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LA PSICOMOTRICITA’: Come rilevare le difficoltà attraverso il gioco

LA PSICOMOTRICITA’: Come rilevare le difficoltà attraverso il gioco. Corso formazione docenti Ist. Tecnico Industriale Statale “G.De Giorgi” Brindisi 12 febbraio 2008 D.ssa Luciana FENU. IL GIOCO.

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LA PSICOMOTRICITA’: Come rilevare le difficoltà attraverso il gioco

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  1. LA PSICOMOTRICITA’:Come rilevare le difficoltà attraverso il gioco Corso formazione docenti Ist. Tecnico Industriale Statale “G.De Giorgi” Brindisi 12 febbraio 2008 D.ssa Luciana FENU

  2. IL GIOCO • Il gioco appartiene alla dimensione sociale, che è spesso difficile spiegare in termini logici; • I bambini giocano indipendentemente; dall’appartenenza culturale nazionale; • Giocano per il solo piacere di farlo; • Giocare rafforza la comprensione sociale del bambino; • Il gioco origina dalla percezione infantile personale della realtà; • Giocare è un’attività creativa; • Giocare è l’unico modo che il bambino ha per esprimersi.

  3. TEORIE DEL GIOCO IL GIOCO PUO’ ESSERE INTESO COME: • UNA DISPOSIZIONE PSICOLOGICA; • UN INSIEME DI COMPORTAMENTI OSSERVABILI; • UN CONTESTO ALL’INTERNO DEL QUALE OSSERVARE IL VERIFICARSI DI PARTICOLARI FENOMENI. (Rubin, Fein, Vandenberg)

  4. Il gioco come disposizione psicologica Prevede la combinazione di sei componenti diverse: • La motivazione intrinseca; • La priorità di mezzi sul fine; • La dominanza dell’individuo rispetto alla realtà esterna; • La non letteralità; • La libertà dai vincoli; • Il coinvolgimento attivo.

  5. IL GIOCO COME COMPORTAMENTO OSSERVABILE Secondo uno schema evolutivo: • Il gioco di esercizio • Il gioco simbolico • I giochi con le regole (Jean Piaget, 1945) Secondo i materiali del gioco: • Giochi con oggetti • Giochi con le parole • Giochi con materiali sociali (Catherine Garvey, 1977)

  6. IL GIOCO COME CONTESTO • Sia come situazione all’interno della quale leggere specifici fenomeni (es: particolari processi cognitivi o competenze sociali) • Sia in rapporto alle circostanze in ambito delle quali le condotte ludiche hanno luogo (attenzione alle condizioni in cui il gioco si verifica, osservazione spontanea, ecc.).

  7. JEAN PIAGET Colloca il gioco nella teoria dello sviluppo cognitivo, più precisamente nel processo di “formazione del simbolo” • Il gioco sostiene la funzione simbolica. • Tramite il gioco i bambini fanno pratica di un’attività mentale che consiste nel creare simboli per evocare eventi o situazioni non presenti nella realtà. • Il gioco è governato dall’assimilazione. • Il gioco svolge nello sviluppo due funzioni: 1)consolida capacità già acquisite attraverso la ripetizione e l’esercizio; 2)rafforza nel bambino il sentimento di poter agire efficacemente sulla realtà.

  8. LEV VYGOTSKIJ Considera limitante una visione del gioco in termini essenzialmente cognitivi e rivolge l’attenzione agli affetti, alle motivazioni, alle circostanze interpersonali all’origine di questo. • Il gioco rappresenta una risposta originale a bisogni non soddisfatti. • Nel gioco il pensiero è separato dagli oggetti e l’azione nasce dalle idee più che dalle cose. • Il gioco, collocandosi nell’ambito del possibile, apre una zona di “sviluppo prossimale”.

