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Dal Quarantotto alla presa di Roma

Dal Quarantotto alla presa di Roma. Esempi di fonti pubbliche e private. ATTORI SOCIALI DEGLI EVENTI STORICI. GRUPPI E INDIVIDUI CHE PRODUCONO DIRETTAMENTE LE FONTI ATTRAVERSO CUI PARLARE DI SE’. GRUPPI E INDIVIDUI CHE “PARLANO” INDIRETTAMENTE ATTRAVERSO FONTI PRODOTTE DA ALTRI.

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Dal Quarantotto alla presa di Roma

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Presentation Transcript


  1. Dal Quarantotto alla presa di Roma Esempi di fonti pubbliche e private

  2. ATTORI SOCIALI DEGLI EVENTI STORICI • GRUPPI E INDIVIDUI CHE PRODUCONO DIRETTAMENTE LE FONTI ATTRAVERSO CUI PARLARE DI SE’ • GRUPPI E INDIVIDUI CHE “PARLANO” INDIRETTAMENTE ATTRAVERSO FONTI PRODOTTE DA ALTRI

  3. Rivoluzioni e insurrezioni del 1848-49Fonti relative alla partecipazione popolare Milano marzo 1848 Venezia 1848-49 Brescia marzo 1849 Livorno maggio 1849

  4. Tipologie di fonti private Lettere Diari Memorie

  5. Epistolario di Gustavo Modena (1827-1861), a cura di Terenzio Grandi, Roma 1955, pp. 78-79. Come vuoi tu pensare a recitare? Tutto è guerra: del teatro non se ne parla neppure in nessun luogo. […] Cittadini e contadini, tutti sotto l’armi […]. Aggiungi, ogni affare, ogni commercio arenato, le comunicazioni incerte, sospese...credo che chi parlasse d’aprir teatro lo fischierebbero. E deve’esser così anche a Milano. […] Ora il teatro è morto e sepolto almeno per un anno; che la guerra non finirà in pochi giorni; e dopo la guerra rimarrà il parapiglia, il disordine di tutti questi Municipii eretti in tanti governi; e ce ne vorrà a riavere la calma necessaria perché si pensi al teatro! […] Ecco quel che ti può dire il comico. Ora come cittadino; sappi che cammino, scrivo, consiglio, e che, o a Verona, o a Udine vado a battermi anch’io. Questi paesi sono elettrizzati tanto quanto io non isperava. (Lettera a G.P. Calloud, attore drammatico e direttore di compagnia., Treviso, 3 aprile 1848)

  6. Epistolario di Gustavo Modena (1827-1861), a cura di Terenzio Grandi, Roma 1955, pp. 98-100. Tu vorresti dunque ch’io – come tu dici – italianissimo mi facessi innanzi per entrare a far parte di un’Assemblea che deve inaugurare uno stabile Governo e fare sparire il provvisorio in una città d’Italia che ha ripudiato il nome di Repubblica e si è mantenuta senza nome ed ha fino a quest’oggi rigettata la nobile missione di porsi a centro della vita italiana, quando che Papa e dottrinari tradiscono, seducono, addormentano e strozzano tutte le parti d’Italia? L’Assemblea non sarà composta di quei che piansero allorché fu acclamata la Repubblica, sarà, come al solito, d’avvocati, letterati e uomini poetici […]. Io non mi metto in una Assemblea che mentre Italia si contorce nell’agonia, non osa prendersi da Dio un bel mandato di salvare l’Italia […]. Non vengo ad insultare alla patria che muore discutendo legalità leguleie. […] Se Venezia mi desse un’Assemblea d’uomini dell’Erbaria, della Riva, del Traghetto, disposti a troncar ambagi, riserve, cautele forensi, mascherate gesuitiche, come quei bravi Arsenalotti trascurarono le incertezze e decisero in un minuto rivoluzione e vittoria con un colpo di trivella e di mannaia, io ti direi vengo subito e non perderei tempo in preparativi di viaggio. Quell’Assemblea, guidata dal buon senso naturale, capirebbe subito che quel che Roma non fa deve farlo Venezia, che ogni altra città ove la voce non sia strangolata è buona per proclamarvi l’Italia una, repubblicana per volontà di Dio e per diritto di popolo; […] finirebbe insomma, d’un tratto, quella sciagurata farsa del limbo politico, la quale va a finire inevitabilmente nella resa di Venezia all’austriaco. Ma l’Assemblea di Venezia non farà cose intere. […] quella del 1849 sarà anch’essa un rimedio d’anime di pulci educate nelle vecchie parrucche dell’ultimo Senato della Serenissima. […] No, caro Orazio, io non verrò a mettermi 5° o 6° in una impotente minorità, cui le 70, 80 iene della moderazione non lascerebbero neanche parlare; non tengo ad espormi all’insulto subito da Revere, Mordini e Dall’Ongaro, certo com’io sono che nel medio-ceto e nella nobiltà veneta troverei tanti Opimii pronti ad aizzare il popolo contro il tribuno che dalla scena osasse passare allo scanno di Deputato. (Lettera ad Orazio Cerini, Firenze, 10 [gennaio] 1849)

