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I NUOVI FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE

I NUOVI FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE. Collegio Arcivescovile Castelli 1 marzo 2008 Dott. M. Daniele Etro. INTRODUZIONE. Nel campo della cardiopatia coronarica il solo fattore colesterolo risulta non essere la causa in oltre il 35% dei casi.

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I NUOVI FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE

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  1. I NUOVI FATTORI DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE Collegio Arcivescovile Castelli 1 marzo 2008 Dott. M. Daniele Etro

  2. INTRODUZIONE • Nel campo della cardiopatia coronarica il solo fattore colesterolo risulta non essere la causa in oltre il 35% dei casi. • In alcuni soggetti il solo fattore di rischio evidente è una storia familiare di malattia cardiovascolare precoce, spesso tuttavia senza una chiara predisposizione genetica. • Emerge quindi la necessità di identificare altri marcatori di rischio che accrescano le nostre conoscenze sui meccanismi fisiopatologici della malattia e che permettano lo sviluppo di nuove misure preventive e terapeutiche.

  3. INTRODUZIONE • I fattori di rischio classici (iperlipidemia, ipertensione arteriosa, diabete, fumo, sedentarietà, obesità) sono oggi affiancatida “nuovi” indicatori che sembrano essere correlati con lo sviluppo di eventi cardiovascolari, ma i dati della letteratura non sono sempre concordanti

  4. EPIDEMIOLOGIA • Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte. • Mentre la mortalità per patologia cardiache e cardiovascolari è in diminuzione nel sesso maschile, nelle donne si osserva un costante aumento di incidenza dall’inizio degli anni Ottanta, dovuto in parte alla crescita della popolazione femminile in menopausa.

  5. EPIDEMIOLOGIA • Negli uomini elevati valori di colesterolo totale e C-LDL rappresentano il principale fattore di rischio, nelle donne il diabete mellito e gli aumentati valori pressori hanno un’importanza maggiore nel determinare eventi cardiovascolari. • Per di più nelle donne l’associazione ipertensione arteriosa-diabete mellito conferisce un aumento del rischio cardiovascolare doppio rispetto agli uomini.

  6. SINDROME METABOLICA RESISTENZA INSULINICA OBESITA’ LIPIDI PRESSIONE BMI RAPPORTO VITA-FIANCHI PRESSIONE SISTOLICA PRESSIONE DIASTOLICA INSULINEMIA A DIGIUNO INSULINEMIA DOPO CARICO GLICEMIA A DIGIUNO GLICEMIA DOPO CARICO COLESTEROLO HDL TRIGLICERIDI Shen et Al Am J Epidemiol 2003

  7. LA “SINDROME METABOLICA” • Obesità addominale • Dislipidemia aterogena • Ipertensione • Insulinoresistenza +/- int. glucidica • Stato proinfiammatorio • Stato trombofilico

  8. LA “SINDROME METABOLICA” • La diffusione della sindrome metabolica è molto alta nelle società industrializzate come la nostra: si stima che in Italia gli adulti affetti siano più di 10 milioni.

  9. LA “SINDROME METABOLICA” • Problema anche per chi è responsabile della distribuzione dei fondi e delle risorse del Servizio Sanitario Nazionale, considerati sia gli altissimi costi dei controlli farmacologici sia gli oneri sanitari e sociali associati alle complicazioni vascolari della sindrome stessa.

  10. LA “SINDROME METABOLICA” • Aumenta circa 2 volte il rischio di sviluppare eventi cardiovascolari e circa 5 volte quello di nuova insorgenza di diabete mellito • Nonostante i limiti e non uniformità dei criteri adottati per la definizione di sindrome metabolica, è estremamente importante identificare i soggetti affetti, al fine di attuare un intervento di prevenzione delle complicanze cardiovascolari e in generale per ridurre la morbilità e la mortalità.

  11. LA “SINDROME METABOLICA” • Obiettivo terapeutico: • in primo luogo riduzione dei fattori ambientali (obesità, sedentarietà, ecc) • in seconda istanza trattamento dei fattori di rischio per aterosclerosi, trombosi e malattie cardiovascolari

  12. DIETA E MOVIMENTO • Una corretta alimentazione e una costante attività fisica determinano un netto miglioramento di molti parametri associati ad aumentato rischio cardiovascolare come l’assetto lipidico, l’insulino-resistenza, i livelli di pressione arteriosa, l’eccesso di tessuto adiposo. • Lo studio FinRisk ha dimostrato che un programma di riabilitazione fisica e dieta riduce il rischio di diabete mellito di circa il 50% nelle donne con sindrome metabolica.

