, usu crescunt: ita aetasnostra bene disponenti multum patet.

  22. SENECA II. Quid de rerum natura querimur? Illa se benigne gessit: uita, si uti scias, longa est. Alium insatiabilis tenet auaritia; alium in superuacuis laboribus operosa sedulitas; alius uino madet, alius inertia torpet; alium defatigat ex alienis iudiciis suspensa semper ambitio, alium mercandi praeceps cupiditas circa omnis terras, omnia maria spe lucri ducit; quosdam torquet cupido militiae numquam non aut alienis periculis intentos aut suis anxios; sunt quos ingratus superiorum cultus uoluntaria seruitute consumat; multos aut affectatio alienae formae aut suae querella detinuit; plerosque nihil certum sequentis uaga et inconstans et sibi displicens leuitas per noua consilia iactauit; quibusdam nihil quo cursum derigant placet, sed marcentis oscitantisque fata deprendunt, adeo ut quod apud maximum poetarum more oraculi dictum est uerum esse non dubitem: "Exigua pars est uitae qua uiuimus”. Ceterum quidem omne spatium non uita sed tempus est. XII. Quaeris fortasse quos occupatos uocem? Non est quod me solos putes dicere quos abasilica immissi demum canes eiciunt, quos aut in sua uides turba speciosius elidi aut in aliena contemptius, quos officia domibus suis euocant ut alienis foribus illidant, aut hasta praetoris infami lucro et quandoque suppuraturo exercet. Quorundam otium occupatumest: in uilla aut in lecto suo, in media solitudine, quamuis ab omnibus recesserint, sibi ipsi molesti sunt: quorum non otiosa uita dicenda est sed desidiosa occupatio. Illum tu otiosum uocas qui Corinthia, paucorum furore pretiosa, anxia subtilitate concinnat et

  23. SENECA maiorem dierum partem in aeruginosis lamellis consumit? Qui in ceromate (nam, pro facinus! ne Romanis quidem uitiis laboramus) spectator puerorum rixantium sedet? Qui iumentorum suorumgreges in aetatum et colorum paria diducit ? Qui athletas nouissimos pascit? Quid? Illos otiosos uocas quibus apud tonsorem multae horae transmittuntur, dum decerpitur si quid proxima nocte succreuit, dum de singulis capillis in consilium itur, dum aut disiecta coma restituitur aut deficiens hinc atque illinc in frontem compellitur? Quomodo irascuntur, si tonsor paulo neglegentior fuit, tamquam uirum tonderet! Quomodo excandescunt si quid ex iuba sua decisum est, si quid extra ordinem iacuit, nisi omnia in anulos suos recciderunt! Quis est istorum qui non malit rem publicam suam turbari quam comam? Qui non sollicitior sit de capitis sui decore quam de salute? Qui non comptior esse malit quam honestior? Hos tu otiosos uocas inter pectinem speculumque occupatos? Quid illi qui in componendis, audiendis, discendis canticis operati sunt, dum uocem, cuius rectum cursum natura et optimum et simplicissimum fecit, in flexus modulationis inertissimae torquent, quorum digiti aliquod intra se carmen metientes semper sonant, quorum, cum ad res serias, etiam saepe tristes adhibiti sunt, exauditur tacita modulatio? Non habent isti otium, sed iners negotium. Conuiuia mehercules horum non posuerim inter uacantia tempora, cum uideam quam solliciti argentum ordinent, quam diligenter exoletorum suorum tunicas succingant, quam suspensi sint, quomodo aper a coco exeat, qua celeritate signo dato glabri ad ministeria

  24. SENECA discurrant, quanta arte scindantur aues in frusta non enormia, quam curiose infelices pueruli ebriorum sputa detergeant: ex his elegantiae lautitiaeque fama captatur et usque eo in omnes uitae secessus mala sua illos sequuntur, ut nec bibant sine ambitione nec edant. Ne illos quidem inter otiosos numeraueris qui sella se et lectica huc et illuc ferunt et ad gestationum suarum, quasi deserere illas non liceat, horas occurrunt, quos quando lauari debeant, quando natare, quando cenare alius admonet: et usque eo nimio delicati animi languore soluuntur, ut per se scire non possint an esuriant. Audio quendam ex delicatis -si modo deliciae uocandae sunt uitam et consuetudinem humanam dediscere-, cum ex balneo inter manus elatus et in sella positus esset, dixisse interrogando: "Iam sedeo?" Hunc tu ignorantem an sedeat putas scire an uiuat, an uideat, an otiosus sit? Non facile dixerim utrum magis miserear, si hoc ignorauit an si ignorare se finxit. Multarum quidem rerum obliuionem sentiunt, sed multarum et imitantur; quaedam uitia illos quasi felicitatis argumenta delectant; nimis humilis et contempti hominis uidetur scire quid facias: i nunc et mimos multa mentiri ad exprobrandam luxuriamputa. Plura mehercules praetereunt quam fingunt et tanta incredibilium uitiorum copia ingenioso in hoc unum saeculo processit, ut iam mimorum arguere possimus neglegentiam. Esse aliquem qui usque eo deliciis interierit ut an sedeat alteri credat! Non est ergo hic otiosus, aliud illi nomen imponas;aeger est, immomortuus est; ille otiosus est cui otii sui et sensus est. Hic uero semiuiuus, cui ad intellegendos corporis sui habitus indice opus est, quomodo potest hic ullius temporis dominus esse?

