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GAIO SALLUSTIO CRISPO

GAIO SALLUSTIO CRISPO. Vita Opere Testi. Gaio Sallustio Crispo nacque ad Amiternum , antica città della sabina, nell’86 a. C. Appartenente ad una agiata famiglia plebea, giunse a Roma in giovane età per compiere gli studi e lì avviò la sua carriera politica.

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GAIO SALLUSTIO CRISPO

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Presentation Transcript


  1. GAIO SALLUSTIO CRISPO • Vita • Opere • Testi

  2. Gaio Sallustio Crisponacque ad Amiternum, antica città della sabina, nell’86 a. C. Appartenente ad una agiata famiglia plebea, giunse a Roma in giovane età per compiere gli studi e lì avviò la sua carriera politica. Iniziò il suo cursus honorum come questore nel 55 a. C. e nel 52 a. C. divenne tribuno della plebe. Si avvicinò alla fazione dei popolari, capeggiata da Cesare, e, nello stesso anno del tribunato, si scagliò violentemente contro Milone, rappresentante della fazione dei conservatori e uccisore di Clodio, alleato di Cesare, e Cicerone, che ne aveva assunto la difesa. Probabilmente a seguito di una vendetta dei conservatori, venne espulso dal Senato con l’accusa di condotta immorale (probri causa). Nel corso della guerra civile, militò al fianco di Cesare e, nel 47 a. C., al termine del suo impegno militare, venne riammesso in Senato. Dopo la conclusione della campagna militare in Africa contro i pompeiani, Cesare affidò a Sallustio l’amministrazione della provincia appena costituitasi con il nome di Africa nova. Al rientro dall’incarico in Africa, a causa delle ricchezze accumulate, Sallustio venne accusato di concussione (de repetundis) e riuscì a salvarsi dal processo grazie all’intervento di Cesare, cui, si disse, aveva concesso un lauto compenso in denaro. Nel 44 a. C., alla morte di Cesare, abbandonò la vita pubblica e si dedicò alla scrittura delle sue opere letterarie nella tranquilla cornice degli HortiSallustiani, una splendida dimora che l’autore si era fatto edificare tra il Pincio e il Quirinale con le fortune portate dall’Africa. La morte lo raggiunse nel 35 a. C., nel corso della scrittura delle Historiae.

  3. OPERE STORIOGRAFICHE De Catilinaeconiuratione MONOGRAFIE OPERE DI IMPIANTO ANNALISTICO BellumIugurthinum Historiae

  4. OPERE DI ATTRIBUZIONE INCERTA Invectiva in Ciceronem Epistulae ad Cesaremsenem

  5. De Catilinaeconiuratione: si tratta di un’opera monografica, divisa in 61 capitoli, che ha per argomento il colpo di Stato tentato da Lucio Sergio Catilina, un patrizio di antica nobiltà decaduta che aveva fatto la sua fortuna durante la dittatura di Silla. Dopo aver tentato per due volte di candidarsi al consolato (la prima volta, nel 66 a. C., viene perseguito per concussione abuso di potere e viene, inoltre, accusato di aver ordito una cospirazione; la seconda, nel 64 a. C., i rappresentanti dell’oligarchia senatoria, minacciati dalla sua popolarità, gli preferiscono Cicerone, che allora era solo un giovane e brillante avvocato di umili origini), Catilina si pone a capo di una sommossa antisenatoria, che raccoglie molti altri nobili caduti, come lui, in disgrazia. Tra i congiurati spicca anche una notevole presenza femminile; Sallustio, in particolare, dedica un capitolo intero, il 25, alla descrizione di Sempronia, che appare, per i suoi tratti negativi, l’alter ego al femminile dello stesso Catilina. La vicenda occupa un arco di tempo che va dal 64 a C., anno della seconda sconfitta elettorale di Catilina, al 62 a. C., quando la congiura è definitivamente sventata. Dopo il proemio (cap. 1-4), in cui Sallustio illustra la sua scelta di ritirarsi dalla politica e di dedicarsi all’attività storiografica, segue il ritratto di Catilina (cap. 5) e un excursus contenente la sintesi della storia romana precedente (cap.

  6. 6-13), in cui lo storico si sofferma sulla descrizione e sull’analisi delle cause della degenerazione politica ed etica di Roma, individuandone il punto di partenza nella distruzione di Cartagine; in questo contesto, la vicenda di Catilina assume, quindi, un valore paradigmatico: essa viene, infatti, scelta come evento-simbolo ed conseguenza della perdita di quei valori, incarnati dagli antenati, che stavano alla base della grandezza di Roma. La narrazione procede con la descrizione dei primi preparativi della congiura e con i primi attacchi di Cicerone a Catilina, che viene costretto a lasciare Roma e a trasferirsi in Etruria, dove comincia ad arruolare le sue truppe. Il punto di svolta è costituito dall’intercettazione di un documento in cui alcuni seguaci di Catilina chiedono l’appoggio dei Galli Allobrogi contro Roma. La sorte dei catilinari scoperti e arrestati è dibattuta nel corso di una seduta del Senato, in cui si costituiscono due schieramenti opposti: quello di Catone, appoggiato dallo stesso Cicerone, che si batte per la condanna a morte dei catilinari senza offrire loro la possibilità di servirsi della provocatio ad populum, cioè di un appello che, secondo le leggi romane, il condannato poteva rivolgere al popolo per ottenere una pena alternativa, e quello di Cesare, che invita i senatori ad una maggiore lungimiranza e all’osservanza della legge.