  13. IPERTENSIONE • Il trattamento dell’ipertensione è più importante nelle donne che negli uomini. • La riduzione della pressione arteriosa a livelli ottimali (135 mmHg sistolica) o ideali (120 mmHg sistolica) induce una stessa riduzione del rischio cardiovascolare negli uomini, mentre nelle donne la strategia più aggressiva riduce significativamente di più il rischio.

  14. OBESITA’ ADDOMINALE • L’aumento dell’adiposità addominale nelle donne facilita lo sviluppo di diabete e ipertensione arteriosa. • La riduzione dei livelli degli ormoni sessuali causa un aumento dei valori pressori e del colesterolo, ma anche un aumento di peso con una redistribuzione del grasso che da ginoide diviene androide. • Pertanto l’obesità addominale rappresenta un importante fattore di rischio modificabile nel sesso femminile che necessita di un intervento precoce soprattutto nei primi anni dopo la menopausa.

  15. STRATEGIE TERAPEUTICHE NON FARMACOLOGICHE • la scelta di amidi a basso indice glicemico • una moderata restrizione lipidica che preferisca gli oli vegetali e bandisca gli acidi grassi trans • un adeguato apporto di fibra alimentare • in assenza di controindicazioni un moderato consumo di alcol • una regolare attività fisica • l’adozione delle stesse indicazioni nei soggetti non portatori della sindrome ne riduce la probabilità di comparsa.

  16. … A TAVOLA !! • Il parametro metabolico dei carboidrati più rilevante ai fini di prevenire le malattie cardiovascolari è il loro indice glicemico • Il consumo di alimenti a basso indice glicemico si associa a risposte metaboliche diverse: la risposta insulinica è meno marcata, la glicemia rimane più stabile, permettendo un più prolungato senso di sazietà e un maggior equilibrio nell’apporto alimentare • Anche l’impiego di lipidi di deposito per le esigenze energetiche e metaboliche, è più equilibrato.

  17. … A TAVOLA !! • Il consumo di alimenti a basso indice glicemico si associa a valori più elevati di colesterolemia-HDL e a valori più bassi di trigliceridemia (e di PCR) • La risposta glicemica di un alimento può essere favorevolmente modificata anche aumentandone il contenuto di fibra (sia naturalmente presente, sia aggiunta durante la preparazione o il consumo)

  18. … A TAVOLA !! • La fibra, infatti, sembra in grado di rallentare l’assorbimento del glucosio presente nei cibi, limitando quindi l’ampiezza della risposta glicemica. • Il consumo di fibra in quantità adeguate si assocerebbe anche a una riduzione del 20 % circa (secondo lavori USA) dei livelli plasmatici di PCR. • Secondo una recente metanalisi, tra l’altro, un elevato consumo di fibra si associa ad una significativa riduzione ( -18%) del rischio cardiovascolare globale.

  19. … A TAVOLA !! • Più che al contenuto totale di grassi nella dieta, oggi è importante guardare alla composizione lipidica, in particolare alla presenza di singoli e specifici acidi grassi. • Una dieta ricca in grassi saturi o insaturi a struttura trans (i cosiddetti idrogenati), facilmente riconoscibili in quanto solidi a temperatura ambiente, aumenta la colesterolemia totale e LDL, quindi il rischio cardiovascolare e in particolare coronarico.

  20. … A TAVOLA !! • Un effetto opposto hanno invece gli acidi grassi insaturi presenti sia negli oli tipici della nostra cultura – come l’olio extravergine di oliva – sia negli oli di semi come il mais, la soia, il vinacciolo e il girasole. • Mentre i grassi saturi (presenti nel latte e derivati e in molte carni animali) tendono ad aumentare, seppure lievemente, la colesterolemia HDL, gli insaturi trans (contenuti soprattutto nelle margarine e in molti prodotti preconfezionati) tendono a ridurre questo parametro, notoriamente associato alla riduzione del rischio cardiovascolare.