  7. Epistolario di Gustavo Modena (1827-1861), a cura di Terenzio Grandi, Roma 1955, pp. 104-106 Innanzi tutto il tradimento dei nostri principi, poi la brutalità austriaca favorita dai gesuiti e dai ricchi, infine i repubblicani francesi che vengono ad uccidere la nostra libertà nell’ultimo suo riparo. Oh, mio Dio, v’è di che impazzire! Almeno qui sembrano ben decisi a cadere con onore. L’Assemblea nostra ha risposto ai commissari francesi, venuti per intimare la sottomissione al Papa, che Roma non si arrende, e tutto il popolo ha applaudito freneticamente alla generosa deliberazione. Si lavora indefessamente alle barricate; domani forse, dopodomani bisognerà far fuoco...sui Francesi! O trovatemi una maledizione nuova per quel governo infame; per quell’erede del nome di Bonaparte che, diciott’anni or sono, battevasi contro i soldati del Papa, nei nostri ranghi a dieci leghe da Roma! I Francesi, non v’è a dubitarne, non esiteranno a combatterci; si parlerà loro dell’onore e della gloria di Francia: e uccideranno un popolo libero aiutati dai loro alleati, gli Austriaci, che si avanzano da un altro lato. Francia sventurata! Soffocheranno la libertà a Roma e poi verrà la volta sua. Pubblicate le infamie del governo francese; ché tutti gli uomini di cuore possano maledirlo. Il comandante del battaglione romano di guarnigione a Civitavecchia ha avuto la dabbenaggine di accogliere i Francesi nella città e festeggiarli al grido di Viva la Repubblica. Il primo giorno s’affratellarono, il secondo disarmarono i nostri in nome di Sua Santità il Papa! Ecco i Francesi! (Lettera a HippolytePaulet, Roma, 27 aprile 1849)

  8. Diario di Angelo Mengaldo • E’ un ex ufficiale napoleonico. E’ comandante della guardia civica dal marzo all’agosto del 1848 , poi inviato a Parigi, ricopre incarichi militari fino alla resa. Redige della note private edite nel 1910. Il diario ci restituisce le tappe del suo crescente disagio verso il regime rivoluzionario, dallo stupore allo sconcerto. • Il 23 marzo 1848 annotava l’ “universale convulsione, le grida incessanti, la mia commozione, i miei travagli, la perdita della voce; questi luoghi, questi oggetti, queste fragorose dimostrazioni, quest’ebbrezza universale. È troppo, è troppo. Il popolo trascende, non serba più misura. La Guardia Civica è strumento di ordine. Avrò io, generale di essa, il potere d’adoprarla utilmente? Ciò voglio tentare, dovessi soccombere sotto il tentativo.” • Nel maggio del ’48 accusava l’azione riformistica del governo di aver favorito l’instaurazione di uno “schifoso spettacolo di anarchia”. • Nei primi mesi dell’anno successivo era inappellabile la condanna dei circoli popolari come • “fucine di discordie e di sconvolgimenti civili. Vi frequentano gli scioperati, i rovinati nella fortuna, nel nome, qualche giovine illuso, qualche uomo di buona intenzione che spera volgerli al bene, molti uomini ambiziosi che li vogliono strumenti delle loro mire perverse. Nulla di bene per l’umanità è mai uscito dai clubs, circoli o comunque si chiamino queste adunanze politiche. All’incontro ne derivarono infiniti mali, anzi, si può affermarlo francamente, ne nacquero tutte le grandi catastrofi che desolarono da ormai settant’anni l’Europa.” 