  9. GEORGE MEAD Analizza il gioco come una delle condizioni sociali al cui interno emerge il Sé (gioco simbolico, assunzione di ruolo). • Due sono i processi sociocognitivi implicati nel gioco simbolico: • Assunzione di ruolo (riguarda l’azione) • Assunzione di prospettiva (vedere le cose dal punto di vista del personaggio immaginario) Si viene così a creare un processo di azione e reazione attraverso il quale si consolidano le nozioni di Sé e di Altro

  10. GREGORY BATESON Individua il gioco come una specie di palestra per l’esercizio delle abilità metacomunicative • Gioco di finzione: consiste nel comunicare su qualcosa che non esiste. I bambini agiscono in una realtà fittizia e si comportano come se fosse vera

  11. IL GIOCO COME COMPORTAMENTO OSSERVABILE • Secondo Piaget, il gioco è da intendersi come “assimilazione pura”, ovvero come un processo cognitivo attraverso il quale i dati dell’esperienza vengono inglobati, “assimilati” entro schemi mentali già acquisiti. • Es: “dopo aver appreso ad afferrare, dondolare, lanciare,ecc.., il bambino afferra per il piacere di afferrare, dondola per il gusto di dondolare” Il gioco comincia quando il comportamento del bambino non è più guidato dalla necessità di apprendere o di ricercare una soluzione ma soltanto dal piacere funzionale, cioè dal piacere di esercitare abilità già acquisite.

  12. GIOCO SENSOMOTORIO NEI PRIMI DUE ANNI • Il gioco ha un carattere percettivo-motorio • Il bambino si rapporta solo con oggetti percettivamente presenti • È assente una rappresentazione interna • Il gioco è costituito da una o due azioni • Il bambino è intento ad acquisire il controllo dei movimenti, impara a coordinare i gesti e la percezione dei loro effetti. • Prima dei 2 anni il gioco viene definito funzionale in quanto l’oggetto è riconosciuto nel suo uso e adoperato in quanto tale. • A 18 mesi-2 anni: comparsa del gioco simbolico. Grazie alla funzione rappresentativa, nel gioco di finzione gli oggetti adoperati rappresentano cose completamente diverse.

  13. I GIOCHI DI FANTASIA • Dai 3 anni in poi i temi del gioco simbolico non dipendono più dall’esperienza diretta ma diventano temi di fantasia, con ruoli ben definiti e la presenza di regole (“Facciamo che io ero..”). • Si differenzia dal gioco simbolico perché solitamente coinvolge più bambini e non riguarda più la routine quotidiana ma soprattutto il mondo dell’immaginazione. • Gioco sociodrammatico o di fantasia: sono riconoscibili azioni, personaggi, trame, elementi di una storia (drammatico). Vi è la natura collettiva del gioco e la presenza di ruoli socialmente codificati (sociale). Questo tipo di giochi testimoniano la capacità del bambino di capire i ruoli sociali, le regole che caratterizzano i rapporti interpersonali, e di pensare con la testa degli altri.

  14. IL GIOCO DI FANTASIA: LE REGOLE • Coerenza interna nel gioco di simulazione: la bambina immagina di essere la madre e immagina che la bambola sia il bambino, così deve obbedire alle regole del comportamento materno. • Ciò che nella vita normale passa inosservato, diventa una regola di comportamento nel gioco. • Richiama notevoli capacità metacomunicative: reciproci ruoli, alternanza dei turni, strategie di negoziazione, ecc.

  15. I GIOCHI CON LE REGOLE • Compaiono alla fine dell’età prescolare • Richiede almeno due partecipanti in competizione tra loro • Il comportamento dei giocatori è regolato da un codice solitamente prestabilito. • Sono convenzionali e difficilmente modificabili • Mette alla prova le proprie capacità e sino a che punto si è in grado di arrivare rispetto ad un determinato obiettivo.