  25. SENECA XIV. Soli omnium otiosi sunt qui sapientiae uacant, soli uiuunt; nec enim suam tantum aetatem bene tuentur: omne aeuum suo adiciunt; quicquid annorum ante illos actum est, illis adquisitum est. Nisi ingratissimi sumus, illi clarissimi sacrarum opinionum conditores nobis nati sunt, nobis uitam praeparauerunt. Ad res pulcherrimas ex tenebris ad lucem erutas alieno labore deducimur; nullo nobis saeculointerdictum est, in omnia admittimuret, si magnitudine animi egredi humanae imbecillitatis angustias libet, multum per quod spatiemur temporis est. Disputare cum Socrate licet, dubitare cum Carneade, cum Epicuro quiescere, hominis naturam cum Stoicis uincere, cum Cynicis excedere. Cum rerum natura in consortium omnis aeui patiatur incedere, quidni ab hoc exiguo et caduco temporis transitu in illa toto nos demus animo quae immensa, quae aeterna sunt, quae cum melioribus communia? Isti qui per officia discursant, qui se aliosque inquietant, cum bene insanierint, cum omnium limina cotidie perambulauerint nec ullas apertas fores praeterierint, cum per diuersissimas domos meritoriam salutationem circumtulerint, quotum quemque ex tam immensa et uariis cupiditatibus districta urbe poterunt uidere? Quam multi erunt quorum illos aut somnus aut luxuria aut inhumanitas summoueat! Quam multi qui illos, cum diu torserint, simulata festinatione transcurrant! Quam multi per refertum clientibus atrium prodire uitabunt et per obscuros aedium aditus profugient, quasi non inhumanius sit decipere quam excludere! Quam multi hesterna

  26. SENECA crapula semisomnes et graues illis miseris suum somnum rumpentibus ut alienum exspectent, uix alleuatis labris insusurratum miliens nomen oscitatione superbissima reddent! Hos in ueris officiis morari putamus, licet dicant, qui Zenonem, qui Pythagoran cotidie et Democritum ceterosque antistites bonarum artium, qui Aristotelen et Theophrastum uolent habere quam familiarissimos. Nemo horum non uacabit, nemo non uenientem ad se beatiorem, amantiorem sui dimittet, nemo quemquam uacuis a se manibus abire patietur; nocte conueniri, interdiu ab omnibus mortalibus possunt. • AD POLYBIUM DE CONSOLATIONE 10, 2-3 • “Sol nel passato è il bello” • Ingratus est qui iniuriam vocat finem voluptatis, stultus qui nullum fructum esse putat bonorum nisi praesentium,qui non et in praeteritis adquiescit et ea iudicat certiora, quae abierunt,quia de illis ne desinant non est timendum. Nimis angusta gaudia sua, qui eis tantummodo, quae habet ac videt, frui se putat et habuisse eadem pro nihilo ducit; cito enim nos omnis voluptas relinquit, quae fluit et transit et paene ante quam veniat aufertur. Itaque in praeteritum tempus animus mittendus est et quidquid nos umquam delectavit reducendum ac frequenti cogitatione pertractandum est: longior fideliorque est memoria voluptatum quam praesentia.

  27. SENECA • AD LUCILIUM EPISTULAE MORALES. • “Carpe diem” 1, 1-3 • Ita fac, mi Lucili: vindica te tibi, et tempus, quod adhuc aut auferebatur, aut subripiebatur aut excidebat, collige et serva. Persuade tibi hoc sic esse, ut scribo: quaedam tempora eripiuntur nobis, quaedam subducuntur, quaedam effluunt. Turpissima tamen est iactura, quae per negligentiam fit. Et si volueris adtendere, magna pars vitae elabitur male agentibus, maxima nihil agentibus, tota vita aliud agentibus. Quem mihi dabis, qui aliquod pretium tempori ponat, qui diem aestimet, qui intellegat se cotidie mori? In hoc enim fallimur, quod mortem prospicimus: magna pars eius iam praeteriit. Quidquid aetatis retro est, mors tenet. Fac ergo, mi Lucili, quod facere te scribis, omneshoras complectere; sic fiet ut minus ex crastino pendeas, sihodierno manuminieceris. Dum differtur, vita transcurrit. Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantumnostrum est; in huius rei unius fugacis ac lubricae possessionem natura nos misit, ex qua expellit quicumque vult. Et tanta stultitia mortalium est, ut quae minima et vilissima sunt,certe reparabilia, inputari sibi, cum impetravere, patiantur, nemo se iudicet quicquam debere, qui tempus accepit, cum interim hoc unum est, quod ne gratus quidem potest reddere.

