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Dott. Maria Elena Laguardia DIATHEVA S.r.l “AVITECH” Antigen Production Unit

PURIFICAZIONI PRELIMINARI : bulk methods. Dott. Maria Elena Laguardia DIATHEVA S.r.l “AVITECH” Antigen Production Unit . I Bulk methods si basano sulla precipitazione proteica o di altre macromolecole presenti in soluzione.

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Dott. Maria Elena Laguardia DIATHEVA S.r.l “AVITECH” Antigen Production Unit

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Presentation Transcript


  1. PURIFICAZIONI PRELIMINARI: bulk methods Dott. Maria Elena Laguardia DIATHEVA S.r.l “AVITECH” Antigen Production Unit

  2. I Bulk methods si basano sulla precipitazione proteica • o di altre macromolecole presenti in soluzione. • I principali trattamenti preliminari sono: • Variazione del valore del pH • Riscaldamento della soluzione • Precipitazione con Sali inorganici • Trattamento con solventi organici • Precipitazione con PEG e altri polimeri miscibili con acqua

  3. Variazione del valore del pH In soluzione acquosa la catena polipeptidica di un enzima mantiene una propria struttura tridimensionale, con domini idrofobici più interni e una superficie esterna più idrofila e differentemente ionizzata a seconda del pH della soluzione, dove avvengono le innumerevoli interazioni tra gli aminoacidi, gli ioni presenti in soluzione e naturalmente le molecole d’acqua. La diminuzione del valore del pH o il suo innalzamento possono portare rispettivamente ad una protonazione o una dissociazione dei protoni nei gruppi di aminoacidi delle proteine, provocando perturbazioni nelle interazioni tali da alterare anche la quantità di acqua di solvatazione e di conseguenza anche la solubilità.

  4. L’effetto massimo viene ottenuto quando la variazione di pH porta a raggiungere il punto isoelettrico dell’enzima, dove la proteina non presenta una carica netta. Mancando la repulsione di carica è favorita la formazione di aggregati con altre molecole di enzima e la conseguente precipitazione. N.B. E’ indispensabile conoscere il punto isoelettrico dell’enzima che si vuole precipitare, in modo da raggiungere con cautela il valore di pH corretto, evitando effetti denaturanti con tentativi approssimativi.

  5. La precipitazione al pH può comunque essere eseguita indipendentemente dal punto isoelettrico, noto l’intervallo di stabilità ai vari pH dell’enzima. Anche se esistono situazioni estreme, con enzimi attivi a pH 1-2 o 12, nella maggior parte dei casi le modifiche di valore di pH oscillano in un intervallo di circa 4-11. Valori di pH estremi consigliano temperature relativamente basse, di 5-10°C, ma se la termostabilità dell’enzima rimane elevata anche al variare del pH risulta vantaggioso l’utilizzo di temperature più alte associando così due variabili come pH e temperatura con conseguenti migliori risultati di purificazione.

  6. Riscaldamento della soluzione Ogni enzima ha le sue intrinseche proprietà di termostabilità ma essa è influenzata dalle condizioni sperimentali in cui la proteina si trova. L’innalzamento di temperatura e il conseguente riscaldamento della soluzione causa una denaturazione di diverse macromolecole termolabili. Il trattamento al calore può essere direttamente eseguito sui lisati.

  7. Precipitazione con Sali inorganici Perturbazioni delle interazioni molecolari in soluzione possono essere causate anche dall’aggiunta di Sali inorganici. In genere la solubilità delle proteine è facilitata dalla presenza di Sali in concentrazione moderata (effettosalting in). Al contrario, un’alta concentrazione di Sali causa la precipitazione della maggioranza delle proteine. Le perturbazioni generate dal sale neutralizzano le cariche della superficie proteica e sottraggono acqua di solvatazione. Questo effetto, detto di salting out, causa la precipitazione delle proteine senza alterare l’attività degli enzimi.