  16. Il gioco simbolico • “il bambino non riesce come noi a soddisfare i bisogni affettivi e anche intellettuali del suo io….E’ dunque indispensabile al suo equilibrio affettivo e intellettuale che egli possa disporre di un settore di attività la cui motivazione non sia l’adattamento al reale, ma al contrario l’assimilazione del reale all’io, senza costrizioni né sanzioni: tale è il gioco che trasforma il reale per assimilazione più o meno pura ai bisogni dell’io” J.Piaget

  17. Il gioco simbolico • I tre più importanti temi che caratterizzano questo cambiamento, che interessa il periodo di età che va dai 12 ai 36 mesi, sono: 1. il decentramento, che svincola le azioni simboliche dal corpo del bambino e permette la differenziazione di significati da azioni sensomotorie a rappresentazioni astratte di significato, 2. la decontestualizzazione, che consente al gioco simbolico di essere eseguito con un sostegno ambientale decrescente, 3. l’integrazione che fa si che comportamenti simbolici o significati siano coordinati in sequenze.

  18. IL GIOCO SIMBOLICO • Da un punto di vista cognitivo perché si costituisca una competenza ludico-simbolica è necessario che il bambino sia capace di rappresentazione mentale. • I meccanismi sensomotori ignorano la rappresentazione. L’oggetto permanente (9-12 mesi) è ricerca di un oggetto scomparso ma che è stato appena percepito, corrisponde ad un’azione in corso ed un insieme di indizi attuali permette di ritrovarlo. • Secondo Piaget è l’imitazione che assicura il passaggio dal senso-motorio al pensiero rappresentativo, preparandone il simbolismo necessario.

  19. LA FUNZIONE SEMIOTICA • Al termine del periodo sensomotorio (18-24 mesi) si manifesta una funzione fondamentale che consiste nel poter rappresentare qualcosa (un significato) per mezzo di un significante differenziato che serve solo a questa rappresentazione, la funzione semiotica, caratterizzata da almeno 5 condotte: l’imitazione differita, il gioco simbolico, il disegno, l’immagine mentale, il linguaggio. • La funzione semiotica (l’insieme dei significanti differenziati) stacca il pensiero dall’azione e crea in qualche modo la rappresentazione.

  20. LA FUNZIONE SEMIOTICA • L’imitazione differita: compare in assenza del modello e costituisce un inizio di rappresentazione. Il gesto imitatore è un inizio di significante differenziato. • Il gioco simbolico: il significante differenziato è un gesto imitatore ma accompagnato da oggetti che divengono simbolici. • Il disegno: o immagine grafica è dapprima intermediario tra il gioco e l’immagine mentale. • L’immagine mentale: appare come un’imitazione differenziata. • Il linguaggio: permette l’evocazione verbale di avvenimenti non attuali.

  21. GIOCO E LINGUAGGIO • Il bambino che usa i simboli, che imita modelli non visibili, interiorizzati, e che adopera le parole per riferirsi ad oggetti non presenti è ormai un bambino che pensa. • Per Piaget l’origine del pensiero è da ricercarsi nella funzione simbolica: “…è permesso concludere che il pensiero precede il linguaggio, e che quest’ultimo si limita a trasformarlo profondamente”. • Per Vygotskij pensiero e linguaggio hanno radici differenti, il passaggio da uno all’altro non è automatico, lo sviluppo di entrambi è inscindibile dal contesto sociale dell’individuo. Il linguaggio prende avvio nell’ambito del rapporto interpersonale.

  22. GIOCO E LINGUAGGIO Diverse ricerche confermano la stretta correlazione tra la comparsa del linguaggio, il gioco simbolico e l’imitazione. • Ricerche recenti dimostrano che la gestualità nel gioco simbolico si sviluppa di pari passo con gli inizi del linguaggio ed é legata, a quanto pare, al desiderio di comunicazione. • Sia i comportamenti articolatori nel linguaggio che quelli gestuali nel gioco sono usati per rappresentare informazione riguardante oggetti ed eventi nel mondo reale. • Risultati di studi correlativi hanno confermato una relazione generale tra gioco simbolico e linguaggio. In uno studio di Fein bambini che avevano punteggi alti nella comprensione di linguaggio a 18 e a 24 mesi mostravano significativamente più finzione decentrata (per es., dare da mangiare alla bambola col poppatoio) dei bambini con punteggi di comprensione più bassi. • Rosenblatt ha osservato che bambini di 12-24 mesi con un livello di linguaggio avanzato per la loro età eseguivano gioco di rappresentazione più spesso degli altri bambini. • Bates et al., (1979) hanno constatato che in bambini fra i 9 e i 13 mesi le misure di gioco simbolico erano le più predittive di azione e linguaggio.