  7. I due si fronteggiano con due celebri discorsi (cap. 50-54 ). A prevalere sarà, alla fine, la linea di Catone e i catilinari verranno giustiziati. Negli ultimi capitoli viene descritta la battaglia campale tra l’esercito repubblicano e le truppe di Catilina a Pistoia. Prima dello scontro decisivo, Catilina prepara l’animo dei suoi alla battaglia incitandoli con uno dei suoi discorsi, ma, durante la battaglia, vistosi sconfitto, si lancia tra i nemici cercando e trovando la morte . La descrizione delle truppe di Catilina che ricoprono, morte, il campo di battaglia, è condotta da Sallustio con toni particolarmente drammatici ed epici allo stesso tempo, quasi a significare che, nel loro estremo e valoroso sacrificio, i congiurati sono riusciti a riportare in vita quelle antiche virtutes ormai sconosciute al popolo romano.

  8. BellumIugurthinum: si tratta di un’opera monografica, divisa in 114 capitoli, che descrive le operazioni militari condotte dai Romani contro Giugurta, re della Numidia ed ex alleato di Roma; l’arco temporale della vicenda va dal 118 a. C., anno della morte di Micipsa e dell’ascesa al trono di Giugurta, al 105 a. C. Dopo una prima parte proemiale (cap. 1-4), in cui Sallustio chiarisce la scelta del genere storiografico, la narrazione procede con la descrizione degli antefatti della guerra e il ritratto di Giugurta (cap. 5-16); in essa, lo storico riassume brevemente le vicende del regno di Numidia: l’appoggio dato a Roma nel corso della seconda guerra punica; la nascita dei rapporti di amicizia tra Roma e il re Masinissa; l’avvento del regno di Micipsa e la sua suddivisione, alla morte del re, tra i figli Iempsale e Aderbale e il nipote Giugurta, che si era già distinto per le sue doti militari combattendo a Numanzia a fianco di Scipione l’Emiliano. Ambizioso e bramoso di potere, tuttavia, Giugurta non si accontenta di dividere con i cugini una parte del regno di Numidia, ma fa uccidere Iempsale, costringendo Aderbale a chiedere aiuto a Roma: il Senato interviene stabilendo una nuova suddivisione del regno tra i due.

  9. A questo punto, la narrazione delle vicende si interrompe e viene inserito un primo excursus geografico sull’Africa e le sue popolazioni (cap.17-9). Dopo l’excursus, il racconto prosegue con i nuovi tentativi di Giugurta a danno del cugino: viene descritta la presa della città di Cirta, in cui Aderbale si era rifugiato con le truppe, e lo strage di Numidi e Italici compiuta in quell’occasione (112 a. C.). Solo allora il Senato si persuade a dichiarare guerra all’ex alleato; nei primi anni di guerra, tuttavia, le operazioni sono condotta da rappresentanti della nobilitas avidi e corrotti, che non esitano a garantire a Giugurta l’immunità in cambio di considerevoli elargizioni d’oro, come il console Lucio Calpurnio Bestia, o incompetenti, come AuloPostumioAlbinio. La situazione scatena, a Roma, un acceso conflitto con la plebe: il tribuno Gaio Manilio fece istituire un tribunale speciale, composto da rappresentanti della cavalleria, che condanno per corruzione molti senatori. Nel corso di questi duri scontri, Sallustio inserisce l’excursus etico-politico (cap. 41-42), in cui, come nel De Catilinaeconiuratione, riflette sulla cause del declino di Roma: laddove nell’altra opera monografica si parlava più generalmente del dilagare di mali quali l’ambitio e l’avaritia, nel BellumIugurthinum viene isolato un oggetto d’indagine ben preciso, il mospartium

  10. etfactionum, “il malcostume dei partiti e delle fazioni”, che aveva lacerato l’antica concordia che, a Roma, aveva regnato sino alla presa di Cartagine: la perdita del metushostilis, “la paura dei nemici”, aveva aperto la strada all’imperversare di quelle divisioni intestine di cui la guerra giugurtina era il risultato più evidente. Come nel De Catilinaeconiuratione, quindi, Sallustio sceglie un avvenimento della storia romana che possa assumere un valore paradigmatico rispetto alla condizione negativa in cui, a suo dire, la repubblica romana imperversava e continuava ad imperversare in epoca a lui contemporanea e rispetto alle cause che egli attribuiva a questa degenerazione inarrestabile. Al termine dell’excursus, riprende la narrazione degli eventi bellici: la guerra vive un punto di svolta con l’elezione a console di Quinto CecilioMetello, aristocratico onesto e valoroso, che riporta le prime vittorie per Roma e ha al suo seguito, come legato, il plebeo Gaio Mario. Questi, ottenuto il permesso di recarsi a Roma, aizzando la plebe contro la nobiltà corrotta, riesce a farsi eleggere console e a farsi riconoscere, per volontà dei comizi, il comando della spedizione in Africa, sottraendolo allo stesso Metello (107 a. C.). Nel capitolo 85, Sallustio riporta il lungo e appassionante discorso con cui Mario arringa le sue truppe, costituite, per la prima volta, anche da cittadini nullatenenti .

  11. Al comando di Mario, le truppe romane riportano la vittoria definitiva. Grazie all’operato del giovane questore Silla, Mario riesce ad ottenere l’appoggio di Bocco, re della Mauretania ed ex alleato di Giugurta, che consegna ai Romani il re di Numidia (105 a. C.). Giugurta fu condotto in catene a Roma dove, il 1 gennaio dell’anno successivo, Mario celebrò il suo trionfo. Sallustio non descrive nei dettagli il trionfo di Mario, che invece ci è noto attraverso altri autori: Giugurta venne trascinato, insieme ai suoi figli, in catene davanti al carro del vincitore e gettato nel Tullianum, l’orribile sotterraneo del carcere di Mamertino, dove morì strangolato per ordine di Mario. La Numidia venne divisa in due parti, assegnate, rispettivamente, a Bocco e Gauda, nipote di Massinissa, mentre alcuni importanti centri commerciali vennero aggiunti alla provincia romana d’Africa.

