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Docente Prof. Mara Del Baldo mara.delbaldo@uniurb.it

Economia e Governo Delle Piccole Imprese Corso semestrale 10 crediti. Docente Prof. Mara Del Baldo mara.delbaldo@uniurb.it . Le basi delle conoscenze. PARTE PRIMA LA PICCOLA IMPRESA NELL’ECONOMIA ITALIANA Un primo problema: come definire la piccola impresa

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Docente Prof. Mara Del Baldo mara.delbaldo@uniurb.it

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  1. Economia e Governo Delle Piccole Imprese Corso semestrale 10 crediti DocenteProf. Mara Del Baldomara.delbaldo@uniurb.it

  2. Le basi delle conoscenze PARTE PRIMA LA PICCOLA IMPRESA NELL’ECONOMIA ITALIANA • Un primo problema: come definire la piccola impresa • Le piccole imprese nel sistema industriale italiano PARTE SECONDA IMPRENDITORIALITA’, PICCOLI IMPRENDITORI, PICCOLE IMPRESE • L’imprenditorialità • L’imprenditorialità e managerialità • L’imprenditorialità manageriale • Tipologie di piccoli imprenditori e di piccole imprese • Il gruppo imprenditoriale • L’imprenditorialità femminile

  3. La Gestione Strategica • PARTE PRIMA L’IMPRENDITORIALITA’ COME STRATEGIA • La creazione dell’impresa • Forme alternative di entrata nell’attivita’ d’impresa • PARTE SECONDA • LA FORMAZIONE DELLE STRATEGIE NELLA PICCOLA IMPRESA • Le principali “filosofie” di formazione delle strategie • Il processo strategico nella piccola impresa • Un modello di governo strategico della piccola impresa • PARTE TERZA LE OPZIONI STRATEGICHE DELLA PICCOLA IMPRESA • Le strategie generiche o di base • Le strategie competitive • Le strategie di sviluppo quantitativo • Le strategie di sviluppo qualitativo • Le strategie basate sulla tecnologia • Le strategie di internazinalizzazione • Le strategie di”turnaround”

  4. Imprenditorialità e Piccole Imprese LA PICCOLA IMPRESA NELL’ECONOMIA ITALIANA Perché lo studio della piccola impresa? • La numerosità del comparto • Il contributo all’occupazione • L’inesauribile mobilità • L’impatto nell’ambito sociale e la valenza sociale del tessuto produttivo delle piccole imprese

  5. Imprenditorialità e Piccole Imprese IL PROBLEMA DI DEFINIRE LA PICCOLA IMPRESA • Difficoltà definitoria: • molti tentativi per definirla; • meglio non definirla, ma descriverne le specificità • Utilità di una definizione: • per identificare il segmento di imprese cui fare riferimento a. la ricerca empirica b. provvedimenti legislativi (fiscali, civilistici, di incentivazione, …) • Relazione tra tipo di definizione e obiettivi: Dennis identifica 3 tipi di definizioni: • definizioni basate su indicatori quantitativi o operativi • definizioni qualitative o concettuali • definizioni multidimensionali e ibride

  6. Imprenditorialità e Piccole Imprese Relazione tra tipo di definizione e obiettivi: Dennis identifica 3 tipi di definizioni: • definizioni basate su indicatori quantitativi o operativi (n. addetti, fatturato, investimenti fissi, …); loro limitazioni: evolvere fenomeni ambientali (tecnologia, metro monetario, …) • definizioni qualitative o concettuali (studi di economia aziendale che vertono sulle modalità di governo delle imprese) • definizioni multidimensionali e ibride che costituiscono una combinazione delle precedenti

  7. Tab. 1 Tipi ed esempi di definizioni di piccola impresa

  8. Definizioni ibride di importanza storica U.S. Small Business Act (1953): “E’ piccola impresa quella la cui proprietà e gestione sono esercitate in modo indipendente e che non è dominante nel suo settore. Nel settore manifatturiero il massimo numero di addetti può variare fra 250 e 1500, a seconda dell’attività industriale prevalente”. Rapporto Bolton (1971): “E’ piccola impresa quella che ha una quota di mercato relativamente piccola; che è diretta dai suoi proprietari su base personale; che è indipendente per non essere parte di una grande azienda e i proprietari non subiscono controlli esterni nelle loro principali decisioni. La maggioranza delle imprese industriali con meno di 200 addetti vi rientra”. Commissione Cee (1991): “E’ piccola impresa quella che ha meno di 50 addetti; presenta un fatturato non superiore a 5 milioni di Ecu; appartiene per non oltre un terzo a una grande impresa al fine di garantire un adeguato grado di indipendenza”.

