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Business Continuity: i piani di emergenza

Business Continuity: i piani di emergenza. Vallombrosa – 7 ottobre 2005. Premessa.

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Business Continuity: i piani di emergenza

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Presentation Transcript


  1. Business Continuity: i piani di emergenza Vallombrosa – 7 ottobre 2005

  2. Premessa L’esame di diverse catastrofi avvenute negli USA, forniscono molte informazioni per poter trarre le c.d. “lessons learned”. Ho riportato in questa presentazione alcune di esse e, al termine, ho cercato di trarre delle considerazioni conclusive. Ciò soprattutto al fine di stimolare il dibattito sia sul tema della stesura dei piani di gestione dell’emergenza, sia sul Crisis e Business Continuity Management.

  3. Ohio River Valley (Missouri, Arkansas, Tennessee) • 1937 • Un’alluvione eccezionale colpì tutta la vallata • Nessun danno a persone. 13 mil. US$ in danni stimati. • Non c’erano né piani di gestio-ne emergenza né sistemi di allarme. • Una efficace collaborazione fra tutti gli attori, l’esperienza pregressa di molti, il pronto impiego di squadre governa-tive di WPA (disoccupati), consentirono di limitare i danni alle persone e riprendere le attività in tempi ragionevoli.

  4. Texas City • 1947 • Esplosione di due navi con fertilizzante a bordo • 600 morti (molti bambini), 3/4000 feriti, case distrutte in un largo raggio, 67 mil.$ di danni • I morti furono principalmente fra i vigili del fuoco, i volontari, i curiosi. L’incendio si estese alla seconda nave, che non era stata allontanata, causandone succes-sivamente l’esplosione e facendo varie vittime fra gli intervenuti per la prima nave. Esplosero anche i limitrofi serbatoi di carburante. • Non c’erano piani di emergenza. I Vigili del Fuoco all’opera, poco prima della esplosione della nave.

  5. Texas City: altre immagini

  6. Three Mile Island • 1979 • La centrale nucleare stava per subire la fusione del nocciolo. • Nessun danno • Data l’assenza del piano di emergenza (ne erano stati presentati due da parte di due Enti diversi e nessuna decisione era stata presa) ogni Ente diede alla popolazione locale messaggi anche contrastanti. • Ciò nonostante, la popolazione in gran maggioranza chiuse la casa e 145.000 persone si allontanarono ordinatamente con la propria auto in “a massive, unplanned and un-directed, fashion”.

  7. Livingston, Lousiana • 1982 • Deragliamento di 43 vagoni di un treno contenente prodotti chimici ed esplosione di buona parte del contenuto • Distrutte molte case; tante fortemente danneggiate; nessun danno serio alle persone. • I danni furono assai contenuti e non ci furono vittime grazie al pronto intervento degli Enti locali ed alle decisioni rapidamente prese, quali: pronta evacuazione della popolazione, blocco della limitrofa autostrada, ecc. • Ottima fu la collaborazione fra i diversi Enti intervenuti: le decisioni furono prese rapidamente. Ottima la comunicazione alla popolazione.

  8. Washington • 1982 • Caso forse unico di concomi-tanza di più eventi: tempesta di neve; fiume ghiacciato; deragliamento di un vagone della metro; caduta di un aereo. • Paralisi del traffico; 78 morti nel disastro aereo; ritardi paurosi nell’arrivo dei soccorsi • Le critiche riguardarono soprattutto l’incapacità di soccorrere i feriti per non aver previsto una congestione del traffico (e quindi corsie riservate ai mezzi di soccorso) e il congelamento del fiume Potomac.

  9. Miamisburg, Ohio • 1986 • Deragliamento di vagoni contenenti fosforo, zolfo fuso e sego • 589 persone ospedalizzate; 30.000 evacuati; 3.5 mil.$ i danni stimati • Combustione del fosforo e nube tossica. I documenti in possesso del personale intervenuto davano istruzioni contraddittorie. La situazione fu presa in mano dalle autorità locali e la popolazione fu evacuata. • L’incendio durò 5 giorni, ma i danni furono contenuti. • Questo episodio è ricordato in particolare per il ruolo dei telefoni cellulari

  10. One Meridian Plaza Philadelphia • 1991 • Incendio al 22° piano • 3 morti (VVFF), 24 feriti, danni strutturali all’edificio stimati in 150 mil. US$. • Un incendio scaturito un Sabato notte in un edificio adibito ad uffici, ha comportato l’indisponi-bilità totale del palazzo di 38 piani. • Le cause: ritardo nella indivi-duazione della dimensione dell’ incendio, assenza di sprinklers automatici, non funzionamento del sistema elettrico di backup, carenza di comunicazione fra le squadre dei pompieri.

