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Convegno Biella - 12 marzo 2011 Welfare state e lotta alla povertà

Convegno Biella - 12 marzo 2011 Welfare state e lotta alla povertà. a cura di Daniela Teagno Docente di Sociologia dell’Organizzazione: servizi sociali e dinamiche organizzative Università degli Studi di Torino - Facoltà di Scienze Politiche CdL in Servizio Sociale, sede di Biella.

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Convegno Biella - 12 marzo 2011 Welfare state e lotta alla povertà

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  1. ConvegnoBiella - 12 marzo 2011Welfare state e lotta alla povertà a cura di Daniela Teagno Docente di Sociologia dell’Organizzazione: servizi sociali e dinamiche organizzative Università degli Studi di Torino - Facoltà di Scienze Politiche CdL in Servizio Sociale, sede di Biella Utilizzare citando la fonte

  2. Welfare mix è una formula con cui si designa il gioco di relazioni che intercorrono tra i vari attori che realizzano le prestazioni: stato, mercato, terzo settore, famiglia. Benessere/povertà Le politiche sociali (welfare state, welfare mix) oggi si dicono “per il benessere”, ma in origine erano orientate al fronteggiamento della povertà. Il modello italiano OCCUPAZIONALE MISTO A TRATTI DI UNIVERSALISMO, nonché FAMILISTA un sistema sociale (connesso al processo di modernizzazione) basato sulla assunzione da parte di uno stato politico di responsabilità primarie per il benessere sociale e individuale di ogni cittadino, attraverso la legislazione e l’attivazione di specifiche politiche sociali realizzate tramite uffici e agenzie governative, ossia da istituzioni pubbliche.

  3. Il povero come pericolo sociale Il caso dell’Inghilterra è molto illuminante per seguire lo sviluppo dell’assistenza: l’affermarsi del modo di produzione capitalistico e l’interconnessa rivoluzione industriale, il divario tra i proprietari dei mezzi di produzione e i venditori della propria forza lavoro, ovvero i nuovi mendicanti, i nuovi poveri, che migrano continuamente in cerca di lavoro o di qualche forma di assistenza. Il “povero” non è più il rappresentante di Cristo in terra, ma diventa un pericolo sociale, portatore di malattie e disordini popolari: di qui nasce l’interconnessione fra il controllo della povertà e l’organizzazione amministrativa dell’assistenza.

  4. Le leggi sui poveri Nasce una nuova politica assistenziale (sia nei paesi cattolici che protestanti), a cura delle autorità civiche, che prevede la centralizzazione dei fondi per l’assistenza con l’istituzione di tasse per i poveri, la proibizione dell’accattonaggio, l’obbligo di lavorare (accettando qualunque salario) per tutti i soggetti abili (con la segregazione in case di correzione per coloro che si rifiutano). In GB all’inizio del XVII sec. => Poor Law (permanente nel 1640, in vigore fino al 1834).

  5. Misurare la povertà (assoluta) A fine Ottocento, J. Rowntree (1836-1925) fu uno dei primi a richiamare l’attenzione al compito di definire, misurare e contrastare la povertà, proponendo i livelli minimi di spesa (per cibo, combustibile, vestiario, abitazione) necessari per una “vita salubre”. Dal suo studio emerse che un terzo della popolazione aveva un reddito inferiore al minimo necessario. Nel 1936 tale quota di poveri “assoluti” era scesa al 18%, nel 1950 all’1,5%.

  6. Privazione relativa Nel secondo dopoguerra si afferma l’idea che la povertà non consiste solo in miseria e indigenza, ma corrisponde alla mancanza delle risorse di vita, ritenute “normali” secondo gli standard prevalenti nella comunità di appartenenza. materiali, sociali e culturali che permettono l’inclusione e integrazione nella vita sociale ordinaria

  7. La linea/soglia di povertà Dalla metà degli anni Settanta, su sollecitazione dell’UE, si conducono studi comparati per misurare la povertà (relativa) nei diversi paesi europei. Il criterio adottato è la scala unidimensionale che determina l’indice della linea di povertà, Ispl (international standard of poverty line): spesa pro capite per consumi (meno frequentemente si usa il reddito pro capite) di una data popolazione nazionale.