  23. Il modello di McCune Nicolich Nello schema evolutivo di McCune (1981) il gioco simbolico è caratterizzato da diversi livelli di sviluppo: Livello 1: Schemi presimbolici. Azione e significato sono uniti. L’atteggiamento verso gli oggetti è realistico (es: bere da un bicchiere) Livello 2: Schemi autosimbolici. Appare la consapevolezza tra ciò che è letterale e ciò che è per finta (es: bere rumorosamente). Riguardano sempre le routine della vita quotidiana (da 13 mesi). Livello 3: Gioco simbolico decentrato. Azioni dirette ad altri o all’oggetto. Prima il bambino era agente attivo, ora esce dalla situazione e manipola gli altri. Il bambino mette in atto una singola azione alla volta. Livello 4: Gioco simbolico combinatorio. Compie una sequenza di azioni secondo un ordine temporale e causale. Livello 5: Gioco simbolico gerarchico. L’attività di finzione non è più guidata dagli oggetti ma da un processo mentale. Prevede una pianificazione che precede l’esecuzione

  24. IL GIOCO SIMBOLICO E LINGUAGGIO • il livello 2 coincide con le prime parole. • il livello 3 è raggiunto da quei bambini che hanno acquisito un linguaggio rappresentazionale (riferirsi verbalmente ad oggetti assenti o eventi passati). • Il gioco simbolico combinatorio emerge simultaneamente alle prime combinazioni di parole. • La capacità di pianificare e di organizzare gerarchicamente il gioco corrisponde alle combinazioni variate ed estese di parole. • Successivamente lo sviluppo di linguaggio si distacca dallo sviluppo del gioco e precede autonomamente.

  25. GIOCO E LINGUAGGIO Periodo sensomotorio: le parole servono per accompagnare un'azione o per evocarla • 9/12 mesi : (comparsa dell’oggetto permanente) il bambino utilizza gesti comunicativi detti illocutori, performativi o deittici: offre, porge, indica, prende, ecc. Esprimono un’intenzione comunicativa e si riferiscono ad un oggetto/evento che si ricava osservando il contesto. (stretta correlazione tra il gesto indicare e sviluppo del linguaggio) • Dai 12 mesi in poi: utilizza gesti referenziali. Produce le prime parole. Il bambino tocca gli oggetti denominandoli. • Da 16 mesi in poi: aumento esponenziale della produzione verbale, riduzione/scomparsa dei gesti referenziali.

  26. GIOCO E LINGUAGGIO Periodo preoperatorio: le parole si separano dagli schemi sensomotori per assumere la funzione di ri-presentare la realtà stessa. • 18/36 mesi:Il linguaggio in questo periodo stimola ed organizza funzionalmente i pensieri e i suoi oggetti, senza tuttavia consentire al bambino di utilizzarli per finalità operative senza avere un riferimento concreto. Molta di questa fase viene impiegata per sviluppare e consolidare il sistema fonologico, sintattico e il vocabolario, precisando i contenuti mentali. Le frasi diventano più complesse. • Dai 4 anni in poi: inizia l’uso dello schema narrativo