  11. Duluth, Wisconsin • 1992 • Deragliamento di un treno con materiale pericoloso (benzene). • 78 intossicati; circa 40.000 persone evacuate • Gli Enti locali si attivarono immediatamente e: ordinarono l’abbandono delle case, ospeda-lizzarono gli intossicati, crearono otto centri di raccolta della popolazione. Ciò ancora prima dell’arrivo della guardia nazionale e delle agenzie federali. • Non c’erano piani, ma gli addetti ai soccorsi avevano già partecipato ad interventi in aiuto ad altre popolazioni limitrofe in occasione di altri disastri nel 1970, 1971, 1975.

  12. Chicago • 1992 • Allagamento di tunnel sotterranei • 200 edifici senza energia; danni per 1,5mld.$ • A Chicago nel 1904 furono costruiti dei tunnel, per il trasporto di merci e carbone, che corrono sotto il fiume a 15 metri di profondità. Alcuni lavori sul fiume provocarono una falla che, trascurata, comportò l’allagamento dei tunnel. 250.000 persone furono evacuate, ma non bloccarono l’attività delle aziende che avevano pronti i piani di disastro. Il punto ove iniziò la falla nel tunnel

  13. World Trade Center • 1993 • 6 morti, 1000 feriti, danni per 1,5mld. US$ • 600 kg. di esplosivo detonarono in un furgone in un garage e provocarono danni alla struttura portante e misero fuori uso il sistema elettrico e quello telefonico. 50.000 persone dovettero essere evacuate. • La presenza di un piano di emergenza e la regolare ese-cuzione di prove consentirono di contenere i danni.

  14. New Jersey • 1993 • Tempesta di neve • Danni per circa 2,6 mil.$ • Venti di elevata intensità e neve. I disastri furono gestiti da un’unità centralizzata in un bunker. Furono colpite tutte le 21 contee. • La presenza di un piano e le prove di gestione dell’ emer-genza ebbero successo ed i danni furono molto limitati, specialmente quelli alle persone.

  15. Ohio River Valley (Missouri, Arkansas, Tennessee) • 1997 • L’alluvione, dovuta ad una pioggia eccezionale, colpì tutta la vallata • 30 morti, 20.000 case distrutte. • La quasi totalità della popolazione fu avvertita 4 ore prima dello evento, grazie ai sistemi di allar-me operativi. L’esondazione del fiume fu violenta, ma in alcuni casi le autorità locali non furono allertate per tempo o perché non conoscevano i nuovi strumenti o perché non raggiungibili telefoni-camente. Almeno 10 morti furono dovute o alla non conoscenza dell’ avvenuto allarme o alla sottovalu-tazione degli avvisi. Infatti, si trattava di una alluvione parago-nabile a quella di 60 anni prima, che i più non ricordavano.

  16. Uragano Katrina • 2005 • L’eccezionale uragano (categoria 5) ha provocato l’allagamento di città come New Orleans. • Oltre 1.000 morti, danni per circa 100 mld. di US $. • La FEMA è stata fortemente critica-ta per l’elevato ritardo nell’ inter-venire. Un uragano così disastroso aveva una probabilità di 1 / 200 anni. Non era altresì previsto il ra-pido susseguirsi di uragani. • La stampa cita quali esempi di effi-cienza: Shell, FedEx e Wal-Mart. In particolare, l’ultima si è sostituita alla FEMA nel portare beni di prima necessità alla popolazione. La quasi totalità dei suoi negozi era pronta ad operare dopo 24 ore dal passaggio dell’ uragano. La Shell aveva un piano di emergenza da attivare in caso di eventi disastrosi.

  17. Conclusioni: un piano condiviso e conosciuto l’esistenza di un piano di gestione dell’emergenza è assolutamente necessario e, altrettanto indispensabile, è che il piano sia condiviso e conosciuto da tutti gli attori; ciò è condizione necessaria ma non sufficiente, come abbiamo visto negli esempi citati e come esamineremo nei prossimi punti;

  18. Conclusioni 2: possibile concomitanza di due eventi nella creazione del piano, non si può escludere a priori la possibile concomitanza di due eventi, qualora uno dei due ha una probabilità alta di accadere; l’eventuale esclusione va ponderata attentamente (esempio: disastro di Washington, ove il piano per gestire un disastro aereo non prevedeva la contemporaneità di una tempesta di neve, evento non raro specialmente ad inizio gennaio);

