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Il viaggiatore vede solo ciò che conosce.

edena
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Il viaggiatore vede solo ciò che conosce.

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Presentation Transcript


  1. Perché una mostra in bianco e nero sui colori dell’Africa?Per rispondere a questa domanda occorre disporci ad ascoltare, ad osservare i dettagli, a lanciarsi oltre le immagini, a cogliere gli sguardi. Al di là di ciò che la vista trasmette e di ciò che il cervello trasforma in sensazioni è nel profondo di noi stessi che diventiamo capaci di cogliere i colori, i suoni, le parole.È questa la storia di un incontro tra popoli diversi nei colori della pelle e dell’anima.

  2. Per chi ha toccato con mano, per chi ha ascoltato i racconti e per chi oggi, per la prima volta, getta uno sguardo distratto sull’Africa, questo presuntuoso itinerario propone di accompagnarci alla scoperta del volto comune di un continente, culla di civiltà, patria di dignità, splendore di culture. Oggi non vogliamo dimenticare le profonde lacerazioni di queste terre e le assurde logiche di potere che schiacciano questa gente ma vogliamo mettere da parte per un momento le preoccupazioni e le ansie di tutti noi a favore di un tributo doveroso. Vogliamo riscoprire nei volti della quotidianità la forza generazionale di emancipazione dalla povertà; cerchiamo di cogliere negli ampi spazi della natura la potenza dell’Uomo superiore a tutte le sue miserie; impariamo nella dignità delle fatiche quotidiane l’arte di godere dei frutti del proprio lavoro; ci immergiamo nell’infinito universo delle culture dove ognuno, nella sua unicità, costituisce un elemento di crescita. Dal confronto con questi temi cerchiamo di comprendere le nostre origini, capire il presente e rivolgere lo sguardo oltre noi stessi al traguardo della nostra esistenza. Seguiranno immagini con cui dialogare e da cui trarre conoscenza ma soprattutto da sfruttare per incontrare l’altro nel suo mondo quotidiano di emozioni e abitudini. Dal nostro rifugio occidentale, in cui spesso è bello crogiolarsi, vorremmo, per un attimo, prendere coraggio per uscire e gettare lo sguardo oltre le nostre consuetudini cercando di cogliere i colori delle immagini.

  3. Per questo le fotografie della mostra sono in bianco e nero. È di ognuno di noi il compito di colorarle con i propri sogni e desideri di una maggior giustizia, di una pace vera, di una fratellanza nuova per un vita migliore per tutti.Lo dobbiamo all’Africa e a tutte le culture diverse dalla nostra che ci aiutano, con la ricchezza del confronto, a riscoprire la nostra identità.Un augurio a chi parte, un abbraccio a chi torna e un’opportunità per chi resta. Note sulle fotografie: le fotografie che seguono sono state scattate da noi, tutt’altro che fotografi, tutt’altro che professionisti, tutt’altro che intenzionati a farne una vetrina. Crediamo sia questo il motivo principale per cui valga la pena darvi uno sguardo e se qualcosa vi incuriosirà siamo qui per ascoltare, parlare, raccontare.I luoghi e le persone delle fotografie sono divisi tra Benin e Burkina Faso e si riferiscono ai nostri soggiorni a partire dal 1999. Se qualcuno di voi lo ritiene opportuno questa mostra è disponibile a viaggiare e incontrare gente con cui dialogare.www.rocknowar.it/corloinafricae-mail: corloinafrica@tiscali.it

  4. "Una volta per ogni uomo e nazioneviene il momento di decidere,in questa lotta tra la verità e la falsità,a favore del bene o del male;qualche grande causa, il nuovo Messia di Dio,l’uno e l’altro con un’offerta di vita o di morte,e la scelta è perennetra l’oscurità e la luce.Sebbene la causa del male possa vincere,sempre e soltanto è la verità che è fortesebbene il suo destino sia il patibolo,il trono la condanni,quel patibolo che domina il futuroe dietro l’impercettibile ignoto,sta Dio nell’ombra,a vegliare sui suoi figli."James Russel Lowell