  21. … A TAVOLA !! • L’olio d’oliva contiene essenzialmente acidi grassi monoinsaturi (ne sono ricche anche le nocciole e le mandorle), il cui effetto sulla lipidemia è sostanzialmente neutro • Gli oli di semi, ricchi in acidi grassi polinsaturi come l’acido linoleico, svolgono un effetto più marcato nella riduzione della colesterolemia, soprattutto di quella LDL, ma meno favorevole sulla colesterolemia HDL. • Le quantità eccessive tendono a favorire lo sviluppo di sovrappeso e obesità

  22. … A TAVOLA !! • Più favorevole è invece lo spettro degli effetti degli acidi grassi polinsaturi della serie omega-3, che sono presenti sia negli oli di pesce (sotto forma di acido alfa-linolenico, che l’organismo umano può convertire parzialmente in composti della stessa famiglia a più lunga catena) sia in alcuni vegetali (mandorle, noci, oli di soia, mais, girasole).

  23. … A TAVOLA !! • Gli omega-3, il cui effetto biologico fu interpretato dapprima come quello di "aspirine alimentari" per la loro capacità di ridurre l’aggregazione piastrinica, si sono dimostrati nel tempo anche efficaci ipotriglicerizzanti e antinfiammatori, rivelando più di recente anche spiccate proprietà antiaritmiche.

  24. … A TAVOLA !! • La potenziale efficacia di questi grassi si estende anche al di fuori dell’ambito strettamente cardiovascolare, con possibili effetti favorevoli sul tono dell’umore, su alcune patologie infiammatorie gastrointestinali, sulla riduzione della probabilità di aborto spontaneo ecc. • La fonte naturale di questi grassi sono i pesci: ne sono ricchi i salmonidi (salmone, trota), ma anche il pesce azzurro (sardina, sgombro).

  25. … A TAVOLA !! • Consumare con moderazione i grassi solidi e preferire loro gli oli, che si potranno scegliere in base ai gusti personali. • L’olio usato per cucinare o condire può essere usato anche per friggere. • Nell’etichetta dei prodotti industriali, ricercare l’eventuale presenza di "grassi vegetali idrogenati" e nel caso evitare di consumarli. • Non eliminare – o almeno non completamente – il grasso del pesce durante la sua preparazione e consumo. • Per quanto riguarda le carni di maiale, compresi il prosciutto e altri salumi, vanno consumate con moderazione ma non abolite: attualmente, infatti, sono abbastanza ricche in acido oleico e linoleico.

  26. … UN BUON BICCHIERE … • Il consumo di una quantità giornaliera di ALCOOL compresa tra 30-40 grammi per l’uomo (equivalente a 2-3 drink) e 20-30 grammi per la donna (1-2 drink) consente di ridurre di circa un terzo le probabilità di infarto miocardico, ictus e arteriopatia obliterante degli arti inferiori. • Un drink equivale a un bicchiere standard di vino o a una lattina di birra. • Si può verificare un aumento del colesterolo HDL (effetto antiaterogeno) e al tempo stesso una diminuzione del tasso di fibrinogeno circolante e potenziamento di alcuni meccanismi della fibrinolisi (effetto antitrombotico).

  27. … UN BUON BICCHIERE … • Un moderato consumo di alcol pare possa ridurre la concentrazione di proteina C-reattiva (PCR) (effetto anti-infiammatorio) • Si possono rilevare un miglioramento della risposta all’insulina e una riduzione del rischio di sviluppare il diabete • Ulteriori studi associano inoltre il moderato consumo di alcol a una riduzione dell’indice di massa corporea (BMI).

  28. … UN BUON BICCHIERE … • Resta ancora oggetto di vivace discussione il ruolo alimentare specifico del vino. Si ritiene infatti che il vino, rispetto ad altre bevande alcoliche, possa essere più efficace nella prevenzione dell’aterosclerosi, per la presenza di antiossidanti (polifenoli, antociani, resveratrolo….) • I risultati in proposito sono però contraddittori …

  29. … E ADESSO DI CORSA !! • Nello studio degli Harvard Alumni 12.516 studenti seguiti per circa 16 anni per valutare la successiva incidenza di mortalità cardiovascolare. • I soggetti che negli anni del College praticavano più attività fisica beneficiarono, nel tempo, di una ridotta mortalità cardiovascolare, quantificabile in -20% circa, tra i soggetti ad attività fisica settimanale elevata (più di 12.600 kjoule) rispetto a quelli con attività ridotta o assente (meno di 2.100 kjoule).