  8. Si dice povera…. S’intende povera (in senso relativo) la famiglia di 2 persone, del paese considerato, la cui spesa per consumi non supera la soglia della linea della povertà. Per adattare tale soglia a famiglie di numerosità diverse, si utilizza una scala di equivalenza (F2=1, F1=0.6, F3=1.33, F4=1.66)

  9. I diversi livelli di povertà > povertà estrema, di disaffiliazione/esclusione sociale, non solo di consumo (senza fissa dimora, stati di totale abbandono, perdita dei diritti di cittadinanza ecc.) > povertà assoluta (grave): incapacità monetaria di acquisire un paniere di beni e servizi essenziali, per la sussistenza. La soglia è oggi pari al 70% della linea di povertà Ispl > povertà, privazione relativa: mancanza delle risorse di vita, materiali, sociali e culturali, tipiche e ritenute “normali”secondo gli standard accettati dalla comunità di riferimento. Per misurarla, come soglia si usa l’indice della linea di povertà Ispl > livello di “quasi povertà”: una situazione di ristrettezza economica che rischia di cadere in povertà effettiva (vulnerabilità, povertà oscillante), quando la soglia è pari al 120% della linea di povertà Ispl

  10. Esempi Ispl Poniamo una soglia base (pro capite) di spesa per consumi di 750 Euro al mese. Se una famiglia di 2 persone spende per consumi 700 € al mese si definisce “povera in senso relativo”. Se la famiglia di 2 persone spende per consumi 800 € al mese si definisce “quasi povera”. Se la famiglia di 2 persone spende per consumi 1500 € al mese si definisce “non povera”. Se la famiglia di 2 persone spende per consumi 400 € al mese si definisce “povera in senso assoluto”.

  11. Povertà da consumi • Numerosità e composizione della quota povera della popolazione: • con Ispl pari a 983,01 euro/mese (2009) => povere 10,8% (11,3% 2008) delle famiglie italiane, i due terzi delle quali concentrate al Sud e nelle Isole. • “modello italiano di povertà” • (dal Rapporto CIES 2010) • L’abnorme incidenza della povertà relativa per le famiglie numerose, di cui quasi un quarto (24,9%) risulta in condizione di povertà relativa con punte del 37,1% per il Meridione. • L’estrema incidenza della povertà minorile, e le particolari difficoltà delle famiglie con figli a carico (il 24,9% delle coppie con tre o più figli è in condizione di povertà, al Sud la percentuale sale al 36%). • L’alto tasso di povertà relativa tra i lavoratori dipendenti, in particolare gli “operai o assimilati” (per i quali l’incidenza sale al 14,9%, con punte vicine al 30% nel Mezzogiorno).

  12. Povertà da impoverimento (1) Da una lettura quantitativa e statica passiamo ad un approccio dinamico e processuale. Come e perché si diventa poveri nelle biografie individuali? è l’esito di molteplici esperienze (=> processo) di perdita/carenza (e dunque di sofferenza) a livello non solo economico, ma anche da cui si può uscire ma anche rimanervi per sempre, fino all’esclusione, materiale e simbolico-esistenziale, dalla vita sociale ordinaria. professionale, sanitario, culturale, familiare • Nuove povertà: tutte le forme di svantaggio non dovute solo a carenza di reddito, ma a fattori • relazionali (crisi di coppia, conflitti intrafamiliari) • sanitari (malattie invalidanti) • sociali (segregazione ed emarginazione di particolari soggetti/gruppi sociali)

  13. Povertà da impoverimento (2) La povertà anziché un carattere ascritto nei soggetti diventa una situazione che può essere acquisita in certi momenti della vita. Non un destino in cui si è costretti, ma la possibile fase di un processo. => carriere di vite ferite, colpite, spezzatein più punti Alla oscillazione corrisponde il diffondersi di comportamenti economici compulsivi e a rischio: ricorso al credito, indebitamento bancario, usura, gioco (in Italia: 700.000 giocatori compulsivi e 3 milioni di border line). VULNERABILITA’

  14. Nuove povertà: una ferita trasversale Oggi i processi di impoverimento non sembrano più coinvolgere solo soggetti collocabili negli “strati bassi” o marginali della società ma anche individui considerati alquanto integrati sia in termini lavorativi che relazionali. Il sociologo francese Castel propone uno schema composto da tre principali aree del percorso di impoverimento in cui un potenziale soggetto può transitare lungo l’arco della propria vita. Tali aree sono così identificate: zona dell’integrazione, zona della vulnerabilità e la zona della désaffiliation (mancanza di senso di appartenenza, di cittadinanza). altri, stranieri

  15. Le 3 aree del percorso di impoverimento AREA A: INTEGRAZIONE inserimento lavorativo - inserimento sociale AREA B: VULNERABILITA’ precarietà -fragilità relazionale AREA C: DÉSAFFILIATION assenza di lavoro -isolamento sociale

  16. coperture sociali e inserimento lavorativo

  17. Il lavoro non protegge dalla povertà I cd lavoratori poveri (working poors) vivono in condizioni di ristrettezza economica, in situazioni di povertà intorno alla soglia… ma spesso sono troppo “ricchi” per accedere ai servizi sociali, non si qualificano per l’assistenza (o rifuggono dal ricorrervi). I servizi/interventi che le politiche sociali mettono in campo contro la povertà sono spesso residuali e discrezionali. L’Italia spende circa un quarto del PIL per la protezione sociale, come gli altri paesi europei. La sua peculiarità sta nella composizione interna della sua spesa, dove prevalgono previdenza e sanità, mentre “cenerentola” rimane l’assistenza.