  12. Historiae: si tratta di un’opera storica di impianto annalistico, divisa in cinque libri che, riallacciandosi all’opera dello storico Sisenna, descrive gli avvenimenti intercorsi tra il 78 a. C., anno della morte di Silla, e il 67 a. C. Essa, tuttavia, rimase incompiute a causa della morte dell’autore. Delle Historiaeci sono rimasti solo un buon numero di frammenti, quattro discorsi e due lettere. Dai frammenti, è possibile ricostruire che il proemio, dopo una breve rassegna degli storiografi precedenti, svolgeva, come nelle opere monografiche, una descrizione della storia romana precedente agli eventi narrati e conteneva gli stessi accenni al decadimento morale e politico di Roma; rispetto alle monografie, tuttavia, il pessimismo di Sallustio sembra essersi accentuato, dal momento che ora, nel pensiero dello storico, l’intera storia di Roma appare, sin dalla fondazione, tempestata da discordie civili, dalle quali solo due momenti sarebbero stati realmente immuni: la cacciata dei Tarquini e la seconda guerra punica. I quattro discorsi e le due lettere, tranne quella di Mitridate, risalgono verosimilmente a documenti autentici, poi rielaborati dallo storico. DISCORSI LETTERE

  13. Epistulae ad Cesaremsenem: si tratta di due lettere che Sallustio avrebbe inviato a Cesare per offrigli consigli su come moralizzare la vita pubblica e riorganizzare lo Stato dopo la vittoria nelle guerre civili. Molti studiosi ritengono che si tratti di falsi, composti, probabilmente, all’interno delle scuole di retorica, in cui i ragazzi si esercitavano spesso componendo discorsi da attribuire a personaggi e situazioni storiche passate. I principali argomenti a sostegno di questa tesi sono: • la totale assenza di citazioni delle due lettere da parte degli antichi; • il fatto che Cesare venga definito senem, appellativo che, a Roma, si conferiva solo a chi avesse raggiunto i sessant’anni; Cesare, invece, venne ucciso prima del compimento di quell’età; • la lingua e lo stile, fin troppo arcaizzanti e sallustiani, rivelerebbero chiaramente un tentativo di imitazione, verosimilmente tentato da parte di qualche studente delle scuole di retorica.

  14. Invectiva in Ciceronem: si tratta di un breve e violento discorso pronunciato in Senato, nel 54 a.C., contro Cicerone, attaccato per la condanna dei catilinari e fatto oggetto di pesanti insinuazioni sulla sua vita privata. Secondo gli studiosi, se si tratta di un’opera autentica, è più probabile pensare che Sallustio l’abbia composta esclusivamente sotto forma scritta e che non l’abbia mai realmente pronunciata, data l’importanza di cui il personaggio di Cicerone godeva in quel periodo. Se si tratta di un falso, si può pensare al risultato di un’esercitazione interna alle scuole di retorica.

  15. Monografia: opera storica che si concentra sulla descrizione di un singolo evento, differenziandosi, in questo, dalla trattazione annalistica, che descrive, al contrario, gli avvenimenti anno per anno all’interno del periodo di tempo selezionato dall’autore. Il genere monografico fiorisce all’interno della storiografia ellenistica, che ne apprezzava la capacità di suscitare effetti patetici e drammatici nell’animo del fruitore. L’influsso della storiografia ellenistica produce, anche a Roma, la nascita delle prime trattazioni monografiche, quelle di Celio Antipatro sulla seconda guerra punica e quella di Sempronio Arsellione sugli anni 146-91 a. C. ca., risalenti al II/I a. C. In questo filone, si inserisce la produzione di Sallustio che, all’inizio del De Catilinaeconiuratione, afferma esplicitamente di voler narrare la storia del popolo romano carptim “per episodi” (Cat. 4).

  16. Storiografia annalistica: il metodo storiografico annalistico risale ai primordi della della letteratura latina dal momento che, come ci viene detto da Cicerone, “la storia non era nulla più che compilazione di annali” (De oratore 52); questi annali venivano compilati dal pontefice massimo e affissi pubblicamente, in modo che il popolo romano potesse prendere visione dei principali avvenimenti dell’anno appena trascorso. Il materiale venne poi raccolto dagli antichi in un corpus di ottanta libri, cui venne dato il nome di annalesmaximi. I primi Annales di cui conosciamo gli autori risalgono al III secolo a. C. e sono stati composti da Fabio Pittore e Cincio Alimento. La lingua utilizzata dai primi annalisti è il greco e ciò si spiega con l’intento fortemente apologetico che essi avevano assunto: redatti nel corso della terza guerra punica, avevano l’obiettivo di giustificare l’irrompente avanzata dell’imperialismo romano agli occhi delle popolazioni del Mediterraneo antico, dove predominava ancora la lingua greca della koiné. Benché affiancata dal metodo monografico, la tradizione annalistica si perpetua siano ai tempi di Sallustio con autori quali Valerio Anziate, Licinio Macro e Claudio Quadrigario.