  28. SENECA • AD LUCILIUM EPISTULAE MORALES. • “Come le foglie” 104, 11-12. • Gravissimum iudicabis malum, aliquem ex his, quos amabis, amittere, cum interim hoc tam ineptum erit quam flere, quod arboribus amoenis et domum tuam ornantibus decidant folia. Quidquid te delectat, aeque vide ut [ arbores ] virides:dum virent, utere. Alium alio die casus excutiet, sed quemadmodum frondium iactura facilis est, quia renascuntur, si istorum, quos amas quosque oblectamenta vitae putas esse, damnum, quia reparantur,etiam si non renascuntur.“ Sed non erunt idem”. Ne tu quidem edem eris. Omnia dies, omnis hors te mutat: sed in aliis rapina facilius apparet, hic latet, quia non ex aperto fit. Alii auferuntur, at ipsi nobis furto subducimur. Horum nihil cogitabis nec remedia vulneribus oppones, sed ipse tibi seres sollicitudinum causas alia sperando, alia desperando? Si sapis, alterum alteri misce: nec speraveris sine desperatione necdesperaveris sine spe.

  29. SENECA • AD LUCILIUM EPISTULAE MORALES. • “La ruota del tempo e il “taedium vitae” 24, 25-26. • Vir fortis ac sapiens non fugere debet e vita, sed exire; et ante omnia ille quoque vitetur adfectus, qui multos occupavit, libido moriendi. Est enim, mi Lucili, ut ad alia, sic etiam ad moriendum inconsulta animi inclinatio, quae saepe generosos atque acerrimae indolis viros corripit, saepe ignavos iacentesque: illi contemnunt vitam, hi gravantur. Quosdam subit eadem faciendi videndique satietas et vitae non odium sed fastidium, in quod prolabimur ipsa inpellente philosophia, dum dicimus: “Quousque eadem? Nempe expergiscar dormiam, [edam ] esuriam, algebo aestuabo. Nullius rei finis est, sed inorbem nexa sunt omnia, fugiunt ac sequantur; diem nox premit, dies noctem, aestas in autumnum desinit, autumno hiemps instat, quae vere conpescitur; omnia sic transeunt ut revertantur. Nihil novi facio, nihil novi video: fit aliquando et huius rei nausia”. Multi sunt, qui non acerbum iudicent vivere, sed supervacuum.

  30. SENECA E LA FILOSOFIA SCHEMA DEGLI INFLUSSI FILOSOFICI SULLA PRODUZIONE DI SENECA. STOICISMO:  E’ possibile diventare saggi con l’esercizio  Il saggio è l’unico essere libero e considera la difficoltà come esercizio di virtù.  E’ imperdonabile non avere consapevolezza di ciò che si fa. EPICUREISMO:  Invito a non temere la morte  Ricerca interiore come fonte di soluzioni ai problemi  Concezione del tempo e invito a godere del giorno come se fosse l’ultimo.  Elogio della vecchiaia. PLATONISMO:  Elogio della cono scienza pura.  La filosofia conduce l’uomo dalle tenebre alla luce e lo distingue dall’animale.  Filosofia come strumento per distaccarsi dalla quotidianità.  Idea di Principato filosoficamente orientato.

  31. MARCO AURELIO Considerazioni sul tempo simili a quelle di Seneca: il presente è una piccolissima frazione di eternità di cui l’uomo dispone per obbedire alla parte divina di sé ed uniformarsi all’ordine universale. Ricordi II, 14 Quand’anche tu vivessi tremila anni, e altrettante decine di migliaia d’anni, tieni comunque a mente che nessuno perde altra vita se non quella che sta vivendo, né vive altra vita se non quella che sta perdendo. Giungono quindi allo stesso punto sia la vita più lunga sia la più breve, giacché il presente è uguale per tutti, quindi anche ciò che di continuo perisce è uguale, e ciò che si perde non è che un istante. Nessuno infatti perderà mai né il passato né il futuro, perché ciò che non si ha, chi mai potrebbe togliercelo? Di queste due cose devi quindi ricordarti: la prima è che fin dall’eternità tutte le cose sono sempre uguali e ripercorrono sempre lo stesso ciclo, per cui è indifferente vederle per cento o duecento anni o per un tempo infinito; la seconda, che si perde lo stesso a morire sia vecchissimi sia giovanissimi, perché il presente è l’unica cosa di cui si possa essere privati dato che è l’unica che possediamo, e nessuno può perdere ciò che non possiede. trad. M. Ceva