  9. Che cos’è una piccola impresa? • ogni impresa in cui il proprietario conosce i dipendenti (Drucker) • ogni impresa a proprietà indipendente e non dominante nel suo settore (SBAct) • ogni impresa che costituisce razionalmente un centro di profitto (McGuire) • ogni impresa che ha una dimensione che consente una gestione personale di uno o pochi soggetti (Hollander) la struttura e/o lo stile di direzione dimensioni la proprietà la non dominanza nel settore o quota di mercato la compattezza della funzione imprenditoriale Definizioni concettuali, astratte non sempre capaci di discriminare realmente il fenomeno Che cosa meglio caratterizza una piccola impresa? • un’impresa con 5 o meno dipendenti (Yugoslavia) • un’impresa industriale da 10 a 200 dipendenti (Francia) • un’impresa di commercio al dettaglio con 10 o meno negozi Definizioni operative che aiutano a discriminare una piccola impresa

  10. Come viene definita una piccola impresa? Un’impresa con un fatturato lordo non superiore a 70.000 volte il salario minimo orario (Central Bank of Brasil) Un’impresa senza filiali all’estero che non occupi più di 2000 square feet con i suoi impianti. Impresa con meno di 50 addetti, con fatturato inferiore a 5 milioni di Ecu, appartenente per non oltre un terzo a una grande impresa. Molte definizioni di p.i. in un approccio eclettico possono essere accolte e/o respinte: ognuna contiene elementi di vitalità ma anche di unilateralità e di contingenza non esiste una definizione di Piccola Impresa comunemente accolta Dal punto di vista dell’analisi microeconomica, ciò che rileva è l’assetto proprietario. Piccola impresa è quella impresa con una proprietà indipendente. La definizione è significativa perché la proprietà indipendente considera l’incidenza dei fattori soggettivi e personali. LA PROPRIETA’ INDIPENDENTE E’ QUALIFICAZIONE DELLA PICCOLA IMPRESA

  11. Imprenditorialità e Piccole Imprese LA P.I. NELL’ECONOMIA ITALIANA LA CRESCITA DEL COMPARTO Nel sistema industriale italiano la definizione di tipo quantitativo più diffusamente utilizzata considera P.I. quelle che si attestano alla soglia dei 100 addetti. L’Ue definisce P.I. quelle che occupano sino a 49 addetti, mentre sono imprese MEDIE quelle nell’intervallo 50-249 addetti. Inoltre, spesso nelle statistiche non vengono considerate P.I. le microimprese, ossia le imprese che abbiano meno di 10 addetti e a volte anche meno di 20 addetti.

  12. RACCOMANDAZIONE DELLA COMMISSIONE 2003/361/CEC(2003) 1422 defdel 6 maggio 2003Relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese La categoria delle microimprese, delle piccole e delle medie imprese è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro Si definisce PICCOLA IMPRESA un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiore a 10 milioni di euro Si definisce MICROIMPRESA un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro

  13. I censimenti ISTAT riferiti alle imprese industriali ISTAT: luglio 2007, dati sulla struttura delle imprese e dell’occupazione per l’anno 2005 Imprese attive nell’industria e nei servizi: 4,3 milioni Addetti occupati: 16,8 milioni 4 milioni di imprese hanno meno di 10 addetti = 95% del totale Addetti occupati: 47% 3,5 milioni di imprese con 10-49 addetti Addetti occupati: 21% Medie imprese (50-249 addetti) = 12% 2 milioni di addetti Imprese con oltre 249 addetti = 0,08% (n. 3.435 imprese) Addetti = 20% ( 3,3 milioni di persone)

  14. Imprenditorialità e Piccole Imprese IL MODELLO DI SVILUPPO DELL’INDUSTRIA ITALIANA • Crescita costante del comparto della P.I. • Ridotta dimensione media del comparto Negli anni ’60 il nostro sistema industriale era tale per cui le grandi imprese non giocavano un ruolo assimilabile a quello osservato in altri Paesi. Nel decennio ’70-’80 l’avvio del decentramento produttivo e della deverticalizzazione (downsizing) è stato particolarmente accentuato in Italia: tra il 70 ed il 1995 l’occupazione nelle imprese con oltre 500 addetti si dimezza e quella nelle imprese sino a 99 aumenta. Quali ipotesi interpretative alla crescita del comparto? 1. è un fenomeno transitorio del processo di sviluppo economico; 2. è un vero e proprio cambiamento strutturale dello sviluppo industriale In base alla seconda ipotesi si sono sviluppati due modelli interpretativi: • modello dualista: dove si afferma che la PI è dipendente dalla G.I. con manodopera meno qualificata, sindacalmente meno protetta e meno remunerata • modello della specializzazione flessibile: dove la PI acquisisce il proprio ruolo autonomo attraverso la specializzazione completa di determinate fasi di produzione con l’impiego di manodopera qualificata

  15. Imprenditorialità e Piccole Imprese IL MODELLO DELLA SPECIALIZZAZIONE FLESSIBILE La specializzazione flessibile come modello di successo delle PI: • condizioni di elasticità della struttura tecnico/produttiva come capacità di risposta alla variabilità quantitativa della domanda senza aumento dei costi unitari; • condizioni di flessibilità come capacità di adeguamento alla variabilità qualitativa della domanda (differenziazione ed innovazione dei prodotti) • dipendono e determinano • impiego dei fattori produttivi polivalenti; • committenza a lavoratori autonomi; • produzione più artigianale, personalizzata, di elevata qualità; • orari flessibili; • ricomposizione delle mansioni; • reti di rapporti di collaborazione: il ruolo delle imprese “guida”.