  17. La storiografia è uno dei pochi generi letterari, insieme al diritto e all’eloquenza, ritenuti degni della classe aristocratica romana, dal momento che possiede una forte valenza politica. Questo è il motivo per cui, a Roma, i principali rappresentanti del genere saranno originari dalle file della classe senatoria o, in generale, della nobilitas. Nonostante ciò, l’attività letteraria, nella pragmatica mentalità romana, era ugualmente da subordinare alla pratica politica o a qualunque attività rientrasse nella sfera del negotium. Questo è il motivo per cui Sallustio sente il bisogno di giustificare, agli occhi del suo pubblico, al scelta di ritirarsi dalla vita pubblica e di dedicarsi all’otium letterario. Nei proemi delle due monografie, infatti, lo storico esalta la grandezza del genere storiografico e la definisce pratica degna dell’ingegno umano e finalizzata al bene dello Stato. Nei proemi delle due monografie, in particolare, Sallustio parte dalla distinzione tra anima e corpo, teorizzata dalla filosofia platonica, per affermare la superiorità delle attività intellettuali su quelle fisiche: è alle prime che l’uomo deve affidarsi per ottenere gloria e riconoscimenti e, tra queste, rientra, certamente, la storiografia. Bisogna, tuttavia, considerare che, nella scelta di ritirarsi dalla vita pubblica, che Sallustio attribuisce alla diffusa condizione di lassismo e corruzione che

  18. paralizzava la classe politica romana, ha però, sicuramente, influito la morte di Cesare, suo protettore, e la crescente ostilità che l’autore si era guadagnato presso i suoi avversari politici.

  19. Nell’ideologia sallustiana è centrale il tema della contrapposizione tra il buon tempo antico, sede di quei valori morali, civili e militari che erano alla base della grandezza di Roma, e la decadenza di quello presente, che egli adduce anche a motivazione del suo ritiro a vita privata. Al tema della corruzione dei costumi sono dedicati due ampi excursus del De Catilinaeconiuratione(cap. 6-13) e del BellumIugurthinum(cap. 41-2) e il proemio delle Historiae. Nelle sue monografie, Sallustio localizza le radici del declino del declino della repubblica nella presa di Cartagine e nella perdita di quel metushostilis“timore del nemico” (BellumIug. 41) che aveva tenuto coesa, fino a quel momento, la società romana. Il venir meno del metushostilissi lega, nella logica sallustiana, alla nascita del mospartiumetfactionum“l’uso delle lotte tra partiti e gruppi di potere” (BellumIug. 41) e al dilagare di vizi come l’avarizia, la superbia, la crudeltà, la mancanza di rispetto verso gli dèi, l’ambizione, che avevano invaso il corpo della Repubblica alla stregua di una pestilenza (Cat. 10). NellaHistoriae, invece, il pessimismo dell’autore si accentua e dal decadimento morale vengono escluse solo due fasi della storia romana: la cacciata di Tarquinio il Superbo e la seconda guerra punica. Solo allora, in circostanze di lotta contro un nemico comune, il popolo romano si dimostrò

  20. realmente coeso e in possesso di quelle virtù che Sallustio gli riconosce nelle opere monografiche. La scelta di inserire all’interno della descrizione di un singolo evento o un di un lasso di tempo circoscritto una breve panoramica della storia di Roma, dalle origini all’età repubblicana, rivela l’influsso di un procedimento risalente allo storico greco Tucidide (V a.C.) e noto con il termine archeologia. Al pari di Tucidide che, prima di accingersi alla descrizione delle guerre del Peloponneso, dedica i primi venti capitoli delle sue Storie ad una rivisitazione complessiva della storia greca, Sallustio mette in relazione i singoli eventi con la storia universale di Roma al fine di rintracciare, nel passato, le cause della degenerazione politica e morale che stanno alla base delle circostanze narrate.

  21. Procedimento diffuso delle opere di Sallustio è quello del ritratto. Attraverso il ritratto, l’autore riesce a mettere in luce le caratteristiche essenziali del personaggio, focalizzandosi, principalmente, sui tratti che riguardano la sfera intellettuale e morali. Una sostanziale differenza è, però, da segnalare tra il ritratto di Catilina (Cat. 5) e quello di Giugurta (BellumIug. 6): mentre la personalità di Catilina è dipinta sin dall’inizio nei suoi aspetti fondamentali, della personalità di Giugurta si hanno all’inizio pochi indizi, desumibili, indirettamente, sia dall'angoscioso presentimento di Micipsa che ne apprezza le doti ma teme per i figli in tenera età, sia dal favore di cui gode presso i Numidi che vedono nel giovane il leader carismatico. Se, quindi, la caratterizzazione di Catilina è immediatamente data, quella di Giugurta deve essere ricostruita dal lettore in base agli indizi offerti dall’autore e allo svolgimento dei fatti narrati. Una modalità di ritratto che si incontra di frequente all’interno dell’opera e che l’autore prende in prestito dallo storico greco Tucidide (V a. C.) è quella del discorso diretto: esso può essere utilizzato, non solo per descrivere caratterizzare un personaggio, ma anche per affrontare la trattazione di tematiche storiche e politiche particolarmente rilevanti. Tra i discorsi più celebri bisogna annoverare quelli di Catone e Cesare sulla condanna a morte dei catilinari (Cat. 50-54) e quello di Mario sugli homines novi (BellumIug. 85).

  22. I discorsi di catone e cesare Il 5 dicembre 63 a. C., dopo aver ricevuto le prime notizie sul complotto da un documento compromettente composto da alcuni catilinari, Cicerone, consolo di quell’anno, convoca una seduta del Senato per dibattere sull’opportuna condanna da infliggere ai rivoluzionari arrestati. Secondo le leggi romane, un cittadino non può essere condannato a morte senza poter prima usufruire della provocatio ad populum, ossia di un appello rivolto al popolo per commutare la pena capitale in un’altra condanna. All’interno del Senato, tuttavia, una voce si solleva con decisione a favore della condanna a morte per via diretta; è la voce di Catone l’Uticense, il quale sostiene la necessità di punire in maniera esemplare chiunque attenti alla vita dello Stato: il suo discorso insiste su argomentazioni di carattere moralistico e fa abbondante uso di procedimenti di carattere retorico, come l’ironia, di cui l’oratore si serve per avvicinare alle sue posizioni quei senatori, nella loro opposizione ad ogni infrazione della legge, erano mossi esclusivamente dalla necessità di salvaguardare i propri interessi e i propri beni materiali. Al discorso di Catone si contrappone quello di Cesare che, con uno stile meno sovrabbondante, cerca di ricondurre gli altri senatori ad una decisione equilibrata e non compromessa dall’animosità del momento: la condanna.