  18. l’assistenza sociale nel welfare state • L’assistenza sociale è connotata maggiormente dal concetto di bisogno (vs la previdenza sociale che si fonda sul concetto di rischio). • L’incapacità di fronteggiare da sé le situazioni di bisogno viene accertata attraverso la cd “prova dei mezzi” (means-test): clausola che rende gli interventi dell’assistenza selettivi e residuali. • Al risparmio di spesa però si contrappongono i limiti della selettività: • “trappola della povertà”, distorsione legata al fatto che i sussidi spesso paiono non incentivare i soggetti ad uscire dallo stato di bisogno, alimentando la dipendenza dal sistema assistenziale/assistenzialistico; • stigma e costi psicologici, legati all’umiliazione di verificare il proprio stato di bisogno, socialmente riconosciuto; • problemi di informazione: in un servizio imperfetto si possono verificare errori di esclusione/inclusione. Procedure di verifiche accurate presuppongono burocrazie professionalizzate e autonome.

  19. Misure contro la povertà • Misure tradizionali di assistenza che rispondono al bisogno economico di reddito attraverso: • trasferimenti a base nazionale • sussidi economici a base locale Pensioni di invalidità civile, condizionate al reddito. Indennità di accompagnamento, indipendenti dalle condizioni economiche. INPS inabili al lavoro e anziani poveri Pensioni sociali (istituite con L. 153/69), ora assegni sociali (L. 335/95) condizionati al reddito ai poveri generici erogati dagli enti locali (vincolati al bilancio) MV, MA , assistenza economica continuativa, temporanea, straordinaria; contributi a titolo di prestito; contributi per accesso ai servizi e/o esonero rette per servizi Esenzione ticket Offerta di abitazioni di edilizia popolare, sussidi per l’affitto

  20. Nuovi istituti di assistenza economica (1) Negli anni 1997-99 sono state introdotte nuove misure nazionali, erogate a livello locale: • Assegno di maternità (per donne che non fruiscono di trattamenti di maternità previdenziali), con L. 448/98, art. 66. Esso prevede l’erogazione – da parte dell’INPS – di un assegno mensile per la durata di 5 mensilità Vi hanno diritto le madri cittadine italiane, cittadine comunitarie, donne affidatarie preadottive o adottanti e cittadine extracomunitarie (con carta di soggiorno) residenti nel Comune. La domanda deve essere inoltrata entro sei mesi dalla data del parto o dall’entrata effettiva del minore nel nucleo (nel caso delle adozioni), accompagnata da una richiesta e dalla dichiarazione sostitutiva unica delle condizioni economiche del nucleo familiare. • Contributo per libri di testo(L.448/1998, art. 27) e borse di studio (62/2000 sulla parità scolastica). La richiesta va presentata ai Comuni sede di Autonomia scolastica per gli alunni residenti e frequentanti in Piemonte (ai Comuni di residenza per gli alunni residenti in Piemonte ma frequentanti in altra Regione). ISEE sotto 11.000 euro.

  21. Nuovi istituti di assistenza economica (2) • Assegno per il terzo figlio minore (di famiglie particolarmente povere), con L. 448/98, art. 65. Esso prevede l’erogazione – da parte dell’INPS – di un assegno mensile per la durata di 13 mensilità. Vi hanno diritto i cittadini italiani o comunitari residenti nel Comune in cui si inoltra la richiesta, che abbiano nella propria famiglia anagrafica tre minori di anni 18, che siano figli propri o del coniuge o da essi ricevuti in affidamento preadottive e che si trovino nelle condizioni economiche previste dalla legge. Si aggiunge all’Assegno al Nucleo Familiare previsto per le famiglie di lavoratori dipendenti e assimilati con reddito modesto. • Contributo alla locazione. La legge n. 431 del 1998 ha istituito il “fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione”, quale risorsa per una sempre più ampia fascia di popolazione, costituita sia da conduttori di alloggi di edilizia privata, che da assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pubblica. Il sostegno alla locazione intende aiutare le famiglie che, a fronte di un basso reddito, si trovano a corrispondere un affitto troppo elevato.