  27. IL LINGUAGGIO EGOCENTRICO Egocentrismo per Piaget significa: “difficoltà nel tener conto delle differenze dei punti di vista tra gli interlocutori, dunque nell’essere capaci di decentramento” Bambino di 4 anni intento a giocare con un trenino dice “Ora arriviamo alla stazione”. Per Piaget tale frase avrebbe lo scopo di riflettere i pensieri e le intenzioni del bambino, non di comunicare con un’altra persona. Inizialmente subordinato al pensiero, il linguaggio solo più tardi diventerebbe comunicativo e sociale. “I discorsi dei bambini dai 4 ai 6 anni non sono tutti destinati a fornire informazioni o a porre domande (linguaggio socializzato), ma spesso consistono in monologhi collettivi durante i quali ciascuno parla per sé senza ascoltaregli altri (linguaggio egocentrico) (Piaget Inhelder)

  28. IL LINGUAGGIO EGOCENTRICO • Per Vygotskij: il monologo egocentrico altro non è che un pensiero ad alta voce che anticipando il linguaggio interiore aiuta come principio regolatore, il pensiero e il comportamento. • Tuttavia, sia Piaget che Vygotskij postulano una stretta connessione tra pensiero e linguaggio.

  29. PENSIERO EGOCENTRICO L’egocentrismo intellettuale: il bambino agisce sul piano pratico in modo differenziato, sa di esistere e di avere sensazioni la cui fonte è il mondo esterno. • 4/6 anni: definito da Piaget intuitivo, in quanto il bambino interpreta la realtà basandosi soprattutto sull'intuizione e in riferimento alla propria esperienza diretta. • L'egocentrismo tipico di tutto lo stadio assume tre particolari manifestazioni: • Animismo: le cose sono viventi e dotate d’intenzionalità; • Artificialismo: le cose sono state costruite dall’uomo o da un’entità divina; • Realismo o letteralità: il pensiero è qualcosa di materiale. I bambini prendono tutto alla lettera. Sono incapaci di fare metafore autentiche. • L’egocentrismo si manifesta anche nella comprensione di rapporti spaziali e temporali (esperimento della montagna). Piaget ha riscontrato tendenze egocentriche anche nella valutazione del tempo: fino ai 6-7 anni confondono la durata degli eventi con gli indici spaziali degli eventi stessi.

  30. Il racconto del bambino • Il racconto di sé: ciò che manca al bambino piccolo è la capacità di organizzare gli eventi o i ricordi in forma narrativa, cioè in una forma organica e coerente che colloca il ricordo o l’evento nel tempo e nello spazio. • Quando questa capacità è acquisita, viene applicata automaticamente anche ai propri ricordi infantili, che vengono trasformati radicalmente perché possano essere inseriti in un contesto strutturato e coerente. • Inoltre la nostra memoria è selettiva: vengono ricordati soprattutto gli episodi che hanno una particolare connotazione affettiva o emotiva. • Rispetto alle testimonianze infantili, l’età dei 6 anni sembra a molti operatori un limite invalicabile. • Quando al bambino vengono poste delle domande, la sua risposta è influenzata da tre fattori: dalla sua conoscenza del linguaggio, dalle aspettative su ciò che immagina che l’adulto voglia, dal contesto in cui la domanda è inserita. • Inoltre, nel rispondere ai quesiti dell’adulto, il bambino è spinto dalla tendenza all’acquiescenza. Anche di fronte a domande strane e bizzarre il bambino tenderà a dare una risposta purchessia. Es: in un esperimento, Hughes e Grieve (1983), hanno posto a bambini tra 5 e 7 anni domande senza senso “Il latte è più grande dell’acqua?”, nessun bambino si rifiutava di rispondere e non chiedeva che gli si chiarisse il concetto della domanda. • Solo intorno agli 8 anni i bambini sono in grado di produrre storie autobiografiche complete.

  31. IL GIOCO E LE COMPETENZE SOCIALI • Il gioco simbolico si configura come una palestra nella quale esercitare le competenze sociali. • È risultato un collegamento positivo tra diverse misure relative al funzionamento sociale dei bambini quali la popolarità, l’accettazione, la prosocialità, l’alternanza dei turni e il gioco simbolico. • I bambini che tendono al gioco di fantasia sono risultati meno aggressivi e più aperti alla collaborazione con i compagni.