  32. S.AGOSTINO CONFESSIONES,LIBRO XI CAPUT 14 …quid est ergo tempus? Si nemo ex me quaerat, scio; si quaerenti explicare velim, nescio: fidenter tamen dico scire me, quod, si nihil praeteriret, non esset praeteritum tempus, et si nihil adveniret, non esset futurum tempus, et si nihil esset, non esset praesens tempus. Duo ergo illa tempora, praeteritum et futurum, quomodo sunt, quando et praeteritum iam non est et futurum nondum est?praesens autem si semper esset praesens nec in praeteritum transiret, non iam esset tempus, sed aeternitas. Si ergo praesens, ut tempus sit, ideo fit, quia in praeteritum transit, quomodo et hoc esse dicimus, cui causa, ut sit, illa est, quia non erit, ut scilicet non vere dicamus tempus esse, nisi quia tendit non esse? CAPUT 15 18.Et tamen dicimus longum tempus et breve tempus, neque hoc nisi de praeterito aut futuro dicimus. Praeteritum tempus longum, verbi gratia, vocamus ante centum annos, futurum itidem longum post centum annos, breve autem praeteritum sic, ut puta, dicimus ante decem dies, et breve futurum post decem dies. Sed quo pacto longum est aut breve, quod non est? Praeteritum enim iam non est, et futurum nondum est. Non itaque dicamus: longum est, sed dicamus de praeterito:longum fuit,et de futuro: longum erit.

  33. S.AGOSTINO Domine meus, lux mea, nonne et hic veritas tua deridebit hominem? Quod enim longum fuit praeteritum tempus cum iam esset praeteritum, longum fuit, an cum adhuc praesens esset? Tunc enim poterat esse longum, quando erat, quod esset longum: praeteritum vero iam non erat; unde nec longum esse poterat, quod omnino non erat. Non ergo dicamus: longum fuit praeteritum tempus; neque enim inveniemus, quid fuerit longum, quando, ex quo praeteritum est, non est, sed dicamus: “longum fuit illud praesens tempus”, quia cum praesens esset, longum erat. Nondum enim praeterierat, ut non esset, et ideo erat, quod longum esse posset; postea vero quam praeteriit, simul et longum esse destitit, quod esse destitit. 19. Videamus ergo,o anima humana, utrum praesens tempus possit esse longum: datum enim tibi est sentire moras atque metiri. Quid respondebis mihi? An centum anni praesentes longum tempus est? Vide prius, utrum possint praesentes esse centum anni. Si enim primus eorum annus agitur, ipse praesens est, nonaginta vero et novem futuri sunt, et ideo nondum sunt: si autem secundus annus agitur, iam unus est praeteritus, alter praesens, ceteri futuri. Atque ita mediorum quemlibet centenarii huius numeri annum praesentem posuerimus: ante illum praeteriti erunt, post illum futuri. Quocirca centum anni praesentes esse non poterunt. Vide saltem, utrum qui agitur unus ipse sit praesens. Et eius enim si primus agitur mensis, futuri sunt ceteri, si secundus, iam et primus praeteriit et reliqui nondum sunt. Ergo nec annus, qui agitur, totus est praesens, et si non totus est praesens, non annus est praesens.

  34. S.AGOSTINO Duodecim enim menses annus est, quorum quilibet unus mensis, qui agitur, ipse praesens est, ceteri aut praeteriti aut futuri. Quamquam neque mensis, qui agitur, praesens est, sed unus dies: si primus, futuris ceteris, si novissimus, praeteritis ceteris, si mediorum quilibet, inter praeteritos et futuros. 20. Ecce praesens tempus, quod solum inveniebamus longum appellandum, vix ad unius diei spatiumcontractum est. sed discutiamus etiam ipsum, quia nec unus dies totus est praesens. Nocturnis enim et diurnis horis omnibus viginti quattuor expletur, quarum prima ceteras futuras habet, novissima praeteritas, aliqua vero interiectarum ante se praeteritas, post sefuturas. Et ipsa una hora fugitivis particulis agitur: quidquid eius avolavit, praeteritum est, quidquid ei restat, futurum. Si quid intellegitur temporis, quod in nullas iam vel minutissimas momentorum partes dividi possit, id solum est, quod praesens dicatur; quod tamen ita raptim a futuro in praeteritum transvolat, ut nulla morula extendatur. Nam si extenditur, dividitur in praeteritum et futurum: praesens autem nullum habet spatium. Ubi est ergo tempus, quod longum dicamus? An futurum? Non quidem dicimus: longum est, quia nondum est quod longum sit, sed dicimus: longum erit. Quando igitur erit? Si enim et tunc adhuc futurum erit, non erit longum, quia quid sit longum nondum erit: si autem tunc erit longum, cum ex futuro quod nondum est esse iam coeperit et praesens factum erit, ut possit esse quod longum sit, iam superioribus vocibus clamat praesens tempus longum se esse non posse.