  23. diretta dei catilinari, infatti, avrebbe potuto creare un precedente pericoloso. Alla fine, sarà la linea di pensiero di Catone, appoggiata dallo stesso Cicerone, a prevalere e i catilinari arrestati verranno giustiziati senza la provocatio. Attraverso i due discorsi Sallustio riesce, non solo ad illustrare le caratteristiche dei due personaggi, ma anche ad esemplificare, tramite le loro parole, il contrasto tra due partiti, quello degli optimates e quello dei populares, che ampia influenza avrebbe avuto negli avvenimenti immediatamente successivi della storia romana e nella vita dello stesso Sallustio.

  24. Marco porcio catone (roma 95 a. c. – utica 46 a. c.) Discendente di Catone il Censore, fu un importante uomo politico e un brillante oratore. Seguace della filosofia stoica, è ricordato per la sua rettitudine morale e la sua intransigenza a difesa del mosmaiorume delle istituzioni repubblicane. Per questo motivo, fu tenace avversario di Cesare nel corso della guerra civile con Pompeo. Alla morte di quest’ultimo, Catone si rifugia con le sue truppe in Africa, presso il regno di Numidia, allora governato da Giuba I, avversario di Cesare. Dopo la battaglia di Tapso e il suicidio di Giuba I(46 a. C.), anche il regno di Numidia venne conquistato dalle truppe di Cesare; Catone, accampato presso la località di Utica, preferì, come prescrivevano i precetti della filosofia stoica, darsi la morte piuttosto che cadere nelle mani del nemico.

  25. Il discorso di Mario Discendente di una famiglia plebea di Arpino, nel Lazio meridionale, Gaio Mario riuscì, in breve tempo, a farsi notare per le sue doti politiche e, soprattutto, militari. Quinto CecilioMetello lo condusse con sé, comelegato, nella guerra contro Giugurta. Dopo aver ottenuto un permesso per recarsi a Roma, nel 107 a. C. Mario conseguì la carica di console e, in quell’occasione, i comizi gli affidarono il comando della guerra contro Giugurta, sottraendolo allo stesso Metello. A lui si deve una rivoluzionaria riforma dell’esercito che consentì, per la prima volta, la partecipazione alle campagne militari dei nullatenenti: questo contribuì a legare strettamente le sorti e gli intenti dell’esercito a quelli del suo generale, che solitamente ricompensava le sue truppe, al termine del servizio, donando loro terre; tale pratica avrà un notevole peso nello scoppio delle guerre civili del I secolo a. C. Il discorso di Mario occupa l’intero capitolo 85 ed è successivo alla sua elezione a console e comandante della spedizione in Numidia e si presenta come un manifesto programmatico dell’ideologia e delle istanze del ceto in ascesa degli homines novi, ossia di coloro che, pur non essendo di nobile nascita, erano ormai da tempo riusciti a ricoprire ruoli di notevole importanza

  26. all’interno della vita politica della repubblica romana (lo stesso Sallustio, del resto, che originario di una famiglia plebea di Amiternum, faceva parte di questa categoria). Con un’orazione accorata, Mario esprime il suo risentimento verso i rappresentanti del vecchio ceto nobiliare e afferma, a difesa degli homines novi, che la vera nobilitasnon scaturisce dal denaro o dai natali illustri, ma dalla virtus: il suo obiettivo è quello di evidenziare la distanza tra sé, uomo di origini umili ma in possesso di una esperienza diretta (e trionfante) della guerra, e i rappresentanti dell’aristocrazia, che pretendevano di ottenere il comando delle spedizioni militari senza aver mai calcato un campo di battaglia.

  27. All’interno della produzione di Sallustio, in particolare nel BellumIuguthinum, assume una considerevole importanza l’aspetto etnografico. L’interesse per l’etnografia fa il suo ingresso a Roma con il De bello gallico di Cesare e si spiega con la funzione politico-militare che esso assume all’interno delle campagne militari: le conquiste, infatti, venivano notevolmente agevolate dall’attività di exploratores ed interpreti, il cui aiuto era fondamentale per decifrare la struttura del territorio del nemico, la sua lingua, le sue istituzioni, i suoi punti di forza e le sue debolezze. All’interno del BellumIuguthinum, Sallustio inserisce ben due excursus etnografici: il primo, che occupai capitoli 17-19 ha per oggetto una descrizione generale dell’Africa; il secondo, presente nei capitoli 78-79, si riferisce alla descrizione della città di Leptis. L’importanza politica e militare della geografica è ampiamente esplicitata dal primo excursus, in cui Sallustio afferma di voler accompagnare la descrizione dell’Africa a brevi cenni rivolti“alle popolazioni che ebbero con non rapporti di guerra o di amicizia” (BellumIug. 17). Il riconoscimento dell’importanza strategica della geografia proseguirà in opere più tarde come la Germania di Tacito (I/II a. C.)