  9. Francesco Dall’Ongaro, Venezia l’11 agosto 1848. Memorie storiche, Capolago 1850, pp. 10-11. Il popolo non conosceva che due governi, quello dell’Austria, che voleva dire birri, polizia, dogana, bastone e quanto altro per trentacinque anni gli avea dimostrata la paterna sollecitudine di Sua Maestà, – e quest’altro, che si chiamava repubblica, il quale alle antiche tradizioni di gloria, di ricchezza, d’indipendenza, sole tradizioni che avesse conservate, univa l’entusiasmo de’ recenti trionfi, la improvvisa e insperata libertà, il sentimento d’un gran dovere compiuto, di un gran diritto riconquistato. Quel Palazzo ducale, quell’Arsenale magnifico erano finalmente suoi; poteva penetrarvi a suo talento, senza chieder permesso, senza temere ripulsa […]. Ivi stavano i suoi magistrati, i suoi padri, il suo Tommaseo, il suo Manin […]! E poteva vederli dì e notte, e chiedere giustizia, e ottenerla senza suppliche scritte e protocollate, senza umiliazioni e senza rigiri. La piazza di San Marco era sua! […] Ogni sera i poveri abitanti de’ più remoti sestieri, che per lo passato non si recavano in piazza se non nelle primarie solennità, rubavano un’ora a’ consueti lavori per visitare il loro nuovo dominio […].

  10. Diario di Emanuele Cicogna • E’ un “tiepido” della rivoluzione. Per lui la bandiera rossa che segnala la resistenza ad ogni costo decretata il 2 aprile 1849 indica “anche comunismo, e questa parola non accomoda ad alcuno di noi, tranne che al popolo il quale presto farebbe comunanza de’ suoi cenci cogli ori dei ricchi” Biblioteca del Museo Correr (Venezia), Diario Cicogna, 2847, n. 287.

  11. Memorie di Federico Bertuch(negoziante tedesco residente a Venezia) [...] né le agitazioni né i passatempi ci mancavano. Fra questi, nelle giornate di bel tempo, era talvolta una gita in gondola nelle lagune per contemplare la cannonata da vicino. Le batterie austriache si trovavano al Nord della città, le due veneziane al lato opposto, al Sud. Se dunque arrivavamo nella laguna dalla parte di levante, potevamo avvicinarci senza pericolo fino a mezzo miglio al fuoco incrociato e osservare, quasi come in un palco scenico, le bombe che volavano e i loro effetti. [...] I colpi [...] nella laguna formavano colonne d’acqua talvolta così larghe e così alte che si era tentati di supporre un’esplosione delle bombe sott’acqua. [...] Nelle sere [...] erano sempre amici in casa nostra e molte volte, quando il fuoco delle batterie era più vivace, salivamo al belvedere sul nostro tetto per contemplare nuovamente lo spettacolo reso più grandioso per il contrasto dell’oscurità notturna. [PRIMA DEL LUGLIO 1849] (Federico Bertuch, Contributi alla storia del Risorgimento italiano. Traduzione dal testo tedesco redatta per cura di Augusto Bertuch, Max Niemeyer-F. Ongania, Halle-Venezia 1911, p. 91)

  12. Memorie di Federico Bertuch [Dalla] sera del 29 Luglio, la quale gettò la città in un nuovo abisso di orrore, non immaginato mai e più spaventoso di quanto avevamo fino allora sopportato […] tutto in Venezia aveva mutato aspetto. Le palle colpivano allora più di due terzi della città e all’alba del 30 di Luglio aveva cominciato la fuga degli Abitanti dei quartieri minacciati verso la parte orientale, più lontana, che le palle non potevano raggiungere. I quartieri della Riva degli Schiavoni, del Castello e del circondario dell’Arsenale, in tempi normali piuttosto scarsamente abitati, furono a un tratto talmente gremiti di popolazione, che venti o trenta persone vennero in un luogo che prima aveva avuto due o tre abitanti. • (Federico Bertuch, Contributi alla storia del Risorgimento italiano. Traduzione dal testo tedesco redatta per cura di Augusto Bertuch, Max Niemeyer-F. Ongania, Halle-Venezia 1911, p. 92)