  32. LE COMPETENZE SOCIALI • La socialità concorrono a formarla più componenti, sia di ordine cognitivo che affettivo-emotivo. G. Petter ne indica almeno tre: • acculturamento: l’individuo è adattato alla presenza ed alle esigenze di altri individui che vivono nel suo stesso ambiente ed interagiscono con lui in vario modo. • La capacità di un individuo di porsi anche dal punto di vista degli altri. • La capacità di entrare anche emotivamente in consonanza con gli altri.

  33. LE COMPETENZE SOCIALI ETA’ PRESCOLARE .2-5 anni: autonomia, iniziativa, autoregolazione • 2-3 anni: Autonomia/vergogna o dubbio: controllo sul proprio corpo e sui propri movimenti, autonomia personale, ecc. (componente positiva). In opposto: eccessive esperienze di vergogna, esposizione alle critiche, dubbio su se stessi, ipercontrollo (componente negativa). • 4-5 anni: Iniziativa/senso di colpa: intraprendere, pianificare, portare avanti degli scopi. L’iniziativa è sostenuta da progressi relativi alla mobilità, destrezza fisica, linguaggio, cognizione, immaginazione creativa (ruoli sociali nel gioco). In opposto senso di colpa se l’iniziativa viene castrata, se si sviluppa una coscienza severa che punisce comportamenti non accettati dagli adulti. • Dai 6 anni alla pubertà: industriosità/inferiorità: il tema ricorrente “io sono quello che imparo”. Esperienze positive danno al bambino un sentimento di competenza e di padroneggiamento, al contrario, il fallimento porta con sé un senso di inadeguatezza e di inferiorità.

  34. LE COMPETENZE SOCIALI Autoregolazione • L’autocontrollo viene raggiunto a 24 mesi: il bambino interiorizza le prescrizioni ed il controllo degli adulti. • L’autoregolazione intesa in senso ampio, include non solo un’autonomia fisica ma anche una percezione più realistica del pericolo, la coscienza morale, la capacità di resistere alle tentazioni. • Il processo d’interiorizzazione delle norme parentali, la possibilità di renderle sensibili al contesto, di interpretarle e di giungere quindi all’autoregolazione avviene all’interno di routine domestiche. • Le routine sono delle attività ricorrenti e prevedibili che caratterizzano la vita sociale. Sono fortemente dipendenti da un contesto.

  35. LE COMPETENZE SOCIALI: LE ROUTINE • Le routine si compongono di elementi successivi tra loro coordinati (es: andare a letto). Portano alla costruzione di copioni o script. • Le routine sono importanti per almeno 2 aspetti: • aumentano la prevedibilità dei fenomeni, creano un contesto di attese, questa prevedibilità dà sicurezza, comporta la consapevolezza che esiste una regola. • Proprio perché si riferiscono a situazioni familiari, sono una strada per imparare delle regole su come le cose vanno fatte, sono il contesto entro il quale avvengono esperienze cognitive, sociali ed emotive.

  36. ROUTINE E TEORIA DELLA MENTE • Una ricaduta importante prodotta dalle routine e dalla conseguente costruzione e violazione di regole riguarda la teoria della mente. • La comprensione di ciò che è normale attendersi o ciò che è normale fare in una data situazione include almeno 2 tipi di violazioni: 1° es: camminare ad occhi chiusi per raggiungere la propria stanzetta provocherà un ammonimento più o meno divertito da parte del genitore. 2° es: mettere una sedia sopra il tavolo per raggiungere un armadietto provocherà una grande arrabbiatura. Ciò significa che non rispettare una regola corrisponde ad una violazione di tipo morale. • A 4 anni il bambino che viola una regola, mette in atto delle strategie riparatorie usando per esempio la menzogna in modo da far credere che la regola è stata rispettata cercando delle attenuanti e ragionando dal punto di vista del genitore. • Questa particolare capacità di saper ragionare non nei termini di come stanno le cose ma di come gli altri pensano che siano presuppone una teoria della mente.