  28. Lo stile di Sallustio adotta una soluzione diametralmente opposta a quella della concinnitasciceroniana: Quintiliano, insegnante di retorica del I d. C., ne parlerà, infatti, usando l’espressione IllaSallustianabrevitasetabruptumsermnisgenus“la celebre brevità sallustiana e il suo modo di parlare franto” (Institutio oratoria IV, 2). Le sue caratteristiche principali sono, quindi, la brevitas, cioè la sintesi e la pregnanza semantica, e la varietas, cioè la presenza di repentini cambiamenti di costrutto all’interno di uno stesso periodo: possiamo, pertanto, parlare di uno stile basato sull’inconcinnitas. Tra i procedimenti stilistici più adoperati dall’autore è possibile ricordare l’ellissi di termini ed espressioni, l’asindeto, il chiasmo e lo zeugma. La lingua di Sallustio è, inoltre, caratterizzata dalla presenza di un nutrito numero di forme arcaiche, nelle quali emerge l’influenza della tradizione storiografica latina precedente e, in particolare, della produzione di Catone il Censore. Tanto l’inconcinnitas, quanto la patina arcaica, conferiscono al linguaggio delle opere di Sallustio una solennità e una tensione emotiva prima di allora sconosciute alla storiografia latina.

  29. GLOSSARIO Asindeto: coordinazione tra più parole, gruppi di parole, frasi, effettuata senza l’aiuto di congiunzioni copulative. Il suo opposto è il polisindeto. Ad esempio: CaesarHelvetios, Sequanos, Usipetesvicit. Chiasmo: disposizione incrociata di coppie di parole, in versi o in prosa, appartenenti a due sintagmi o proposizioni contigue. Ad esempio: Le donne (1),i cavallier(2),l’arme (3), gli amori (4). (Ariosto, Orlando Furioso). Concinnitas: caratteristica stilistica ciceroniana, consistente nella disposizione degli elementi all’interno del periodo basata su principi di equilibrio e armonia. Optimates: fazione politica che rappresentava gli interessi dell’aristocrazia. Populares: fazione politica che sosteneva gli interessi della plebe.

  30. Zeugma: connessione di un termine generalmente il verbo) con più complementi, alcuni dei quali richiederebbero altro supporto. Ad esempio: amissamclassem, socios a morte reduxi(Virgilio, Eneide IV, 375): reduxi regge sia amissamclassem che socios, sebbene il suo significato si adatti solo a socios.

  31. Arcaismi più diffusi in Sallustio: • u al posto di i nelle terminazioni di aggettivi e avverbi superlativi (maxumus per maximus, pessuma per pessimaecc.); • u al posto di e nelle terminazioni di gerundi e gerundivi di 3a e 4a coniugazione (agundo per agendo, capiundae per capiendae ecc.); • o anziché u nelle uscite del nominativo e accusativo singolare dei termini di 2a declinazione (ignavos per ignavus, vivosper vivus ecc.); • is anziché es nell’accusativo plurale dei termini di 3a declinazione con tema in vocale (civisper cives, omnis per omnes ecc.); • -ere al posto di -erunt come terminazione del perfetto indicativo della 3a persona plurale.

  32. Scelta dell’attività storiografica • Decadenza dei costumi • Ritratto • Etnografia • Stile

  33. Stile Cicerone, De oratore II, 64: verborumautemratioetgenusorationisfusumatquetractumetcumlenitatequadamaequabiliterprofluenssinehaciudicialiasperitateetsinesententiarumforensibusaculeispersequendum est. Bisogna infine ricercare un linguaggio e uno stile fluente e scorrevole, che proceda uniformecon una certa dolcezza, senza le asprezze dei discorsi giudiziari e le frecciate usuali del foro.

  34. Scelta dell’attività storiografica De Catilinaeconiuratione1/3/4: Omnishomines, qui sesestudentpraestareceterisanimalibus, summa openitidecet, ne vitamsilentiotranseantveluti pecora, quae natura prona atque ventri oboedientiafinxit. Sed nostra omnis vis in animo etcorpore sita est: animi imperio, corporisservitiomagisutimur; alterumnobiscumdis, alterumcumbeluiscommune est. Quo mihirectiusvideturingeniquamviriumopibusgloriamquaerere […]. Sed in magna copia rerum aliudalii natura iter ostendit. Pulchrum est bene facere rei publicae, etiam bene dicerehaudabsurdum est;vel pace vel bello clarum fieri licet; et qui fecereet qui factaaliorumscripsere, multi laudantur[…]. Igiturubi animus ex multismiseriisatquepericulisrequievitetmihireliquamaetatema re publicaproculhabendamdecrevi… a quo inceptostudioque me ambitio mala detinuerat, eodemregressusstatuiresgestaspopuli Romani carptim. Tutti gli uomini che desiderano eccellere fra gli esseri del mondo, con ogni mezzo devono prodigarsi per non condurre in silenzio la vita, come gli animali, che la natura ha foggiato con il capo rivolto a terra e schiavi del ventre. Ora, ogni nostra potenza dimora nell’animo e nel corpo: all’animo spetta comandare, al corpo servire; l’uno in comune con gli dèi, l’altro con le bestie. Perciò mi sembra più giusto cercare la gloria con le forze dell’ingegno che non del corpo […]. Ma in una così grande varietà di opere, la natura addita a tutti un diverso cammino. È bello servire lo Stato con i fatti, non è sconveniente farlo con le parole; e molti hanno acquistato rinomanza compiendo imprese, molti narrando quelle degli altri […]. Così il mio animo, quando, dopo tante miserie, tanti pericoli, si fu placato e io avevo determinato di vivere lontano, per il resto della mia esistenza, da ogni attività politica…ritornato a quel progetto e a quella passione da cui mi aveva distolto una dannosa ambizione, mi prefissi di narrare per episodi le storie del popolo romano.