  13. Memorie del generale austriaco Karl von Schönhals I nostri lavori erano compiuti ed alli 29 luglio, durante la notte, cominciò uno spaventoso cannoneggiamento da tutte le nostre batterie. [...] Venezia era immersa nel sonno. L’esperienza fatta che le nostre bombe giungevano soltanto alle prime case avea tranquillato gli abitanti che, abbandonate quelle case, vivevano sicuri di non essere in pericolo. Ma ecco improvvisamente cadere su Venezia una pioggia di palle. [...] Con immane forza [...] piombavano sui tetti, e si sprofondavano giù fin nelle cantine, empivano di rottami quelle anguste calli, e le rendevano mal sicure. [...] Un romore spaventevole si leva fra la popolazione destata in modo sì inaspettato; tutti fanno a chi più presto abbandona la sua casa per riparare al sicuro nelle parti più remote della città portando in ispalla qualche masserizia. Quelli che non possono trovare un asilo sotto i portici della piazza di San Marco o negli edifici pubblici o privati, s’accampano nei così detti Giardini pubblici. (Karl von Schönhals, Memorie della guerra d’Italia degli anni 1848-1849 di un veterano austriaco, II, Tipografia Guglielmini, Milano 1852, pp. 314-315)

  14. Tipologiedi fonti pubbliche Documenti ufficiali Fonti prodotte dall’attività degli apparati istituzionali Stampa

  15. Con il decreto 26 marzo 1848 la Repubblica Veneta adotta ufficialmente il tricolore come bandiera. «Con i tre colori comuni a tutte le bandiere odierne d’Italia si professa la comunione italiana». Il leone, inserito in alto in campo bianco, voleva essere il «simbolo speciale di una delle Italiane Famiglie».

  16. La stampa a Venezia nel 1848-49 • Più di 100 testate di vario orientamento • Non c’è censura preventiva, ma ci sono provvedimenti restrittivi per la stampa d’opposizione più radicale • Dibattito e scontro politico

  17. La stampa a Venezia durante la terza dominazione austriaca “Gazzetta Uffiziale di Venezia” Altre esperienze hanno vita brevissima e complicata (es. “Il Lombardo-Veneto” [1850-51] e “L’età presente” [1858-59]) Censura e/o autocensura Ciò che conta è la rappresentazione

  18. Raffaele Tosi, Da Venezia a Mentana (1848-1867). Impressioni e ricordi di un ufficiale garibaldino ordinati e pubblicati a cura del figlio Volturno, Bordandini, Forlì 1910 Memorie di lungo periodo, quasi un romanzo di formazione dall’adolescenza alla maturità. Sono anche un “viaggio in Italia”. 1848: da Rimini a Venezia 1849: Roma 1860: impresa garibaldina nell’Italia meridionale 1866: terza guerra d’indipendenza 1867: Mentana

  19. Dalla spedizione dei Mille alla presa di RomaEsempi di fonti private Epistolari Diari Memorie

  20. Da Milano a Capua. Diario di Ismaele Boga, garibaldino. 1860-61, Padova 2005

  21. “Arsi di sete non si trovò acqua, ma investigando la casa trovassi la cantina assai ben fornita di vini – fra gli altri eravi il Marsalla sulle cui botticelle eravi scritto 1840 – si trovò pure un barile di tonno – che baldoria!” (Milazzo, 20 luglio 1860, Da Milano a Capua. Diario di Ismaele Boga, garibaldino. 1860-61, Padova 2005) “Ciò che più mi colpisce in Sicilia è il cielo di un azzurro purissimo [...] e l’aria imbalsamata del profumo dei fiori, è la natura rigogliosa, la varietà delle piante proprie dei climi caldi, le palme, gli aloe, i cacti, gli oleandri.[...] Entriamo nei caffè e vi troviamo sorbetti, granatine ed altri rinfreschi offerti”. (Piero Corbellini, Diario di un garibaldino della spedizione Medici in Sicilia 1860, Como 1911)

