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LE PAROLE PER DIRLO IN PEDIATRIA. Dr.Luigi Besenzon, dr.Cristina Nasi SC Pediatria e Neonatologia Ospedale SS Annunziata Savigliano. INFORMARE E COMUNICARE. 2 PROCESSI DIVERSI. COMUNICARE. COMUNICARE IN MODO NON VERBALE. MEDICO. relazione. GENITORI. PAZIENTE.
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LE PAROLE PER DIRLOIN PEDIATRIA Dr.Luigi Besenzon, dr.Cristina Nasi SC Pediatria e Neonatologia Ospedale SS Annunziata Savigliano
INFORMARE E COMUNICARE 2 PROCESSI DIVERSI
COMUNICARE COMUNICARE IN MODO NON VERBALE
MEDICO relazione GENITORI PAZIENTE
IL BAMBINO NON E’ UN ADULTO IN MINIATURA NE’ UN INDIVIDUO PRIVO DELLA CAPACITA’ DI COMPRENSIONE E DI SCELTA Il bambino è un soggetto “competente”, in grado di esprimere se stesso, i propri pensieri, le proprie emozioni, le proprie scelte con tempi e modalità peculiari; è titolare del diritto di essere preso in considerazione .
Convenzione Internazionale dei Diritti dei Bambini, proclamata a New York il 20 Novembre 1989. L’articolo 12 afferma che il minore ha diritto ad esprimere la sua opinione che deve essere tenuta in considerazione.
Questo diritto è riconosciuto e sostenuto nei più importanti ospedali pediatrici italiani, che hanno sottoscritto la “CARTA DEI DIRITTI DEL BAMBINO IN OSPEDALE”
Articolo 6 I bambini ed i genitori hanno il diritto di essere informati in maniera appropriata, in relazione all’età ed al grado di comprensione Il personale informa genitori e bambini sulle condizioni di salute e sulle procedure cui il bambino verrà sottoposto con linguaggio comprensibile ed adeguato al suo sviluppo ed alla sua maturazione. Ciò comporta l’utilizzo di spazi, tempi, modalità e strumenti comunicativi idonei ai singoli casi, ricorrendo anche alle immagini, ai disegni, alla narrazione e al gioco. Per le persone straniere, con scarsa conoscenza della lingua italiana, l’Ospedale attiva rapporti con servizi di interpretariato o mediatori culturali.
Articolo 7 Il bambino ha diritto di essere coinvolto nelle decisioni diagnostiche e terapeutiche che lo riguardano Un assenso/dissenso progressivamente consapevoli in rapporto alla maturazione del bambino andranno sempre promossi e ricercati anche e soprattutto attraverso le relazioni familiari. La sperimentazione sul minore può essere effettuata solo se non esiste la possibilità di perseguire analoghi risultati su soggetti di maggiore età né una cura alternativa migliore; essa è sempre vincolata al consenso di chi esercita la potestà genitoriale.
. E’ necessario ascoltare il minore, entrare in relazione con lui, cercando di ritagliargli una “fetta” di autonomia decisionale. Per entrare realmente “in relazione” con il minore bisogna considerare la sua età.
SVILUPPO DELLA CAPACITA’DI COMPRENSIONE NEL BAMBINO La competenza a decidere si basa sullo sviluppo cognitivo del bambino. I processi di pensiero, secondo Piaget (scuola di epistemologia genetica di Ginevra) si dividono in quattro fasi
Prima fase: Fase dell’intelligenza percettivo-motoria; da 0 a 15-18 mesi di vita. Seconda fase: Fase del pensiero pre-operatorio-irreversibile; dai 2 ai 5-6 anni di vita. Terza fase : fasedel pensiero operatorio-reversibile; dai 6-7 ai 9-10 anni di vita. Quarta fase: fase del pensiero logico-deduttivo; dai 9-10 ai 13-14 anni di vita
PRIMA FASE • Nel primi anni di vita le relazioni del bambino sono in gran parte mediate dai genitori. • Nei confronti del bambino gli operatori sanitari devono assumere un atteggiamento delicato, tranquillizzante, con modi e termini adeguati all’età del bambino; nel caso di manovre dolorose occorre sempre utilizzare terapie farmacologiche e terapie di supporto finalizzate a minimizzare la paura ed il disagio. • Molto importante è l’atteggiamento dei genitori: genitori “alleati”, collaborativi, in grado di contenere e consolare il bambino, rivestono un ruolo prezioso nella gestione della visita, nell’adesione del paziente alle terapia e nel mantenimento di un sereno rapporto di fiducia con gli operatori sanitari.
DA 2 A 6 ANNI Il bambino è guidato da un pensiero limitato alle personali esperienze operative, fantasioso e magico. In questa fase è insufficiente la capacità di comprendere e decidere ma il bambino sa esprimere le proprie sensazioni e va coinvolto nel processo diagnostico terapeutico. E’ possibile condurre un colloquio con il bambino con modi ed atteggiamenti adeguati all’età: utilizzando un linguaggio semplice, sfruttando il gioco, le favole, le immagini . Il coinvolgimento del bambino è utile (anche a questa età il paziente può dare informazioni sulle proprie sensazioni) e proficuo (se il bambino viene coinvolto spesso collabora attivamente). Deve essere evitato il silenzio perché questo aumenta le paure. Rimane molto importante la collaborazione dei genitori.