  35. S.AGOSTINO CAPUT 1621.Et tamen, domine, sentimus intervalla temporum, et comparamus sibimet, et dicimus alia longiora et alia breviora. Metimur etiam, quanto sit longius aut brevius illud tempus quam illud, et respondemus duplum esse hoc vel triplum, illud autem simplum aut tantum hoc esse quantum illud. Sed praetereuntia metimur tempora, cum sentiendo metimur; praeterita vero, quae iam non sunt, aut futura, quae nondum sunt, quis metiri potest, nisi forte audebit quis dicere metiri posse quod non est? Cum ergo praeterit tempus, sentiri et metiri potest, cum autem praeterierit, quoniam non est, non potest… CAPUT 26 33...Ipsum ergo tempus unde metior? An tempore breviore metimur longius, sicut spatio cubiti spatium transtri? Sic enim videmur spatio brevis syllabae metiri spatium longae syllabae atque id duplum dicere. ita metimur spatia carminum spatiis versuum, et spatia versuum spatiis pedum, et spatia pedum spatiis syllabarum, et spatia longarum spatiis brevium: non in paginis -- nam eo modo loca metimur, non tempora -- sed cum voces pronuntiando transeunt, et dicimus: “Longum carmen est, nam tot versibus contexitur; longi versus, nam tot pedibus constant; longi pedes, nam tot syllabis tenduntur; longa syllaba est, nam dupla est ad brevem”. Sed neque ita comprehenditur certa mensura temporis, quandoquidem fieri potest, ut ampliore spatio temporis personetversus brevior,

  36. S.AGOSTINO si productius pronuntietur, quam longior, si correptius. ita carmen, ita pes, ita syllaba. Inde mihi visum est nihil esse aliud tempus quam distentionem: sed cuius rei, nescio, et mirum, si non ipsius animi. Quid enim metior, obsecro, deus meus, et dico aut indefinite:” Longius est hoc tempus quam illud” aut etiam definite: “Duplum est hoc ad illud”? Tempus metior, scio; sed non metior futurum, quia nondum est, non metior praesens, quia nullo spatio tenditur, non metior praeteritum, quia iam non est. Quid ergo metior? An praetereuntia tempora, non praeterita? Sic enim dixeram. CAPUT 27 34. Insiste, anime meus, et adtende fortiter: deus adiutor noster; ipse fecit nos, et non ipsi nos. Adtende, ubi albescet veritas. ecce puta vox corporis incipit sonare et sonat et ecce desinit, iamque silentium est, et vox illa praeterita est et non est iam vox. Futura erat, antequam sonaret, et non poterat metiri, quia nondum erat, et nunc non potest, quia iam non est.Tunc ergo poterat, cum sonabat, quia tunc erat, quae metiri posset. Sed et tunc non stabat; ibat enim et praeteriebat. An ideo magis poterat? Praeteriens enim tendebatur in aliquod spatium temporis, quo metiri posset, quoniam praesens nullum habet spatium. Si ergo tunc poterat, ecce puta altera coepit sonare et adhuc sonat continuato tenore sine ulla distinctione: metiamur eam, dum sonat; cum enim sonare cessaverit, iam praeterita erit et non erit, quae possit metiri. Metiamur plane et dicamus, quanta sit. Sed adhuc sonat, nec metiri potest nisi ab initio sui, quo sonare coepit, usque ad finem, quo desinit.

  37. S.AGOSTINO Ipsum quippe intervallum metimur ab aliquo initio usque ad aliquem finem. Quapropter vox, quae nondum finita est, metiri non potest, ut dicatur, quam longa vel brevis sit, nec dici aut aequalis alicui, aut ad aliquam simpla vel dupla, vel quid aliud. Cum autem finita fuerit, iam non erit. Quo pacto igitur metiri poterit? et metimur tamen tempora, nec ea, quae nondum sunt, nec ea, quae iam non sunt, nec ea, quae nulla mora extenduntur, nec ea, quae terminos non habent. Nec futura ergo nec praeterita nec praesentia nec praetereuntia tempora metimur, et metimur tamen tempora. 35. Deus creator omnium: versus iste octo syllabarum brevibus et longis alternat syllabis: quattuor itaque breves, prima, tertia, quinta, septima, simplae sunt ad quattuor longas, secundam, quartam, sextam, octavam. Hae singulae ad illas singulas duplum habent temporis; pronuntio et renuntio, et ita est, quantum sentitur sensu manifesto. Quantum sensusmanifestus est, brevi syllaba longam metior eamque sentio habere bis tantum. Sed cum altera post alteram sonat, si prior brevis, longa posterior, quomodo tenebo brevem, et quomodo eam longae metiens applicabo, ut inveniam,quod bis tantum habeat, quandoquidem longa sonare non incipit, nisi brevis sonare destiterit? Ipsamque longam num praesentem metior, quando nisi finitam non metior? Eius autem finitio praeteritio est. Quid ergo est, quod metior? Ubi est qua metior brevis? Ubi est longa, quam metior? Ambae sonuerunt, avolaverunt, praeterierunt, iam non sunt: et ego metior fidenterque respondeo, quantum