  30. … E ADESSO DI CORSA !! • Nurses’ Health Study: Uno studio condotto su oltre 80mila infermiere statunitensi • la velocità del passo di marcia è in grado, secondo questo studio, di predire in modo efficace il rischio di ictus. • Le donne che dichiaravano di camminare abitualmente a passo lento (<3 km/ora) avevano infatti un rischio di eventi cerebrovascolari superiore del 25 % rispetto alle donne che dichiaravano di camminare a passo medio (3-4,5 km/ora) • Queste ultime, per parte loro, avevano un rischio degli stessi eventi superiore del 50 % circa rispetto alle donne che dichiaravano di camminare abitualmente a passo spedito (>4,5 km/ora).

  31. … E ADESSO DI CORSA !! • Sono scarsi gli studi nei soggetti con sindrome metabolica. • Nello studio Attica, condotto in Grecia, il livello di attività fisica si è rilevato inversamente correlato al rischio di sviluppare la SM. • Tra i soggetti affetti da SM, inoltre, quelli fisicamente attivi mostravano valori di PCR, conta dei globuli bianchi e del TNF-α inferiori del 15-30 % rispetto ai soggetti più sedentari

  32. … E ADESSO DI CORSA !! • L’attività fisica si associa a un rilevante aumento della colesterolemia HDL (20-30%).La trigliceridemia tende a scendere (anche 50-60%), come il peso corporeo • Glicemia e insulina si stabilizzano con assenza di picchi. • Gli indicatori di infiammazione tendono a modificarsi in modo favorevole. • Nonostante dati numerosi e concordanti, il livello medio di attività fisica nei paesi industrializzati è in declino, specie in età adolescenziale e giovanile. • Assolutamente necessario un significativo incremento dell’attività fisica in adolescenti e giovani quale elemento di prevenzione delle patologie sopra citate.

  33. OMOCISTEINA • L’omocisteina è un aminoacido sulfidrilico che deriva dalla conversione metabolica dell’aminoacido essenziale metionina • Fornite molte evidenze scientifiche a favore di un possibile ruolo dell’iperomocisteinemia lieve-moderata (da 15 a 100 mmol/l), quale fattore di rischio aggiuntivo di tipo trombogeno • Legata a deficit congeniti del metabolismo e a comportamenti scorretti (fumo, alcol e caffè)

  34. OMOCISTEINA • Il deposito di omocisteina sulla parete vasale risulta lesivo attraverso vari meccanismi: • Azione diretta sull'endotelio e sulla parete vasale con marcato effetto aterogeno; • Azione sulle piastrine, con aumento della adesività ed aggregabilità piastrinica; • Azione sui fattori della coagulazione e sulle lipoproteine (riduzione dell'attivita' del antitrombina III, riduzione dell'attivazione della proteina C, attivazione del fattore VII, riduzione dell'attivita' del PTA, ossidazione delle LDL).

  35. OMOCISTEINA • Una metanalisi retrospettiva ha mostrato un significativo aumento del rischio relativo di coronaropatia (RR 1.7), di patologia cerebrovascolare (RR 2.5) e di arteriopatia obliterante periferica (RR 6.8) • Studi prospettici che hanno valutato la relazione tra omocisteinemia e rischio di malattia cardiovascolare in soggetti sani hanno mostrato una meno chiara e meno forte associazione

  36. OMOCISTEINA • la supplementazione con acido folico associato o meno a vitamine del gruppo B è il trattamento standard per i soggetti con valori elevati (> 12.5 mmol/L) • Tuttavia non è stata in grado di ridurre in modo significativo la ricorrenza di eventi vascolari maggiori in tre diverse popolazioni di pazienti (recente infarto, recente ictus ischemico e pazienti con diabete ad alto rischio) nonostante la riduzione dei livelli plasmatici di omocisteina

  37. OMOCISTEINA • Una dieta ricca in acido folico (verdure a foglie verdi, lievito, germe di grano, fagioli) è sempre consigliabile, visto lo scarso apporto medio in Europa, specie nei soggetti maggiormente a rischio

  38. PROTEINA C REATTIVA (PCR) • La proteina C reattiva (PCR) è una proteina di fase acuta, che è stata dimostrata essere un affidabile marcatore di infiammazione sistemica. • nei soggetti asintomatici le concentrazioni plasmatiche di PCR sono molto stabili nel tempo • sulla base dell’ipotesi infiammatoria dell’aterosclerosi la PCR è stata studiata in varie popolazioni di pazienti affetti o a rischio di malattia cardiovascolare

  39. PROTEINA C REATTIVA (PCR) • Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che i livelli di PCR hanno un elevato valore predittivo a lungo termine per il verificarsi di eventi cardiovascolari indipendentemente dai livelli di C-LDL e dalla classe di rischio cardiovascolare. • Nel 2003 il Center for Disease Control (CDC) e l’American Heart Association (AHA) hanno prodotto le prime linee guida che propongono l’utilizzo della PCR quale fattore di rischio, in aggiunta ai fattori tradizionali, per lo screening cardiovascolare.