  35. Scelta dell’attività storiografica BellumIugurthinum 2/4: Namutigenushominumcompositum ex corporeet anima est, itarescunctastudiaque omnia nostra corporisalia, alia animi naturamsecuntur. Igiturpraeclara facies, magnaedivitiae, ad hoc vis corporisetalia omnia huiusce modi brevi dilabuntur; at ingeni egregia facinorasicutianimaimmortaliasunt […]. Ceterum ex aliisnegotiis, quaeingenioexercentur, in primis magno usui est memoria rerum gestarum…Atque ego credo fore qui, quiadecreviprocul a re publicaaetatemagere, tanto tamque utili laborimeonomeninertiaeimponant… Qui si reputaverint, etquibus ego temporibusmagistratusadeptus sum [et] quales viri idem assequinequiverintetposteaquae genera hominum in senatumpervenerint, profectoexistimabunt me magis merito quam ignavia iudicium animi meimutavissemaiusquecommodum ex otiomeoquam ex aliorumnegotiis rei publicaeventurum. Infatti, come l’uomo è composto di corpo e anima, così tutte le nostre azioni e inclinazioni si attengono o alla natura del corpo o a quella dell’anima. Perciò lo splendore dell’aspetto, le grandi ricchezze, e anche il vigore del corpo e tutte le altre simili qualità si dileguano in breve tempo; le opere eccellenti dell’ingegno invece sono, come l’anima, immortali […]. D’altronde, tra le altre attività che si esercitano con l’ingegno, la più utile è senz’altro la narrazione delle imprese compiute... E poiché io ho preso la decisione di vivere lontano dalla politica, sono certo che alcuni bolleranno con il nome di inerzia il mio lavoro, così impegnativo e utile… Ma se analizzeranno attentamente quali fossero i tempi in cui ottenni incarichi pubblici e quali le persone che invece non li ottennero, e quale razza di gente entrò in seguito in Senato, riconosceranno certamente che furono buone ragioni e non certo l’ignavia a far mutare il mio proposito, e che certamente la Repubblica trarrà maggior vantaggio dal mio ozio che non dall’attività degli altri.

  36. DECADENZA DEI COSTUMI De Catilinaeconiuratione10: Sedubilaboreatqueiustitiarespublicacrevit, reges magni bello domiti, nationesferaeetpopuliingentes vi subacti, Carthago, aemula imperi Romani, ab stirpe interiit, cunctamariaterraequepatebant, saevire fortuna ac miscere omnia coepit. Qui labores, pericula, dubiasatqueasperasres facile toleraverant, iisotiumdivitiaequeoptanda alias, oneri miseriaequefuere. Igitur primo imperi, deindepecuniae cupido crevit: ea quasi materies omnium malorumfuere. Namqueavaritiafidem, probitatemceterasqueartisbonassubvortit; pro hissuperbiam, crudelitatem, deosneglegere, omnia venaliahabereedocuit. Ambitiomultosmortalisfalsos fieri subegit, aliudclausum in pectore, aliud in lingua promptumhabere, amicitiasinimicitiasque non ex re, sed ex commodoaestumaremagisquevoltumquamingeniumbonumhabere. Haec primo paulatim crescere, interdum vindicari; post, ubicontagio quasi pestilentiainvasit, civitasinmutata, imperium ex iustissumoatqueoptumo crudele intolerandumque factum. Ma come, con operosità e con giustizia, lo Stato crebbe, grandi re furono domati in guerra, genti barbare e popoli potenti furono sottomessi con la forza, Cartagine, rivale della potenza romana, totalmente sradicata, quando tutte le terre e i mari si aprirono, la fortuna cominciò a infierire e a sconvolgere ogni cosa. Per uomini che avevano saputo tollerare fatiche, pericoli, eventi aspri e incerti, il riposo e le ricchezze, beni in altre circostanze desiderabili, costituirono un peso e una sventura. Crebbe la cupidigia, prima di denaro, poi di potere; alimento per così dire di ogni male. Poiché l’avidità sovvertì la lealtà, la rettitudine e ogni altra virtù; in cambio educò all’arroganza, alla crudeltà, a trascurare gli dèi, a considerare tutto in vendita. L’ambizione forzò molti mortali a essere falsi, ad avere altro sulle labbra, altro nel cuore, a stimare gli amici e i nemici, non dal merito, ma dal tornaconto, ad apparire buoni più nell’aspetto che nell’animo. Tali cose dapprima crebbero a poco a poco, talvolta erano punite; dopo, quando il contagio dilagò simile a una pestilenza, la città fu sconvolta, il governo da giusto e onesto si fece crudele e intollerabile.

  37. DECADENZA DEI COSTUMI BellumIugurthinum 41: Ceterummospartiumetfactionumac deinde omnium malarumartiumpaucis ante annisRomaeortus est otioatqueabundantiaearum rerum, quae prima mortalesducunt. Nam ante Carthaginemdeletampopulus et senatusRomanusplacidemodesteque inter se rempublicamtractabant, nequegloriaenequedominationiscertamen inter civiserat: metushostilis in bonisartibuscivitatemretinebat. Sedubiillaformidomentibusdecessit, scilicetea, quaeressecundaeamant, lascivia atque superbia incessere. Ita quod in adversis rebus optaverantotium, postquamadeptisunt, asperiusacerbiusquefuit. Namquecoeperenobilitas dignitatem, populuslibertatemin libidinemvertere, sibiquisqueduceretrahererapere. Itaomnia in duaspartisabstractasunt, res publica, quae media fuerat,dilacerata. Del resto, lo sviluppo in Roma dei partiti e dei gruppi di interesse, con la conseguente diffusione della corruzione, era un fenomeno che risaliva a pochi anni prima, e trovava la sua origine nella pace e nella grande disponibilità di quei beni che gli uomini considerano più importanti di tutti. Infatti prima della distruzione di Cartagineil popolo e il Senato romano gestivano la Repubblica in armonia e con misura, e tra i cittadini non c’era rivalità per la fama o il potere: la paura dei nemici costringeva la città a comportarsi bene. Ma quando quella paura uscì dagli animi, vi entrarono, come era naturale, i mali legati alla prosperità, e cioè la dissolutezza e l’arroganza. Così quella pace, che tanto avevano desiderato nei tempi difficili, si dimostrò, una volta raggiunta, ben più amara e dolorosa. Iniziò la degenerazione: la nobiltà trasformò in sfrenatezza la sua autorità, il popolo la libertà, ciascuno pensava a sé, arraffava, rapinava. Così si creò una spaccatura totale tra i due partiti; la Repubblica, che si trovava nel mezzo, nefu straziata.