  19. Conclusioni 3: il Crisis Management in alcuni particolari casi, i piani per specifici eventi estremamente rari possono anche non esistere, ma l’importante è che ci sia una struttura, e relative procedure organizzative, in grado di prendere subito in mano la situazione e dare le opportune istruzioni; è particolarmente importante la credibilità del Crisis Manager per l’efficace collaborazione fra le funzioni in campo (esempio: il caso Duluth);

  20. Conclusioni 4: sfruttare l’esperienza esistente fondamentale risulta sfruttare l’esperienza pregressa; ciò significa coinvolgere nello sviluppo del piano, o nella successiva gestione dell’emergenza, chi ha già avuto esperienze simili o identiche;

  21. Conclusioni 5: rapidità di intervento bisogna fare molta attenzione alla gestione degli allarmi; infatti, ogni ritardo nella identificazione dell’evento e nella comunicazione agli Enti preposti, può essere fatale (esempio: One Meridian Plaza a Philadelphia e, ultimamente, la Wilson Tower di Madrid; in entrambi i casi l’incendio avvenne di sabato notte e vi furono ritardi nel dare l’allarme);

  22. Conclusioni 6: credibilità delle misure di emergenza la consapevolezza dei rischi (ottenuta tramite un’opera assidua di sensibilizzazione), associata all’adozione di misure di emergenza che tengano in debito conto le attività abituali della popolazione, possono facilitare la gestione dell’ emergenza (ad esempio, l’abbandono rapido di un luogo) e dare una ragionevole speranza che – al momento opportuno – vengano seguite le istruzioni.

  23. Conclusioni 7: le risorse in reperibilità il numero di risorse necessarie a far riprendere l’operatività va attentamente valutato: ne servono poche nelle prime ore, ma addestrate all’emergenza e prontamente reperibili; successivamente, all’aumento del tempo di indisponibilità, si può ipotizzare di convocare un numero crescente di operatori: ciò consente di semplificare il processo di gestione dell’emergenza (che si potrebbe tradurre in: chi non è nella short list, va e resta rintracciabile a casa, fino a nuovo ordine);

  24. Conclusioni 8: durata dell’evento disastroso il fattore “tempo di indisponibilità” ha una notevole valenza, ma la sua stima non è semplice, specialmente se l’evento disastroso è fuori dal possibile controllo dell’Azienda (ad esempio: alluvione estesa); dall’analisi di alcuni disastri si è visto che vengono segnalati come eccezionali eventi con una durata di 5 o più giorni (senza escludere la perdita totale dell’asset, come nel caso di alcuni incendi); si potrebbe ipotizzare che, in assenza di dati da parte delle Autorità, il tempo massimo di indisponibilità di un sito si aggiri sulle 24 – 48 ore al massimo;

  25. Conclusioni 9: a quali eventi disastrosi prepararsi la recente esperienza negli USA ha dimostrato che le aziende avevano pronto un piano che prevedeva l’accadere di un evento non infrequente (l’uragano, ad esempio) ed avevano valutato le conseguenze qualora fosse disastroso; ad esempio, nel caso di “Katrina” abbiamo appreso che: • La Shell aveva progettato la chiusura dell’edificio di New Orleans e la rilocazione del personale in altre sedi, fino a che non vi fosse la dichiarazione di fine emergenza in città; • La Wal-Mart, che prevedeva un presidio minimo nei siti in caso di uragano di “normale” intensità, aveva progettato , in caso di evento disastroso, di evacuare tutte le risorse (denaro, personale, ecc.) e monitorare attentamente la situazione in modo da poter ripristinare i siti per supportare la popolazione, non appena possibile, sfruttando la vigilanza addetta al trasporto valori; • La FedEx, prevedeva di evacuare i siti, monitorare in tempo reale la situazione ed intervenire non appena possibile anche con squadre specialistiche di supporto.

  26. Conclusioni 10: le tre C della letteratura non si può concludere questa breve presentazione senza ricordare una recente affermazione: affinché la gestione della crisi funzioni, qualunque sia la qualità del piano disegnato, bisogna che gli attori (o le funzioni aziendali responsabili di gestirla) soddisfino in modo ottimale tre “C”: Comunicazione, Collaborazione, Coordinamento; ciò significa: a.chiara comunicazione agli interessati, b.piena cooperazione fra i singoli e fra le strutture organizzative, c.stretto coordinamento fra le funzioni. Ma abbiamo visto che non bastano: oltre ad un’opportuna sensibilizzazione ed a coinvolgere un giusto numero di risorse specialistiche, non ci si deve dimenticare dell’esperienza pregressa dei singoli e delle persone interessate all’emergenza.

  27. The end. Da allora il mondo è cambiato …

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