  16. Imprenditorialità e Piccole Imprese I SISTEMI LOCALI DI PICCOLE IMPRESE Definizione. Il distretto industriale è un aggregato di imprese di minori dimensioni che insiste in un ‘area geografica e all’interno del quale si attuano la divisione del lavoro e si collabora per ottenere l’output finale Esso è caratterizzato • da economie di specializzazione che sostituiscono le economie di scala; • da economie di localizzazione (disponibilità dei fattori di produzione, infrastrutture, …) • da economie di agglomerazione (la ricomposizione del ciclo produttivo attraverso la collaborazione tra le imprese specializzate); • dalla variabile sociologica di appartenenza al dato settore industriale come fattore di cultura industriale che accresce i rendimenti; • dalla presenza di altri tipi di industria al servizio di quella dominante (beni strumentali, servizi, …).

  17. Imprenditorialità e Piccole Imprese Altre denominazioni o forme di aggregati territoriali di piccole imprese: • Sistemi Articolati di Produzione (Nuti) • Sistemi Produttivi Locali (Garofoli) 1. aree di specializzazione produttiva: a. sistema locale di tipo orizzontale in quanto tutte le imprese sono concorrenti; b. manca la componente sociale, le interrelazioni tra imprese; c. sono presenti le condizioni economiche favorevoli a insediamenti industriali, basso costo del lavoro e sua flessibilità d’uso. 2. Sistemi Produttivi Locali: a. sistema locale di tipo orizzontale in quanto tutte le imprese sono concorrenti; b. esistono delle interrelazioni produttive-sociali-territoriali tra le imprese; c. settore monoculturale. 3. Aree Sistema: a. forma più evoluta di un’area periferica; b. esistono forme di coordinamento, di cooperazione e di organizzazione; c. settore multiculturale con interrelazioni a livello intersettoriale.

  18. Il sistema locale di piccole imprese (Favaretto, 1995) Al sistema locale è attribuita una connotazione molto più estensiva che comprende anche i processi di sviluppo industriale che si manifestano in ambiti territoriali che superano quelli dei distretti di tipo marshalliano In ambito regionale si osserva che i distretti non sono agglomerazioni isolate sul territorio, ma si inseriscono in un contesto di insediamenti produttivi diffusi il quale rappresenta un “tessuto connettivo per il sistema produttivo”. Il sistema locale si configura come distretto regionale a carattere plurisettoriale che comprende: i DISTRETTI il loro HINTERLAND rappresentato dagli INSEDIAMENTI DIFFUSI. IMPRESE DISTRETTUALI (economie di localizzazione e di agglomerazione) IMPRESE “ISOLATE”

  19. Imprenditorialità e Piccole Imprese Questioni critiche del modello di specializzazione flessibile (Ash Amin): • è vero che i sistemi articolati di produzione seguano la fine del fordismo e delle produzioni di massa? • è vero che la loro flessibilità li sottrae totalmente a fenomeni recessivi? • è vero che migliorano le condizioni del fattore lavoro? E l’occupazione? • sono davvero i sistemi locali un punto di arrivo e di superamento della grande impresa verticalizzata in grado di resistere alle strategie di globalizzazione?

  20. Sfide e opportunità per i distretti industriali • Punti di debolezza delle aree-sistema (Garofoli): • scarso orientamento al mercato • bassa terziarizzazione (servizi alle imprese) • basso potere contrattuale verso le banche • basso potere contrattuale verso PA, nazionale e territoria • le (interventi di politiche industriali) • Dopo la grande espansione degli anni ’70 i distretti entrano in crisi perché: • si esaurisce la crescita della domanda estera • si esauriscono i vantaggi del deprezzamento della lira • Fine anni ’80/annni ’90: • -calano i livelli occupazionali • -si abbassa il tasso di natalità di nuove imprese • Il ruolo di incubator del distretto non garantisce la crescitadelle imprese in esso localizzate • Le sfide ambientali che richiedono radicali cambiamenti: • -Innovazione nelle tecnologie telematiche • Globalizzazione dei mercati (standardizzazione dei prodotti, reintegrazione del processo produttivo) • Concorrenza sui prezzi nei mercati internazionali • Mercantilizzazione del distretto

  21. ? Occorre spostare l’attenzione dalle economie esterne a quelle interne all’impresa, conseguibili attraverso nuovi modelli organizzativi e nuovi comportamenti strategici Trasformare l’impresa distrettuale da fattore trainato a fattore trainante dei processi evolutivi del distretto - Internazionalizzazione - Nuove competenze e funzioni che rafforzino le capacità di innovazione e competizione - Ruolo delle imprese leader: ruolo di integrazione di un tessuto frammentato, facendo leva su fattori di natura organizzativo Si assiste ad una trasformazione del distretto di tipo marshalliano (Corò, Grandinetti) : i distretti entrano in relazione con soggetti, risorse, competenze, esterne a- proiezione verso l’esterno circoscritta ad imprese leader b- proiezione diffusa di una più ampia base di PMI che moltiplicano i punti di contatto con l’esterno per presidiare i mercati esteri