  37. La teoria della mente • Diversi filoni di ricerca sconfermano l’ipotesi dell’egocentrismo formulata da Piaget per spiegare l’inefficacia comunicativa sperimentata dai bambini. Si è trovato che già in età prescolare i bambini sono in grado di valutare caratteristiche distintive dell’interlocutore e produrre messaggi appropriati. • Intorno ai 4 anni il bambino sa ragionare non nei termini di come le cose stanno, ma di come gli altri pensano che stiano. Possiede una teoria della mente (abilità di inferire gli stati mentali degli altri).

  38. GIOCO E COMPETENZE SOCIALI ETA’ PRESCOLARE • A 2-3 anni i bambini sono in grado di istituire con il coetaneo scambi di oggetti, avere comportamenti imitativi e relazioni di tipo ludico. • A 4-5 anni le sequenze di collaborazione si fanno più frequenti e i giochi da diadici diventano di gruppo. Vi è una maggiore aderenza alle regole di gioco e una simmetria nella competizione. La simmetria nelle relazioni facilita l’alternanza e la reciprocità. • A quest’età il gioco permette di esprimere in modo socialmente accettato e divertente l’aggressività: l’azione aggressiva ha uno scopo giocoso, è segnalata da una mimica evidente che permette all’altro di comprenderne il significato, è condivisa da entrambi i partner, prevede un’intesa (gioco della lotta senza farsi male).

  39. GIOCO E COMPETENZE SOCIALI ETA’ SCOLARE • Nell’età scolare 5-11 anni, sul piano sociocognitivo si riscontrano notevoli progressi. Questi progressi sono il risultano sia dei processi avviati nell’età precedente, sia dalle nuove esigenze poste dal sistema scolare. • Durante questo periodo i bambini sperimentano la capacità di “Role talking”, cioè la capacità di decentrarsi e di assumere un punto di vista diverso dal proprio. Manca ancora la capacità di mettere in relazione i vari punti di vista che si acquisirà verso la fine dell’età scolare. • Aumenta la comprensione delle relazioni sociali e dei ruoli sociali

  40. IL GIOCO DI GRUPPO Nel gioco di gruppo i bambini fanno esperienze interattive di diverso tipo: accettazione, rifiuto, isolamento. Sembrerebbe (Putallaz, 1983) che: • i bambini più ricercati (popolari) sono quelli capaci di giocare senza imporsi, che usano strategie per mantenere relazioni; • I turbolenti, molto attivi, loquaci e poco collaborativi rischiano di diventare dei rifiutati; • I bambini isolati sono timidi, poco aggressivi, insicuri, svolgono attività solitarie, evitano attività diadiche.

  41. LE INTERAZIONI PROSOCIALI E AGGRESSIVE • Connesse con le relazioni di accettazione, rifiuto e isolamento ci sono quasi sempre forme di interazione prosociale o aggressive. • Le condotte prosociali possono essere dirette (aiutano o recano piacere all’altro), indirette (legate ad un’attività strumentale). Denotano interesse verso l’altro. • Le condotte aggressive possono essere ostili e dirette (si nuoce l’altro) o strumentali e indirette (riguardano il possesso di un oggetto). • L’aggressione a sua volta può essere fisica diretta, verbale e indiretta: 1. Fisica: appartiene ai bambini piccoli che non hanno sviluppato le capacità verbali e sociali ad un livello simbolico; 2. Verbale: appartiene ai bambini che hanno sviluppato nel loro senso più pieno le capacità verbali e sociali; 3. Indiretta: appartiene ai bambini con un intelligenza sociale sufficientemente sviluppata. Diventano abili a recare danno psicologico mediante la manipolazione sociale. In condizioni normali aggressività e prosocialità vengono opportunamente utilizzate nella cooperazione e nella competizione.