  38. RITRATTO De Catilinaeconiuratione 5: L. Catilina, nobili genere natus, fuitmagna vi et animi etcorporis, sedingenio malo pravoque. Huicabadulescentia bella intestina, caedes, rapinae, discordia civilis grata fuereibiqueiuventutemsuamexercuit. Corpus patiensinediae, algoris, vigiliaesupraquamcuiquam credibile est. Animus audax, subdolus, varius, cuius rei lubet simulator ac dissimulator, alieni adpetens, sui profusus, ardens in cupiditatibus; satiseloquentiae, sapientiaeparum. Vastus animus inmoderata, incredibilia, nimis alta sempercupiebat. Hunc post dominationem L. Sullaelubidomaxumainvaserat rei publicaecapiundae; nequeidquibusmodisadsequeretur, dum sibiregnumpararet, quicquam pensi habebat. Agitabaturmagismagisque in dies animus ferox inopia rei familiarisetconscientiascelerum, quaeutraqueiisartibusauxerat, quassupramemoravi. Incitabantpraetereacorrupticivitatismores, quospessuma ac divorsainter se mala, luxuriaatqueavaritia, vexabant. Lucio Catilina, discendente da una nobile famiglia, fu un uomo di grande energia intellettuale e fisica, ma di natura viziosa e malvagia. Fina da ragazzo trovava il suo piacere nelle guerre intestine, nelle stragi, nelle rapine, nella discordia civile; e qui esercitò la sua giovinezza. Un corpo incredibilmente resistente alla fame, al gelo, alle veglie. Un animo temerario, subdolo, versatile; in ogni cosa simulatore e dissimulatore; avido dell’altrui, prodigo del proprio, ardente nelle passioni; di bella eloquenza, di poca saggezza. In lui uno spirito insaziabile anelava sempre a cose smisurate, incredibili, troppo alte. Dopo la dittatura di Lucio Silla era stato invaso da una violenta brama di impadronirsi dello Stato; nessuno scrupolo su come ottenerlo, suo scopo era regnare. Sempre di più, giorno dopo giorno, quello spirito insofferente era esacerbato dalla ristrettezza del patrimonio familiare e dal rimorso dei delitti, frutto tutti e due della condotta di vita che ho già prima ricordato. Lo incitavano inoltre i corrotti costumi della città, che due mali rovinosi, benché contrastanti, esacerbavano.

  39. RITRATTO BellumIugurthinum 6: Qui ubiprimumadolevit, pollensviribus, decora facie, sedmulto maximeingeniovalidus, non se luxunequeinertiaecorrumpendumdedit, sed, utimosgentisillius est, equitare, iaculari; cursucumaequalibuscertareet, cumomnis gloria anteiret, omnibus tamencarus esse; ad hoc pleraque tempora in venando agere, leonematque alias ferasprimus aut in primis ferire: plurimumfacere, [et] minimum ipse de se loqui. Quibus rebus Micipsatametsiinitiolaetusfuerat, existimansvirtutemIugurthae regno suo gloriaefore, tamen, postquamhominemadulescentemexacta sua aetateetparvisliberismagismagisque crescere intellegit, vehementereonegotiopermotus multa cum animo suo volvebat. Terrebateumnatura mortalium avida imperi etpraeceps ad explendam animi cupidinem, praetereaopportunitassuaeliberorumqueaetatis, quaeetiammediocrisvirosspepraedaetransversosagit. Quando questi crebbe, pieno di vigore e di bellezza, ma, quel che più conta, vivace d’ingegno, non si fece corrompere dal lusso e dall’inerzia, ma seguendo l’uso della gente si diede a cavalcare, a tirare d’arco, a gareggiare con i compagni nella corsa e, per quanto li vincesse tutti, era però benvoluto da tutti. Oltre a ciò trascorreva la maggior parte del tempo nella caccia, era il primo a tra i primi a colpire leoni o altre fiere: ad agire sempre pronto, a parlare di sé mai. All’inizio tutto ciò aveva fatto piacere a Micipsa, che vedeva in Giugurta un motivo di gloria per il suo regno; quando però si rese conto che il prestigio del giovane cresceva di giorno in giorno, mentre egli era vecchio e i suoi figli ancora piccoli, vivamente preoccupato per la situazione, cominciò a rimuginare tra mille pensieri. Lo terrorizzava la natura umana avida di dominio e pronta a gettarsi a capofitto pur di saziare quella brama; poi l’opportunità offerta dall’età sua e dei suoi figli, capace di fuorviare, con la speranza del profitto, anche gli uomini più moderati.

  40. etnografia BellumIugurthinum 17: Res postulare videturAfricaesitumpaucisexponereeteasgentis, quibuscumnobisbellum aut amicitiafuit, attingere. Sedquae loca etnationesobcalorem aut asperitatem, item solitudinesminus frequentata sunt, de iishaud facile compertumnarraverim. Ceteraquampaucissimisabsolvam. Mi sembra che l’argomento richieda una breve descrizione geografica dell’Africae un cenno alle popolazioni che ebbero con noi rapporti di guerra o di inimicizia. Delle località e dei popoli che sono poco visitati per via del caldo, dell’praticabilità del terreno o del deserto, non mi sarebbe facile dare notizie certe; delle altre dirò molto in breve.

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