  8. Diversi sono i parametri che possono essere modificati durante la precipitazione, quali temperatura, pH e concentrazione proteica. Temperature di 0-10°C o anche valori maggiori di 20-25°C possono essere utilizzate grazie alla ridotta esotermicità di solubilizzazione del sale. Anche il pH può essere mantenuto a valori prefissati con l’aggiunta di acido o base. Valori di pH prossimi al punto isoelettrico dell’enzima agevolano sicuramente la sua precipitazione, permettendo anche il non trascurabile vantaggio di consumi ridotti di sale. Anche la concentrazione proteica ottimale viene determinata sperimentalmente, ma in generale è estremamente ampia.

  9. E’ però vantaggioso evitare soluzioni proteiche diluite per due motivi: • L’enzima, se troppo diluito, può essere difficilmente precipitabile, proprio grazie alla dispersione delle molecole nella soluzione; • Soluzioni diluite comportano un consumo maggiore di ammonio solfato, a parità di percentuale di saturazione, rispetto alla medesima soluzione più concentrata.

  10. Svantaggi della precipitazione con ammonio solfato: • Industrialmente il suo uso comporta l’utilizzo di grandi quantità di sale, specialmente se i volumi in gioco sono cospicui; • Impiantisticamente, soluzioni saline concentrate possono dare problemi di incrostazioni e corrosione; • Le alte concentrazioni di ammonio solfato possono determinare problemi nel trattamento delle acque reflue, non potendo essere scaricate prima di avere concentrazioni in accordo con i parametri di legge vigenti. • Il recupero di un precipitato, la sua risospensione, la probabile dialisi rendono inoltre il processo operativamente più complesso di altri bulk methods.

  11. Trattamento con solventi organici I solventi organici rappresentano un ulteriore mezzo per la precipitazione di proteine, causando un effetto denaturante incrementato da innalzamento della temperatura. Il solvente organico diminuisce il valore della costante dielettrica dell’acqua, causando una diminuzione della solubilità proteica; considerando qualsiasi polipeptide come un macroione, la forza di attrazione che permette l’aggregazione e la precipitazione risulta direttamente proporzionale al prodotto delle cariche dei macroioni e inversamente proporzionale alla costante dielettrica del mezzo disperdente e al quadrato della distanza.

  12. Sperimentalmente si hanno risultati di precipitazione migliore quando il trattamento viene eseguito in pH della soluzione acquosa vicina al punto isoelettrico; di solito, tuttavia, un pH ottimale si aggira intorno al valore neutro di 7. Più critica la definizione della temperatura operativa, nella maggior parte dei casi mantenuta bassa a circa 0-5°C. Essendo il solvente organico un agente denaturante, la bassa temperatura permette di contenere tale effetto, per evitare che anche l’enzima di interesse si denaturi. La temperatura rappresenta un parametro critico in quanto la termostatazione durante il processo deve tener conto della esotermicità causata dall’aggiunta e la miscelazione del solvente.

  13. Precipitazione con PEG e altri polimeri miscibili con acqua Il PEG e altri polimeri vengono utilizzati sia per la chiarificazione ed eliminazione di frammenti cellulari che per la precipitazione di una parte delle proteine in soluzione. Il PEG non ha un effetto denaturante marcato e la sua aggiunta alle soluzioni permette una rapida formazione di precipitato con una dipendenza meno stretta da pH e temperatura. SVANTAGGIO: considerare la presenza del PEG o altro polimero nella soluzione dell’enzima, e delle possibili interferenze nel prodotto finale o in un successivo passaggio di purificazione (avviene ad esempio con ultrafiltrazione).

  14. PURIFICAZIONI ENZIMATICHE: cromatografie

  15. La cromatografia è essenziale per la produzione di molecole ad alto valore per applicazioni terapeutiche come antitumorali, anticorpi monoclonali e proteine ricombinanti. E’ la tecnica di separazione di una miscela dove i composti da separare si distribuiscono tra due fasi immiscibili. Sulla base di interazioni chimiche e chimico-fisiche, i composti hanno diversa affinità nei confronti delle due differenti fasi con una diversa ripartizione tra le stesse.