  38. S.AGOSTINO exercitato sensu fiditur, illam simplam esse, illam duplam, in spatio scilicet temporis. Neque hoc possum, nisi quia praeterierunt et finitae sunt. Non ergo ipsas, quae iam non sunt, sed aliquid in memoria mea metior, quod infixum manet. 36. In te, anime meus, tempora mea metior. Noli mihi obstrepere; quod est; noli mihi obstrepere turbis affectionum tuarum. In te, inquam, tempora metior. Affectionem, quam res praetereuntes in te faciunt, et cum illae praeterierint, manet, ipsam metior praesentem, non ea quae praeterierunt, ut fieret; ipsam metior, cum tempora metior. Ergo aut ipsa sunt tempora, aut non tempora metior. Quid cum metimur silentia et dicimus illud silentium tantum tenuisse temporis, quantum illa vox tenuit, nonne cogitationem tendimus ad mensuram vocis, quasi sonaret, ut aliquid de intervallis silentiorum in spatio temporis renuntiare possimus? Nam et voce atque ore cessante, peragimus cogitando carmina et versus, et quemque sermonem motionumque dimensiones quaslibet, et de spatiis temporum, quantum illud ad illud sit, renuntiamus non aliter, ac si ea sonando diceremus. Si voluerit aliquis edere longiusculam vocem, et constituerit praemeditando; quam longa futura sit, egit utique iste spatium temporis in silentio, memoriaeque commendans coepit edere illam vocem, quae sonat, donec ad propositum terminum perducatur: immo sonuit et sonabit; nam quod eius iam peractum est, utique sonuit, quod autem restat, sonabit, atque ita peragitur, dum praesens intentio futurum in praeteritum traicitdeminutione futuri crescente praeterito, donec consumptione futuri sit totum praeteritum.

  39. S. AGOSTINO CAPUT 28 37. Sed quomodo minuitur aut consumitur futurum, quod nondum est, aut quomodo crescit praeteritum, quod iam non est, nisi quia in animo, qui illud agit, tria sunt? Nam et expectat et adtendit et meminit, ut id quod expectat per id quod adtendit transeat in id quod meminerit. Quis igitur negat futura nondum esse? Sed tamen iam est in animo expectatio futurorum. Et quis negat praeterita iam non esse? Sed tamen est adhuc in animo memoria praeteritorum. Et quis negat praesens tempus carere spatio, quia in puncto praeterit? Sed tamen perdurat attentio, per quam pergat abesse quod aderit. Non igitur longum tempusfuturum, quod non est, sed longum futurum longa expectatio futuri est, neque longum praeteritum tempus, quod non est, sed longum praeteritum longa memoria praeteriti est.

  40. DANTE DIVINA COMMEDIA PURGATORIO, C 11, vv.103-108 …Che voce avrai tu più, se vecchia scindi Da te la carne, che se fossi morto Anzi che tu lasciassi il “ pappo” e ‘l “dindi”, Pria che passin mill’anni? Ch’è più corto Spazio a l’etterno, ch’ un muover di ciglia Al cerchio che più tardi in cielo è torto… Dante nel “Convivio” dice che il Cielo delle stelle fisse compie la sua completa rotazione in 360 secoli. Dunque anche la gloria dell’arte è breve e vana come conferma Oderisi da Gubbio, esponente dell’Arte della Miniatura. Il tempo terreno è relativo, assoluta è solo l’eternità.

  41. PETRARCA RERUM VULGARIUM FRAGMENTA, CCLXXII (Rime in morte di Laura) La vita fugge, et non s’arresta una hora, Et la morte vien dietro a gran giornate, Et le cose presenti et le passate Mi danno guerra, et le future anchora; E ‘l rimembrare et l’aspettar m’accora, Or quinci or quindi, sì che ‘n veritate, Se non ch’ i’ ò di me stesso pietate, I’ sarei già di questi pensier fora Tornami avanti, s’alcun dolce mai Ebbe ‘l cor tristo; et poi da l’altra parte Veggio al mio navigar turbati i venti; Veggio fortuna in porto, et stanco omai Il mio nocchier, et rotte arbore et sarte, E i lumi bei che mirar soglio, spenti. Nel “Canzoniere” per la prima volta viene introdotto il tempo della storia, anche se si tratta di storia interiore, ricostruita dalla memoria. Lo schema dell’opera non è più ascensionale, come quello della Divina Commedia, ma progressivo. Tuttavia questa dimensione temporale è vissuta in contrasto con quella religiosa e ultraterrena, perché avvertita come “vana” in quanto non finalizzata alla salvezza dell’anima. Punti di contatto sono presenti fra Petrarca e S. Agostino, col quale il poeta dialoga nel “Secretum” e che considera la sua guida spirituale.