  42. LE COMPETENZE SOCIALI Dinamiche relazionali e aggressività infantile È stata trovata sovente una correlazione tra ruolo di rifiutato e stile aggressivo. I bambini non adattati socialmente, vuoi perché rifiutati o perché aggressivi, sarebbero caratterizzati da un deficit sociocognitivo in base al quale farebbero degli errori di valutazione nel corso del loro processo di elaborazione delle informazioni sociali. Es: interpretano male i segnali sociali. Quando le interazioni aggressive riproducono se stesse e diventano stabili, solitamente si crea una circolarità tra il bambino e il suo ambiente: l’aggressività è sostenuta dalle risposte degli altri, ma anche dal modo che il soggetto ha di interpretarle. Non tutti i rifiutati sono aggressivi e non tutti gli aggressivi sono rifiutati.

  43. LE COMPETENZE SOCIALI Dinamiche relazionali e aggressività infantile Alcuni ricercatori (Himel et al.1990, Shaffer et al. 1996) hanno confrontato rifiutati aggressivi con rifiutati non aggressivi a 7 e 10 anni. A 10 anni i rifiutati non aggressivi presentavano problemi di interiorizzazione, erano paurosi, ansiosi e ritirati, mentre i rifiutati aggressivi avevano sviluppato problemi di esteriorizzazione, erano più ostili e impulsivi. Da questa ricerca sembra che quando il rifiuto si associa ad un basso livello di aggressività, può ostacolare un’adeguato sviluppo sociale, forse perché un basso livello di aggressività è esso stesso espressione di ansietà. Quando l’aggressività non è associata al rifiuto, essa stessa sembra contenere certi aspetti di competenza sociale, i bambini sono capaci di cercare una soluzione positiva tra i compagni.

  44. LA PSICOMOTRICITA’: come rilevare le difficoltà attraverso il gioco La psicomotricità: sia dal punto di vista teorico che operativo, considera la persona nella sua globalità psico-corporea, strutturale e funzionale, il cui vissuto complessivo svolge un ruolo di fondazione della vita e si pone come: • Base dello sviluppo dell’identità, • Espressione della vita emozionale, • Fondamento dei processi cognitivi, • Organizzatore della motricità funzionale e relazionale.

  45. PSICOMOTRICITA’ E GIOCO • Il bambino esprime attraverso il gioco e il movimento il suo funzionamento globale; gioco e movimento sono proprio oggetto di studio nell’approccio psicomotorio, dove la lettura delle modalità del corpo e del suo movimento in relazione con l’altro e con gli oggetti viene utilizzata come punto centrale della pratica.

  46. PSICOMOTRICITA’ E GIOCO: COSA OSSERVARE • COSA VEDO • COSA SENTO

  47. PSICOMOTRICITA’ E GIOCO COSA VEDO L’attenzione è orientata verso l’esterno e permette di osservare i dati oggettivi del bambino in • relazione con se stesso, • con l’altro, • gli oggetti, • lo spazio • il tempo

  48. PSICOMOTRICITA’ E GIOCO COSA SENTO L’attenzione è orientata verso l’interno con l’intenzione di portare alla consapevolezza • Le proprie sensazioni • Percezioni • Emozioni • Riflessioni

  49. PSICOMOTRICITA’ E GIOCO L’osservazione • Si utilizza l’integrazione tra un metodo descrittivo, che prevede una raccolta di dati oggettivi secondo i parametri psicomotori (o tenendo conto delle tappe dello sviluppo del bambino) ed il metodo dell’osservazione partecipata che permette di rilevare gli elementi soggettivi attraverso il vissuto di chi osserva.

  50. L’OSSERVAZIONE DEL GIOCO F. Montecchi • Realizzare un intervento efficace presuppone di: • Sapere (conoscere i contenuti teorici relativi al problema) • Saper fare (applicare le procedure operative adeguate) • Sapere essere (conoscere e gestire l’emozioni)

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