  16. Una delle fasi cromatografiche, definita stazionaria, è costituita da un letto statico attraverso il quale si muove la seconda fase detta mobile. La prima costituisce il cosiddetto letto stazionario, solitamente un componente solido. La fase mobile determina invece una differenziazione delle tecniche in relazione al suo stato fisico: se è un gas si parla di gascromatografia, mentre se è un liquido di cromatografia in fase liquida.

  17. Una cromatografia può essere descritta da una sequenza di tre fasi: • Eluizione della miscela mediante la fase mobile attraverso la fase stazionaria; • Separazione dei vari componenti in seguito all’eluizione; • Rivelazione dei diversi composti separati. • Il processo cromatografico può essere descritto come il risultato di una serie di equilibramenti, durante il movimento dei vari componenti della miscela attraverso il letto di fase stazionaria.

  18. La separazione conseguente è proporzionale alla differenza dei coefficienti di distribuzioneo ripartizione dei vari componenti del campione tra le due fasi mobile e stazionaria. Il coefficiente di ripartizione è dato da: CR= Concentrazione del campione nella fase stazionaria Concentrazione del campione nella fase mobile Un parametro per la definizione del potere di discriminare i componenti in una cromatografia è il numero dei piatti teorici, che sono una rappresentazione teorica degli equilibramenti ai quali vanno incontro le molecole che attraversano il sistema cromatografico.

  19. I piatti teorici possono essere determinati sperimentalmente e maggiore sarà il loro numero, ossia maggiore il numero di equilibramenti di ripartizione del soluto tra le due fasi, più elevata sarà l’efficienza della colonna cromatografica. N= 5.54 (V/W1/2)2 V= volume di ritenzione W1/2 = ampiezza a metà del picco Se l’efficienza è definita dal numero di piatti teorici, anche altri parametri caratterizzano il comportamento del soluto nella colonna.

  20. Tempo di ritenzione: tempo che intercorre tra l’applicazione del campione e il rilevamento dell’uscita di un dato componente dalla colonna (tempo di ritenzione assoluto; si definisce relativo quando è riferito a un altro componente di riferimento, o anche il fronte solvente). Risoluzione: distanza tra il centro di due picchi di eluizione ottenuto come rapporto tra la differenza dei due tempi di ritenzione (o anche dei due volumi di eluizione relativi) e la media dell’ampiezza dei picchi: R = V2-V1 (W2-W1)/2

  21. Capacità: questo fattore è relativo ai tempi di ritenzione (T) e dipende da quanto un componente permane nella fase stazionaria, in relazione a un componente di riferimento che non viene trattenuto dalla fase stazionaria (V0): Capacità= T1- T0 x V1 – V0 T0 V0 Selettività: è datacome il rapporto tra i fattori di capacità di due componenti. Capacità di legame: misura quantitativa dell’adsorbimento delle molecole proteiche da parte della fase stazionaria.

  22. Cromatografia in fase liquida • Cromatografia su strato sottile (TLC) • Cromatografia su carta • Cromatografia su colonna • La fase stazionaria è costituita da uno strato sottile, • in genere silice, fissata su un supporto, generalmente • una lastrina di vetro. • B. Utilizza la carta come supporto della fase stazionaria, • che può essere liquida o anche solida con particelle • adsorbite sulla carta.