  42. POLIZIANO RISPETTI, XXVII, XXVIII XXVII Tu sei de’ tuo belli anni ora in sul fiore, Tu sei nel colmo della tua bellezza; Se di donarla non ti fai onore, Te la torrà per forza la vecchiezza: Ché ‘l tempo vola e non si arreston l’ore, E la rosa sfiorita non si aprezza. Dunque allo amante tuo fanne un presente: Chi non fa quando può, tardi si pente. XXVIII El tempo fugge e tu fuggir lo lassi, Che non ha el mondo la più cara cosa; E se tu aspetti che ‘l maggio trapassi, Invan cercherai poi di côr la rosa. Quel che non si fa presto, mai poi fassi: Or che tu puoi, non istar più pensosa. Piglia el tempo che fugge pel ciuffetto, Prima che nasca qualche stran sospetto.

  43. CIRO DI PERS OROLOGIO A RUOTE Mobile ordigno di dentate rote Lacera il giorno e lo divide in ore Ed ha scritto di fuor con fosche note a chi legger le sa: “Sempre si muore”. Mentre il metallo concavo percuote Voce funesta mi risona al core Né del fato spiegar meglio si puote Che con voce di bronzo il rio tenore. Perch’io non speri mai riposo o pace Questo che sembra in un timpano e tromba Mi sfida ogn’or contro a l’età vorace E con que’ colpi onde ‘l metal rimbomba Affretta il corso al secolo fugace E, perché s’apra, ogn’ or picchia a la tomba. Importanti i significanti: assonanze e ripetizioni. –ate,-ote, serie di dentali, or- rovesciato in ro- e ripetuto in tutto il sonetto come suono tipico di “more”, parola chiave di tutto il componimento, come “or”, che sta per “ora”. Tutti i suoni riproducono il martellio che scandisce il trascorrere del tempo.

  44. SHAKESPEARE SONETTO 19 Tempo divoratore, spunta gli artigli al leone, E fa’ che la terra divori la sua dolce progenie, Strappa le zanne aguzze alle fauci crudeli del tigre, E ardi nel suo sangue la fenice imperitura, Alterna nel tuo volo stagioni tristi e liete, E fa quanto tu sai. Tempo dal rapido piede, Al vasto mondo e alle sue dolcezze fuggitive: Ma uno, il più orrendo delitto, io ti vieto, Oh, non incider le tue ore nella fronte del mio amore, Non tracciarvi linee con la tua vetusta penna, Lascialo intatto nella tua carriera, Qual modello di bellezza per coloro che verranno. Oppure fa’ del tuo peggio, vecchio Tempo a dispetto del tuo oltraggio Nei miei versi l’amor mio vivrà giovane in eterno.

  45. BELLI ER CAFFETTIERE FISOLOFO L’ommini de sto monno so ll’ istesso Che vvaghi de caffè nner mascinino: C’uno prima, uno doppo, e un antro appresso, Tutti cuanti però vvanno a un distino. Spesso muteno sito, e ccaccia spesso Er vago grosso er vago piccinino, E ss’incarzeno tutti in zu l’ingresso Der ferro che li sfraggne in polverino. e ll’ ommini accusi vviveno ar monno Misticati pe mmano de la sorte Che sse li ggira tutti in tonno in tonno; e mmovennose oggnuno, o ppiano, o forte, Senza capillo mai caleno a ffonno Pe ccascà nne la gola de la morte.

  46. FOSCOLO I SEPOLCRIvv.279-295 …Proteggete i miei padri. Un dì vedrete E tu onore di pianti, Ettore, avrai Mendico un cieco errar sotto le vostre Ove fia santo e lagrimato il sangue Antichissime ombre, e brancolando Per la patria versato, e finché il Sole Penetrar negli avelli, a abbracciar l’urne, Risplenderà su le sciagure umane. E interrogarle. Gemeranno gli antri Secreti, e tutta narrerà la tomba Ilio raso due volte e due risorto Splendidamente su le mute vie Per far più bello l’ultimo trofeo Ai fatati Pelidi. Il sacro vate, Placando quelle afflitte alme col canto, I Prenci Argivi eternerà per quante Abbraccia terre il gran padre Oceano. ALL’AMICA RISANATAvv.85-96 …Ebbi in quel mar la culla, Ond’io, pien del nativo Ivi erra ignudo spirito Aer sacro, su l’Itala Di Faon la fanciulla, Grave cetra derivo E se il notturno zeffiro Per te le corde eolie, Blando sui flutti spira E avrai divina i voti Suonano i liti un lamentar di lira: Fra gl’inni miei delle insubri nepoti

  47. LEOPARDI DIALOGO FRA UN VENDITORE DI ALMANACCHI E UN PASSEGGERE …Passeggere: Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso , fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’ è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Con l’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero? Venditore: Speriamo… LE RICORDANZE …Dico Nerina or più non gode; i campi, L’aria non mira. Ahi tu passasti, eterno Sospiro mio: passasti: e fia compagna D’ogni mio vago immaginar, di tutti I miei teneri sensi, ii tristi e cari Moti del cor, la rimembranza acerba. L’INFINITO …e mi sovvien l’eterno, E le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa Immensità s’annega il pensier mio; E il naufragar m’è dolce in questo mare.