DAI 6-7 ANNI DI VITA Il bambino riesce a farsi un’idea dei punti di vista degli altri, ad integrali nei propri ragionamenti e farne uso per le proprie decisioni. DAI 10-12 ANNI Il bambino è capace di un pensiero ipotetico, critico, astratto sugli eventi futuri e le loro conseguenze sul rapporto causa effetto. IN QUESTE FASI VI E’ CAPACITA’ DECISIONALE CONDIVISA CON I GENITORI • E’ opportuno presentare al bambino-ragazzo li tutti gli scenari che è in grado di comprendere o immaginare/pensare. • Sono possibili l’ assenso/dissenso su atti concreti vicini alla sua esperienza. • tale esperienza farà nascere la necessaria alleanza con l’adulto.
COMUNICARE una diagnosi di malattia potenzialmente mortale o invalidante costituisce una tappa dolorosa per tutti e anche per i sanitari significa sentirsi portatori di grande sofferenza fisica e psichica. LA COMUNICAZIONE NEL CASO DI PATOLOGIA IMPORTANTE, CON NECESSITA’ DI OSPEDALIZZAZIONE/TERAPIE PROLUNGATE
ACCOGLIENZA L’ingresso in Ospedale viene sempre vissuto drammaticamente dai genitori e dal bambino Il lavoro di accoglienza coinvolge tutto lo staff
ACCOGLIENZA Sentirsi “accolti bene e accompagnati” costituisce la premessa di potersi sentire “ben curati”
COMUNICAZIONE DIAGNOSI Importanza di una comunicazione sincera sia con i genitori che con il bambino. - rispetto alla malattia • rispetto agli interventi terapeutici
UNA COMUNICAZIONE SINCERA CON PAZIENTE E GENITORI E’ FONDAMENTALE PER LO STABILIRSI DI UN RAPPORTO DI FIDUCIA E PER L’AVVIO DELL’ALLEANZA TERAPEUTICA • QUALITA’ DI COMUNICAZIONE E RELAZIONE SI SVILUPPANO LUNGO UN PERCORSO CHE HA INIZIO GIA’ DAL PRIMO INCONTRO Ascolto e sincerità limitano il sentimento di solitudine e di diversità
COMUNICAZIONE DIAGNOSI Bambini e ragazzi desiderano sapere. Una comunicazione corretta che rispetti i loro tempi consente di approfondire gradatamente la definizione della situazione di malattia e ridimensionare paure e fantasie.
I genitori chiedono comprensione della loro disperazione iniziale e una comunicazione che sia basata su un atteggiamento sincero che non illuda, ma lasci speranza realistica, laddove esista.
La comunicazione continua… UNA COMUNICAZIONE APERTA RISPETTO ALLO SVOLGERSI DELL’ESPERIENZA DI MALATTIA CONSENTE AL BAMBINO / RAGAZZO DI “ PARTECIPARE” E NON “SUBIRE” IL PROCESSO DI CURA
Presentazione del “CARE TEAM” Comunicazione della diagnosi e descrizione delle caratteristiche cliniche e biologiche della malattia Stima prognostica • Descrizione dell’approccio diagnostico-terapeutico • Descrizione degli effetti iatrogeni a breve, medio e lungo termine • Sviluppo di un rapporto di fiducia e di cooperazione tra il ”care team” - genitori – paziente (alleanza terapeutica)
CONSENSO INFORMATO Caratteristiche del consenso informato • Consapevole • Reale e specifico • Preventivo • Personale • Immune da vizio
CONSENSO INFORMATO Caratteristiche del consenso informato • Consenso consapevole deriva da una chiara e completa informazione in merito all’approccio diagnostico-terapeutico, alla prognosi, agli effetti presuntivi del trattamento, ai rischi e alle possibili complicanze della terapia.
CONSENSO INFORMATO Caratteristiche del consenso informato • Consenso personale espresso dal paziente stesso o dai genitori o persona rappresentante legale del paziente • Consenso immune da vizi è privo di ogni elemento che possa turbare il processo intellettivo volitivo che determina la scelta
Contrasto tra genitori: uno vuole far eseguire un intervento, l’altro lo rifiuta; se i genitori sono separati • Il consenso deve essere rilasciato da entrambi i genitori, anche da quello non affidatario • Se si tratta di intervento “salvavita” ovvero di un intervento necessario per evitare un “danno grave”, il medico può decidere il da farsi senza chiedere alcun consenso, esattamente come farebbe per un adulto. • Al di fuori di questi casi, sarà il Tribunale dei Minori, investito della questione, a decidere.
I genitori vogliono sottoporre il figlio ad un intervento, il minore lo rifiuta • Il rifiuto delle terapie in un ragazzo di 14-16 anni rappresenta una “fonte di disagio” per il curante • Il rifiuto di trattamento di un ragazzo di 16-18 anni diviene un “impedimento”
COMUNICAZIONE NELL’ISTITUZIONEa vari livelli • All’interno del gruppo infermieristico • All’interno dello staff medico-infermieristico. • All’interno della divisione • All’interno del dipartimento • Nell’azienda
COMUNICAZIONE NELL’ISTITUZIONEstumenti • Il dialogo • Il colloquio mirato • Le riunioni • I gruppi
ACCOGLIENZA ASCOLTO ADEGUAMENTO AL PAZIENTE SINCERITA’ SPERANZA REALISTICA OBIETTIVI RAGGIUNGIBILI ALLEANZA ACCOMPAGNAMENTO