  22. Fonti pubbliche • Atti Parlamentari • Stampa (entrambe fonti tipiche di un regime liberale, costituzionale, parlamentare; fonti che nascono per essere pubbliche)

  23. Fonti che forniscono notizie su chi non produce fonti scritte Fascicoli de “I Mille di Marsala” “Biografie dei sovversivi” Documenti e pubblicazioni dell’associazionismo dei reduci

  24. Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Biografie dei sovversivi Tipologie degli individui schedati • Individui provenienti da alcune aree geografiche (Meridione, area padana, Toscana, Emilia-Romagna, Marche) • Emigrati • Donne • Stranieri • Spretati

  25. Costruzione e conflitti della memoria Lapidi Monumenti

  26. Lapide affissa in Piscina di Frezzeria Qui Da piombo austriaco colpito Cadde innocente vittima Luigi scolari il 14 giugno 1859 A ricordo di patria carità ad esacranda memoria dei carnefici alcuni cittadini posero 1 8 6 7

  27. Lapide affissa nel 1879 in Val d’Intelvi, Como Per imperizia Sabauda e fortuna austriaca/frustata la rivoluzione lombarda/eroica riscossa tentavano nell’ottobre 1848/ in nome del popolo/Andrea Brenta e commilitoni/valligiani esuli profughi Ungheresi/ L’Associazione Comense dei Reduci e cittadini/il 14 aprile 1879/anniversario trentesimo/martirio generoso insorti/spenti a Camerlata da fucile croato/questo ricordo inaugura/esempio ai nipoti d’amor patrio/segno di fratellanza fra gli oppressi/gloria di queste Termopili Vall’Intelvesi” (ACS, DGPS, 1912, b. 17, fasc. 20 Como, s/fasc. 4 Lapide ad Andrea Brenta ed altri insorti di Valle Intelvi fucilati nel 1849, Relazione del Prefetto di Como al MI, DGPS, Como, 28 giugno 1912).

  28. Monumento come elemento di segnatura del territorio, come narrazione non scritta accessibile ed eloquente anche per analfabeti

  29. Monumento a Daniele Manin a Venezia, inaugurato il 22 marzo 1875 [Soggetto del monumento era Manin, ma il Manin del ’48] perché é l’epoca della sua grandezza, perché quella é l’epoca gloriosa del popolo Veneziano […]. […] Manin l’ha fatto Venezia, l’ha fatto la Rivoluzione, l’ha portato in trionfo il popolo, se l’é adottato lui. Manin é stato dominatore a sua volta, ma a sua volta esecutore della volontà del popolo di Venezia. Questo concetto di fusione in un tutto, di Venezia, del popolo, di Daniele Manin, della Rivoluzione, é la sintesi più vera del nostro 48. […] La sintesi vera del 48, é il popolo di Venezia che strappa al Governatore straniero l’ordine di far libero Manin, che va alle Carceri, e se lo trae sulle spalle in trionfo, e se lo porta là sotto le finestre di quel Governatore che mesi prima l’avea fatto imprigionare. Manin portato dal popolo in trionfo, é l’annuncio della Rivoluzione che ha vinto, é la sfida di guerra che Venezia fa all’Austria, é la voce del popolo che intima al Governo la resa. Quel momento é più che la Rivoluzione – é la Risurrezione. […] Manin era diventato Venezia. Venezia era diventata Manin. Tutto si personificava, tutto s’incarnava in lui, in quei giorni di febbrili esultanze e di santi delirii. Monumentare e immortalare quei momenti, é monumentare la poesia d’un popolo, é afferrare a volo la situazione, che portava nel suo grembo tutta la Storia del 48. Sì, perché Manin, che fino allora non era stato che un Avvocato, da quest’amore del popolo sentì scoppiare in sé l’Uomo della Rivoluzione, il Capo, la guida, il dominatore di questo popolo che lo innalzava. (Carlo Pisani, Lettura sul bozzetto Vela pel Monumento Manin, Tipografia del Rinnovamento, Venezia 1870, pp. 7-9)

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