  23. C. La cromatografia su colonna è senz’altro la tecnica elettiva per l’analisi e la preparazione di materiale di origine biologica. • Il sistema cromatografico è composto da: • La colonna che funge da contenitore della fase stazionaria, è costituita da materiali diversi: vetro, plastica e, in HPLC e in grosse colonne industriali, acciaio inossidabile. • La fase stazionaria, il cuore del sistema: è la matrice su cui avvengono le diverse interazioni con le molecole biologiche del campione. Le caratteristiche fondamentali della matrice da valutare sono:

  24. Composizione chimica: oltre ai materiali di natura organica, quali gel di silice, idrossil apatite, ecc. si hanno polimeri, sia sintetici sia naturali. La modificazione di diversi composti naturali ha permesso di ottenere una serie di polimeri utilizzabili per la preparazione delle fasi stazionarie cromatografiche. Polisariccaridi: cellulosa, destrano, agarosio e chitosano. La cellulosa è una delle matrici più usate, facilmente reperibile, con una resistenza chimica e con possibilità di modificare alcuni residui funzionali. Il destrano è stato isolato dagli sciroppi zuccherini dalle barbabietole, in breve tempo è divenuto il polimero capostipite per una vasta serie di matrici come le resine cromatografiche della società Amersham Pharmacia Biotech.

  25. Chitosano: disponibile nell’esoscheletro degli artropodi. In forma di scaglie e fibre ha avuto limitato uso, ma in commercio sono disponibili alcune matrici su base chitina-chitosano sotto forma di particelle sferiche. Supporti sintetici: resine ottenute con la tecnica della polimerizzazione e le più importanti sono quelle con composizione stirenica, acrilica e formofenolica. Gruppi funzionali: la struttura tridimensionale della matrice assume una importanza predominante in tecniche quali la gel filtration, ma spesso è la presenza di gruppi funzionali sulla matrice stessa che determina il tipo di cromatografia. Porosità: la trama più o meno fitta della rete del polimero ha influenza sia sulla stabilità meccanica che sulla capacità di permeazione delle molecole attraverso la struttura tridimensionale della matrice.

  26. Granulometria: dimensioni delle particelle della matrice. Le migliori performance generate da piccole dimensioni delle particelle sono dovute al sensibile aumento dell’areasuperficialedisponibile, ovvero alla superficie totale della matrice che è a disposizione delle interazioni con le proteine, ossia aumenta il rapporto superficie/volume. Rigonfiamento: le matrici hanno idrofobicità variabile a seconda dei polimeri costitutivi e del tipo di gruppi funzionali presenti. Si deve quindi tener conto anche del rigonfiamento della matrice o swelling che una resina può avere una volta risospesa in soluzione.

  27. La pompa permette di trasferire il campione e le varie soluzioni in colonna, di farle fluire attraverso la fase stazionaria e mantenere per tutto il corso della cromatografia i flussi di portata idonei. • I tubi, necessari per tutte le connessioni dell’apparato cromatografico. • Strumenti di controllo e raccoglitori. Quando la fase mobile esce dalla colonna occorre poter monitorare la separazione e purificazione del campione caricato. Poiché dalla colonna si ha un flusso continuo di soluzione, è necessario raccogliere l’eluato in frazioni distinte per non avere miscelazione dei picchi proteici. • Il Campione da caricare in colonna.

  28. TIPI DI CROMATOGRAFIE E FASI OPERATIVE Una prima suddivisione è quella che prende in considerazione il tipo di interazione tra matrice e soluto. - dimensione della molecola: gel filtrazione o cromatografia di esclusione; - carica: cromatografia a scambio ionico; - interazione biochimica specifica: cromatografia di affinità; - punto isoelettrico: chromatofocusing; - idrofobicità: cromatografia di interazione idrofobica.

  29. Cromatografia a scambio ionico • Permette di purificare non solo proteine ed enzimi ma anche biomolecole come acidi nucleici, piccoli peptidi, polinucleotidi, zuccheri modificati e altre molecole che presentino una carica. • Si basa sull’adsorbmento reversibile di molecole su gruppi ionici con carica opposta alla propria. • In base al gruppo funzionale posseduto si distinguono: • Scambiatori anionici • Scambiatori cationici • che poi a loro volta si suddividono in: • i. scambiatori deboli (la percentuale di dissociazione varia molto intensamente con il pH) • ii. scambiatori forti (ionizzati in un ampio intervallo di pH)

  30. Vantaggi della cromatografia a scambio ionico • Il processo è relativamente semplice, basandosi sull’interazione elettrostatica di gruppi con carica opposta; • Gli scambiatori ionici hanno buone capacità ed è possibile caricare quantità considerevoli di proteine; • La tecnica di scambio ionico permette spesso di utilizzare velocità di flusso elevate e la qualità della separazione non è modificata sensibilmente dal volume del campione caricato; • Può essere applicata nei primi passaggi di purificazione; • Vi sono a disposizione parecchi tipi di scambiatori anionici e cationici, con matrici di disparata natura; • Il passaggio di scala non comporta particolari problemi.

