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Devarìm

Le leggi della maldicenza. La parola del Rabbino Capo. Regola 4

aiko
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Presentation Transcript


  1. Le leggi della maldicenza La parola del Rabbino Capo Regola 4 A. Tutte queste normative che abbiamo esposto riguardano precisamente l’individuo che ha l’abitudine di pentirsi dei suoi peccati; ma se si è esaminata la sua condotta e (constatato) che egli è privo di timore di D.o. e si dirige sempre verso la direzione sbagliata – come chi si svincola dal giogo del regno di D.o; o chi non si cura di una trasgressione che tutto il popolo conosce; quindi, sia che la trasgressione che si vuole rivelare sia stata commessa più oltre intenzionalmente dal peccatore, o che questi abbia commesso più volte deliberatamente una trasgressione nota a tutti, in ogni caso ciò dimostra che quell’individuo ha trasgressione un ordine divino non perché sopraffatto dal suo yètzer, anzi egli agisce con arroganza e non ha timore di D.o. – pertanto è permesso svergognarlo e raccontarne le malefatte, sia in sua presenza che in sua assenza. E se ha fatto un’azione o pronunciato una frase che si possano interpretare sia in modo positivo che in modo negativo, bisogna giudicarlo negativamente, visto che si è dimostrato un malvagio indefesso nelle altre situazioni. E così hanno detto i nostri Maestri nel Talmùd Bavlì (Bavà Metzi‘à 59a): “Non danneggiatevi l’un altro’ (Levitico 25,17) (significa che) non ingannerai a parole (quelli del) popolo che vivono con te secondo la Torà e i precetti” ma colui che è indifferente alla parola di D.o, è permesso svergognarlo con le sue malefatte, divulgarne le perversità e disprezzarlo. E hanno anche detto nel Talmùd Bavlì (Yomà 86b) “Si smascherino i ruffiani per via della profanazione del nome di D.o”. E, a maggior ragione, se l’ha rimpoverato e quello non si è ravveduto, in questo caso è permesso smascherarlo per i suoi peccati e rivelarlo alla luce del sole e disprezzarlo finché non tornerà sulla retta via, come ha detto Rambàm ( Mishnè Torà, Leggi della Conoscenza, cap.6 hal. 8). Però non bisogna dimenticare altri dettagli necessari a questo fine, come riportato nel “Pozzo d’Acqua Vivente”. (Liberamente tratto da “Le leggi della maldicenza” del Chafètz Chaìm, 2007) • Devarìm La Torà ci dice che Moshè cominciò ad arringare il popolo, ricordando loro le numerose occasioni nelle quali avevano mancato nei confronti di Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ durante i quarant’anni nel deserto. Tale ammonizione, dice la Torà, è cominciata il primo giorno dell’undicesimo mese del quarantesimo anno, ossia pochi giorni prima della morte di Moshè. Rashì, riportando in breve il Midràsh Sifrè, afferma che ciò che viene qui sottolineato è che le ammonizioni sono giunte in prossimità della morte di Moshè perché così doveva avvenire: Moshè si era rifatto all’esempio di Ya‘aqòv, che anch’egli aveva richiamato i suoi figli in punto di morte. In aggiunta a questo, il Midràsh Sifrè riferisce che esistono diversi motivi per rimproverare solo in punto di morte. Uno di questi è il non essere costretti a ripetere il proprio richiamo (in caso di recidiva o comunque di non considerazione per il rimprovero ricevuto), un altro motivo è l’evitare che l’oggetto del rimprovero, rincontrando chi lo ha ripreso, si vergogni in sua presenza. Qui, però, sembra ci sia una contraddizione nelle parole del Sifrè: se ci sono questi (ed altri) validi motivi, perché viene ribadito che Moshè si è ispirato a Ya‘aqòv? Anche senza il suo esempio avrebbe avuto ottimi motivi per farlo! La risposta è che Moshè ha agito non per i pur validissimi motivi che ben conosceva, ma solo per riprendere un comportamento già tradizionale, ossia perché l’aveva già fatto il Patriarca Ya‘aqòv. In altre parole, la cosa essenziale era un legame di continuità con la generazione passata, legame che costituisce un forte elemento di identità e quindi di forza, aldilà di qualunque motivazione logica. Rav Elia Richetti

  2. בס"ד תורת היום settimanale no. 221 I MAESTRI DELL'EBRAISMO ITALIANO 4 Av 5769 25 Luglio 2009 • Rav Isaac Porto • Morto nel 1577, era stato Rabbino a Mantova. Negli ultimi tempi della sua vita fu a lungo in prigione, a causa delle false accuse del suo oppositore Rav Avrahàm Yaghèl Gallico. • Rav Avrahàm Menachèm Rapaport Nato nel 1520 e deceduto dopo il 1594, fu uno dei più eminenti Rabbini di Verona. Aveva studiato a Venezia sotto Rav Elia Levita, ed esercitò la professione di correttore di bozze nella stamperia Bragadin. Fu testimone del rogo del Talmud a Verona nel 1553, e ne istituì la commemorazione annuale il 13 ed il 14 Chaeshwàn. Nel 1555 scrisse il suo “Tzafenàth Pa‘anéach”. Lasciò Venezia nel 1574 per Cremona, dove rimase fino al 1582. dal 1584 al 1592 fu Rabbino Capo di Verona e della sua Yeshivà, che era al momento al culmine del suo splendore. Nel 1593 era a Cologna. Pubblicò nel 1594 a Verona il “Minchà Belulà”, un commento alla Torà su base midrashica. Aveva predisposto anche il commento ad altri testi biblici, nonché al Pirqè Avòth, m a non furono mai pubblicati. Alcuni suoi responsi compaiono nelle opere di contemporanei, altri sono ancora manoscritti. Fu fra coloro che vietarono lo studio del “Me’òr ‘Enàyim” di ‘Azaryà De’Rossi, ma dopo che David Provenzal e Yehudà Moscato lo permisero, si allineò alla loro posizione. La sua firma appare fra i firmatari del bando contro il gioco d’azzardo. AVVISO Le caramelle Mentos di tutti i gusti sono Kashèr e Parve sotto la sorveglianza del Rabbinato d’Olanda, e anche sotto quella del Rabbinato Centrale d’Israele. La Torà del Giorno A cura dell’Ufficio Rabbinico di Venezia La Parashà della settimana: Devarìm Acc. lumi ore: 20.30 Uscita ore: 21.40 AVVENIMENTI DELLA SETTIMANA Giovedì: 9 Av 5769 (30 Luglio 2009) digiuno del 9 Av; 1939 anni dalla distruzione del secondo Tempio e memoria della distruzione del primo Tizkù lir’òth be-nechamàth Tziyòn be- karòv Amèn Mazal Tov

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