  22. A le imprese leader: • Sviluppano una soggettività strategica • forte • Procedono alla formazione di gruppi • Introducono innovazioni tecnologiche, organizzative, gestionali • Presidiano i mercati di sbocco e delle materie prime, praticano l’outsourcing,.. • Riqualificano le reti di subfornitura (customer satisfaction) Viene meno il modello organizzativo del distretto? Le imprese leader sono interessate ad investire nella conservazione e riproduzione delle economie distrettuali (competenze professionali, valori socio culturali, ..)? La delocalizzazione a livello internazionale affievolisce le interdipendenze e le possibilità di apprendimento nel/del distretto? La formazione di gruppi sostituisce relazioni interne di natura gerarchica a relazioni basate sulla collaborazione tra le imprese del distetto?

  23. Imprenditorialità e Piccole Imprese LE PICCOLE IMPRESE NEL SISTEMA INDUSTRIALE ITALIANO La specializzazione territoriale: esistono aree territoriali a forte prevalenza di tessuto e di attività produttive di grandi imprese e altre di piccole imprese. La specializzazione settoriale: esistono settori a prevalenza di grandi imprese e settori a prevalenza di piccole imprese perché esistono condizioni produttive diverse da quelle che rientrano nel modello interpretativo della specializzazione flessibile. La tripartizione del sistema industriale italiano: • Economia Centrale Regioni del Nord-Ovest con la G.I. • Economia Periferica Regioni Centro-Nord-Est con p.m.i. • Economia Marginale Regioni meridionali La “geografia settoriale” dei distretti italiani Meccanica Emilia Romagna Tessile Lombardia, Toscana (Prato) Abbigliamento Lombardia, Veneto e Marche Calzatura Veneto (Montebelluna), Marche Ceramica Emilia Romagna (Sassuolo, Carpi) Oreficeria Piemonte (Valenza), Veneto (Vicenza), Toscana (Arezzo) Concia Campania (Solfora), Toscana

  24. Imprenditorialità e Piccole Imprese IMPRENDITORIALITA’ Definizione: “l’insieme delle qualità e delle caratteristiche dell’imprenditore” Il concetto di imprenditorialità è un concetto derivato da quello dell’imprenditore, infatti: focalizza l’imprenditore alla base di un fenomeno che ha dato e dà impulso allo sviluppo dei sistemi economici. Difficoltà di definire l’imprenditore sulla base di identificati attributi: • proprietà dell’impresa • assunzione del rischio • creatività • etc. essi possono riconoscersi anche in soggetti che non sono imprenditori. Alcune concezioni classiche dell’imprenditore: - Cantillon chi organizza la produzione che ne è l’iniziatore, il creatore, il responsabile di attività produttive organizzate; - Smith colui che avvia iniziative produttive (undertaker) con atteggiamento progettuale (projector) e assumendosi i rischi connessi (adventurer).

  25. Imprenditorialità e Piccole Imprese Le funzioni proprie dell’imprenditore che emergono come elemento caratterizzante della funzione imprenditoriale sono per: • Schumpeter: la capacità ad innovare • Knight: l’assunzione del rischio (innovare = fare scelte in condizione di incertezza) • Cole e Redlich: il potere a decidere, ossia, la funzione di formulazione delle decisioni (compiti di governo) Due filoni di studio sull’imprenditorialità: • indirizzo storico: orientato a identificare le ragioni che portano determinati soggetti a farsi imprenditori. (Perché un soggetto si fa imprenditore?) • indirizzo analitico: pone l’accento su come questi soggetti si comportano; tendendo a far coincidere i concetti di imprenditorialità e managerialità (Come si comportano gli imprenditori? Quali i loro compiti?)

  26. Imprenditorialità e Piccole Imprese L’INDIRIZZO STORICO Distingue i concetti di imprenditorialità e managerialità poiché considera l’imprenditore chi • crea l’impresa (fatto innovativo); • per quali motivazioni (lucro); • se ne assume il rischio. Poiché il concetto di imprenditorialità trova una sua qualificazione nell’attività di creazione dell’impresa, esso viene normalmente associato a quello di piccola impresa. Nei modelli biologici, che analizzano gli stadi del ciclo vitale delle imprese, una nuova impresa viene gestita in modo indipendente dall’imprenditore siamo in presenza del fenomeno di coincidenza tra proprietà e controllo Le indagini di natura storica tendono ad identificare i tratti comuni nei soggetti che si fanno imprenditori. Il fine del profitto non è fattore dominante verso l’impresa. Esso è perseguito affinchè l’impresa rimanga vitale e soddisfi motivazioni psicologiche e spinte sociologiche di chi la crea. I filoni di studio e i modelli in letteratura identificano le variabili soggettive che sono caratteristiche individuali e condizioni sociali, considerate singolarmente o nella loro combinazione, che spingono all’imprenditorialità.