  31. Gel filtrazione o cromatografia di esclusione La gel filtrazione separa le molecole di soluto della fase mobile in base alle loro dimensioni, attraverso il letto di resina che funge da setaccio molecolare. La struttura della matrice sta alla base del principio funzionale della tecnica, anche se possono esistere delle interazioni secondarie. Durante l’eluizione del letto della resina, l’esclusione dipende dalle dimensioni dei pori. Le molecole di maggiori dimensioni potranno attraversare il letto di resina transitando solo tra gli spazi interstiziali tra le particelle di resina. Le molecole di soluto più piccole passeranno sia nello spazio interstiziale che nella trama tridimensionale dei pori della resina

  32. Tra le varie applicazioni possibili della gel filtrazione sono da ricordare la risoluzione di monomeri proteici quando questi, per le condizioni del mezzo, sono organizzati in dimeri o aggregati, e la determinazione del peso molecolare delle proteine. Viene anche impiegata per la dissalazione: in una colonna con una matrice con un basso limite di esclusione, le proteine si muoveranno tutte o quasi attraverso il volume vuoto. Limitazioni della tecnica: volume del campione; flussi molto bassi e altezze delle colonne che al disotto di certi valori determinano un abbassamento sensibile dell’efficienza della colonna.

  33. Cromatografia di interazione idrofobica La complessità delle proteine fa si che spesso nella loro struttura vi siano porzioni idrofile con altre più idrofobe: queste ultime sono in genere almeno parzialmente protette dalla disposizione tridimensionale della molecola, presente in ambiente acquoso. Questo tipo di cromatografia sfrutta la presenza di parti idrofobiche nella struttura terziaria delle proteine, suscettibili di interazioni con altri gruppi idrofobici disposti su una matrice utilizzata come fase stazionaria cromatografica. Per avere successo, l’interazione idrofobica necessita di concentrazioni saline medio-alte nella fase mobile.

  34. Vantaggi nell’uso della cromatografia ad interazione idrofobica. Le matrici per interazione idrofobica hanno buone capacità ed è possibile caricare quantità considerevoli di proteine. La tecnica di HIC non è modificata sensibilmente dal volume del campione caricato. Le colonne possono essere applicate nei primi passaggi di purificazione. La cromatografia può essere eseguita subito dopo altri passaggi di purificazione senza dialisi o concentrazioni. Vi sono a disposizione matrici con gruppi funzionali con diversa idrofobicità. Il passaggio di scala non comporta particolari problemi.

  35. Cromatografia di affinità • Il principio base della cromatografia di affinità è relativo a interazioni altamente specifiche delle biomolecole: • anticorpo-antigene • Enzima-inibitore reversibile • Enzima-substrato • Acido nucleico-frammento acido nucleico complementare • Enzima-coenzima • Lectina-glicoproteina • La molecola da purificare interagisce in maniera reversibile con un ligando covalentemente fissato sulla matrice insolubile della fase stazionaria. Si forma così un complesso tra molecola da purificare e ligando.

  36. Tale tecnica permette di legare selettivamente la molecola da purificare in campioni grezzi e, in linea teorica, di purificare all’omogeneità un enzima in un singolo passaggio da un grezzo. Accanto a quella tradizionale di cromatografia per affinità esistono altre matrici in cui sono stati immobilizzati chelati metallici (IMAC-Immobilized metal ion Adsorption Chromatography) o MCAC (Metal Chelate Affinity Chromatography). Interazione della biomolecola con ioni metallici complessati con un chelante: la separazione con metalli chelati è influenzata, oltre che dalla natura del metallo, dal pH in quanto condiziona sia il legame metallo-resina che quello proteina-metallo.