  40. PROTEINA C REATTIVA (PCR) • Livelli <1 mg/L identificano un basso rischio, valori compresi tra 1 e 3 mg/L un rischio intermedio e valori >3 mg/L un alto rischio. • Tuttavia tali valori non sono standardizzati e mancano valori di normalità per la popolazione europea. • Molti laboratori non sono attrezzati per il dosaggio ad alta sensibilità, ritenuto il più affidabile per dosare valori molto bassi, inferiori a quelli considerati normalmente indicativi di un'infiammazione, utili per identificare il fattore di rischio cardiovascolare.

  41. LIPOPROTEINE • La lipoproteina(a) - Lp(a) - è una lipoproteina ricca di colesterolo che presenta similarità strutturali con le LDL • Elevati livelli plasmatici di Lp(a) sembrano essere associati a un aumentato rischio di malattia cardiovascolare indipendentemente dall’associazione con altre alterazioni del profilo lipidico e fattori di rischio noti

  42. LIPOPROTEINE • La Lp(a) sembra avere un notevole effetto protrombotico, possibile responsabile degli eventi vascolari associati • Studi su vaste popolazioni di pazienti CV hanno dimostrato un aumento del rischio nei soggetti con livelli di Lp(a) più elevati, anche indipendentemente dai livelli del C-LDL • Mancano però al momento studi di intervento farmacologico

  43. LIPOPROTEINE • Le concentrazioni plasmatiche di Lp(a) aumentano in menopausa e sono poco modificabili dalla dieta, dall’attività fisica e dai farmaci ipolipidemizzanti, fatta eccezione per la niacina e la terapia ormonale sostitutiva • Studio HERS: aumentati livelli di Lp(a) sono un predittore di rischio indipendente per malattia CV in menopausa, il trattamento con estroprogestinici è in grado di ridurne in maniera significativa i livelli plasmatici rispetto al placebo.

  44. LIPOPROTEINE • Sia l'apolipoproteina B ( ApoB ) che il colesterolo non-HDL sono stati proposti come ulteriori indicatori per identificare i pazienti a più alto rischio. • Alti livelli di ApoB sono legati alla formazione di LDL piccole e dense, che partecipano maggiormente alla formazione delle placche di aterosclerosi

  45. LIPOPROTEINE • ApoB misura il numero delle particelle aterogeniche piuttosto che il colesterolo da esse veicolato • Pattern A: prevalgono LDL grandi e flottanti ( apoB) • Pattern B: prevalgono LDL piccole e dense ( apoB) • Le HDL hanno come parte proteica principale l’apolipoproteina A(ApoA) • E’ quindi importante anche il rapporto ApoA/ApoB, più basso è più alto il rischio CV • Manca ancora una standardizzazione tra i laboratori e i metodi di misura adottati

  46. COLESTEROLO NON-HDL • Comprende il Colesterolo di LDL, VLDL e IDL • Altamente correlato con le concentrazioni di ApoB Non-HDL-C = Colesterolo tot – Colesterolo HDL

  47. CONCLUSIONI • La prevenzione della patologia cardiovascolare è ottenibile con un’adeguata modificazione dello stile di vita e con un trattamento intensivo di tutte le componenti della “sindrome metabolica”.

  48. CONCLUSIONI • È sicuramente importante tenere in considerazione i nuovi fattori di rischio nella stratificazione del rischio cardiovascolare in ogni singolo paziente considerando il differente impatto che hanno nei due sessi.

  49. CONCLUSIONI • Per quanto riguarda i nuovi marcatori quali le lipoproteine, omocisteina, proteina C reattiva, sono ancora discordanti dati di efficacia di prevenzione primaria o secondaria forniti da studi clinici d’intervento randomizzati e controllati con placebo.

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