  22. Ai Comuni compete: 1. Diffondere e pubblicizzare gli interventi; 2. raccogliere e istruire le pratiche; 3. comunicare le richieste agli Enti competenti (all’INPS per gli assegni, alla Regione per le prestazioni di tipo scolastico); 4. erogare i contributi sulla base dei fondi regionali ricevuti (nel caso degli assegni di maternità e al nucleo, l’INPS provvede direttamente al pagamento); 5. provvedere ai controlli previsti dal d.lgs. 109/1998 e s.m.i. per verificare (su campione) le dichiarazioni presentate dai richiedenti e nel caso di attestazioni false e mendaci procedere con la denuncia presso l’autorità giudiziaria e alla revoca dell’assegnazione del beneficio.

  23. Nuovi istituti di assistenza economica (3) • RMI.Il Reddito Minimo di Inserimento è stato introdotto (con D.Lgs. 237/98) in Italia in via sperimentale nel 1999 in 39 comuni, con lo scopo di contrastare la povertà. La misura prevede un assegno monetario di integrazione ai redditi familiari fino alla soglia stabilita sulla base della ampiezza del nucleo familiare e la partecipazione dei beneficiari ad interventi di integrazione sociale finalizzati alla promozione delle capacità individuali e dell’autonomia economica. => ATTIVAZIONE Con la finanziaria 2001 la misura è stata prorogata per altri due anni ed estesa ad altri 200 comuni circa. Nel contempo la legge 328/2000, art. 23, stabiliva che, in base ai risultati della sperimentazione, venisse formulata una legge per istituire l’RMI su tutto il territorio nazionale, a cui ricondurre anche gli altri sostegni al reddito, quali gli assegni e le pensioni sociali. Le ultime leggi finanziarie invece non hanno previsto né la estensione, né il ri-finanziamento della sperimentazione che quindi si esaurirà mano a mano che i comuni coinvolti avranno esaurito i fondi. Il Libro bianco del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (2003) ha sostituito il RMI con l’istituto del Reddito di ultima istanza (RUI), di matrice puramente assistenziale, erogato da regioni ed enti locali con fondi propri.

  24. Assenza di RMI: un’eccezione in Europa Si nota che in Italia la povertà reddituale non si contrasta attraverso forme di “reddito garantito” a chi si trovi fuori del mercato del lavoro o sia privo di ammortizzatori sociali (come le donne, gli studenti, i lavoratori precari…). Nonostante le raccomandazioni dell’UE (Libro verde del 1992) e le indicazioni della L. 328 del 2000, il welfare italiano non prevede la fornitura di un reddito di base che, sul presupposto di un diritto sociale riconosciuto, eviti di scendere sotto una soglia minimale di sussistenza. Alcuni esercizi previsionali ipotizzano che la fornitura di un reddito minimo pari a 400 euro al mese alle famiglie italiane povere comporterebbe una spesa complessiva di circa 5 miliardi lordi di euro (assorbendo i 2 miliardi dati attualmente a titolo di assistenza economica)

  25. La politica sociale dell’UE La lotta alla povertà è stata al centro del dibattito europeo fino dagli anni ’70; l’UE ha finanziato diversi “programmi-povertà” per approfondire la conoscenza del fenomeno, nella consapevolezza che la povertà continuava a persistere, nonostante lo sviluppo economico dei decenni precedenti. Nel 1992, il Libro verde sulla politica sociale UE raccomandava agli stati membri di raggiungere maggiore convergenza fra i loro sistemi di protezione sociale e l’adozione di azioni di lotta contro l’esclusione sociale (nuovo nome della povertà), per l’inserimento socio lavorativo dei soggetti deboli, delle donne, per la coesione sociale delle aree urbane e rurali deprivate. La Commissione UE per la protezione sociale raccomanda il metodo del “coordinamento aperto” delle buone pratiche.

  26. 2010-anno della lotta alla povertà Gli organi dell’Unione Europea hanno designato il 2010 quale Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale. In tale ambito, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in Italia, con specifiche Direttive, ha dato indirizzi sul finanziamento di proposte progettuali finalizzate alla realizzazione del Programma Nazionale. In particolare, la seconda Direttiva ha indicato come aree prioritarie di intervento la povertà alimentare, le persone senza fissa dimora e l’esclusione sociale dei migranti.

  27. Fonti di riferimento • M. Ferrera, Le politiche sociali, Il Mulino, Manuali, Bologna, 2006 • D. Rei, Sociologia e welfare, Gruppo Editoriale Esselibri, Napoli, II edizione, 2008 • Unione Europea, Fondo Sociale Europeo, Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Le buone pratiche come strumento per la programmazione e la progettazione, ottobre 2008 • COMMISSIONE DI INDAGINE SULL’ESCLUSIONE SOCIALE, RAPPORTO SULLE POLITICHE CONTRO LA POVERTÀ E L’ESCLUSIONE SOCIALE – anno 2010

  28. Grazie

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