  27. Imprenditorialità e Piccole Imprese INDIRIZZO PSICOLOGICO Mc Clelland (1961): fattore need of achievement (autorealizzarsi facendo bene le cose) – bassa propensione al rischio e un solo carattere Rotter (1966) Shapero (1975) Brockhaus (1987): locus of control (alla base del need of achievement sta il convincimento di controllare il proprio destino) – un solo carattere Kets De Vries (1977): è imprenditore chi, avendo avuto una storia familiare infelice, che gli ha prodotto scarsa fiducia in se stesso, insicurezza viene spinto da adulto ad un atto di RIBELLIONE INNOVATIVA. Modellopsicodinamico: si ricercano più caratteri, si valutano le preferenze, i valori, più caratteri personali. INDIRIZZO SOCIOLOGICO Stanworth e Curran (1973): la teoria della “marginalità sociale” (perdita del posto di lavoro, appartenenza a minoranze etniche, etc.) che nasce dall’incongruenza tra attributi personali e posizione occupata in società; tale discrasia è superata diventando imprenditori. Altri fattori sociali • eredità; • imitazione; • esperienza; • turbolenza del mercato del lavoro; • disoccupazione; • in occupazione.

  28. Imprenditorialità e Piccole Imprese L’INDIRIZZO ANALITICO Definisce l’imprenditore con riguardo alle funzioni che deve assolvere per governare l’impresa ossia per decidere il sistema evolutivo delle operazioni aziendali che danno contenuto alla gestione e le forme organizzative che ne costituiscono il supporto. Vengono superate le seguenti qualificazioni dell’imprenditorialità: • il momento creativo dell’impresa; • la proprietà dell’impresa; • l’assunzione del rischio. E’ imprenditore chi gestisce l’impresa e allo scopo usa capacità creativo/innovative o, in chiave moderna, chi gestisce il cambiamento; non necessariamente chi assume il rischio, ma ne crea i presupposti con il suo potere a decidere. Il potere a decidere come qualificazione dell’imprenditore in un regime di separazione tra proprietà e controllo estende l’imprenditorialità ai manager. Brozen (1954) Redlich (1957): è imprenditore chi per effetto di scelte innovative, genera i presupposti del rischio ma non li assume, li assume la proprietà. Cole (1959): la funzione imprenditoriale è un’attività plurifunzionale (che esplicita l’attività di governo) esercitata da più soggetti.

  29. Imprenditorialità e Piccole Imprese Pantaleoni, Zappa: ancor prima affermavano il concetto di imprenditorialità diffusa tra tanti soggetti che cooperano per realizzare i fini aziendali – l’imprenditore come attività astratta. Occorre limitare le suddette concezioni ai soggetti che comunque esplicano il processo manageriale e non quello logistico-esecutivo. Dagli anni ’60 le teorie di management si sono fortemente sviluppate attraverso gli studi di strategia identificando le funzioni più tipicamente imprenditoriali, assunte dai manager. L’imprenditorialità debba essere identificata solo in quei componenti dell’alta direzione (modello di Anthony – all’alta direzione sono riservate le decisioni strategiche), oppure se ad essa partecipino anche coloro cui è delegato il potere a decidere. Elementi di sistemazione teorica: • l’evoluzione delle strutture organizzative; • lo spostarsi dell’enfasi dalla fase di formulazione a quella di attuazione delle strategie. Struttura funzionale Direttore generale (manager generalista) formula le strategie Direttore funzionale (manager specialista) attua le strategie Struttura divisionale Direzione generale Direttore di Divisione formula le strategie Direttore funzionale attua le strategie

  30. Imprenditorialità e Piccole Imprese L’evoluzione delle strutture organizzative e l’importanza della fase attuativa delle decisioni depongono a favore di un’imprenditorialità diffusa a tutti coloro che detengono potere di guida e di controllo (processo manageriale). Se l’imprenditorialità coincide con l’esercizio del processo manageriale essa diventa sinonimo di managerialità e quindi i due concetti hanno un significato comune. Limiti di manifestazione dell’imprenditorialità nella GI • le funzioni imprenditoriali nella GI sono assolte dai manager che le esercitano in forma professionale, quest’ultima qualificazione implica il possesso di conoscenze acquisite non solo tramite l’esperienza, ma anche tramite la formazione. • utilizzando la distinzione di Cole, basata sui comportamenti con cui si governa l’impresa, si può affermare che il piccolo imprenditore si configura più come imprenditore empirico che razionale o cognitivo, queste ultime modalità riconosciute tipiche dei manager. Imprenditore empirico: acquisisce le conoscenze dall’esperienza e spesso usa una logica estrapolativa. Imprenditore razionale: acquisisce le conoscenze attraverso una analisi razionale di come potranno evolvere le situazioni. Imprenditore cognitivo: è attento ad aggiornare le conoscenze e a rialimentare le sue scelte con quanto di nuovo.