  37. La fase stazionaria deve rispondere a dei requisiti: • la matrice deve possedere un basso potere adsorbente, in modo da limitare le interazioni aspecifiche con le altre molecole presenti non desiderate. • La presenza di gruppi chimici, facilmente attivabili con composti bifunzionali, sono indispensabili per l’attacco covalente dei ligandi sulla matrice, senza che questa venga danneggiata in alcun modo. • La stabilità chimica della resina deve essere buona con i vari reagenti e con le variazioni dei parametri fisici impiegati nella fase di eluizione. • Le caratteristiche di porosità e rigidità della matrice devono essere tali da permettere l’uso di flussi lineari adeguati e il passaggio delle molecole nella struttura tridimensionale della fase stazionaria.

  38. Tra i ligandi disponibili su matrici vi sono: Proteina A: ha la capacità di interagire con la parte Fc delle immunoglobuline G (IgG) Proteina G: lega anch’essa la parte Fc delle immunoglobuline G ma permette di ampliare lo spettro applicativo con ulteriori specie di IgG. Lectine: proteine in grado di interagire reversibilmente con zuccheri specifici. Permettono di separare glicoproteine, glicolipidi, polisaccaridi etc Eparina: è un glicosaminoglicanosolfato in grado di interagire con un gran numero di molecole quali enzimi, fattori di crescita, recettori di ormoni e proteine strutturali. Poli (U): acido poliuridilico permette la separazione veloce e selettiva di RNA messaggero e altri acidi nucleici. Coloranti: coloranti sintetici come il Cibacron Blue, Procion Red, presentano delle somiglianze strutturali con cofattori di enzimi quali il NAD+ e NADP+: questa caratteristica permette di legare per affinità diverse classi di proteine.

  39. Vantaggi L’interazione tra matrice e proteina è estremamente selettiva e specifica. La tecnica non è strettamente dipendente dal volume del campione. La selettività del legame permette di utilizzare la cromatografia di affinità fin dai primi passaggi di purificazione. Nel caso di enzimi, se la selezione è basata sull’uso di ligandi che interagiscono a livello del sito attivo, la cromatografia è in grado di selezionare le molecole cataliticamente attive. Rispetto ad altre tecniche cromatografiche, quella di affinità raggiunge i più alti indici di purificazione. Svantaggi La necessità di reazioni di attivazione delle matrici, qualora sia necessario preparare un gruppo selettivo non disponibile commercialmente. Il costo di molte matrici attivate o con ligando pronto all’uso è elevato. Se si utilizza una eluizione specifica, potrebbero essere poi necessarie filtrazioni per eliminare i ligandi.

  40. Chromatofocusing E’ una cromatografia utilizzata per la separazione di proteine che si basa su differenze di punto isoelettrico delle stesse. Le proteine si fermano nel letto cromatografico là dove il gradiente di pH preparato precedentemente corrisponde al punto isoelettrico delle varie molecole. Industrialmente non viene spesso utilizzata per: Costo elevato delle matrici Necessità di allestire un gradiente di pH prima della corsa cromatografica con i tamponi adatti Relativa complessità della tecnica rispetto ad altri tipi di cromatografie.

  41. Cromatografia in fase inversa Il meccanismo di separazione si basa sull’interazione idrofobica tra il soluto nella fase mobile e un ligando immobilizzato sulla fase stazionaria. La matrice è idrofobica e il solvente variamente polare. Nella fase inversa non si hanno decrementi della forza ionica mediante diluizioni di soluzioni saline, ma si varia gradualmente la polarità della fase di eluizione con solventi organici, determinando così il deadsorbimento delle molecole. La matrice è essenzialmente insolubile con gruppi funzionali idrofobici legati covalentemente.

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