  48. LEOPARDI Canto notturno di un pastore errante dell’Asia …Nasce l’uomo a fatica, Ed è rischio di morte il nascimento. Prova pena e tormento Per prima cosa; e in sul principio stesso La madre e il genitore Il prende a consolar dell’esser nato… …Che si pensosa sei, tu forse intendi, Questo viver terreno, Il patir nostro, il sospirar, che sia; Che sia questo morir, questo supremo Scolorar del sembiante,… …Ma tu per certo, Giovinetta immortal, conosci il tutto. Questo io conosco e sento, Che degli eterni giri, Che dell’esser mio frale, Qualche bene o contento Avrà fors’altri; a me la vita è male… Ma più perché giammai tedio non provi… Dimmi perché giacendo A bell’agio, ozioso, S’appaga ogni animale; Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?… Forse in qual forma, in quale Stato che sia, dentro covile o cuna, E’ funesto a chi nasce il dì natale.

  49. VIRGINIA WOOLF GITA AL FARO I, 5 (traduzione di G. Celenzo). …Alzò gli occhi … vide la stanza, vide le seggiole e le parvero logore assai. Le loro viscere, come aveva detto Andrea qualche giorno avanti, erano tutte sparse pel piantito; ma d’altronde, si domandava lei, a che sarebbe giovato comprar…Stuoie, brande,spettri decrepiti di seggiole…là potevano ancora far giuoco; e così una o due fotografie e un po’ di libri. I libri, pensava lei, spuntavano come funghi. Lei non aveva tempo di leggerli… nemmeno quelli a lei dedicati dal poeta in persona:”Per colei i cui desideri son legge”…E l’opera di Croon sul Pensiero…non potevano, né l’una né l’altra, esser mandate al Faro. Certo, ella rifletteva, doveva pur venire il giorno in cui la casa fosse così mal ridotta da render necessario qualche provvedimento. Se i ragazzi avessero imparato a pulirsi i piedi…I granchi doveva pur permetterli…e se Jasper intendeva di far la minestra coll’alghe… le collezioni di Rosa… E ne resultava (così ella concluse con un sospiro, abbracciando in un solo sguardo l’intiera stanza dal pavimento al soffitto, mentre continuava a tenere il calzerotto contro la gamba di Giacomo) che, d’estate in estate, tutto si logorava sempre di più…Ma soprattutto le porte le davan noia…Entrando di notte nelle camere delle domestiche le trovava serrate come forni, eccetto quella di Maria, la ragazza svizzera…eppoi al suo paese (così aveva detto) “le montagne son tanto belle”. La sera avanti, guardando fuor della finestra aveva detto…Suo padre stava morendo laggiù…

  50. JAMES JOYCE ULISSE(Traduzione diR. De Angelis) Monologo interiore di Mrs Bloom …Un bel sollievo dovunque si sia non tenersi l’aria in corpo chissà se quella braciola di maiale che ho preso col tè dopo era proprio fresca con questo caldo non ho sentito nessun odore sono sicura che quell’uomo curioso dal norcino è un gran furfante spero che quel lume non fumi mi riempirebbe il naso di sudiciume meglio che rischiare che mi lasci aperto il gas tutta la notte non potevo riposar tranquilla nel mio letto a Gibilterra mi alzavo anche per vedere ma perché diavolo mi preoccupo tanto di questo per quanto la cosa mi piace d’inverno fa più compagnia. Oh Signore poi era un freddo boia quell’inverno che avevo dieci anni o giù di lì sì avevo quella gran bambola con quei vestiti buffi addosso sempre a vestirla e svestirla quel vento gelido che veniva di scivolo giù dalle montagne la come sidice Nevada sierra Nevada in piedi davanti al fuoco con quello straccetto di camicia corta tirato su per scaldarmi mi piaceva ballonzolare vestita in quel modo e poi tornar di corsa a letto sono sicura che quel tale di faccia stava là tutto il tempo a guardare con le luci spente d’estate e io nuda come Dio m’ha fatta saltellavo per la stanza ero innamorata di me a quel tempo poi spogliata davanti alla toilette mi truccavo e mi davo la crema solo che quando si arrivava alla cerimonia del vaso spegnevo la luce anch’io così si era in 2 Addio al sonno per stanotte però speriamo che non si metta a imbrancarsi con quegli studenti di medicina…

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