  31. Imprenditorialità e Piccole Imprese Imprenditorialità e managerialità Le situazioni che consentono di mantenere una distinzione tra imprenditorialità e managerialità: • le funzioni di governo dell’impresa si assumono in virtù: a. del diritto di proprietà nella pi; b. di una delega di chi detiene la proprietà (m.g.i.) • coincidenza tra proprietà e controllo: si assommano negli stessi soggetti le facoltà che derivano dal diritto di proprietà: partecipazione agli utili, avere potere sull’impresa, amministrarla. • Berle e Means: dal diritto di proprietà discende: a. partecipare con un interesse economico al suo andamento; b. avere un potere su di essa; c. agire nel suo interesse (amministrare). • il piccolo imprenditore esercita tutte queste facoltà o decide di delegare parti dell’amministrazione a managers in virtù di un regime di controllo fondato sulla proprietà quasi totale; proprietà e controllo restano di sua competenza. • nelle PI la presenza di manager non modifica il regime di coincidenza tra proprietà e controllo: si può distinguere tra imprenditorialità e managerialità poiché quest’ultima esercita solo la facoltà dell’amministrare nei limiti delle deleghe conferite.

  32. Imprenditorialità e Piccole Imprese • Verso la separazione tra proprietà e controllo dei diritti inerenti la proprietà: a. Le società anonime, le società per azioni, la dispersione della proprietà, il controllo di minoranza. b. Il controllo diminoranza: gli azionisti dispersi detengono la maggioranza della proprietà nominale. c. L’azionista di comando detiene il controllo perché è in grado di nominare gli organi di governo e i managers di massimo livello. d. Il capitalismo manageriale: i managers detengono l’amministrazione ma sono in grado di acquistare il controllo: - attraverso le deleghe degli azionisti dispersi (usano il diritto di proprietà) - attraverso “la capacità di organizzare su larga scala” e produrre utili e dividendi nelle grandi imprese. • Se i managers acquisiscono il potere di controllo, ossia quello di governo dell’impresa, in essi si assommerebbe l’imprenditorialità e la managerialità: ma se c’è l’azionista di comando, chi comanda veramente la GI?

  33. Imprenditorialità e Piccole Imprese • L’azionista di comando è l’imprenditore e, quindi, tale figura è ancora distinguibile da quella del manager. • La public company come fenomeno compiuto di separazione tra proprietà e controllo: il controllo dell’amministrazione prescinde dal diritto di proprietà e scompare la figura dell’imprenditore. La coincidenza tra proprietà e controllo e i suoi effetti negli assetti organizzativi della PI. Altre differenze tra imprenditorialità e managerialità: • creare l’impresa vs darle continuità • patrimonio vs carriera • situazioni diverse nella PI e nella GI rispetto ai ruoli rispetto alle condizioni di esercizio del ruolo

  34. Imprenditorialità e Piccole Imprese Prime connotazioni organizzative della piccola impresa: EFFETTI DELLA COINCIDENZA TRA PROPRIETA’ E CONTROLLO SU ASSETTI ORGANIZZATIVI DELLA PI La dimensione dell’impresa e i fattori soggettivi della PI si connettono alla coincidenza tra la proprietà e controllo e determinano nella PI peculiari condizioni organizzative: • le mansioni sono costituite intorno alle persone; • commistione tra aspetti politici (o strategici) ed aspetti operativi della gestione; • limitato orizzonte temporale (o di pianificazione); • scarso impiego di sistemi informativi e di tecniche di gestione; • forte limitatezza del tempo per compiti manageriali; • gli errori di gestione sono più incidenti; • resistenza al cambiamento; • scarsa considerazione delle variabili ambientali. Queste caratteristiche della PI più piccola, occorre conoscerle per emanarle. Inoltre anche le PI evolvono quando al fondatore subentrino le successive generazioni che possono orientare il governo della PI verso un modello più manageriale.

  35. Imprenditorialità e Piccole Imprese L’IMPRENDITORIALITA’ MANAGERIALE Le variabili soggettive dell’imprenditore possono avere effetti negativi sui percorsi della p.i. Il problema di far evolvere un modello prettamente imprenditoriale di governo della p.i. verso uno stile più manageriale dove si attenui l’influenza di suddette variabili. Il problema della burocratizzazione della G.I.: non sempre il modello prettamente manageriale giova. Nell’evoluzione verso uno stile più manageriale si incontrano: • Difficoltà a. La centralità dell’imprenditore e la dimensione non rendono omologabile la p.i. alla G.I. b. L’approccio learning by doing è sufficiente per acquisire professionalità manageriali? • Condizioni a. Interventi mirati e differenziati; b. Considerazioni e rispetto della personalità della p.i. c. Metodi di comunicazione e di soluzione di problemi concreti; d. Fenomeni di resistenza del piccolo imprenditore.

  36. Imprenditorialità e Piccole Imprese Come indurre comportamenti più manageriali? • Evitare il richiamo delle teorie di management sviluppate per la G.I. • Utilizzare uno schema generale di riferimento utile sia alla p.i. sia alla g.i. in cui comporre le contrapposizioni tra imprenditorialità e managerialità per pervenire alle nozioni di: Imprenditorialità manageriale per la p.i. Managerialità imprenditiva per la g.i. Contributi a. il modello di Ansoff che spiega le componenti del processo manageriale in ottica di managerialità imprenditiva b. il Modello di Stevenson chiarisce la natura dei comportamenti imprenditivo e amministrativo e gli effetti del prevalere dell’uno sull’altro nella g.i. la burocrazia manageriale tende a limitarsi ai comportamenti amministrativi nella p.i. i comportamenti amministrativi sono poco praticati Non esiste un unico modello, ma una gamma di comportamenti che si collocano tra due estremi: iniziatore o promotore continuatore o conservatore che manifestano i loro comportamenti nelle fasi basilari del governo dell’impresa come segue

  37. Nessuno di questi comportamenti di per sé solo è sufficiente per gestire con successo l’impresa: essi si esercitano su un’area comune di intervento dove i loro caratteri antitetici devono trovare composizione e complementarità per gestire efficacemente l’impresa IMPRENDITORIALITA’ MANAGERIALE Comportamento Comportamento prettamente prettamente INIZIATORECONTINUATORE imprenditivo MANAGERIALITA’ amministrativo IMPRENDITIVA Dinamicamente chi gestisce l’impresa dovrà percepire le “SPINTE”: ambientali di origine interna comportamento più imprenditivo comportamento più amministrativo Chi gestisce l’impresa deve realizzare il giusto mix dei due comportamenti in relazione ai problemi e alle esigenze di origine esterna o interna: imprenditorialità manageriale nella p.i. dove ferma restando la carica innovativa implicita nel primo termine e le condizioni di flessibilità privilegiate dall’iniziatore, esse siano temperate da formule di ordine e di controllo interno e da analisi più puntuali delle variabili in gioco più tipiche del comportamento del continuatore.

  38. Imprenditorialità e Piccole Imprese TIPOLOGIE DI PICCOLI IMPRENDITORI • La tipologia Stratos (1990) • ricerca campionaria svolta dal gruppo Stratos • costruita su indicatori dei valori (ideali astratti di ciò che è considerato “buono”, “desiderabile”, “preferibile”) e degli atteggiamenti (ossia l’effetto dei convincimenti posseduti dalle persone) • ha consentito di rapportare ai differenti tipi di imprenditori le strategie che essi adottano e in cui hanno successo e le relative performance • in base ai diversi gradi di intensità con cui si manifestano i due principali caratteri che definiscono i comportamenti imprenditoriali a. dinamico/creativo b. amministrativo/attuativo è possibile individuare le seguenti quattro tipologie di imprenditore.

  39. Imprenditorialità e Piccole Imprese

  40. Imprenditorialità e Piccole Imprese Successiva ricerca Gruppo Stratos sull’internazionalizzazione non era più presente l’imprenditore Routiniero. Ipotesi: • non presente sul mercato internazionale; • la possibile formazione fatta dagli imprenditori che hanno acquisito abilità amministrative; • specie praticamente estinta. • La tipologia di Smith (1967) Si basa sulle differenze socio-culturali

  41. Imprenditorialità e Piccole Imprese • La tipologia di Stanworth e Curran (1973) Dall’identità sociale latente deriva la definizione che ogni imprenditore dà del proprio ruolo: si prefigura la possibilità della transizione da un tipo all’altro.

  42. Imprenditorialità e Piccole Imprese • La tipologia di Goffe e Scase (1980) Variabili considerate: a. ruolo imprenditoriale b. rapporti con i dipendenti Si prefigura la possibilità della transizione da un tipo all’altro.

  43. Imprenditorialità e Piccole Imprese • La tipologia di Julien e Marchesnay (1988) La tipologia di Julien e Marchesnay si collega direttamente a quella di Smith e consente di identificare il tipo di impresa alternativamente deriverà dal tipo di imprenditore in quanto influenzata dai suoi obiettivi e comportamenti. Si fonda su gerarchie di obiettivi. • Imprenditore C.I.C.: (Continuità – Indipendenza – Crescita) • Autofinanziamento; • Familiare; • Bassa competitività; • Possibile successo durevole; • Autocratica; • Vulnerabile al cambiamento. • Imprenditore C.A.C.: (Crescita – Autonomia – Continuità) • Anche finanziamento esterno; • Più suscettibile di crescere attraverso le opportunità a più alto rischio; • La crescita potrà limitare ma dovrà comunque mantenere l’autonomia; • Cresce attraverso l’esternalizzazione di alcune funzioni.

  44. Piccole Imprese STABILI e Piccole Imprese EMERGENTI • Coesistono nei sistemi economici occidentali, ma emergono da diverse concezioni di p.i. presenti nella letteratura USA e UK; • P.i. emergenti (USA): tutte le p.i. sono destinate a crescere attraverso stadi di un ciclo di vita e a diventare “grandi” – sono dotate di attributi organizzativi del modello “manageriale”; • P.i. stabili (UK): la maggioranza delle p.i. non crescono, poiché i p.imprenditori temono le conseguenze dell’aumento di dimensione, né perseguono la massimizzazione del profitto, privilegiano altri obiettivi; • La coesistenza dei due tipi si spiega con i diversi obiettivi di cui sono portatori i relativi imprenditori; • L’apparente contraddizione dipende dal fatto che la letteratura USA focalizza l’impresa sulla base degli studi di management attribuendole lo stile manageriale di gestione, mentre la letteratura UK focalizza la soggettività del p.imprenditore da cui dipende il concetto di imprenditorialità; • I due tipi di p.i. si collocano in due diverse posizioni nel continuum dei ruoli di comando: quasi solo ruoli molti più ruoli imprenditorialimanageriali aumentano i ruoli manageriali per sostenere la crescita p.i. p.i. media grande stabile emergente impresa impresa

  45. Imprenditorialità e Piccole Imprese • La p.i. emergente è tale poiché la crescita non è un’opzione, ma è un vincolo: crescere o fallire; • Le verifiche empiriche rilevano che i due tipi di p.i. dipendono dalle scelte degli imprenditori (Churchill e Lewis); Quesito: le scelte degli imprenditori sono libere da vincoli o sono imposte dalle caratteristiche strutturali del settore? I settori frammentati e maturi / i settori emergenti hanno caratteristiche che impongono rispettivamente la scelta di permanere nella data dimensione oppure di crescere. Però: è facile constatare che, i fattori personali diversi stanno alla base della creazione di imprese che si inseriscono alternativamente nei settori frammentati e maturi oppure in quelli emergenti. Quindi partendo dall’osservazione di p.i. di tipo diverso si conferma che i fattori soggettivi degli imprenditori, anche superando la mera considerazione dei loro obiettivi, consentono di interpretare il loro diverso modo di essere e di evolvere.

  46. Imprenditorialità e Piccole Imprese IL MODELLO DI GREINER Punti nodali del contributo di Greiner (1997) • La relazione unidirezionale opportunità/strategia/struttura organizzativa prevista da Chandler non sempre si verifica: la struttura può giocare un ruolo critico rispetto allo sviluppo; è meno malleabile di quanto previsto e può influenzare la strategia; • Il cambiamento organizzativo è imposto dall’aumento della dimensione; al mantenimento della stessa dimensione corrisponde il mantenimento delle stesse logiche manageriali; • In ogni stadio del ciclo ci sono due fasi: di evoluzione e di rivolgimento; nella prima lo sviluppo si manifesta in modo evolutivo e non richiede cambiamenti di stile di direzione che lo promuove; nella seconda tale stile perde il carattere di fattore di sviluppo, diventa fattore di una crisi, si genera un problema di direzione che deve essere risolto per non arrestare lo sviluppo; • Il modello interessa la piccola impresa che si identifica nel primo stadio, dove lo stile è imprenditoriale (area 1 = area della piccola impresa): l’aumento della dimensione impone uno stile manageriale (area 2 = area possibile della p.i.); a. Non prevede che l’imprenditore possa realizzare la “mutazione” (evoluzione nel ciclo di vita); b. Più spesso ci sarà una crisi di leadership: l’imprenditore rifiuta di mettersi da parte, non può o non vuole modificare i suoi comportamenti (ipotesi di Greiner) con il fenomeno di discontinuità impresa-imprenditore; c. Subentra un manager che formalizza l’organizzazione (il modello non contempla l’ipotesi di evoluzione dell’imprenditore).

  47. Imprenditorialità e Piccole Imprese IL MODELLO DI CHURCHILL E LEWIS (1983) Il modello di Churchill e Lewis è quello che offre i più significativi contributi avallati anche da indagini sul campo. Viene analizzata la crescita e i suoi stadi non solo attraverso la dimensione, ma anche attraverso la dispersione spaziale e la complessità. Ogni stadio viene descritto attraverso cinque variabili manageriali. • Stile di direzione • Struttura organizzativa • Sistemi manageriali formali • Obiettivi strategici/Strategia • Coinvolgimento imprenditore Fig. 6 p. 117: Il modello di Churchill-Lewis Problema strategico chiave/condizioni chiave Fig. 7 p. 119: L’importanza dei fattori manageriali negli stadi

  48. Imprenditorialità e Piccole Imprese IL CICLO DI VITA DELL’IMPRENDITORE Alcune osservazioni: • deve esserci coerenza delle variabili manageriali nei vari stadi; • i fattori chiave di successo in ogni stadio assumono diversa importanza; • occorre anticipare le configurazioni delle variabili manageriali prima di transitare nel nuovo stadio. In parallelo al ciclo di vita dell’impresa vi è il ciclo di vita dell’imprenditore. I stadio Esistenza saper fare II stadio Sopravvivenza saper far fare III stadio Successo saper lasciar fare IV stadio Maturità capacità a gestire strategicamente l’impresa Il modello di crescita delle p.i. italiane non prevede la struttura divisionale ma la gemmazione. L’imprenditore artigiano trova difficoltà a passare da uno stadio all’altro. L’imprenditore opportunista già adatto, grazie al suo background, per i successivi stadi.

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