  5. Il viaggiatore vede solo ciò che conosce. (Antico proverbio africano)

  6. Se un cavallo ha dieci stallieri sarà sempre assetato. (Proverbio Burkinabè)

  7. Il cadetto prodigo(Racconto Fon, Benin)C'era un uomo che aveva quattro figli, tre della stessa madre ed uno da un'altra donna. Un giorno chiese ai suoi figli cosa avrebbero fatto in futuro; il primo rispose che sarebbe diventato agricoltore, il secondo commerciante, il terzo cacciatore. Il quarto interrogato, affermò che avrebbe fatto degli incantesimi per guadagnare denaro e aiutare così gli uomini a vendicarsi. Il padre lo cacciò . Egli andò a vivere lontano dal suo villaggio ma, invece di fare del male, fece dei buoni medicinali e portò la felicità intorno a sé. Mentre esercitava questa professione continuava a coltivare i suoi campi. Un giorno i primi tre figli decisero di lasciare il padre e questo si ritrovò in miseria senza viveri e di che vestirsi.

  8. Egli partì per cercare il figlio cadetto e lo trovò in piena prosperità, con molto denaro e una magnifica abitazione. Commosso dalla miseria di suo padre, il figlio cadetto decise di ritornare da lui; successivamente, portò con sé tutti i suoi compagni, felici a loro volta di potergli restituire i favori ricevuti, e lavorarono sui campi e nella casa del vecchio padre.Questi visse di nuovo nell'agio e ritrovò la felicità grazie a quel figlio che aveva cacciato. Tutto ciò dimostra che la felicità non è l'opera di uno solo, ma è aiutandosi l'un l'altro che si contribuisce a costruirla.

  9. “Salvare l’Africa con gli africani si può. Gli africani hanno le capacità, le conoscenze, le abilità. Ed hanno anche un loro modo di crescere, di concepire lo sviluppo. Hanno i loro tempi. Noi africani non stiamo cercando facili vie d’uscita. Vogliamo farci carico dei nostri problemi, vogliamo cercare vie nostre per risolverli. L’Europa o gli Stati Uniti non devono essere necessariamente i modelli da raggiungere. L’Africa deve trovare i propri modelli e le proprie strade, senza creare fratture troppo profonde tra passato, presente e futuro. Dobbiamo assolutamente evitare il rischio di imitazione, da tutti i punti di vista. La stessa democrazia dev’essere adattata ai nostri valori, e non imposta dall’alto: altrimenti produrrà effetti negativi, o addirittura disastrosi, come è avvenuto in molti Paesi del continente, dove democrazia oggi è sinonimo di lotta per il potere. Per noi invece potere è servizio, significa prendersi a cuore i problemi e il benessere della gente comune. Non è facile. L’ingerenza politica ed economica e l’invadenza tecnologica e culturale dell’Occidente stanno distruggendo le nostre tradizioni e i nostri valori, ed hanno creato sottomissione e dipendenza. Per questo salvarsi con le proprie forze diventa sempre più difficile.” Mark Oloya, sudanese

  10. Anche se sua madre è povera, nessun bambino la sfugge per correre dietro a un'altra madre. (Antico proverbio africano)

  11. Non si può sentire piangere un bambino nel ventre della madre. (Proverbio bamfinu)

  12. Accoglienza in AfricaQuando tu bussi ad una porta in Africa la risposta non è “chi è?” come diremmo noi in Italia, ma “avanti, sei il benvenuto, accomodati, sei a casa tua”. La voce del tuo arrivo si sparge a gran velocità. Diversi vicini ed un nuvolo di bambini si uniscono con la casa che ti ospita per rallegrarsi del dono della tua venuta.

  13. Tutte le attività in corso improvvisamente subiscono una pausa e tutta l’attenzione e la cura si volgono verso di te che in questo momento impersono la sacralità con la quale è recepita l’ospitalità e la persona dell’ospite. […] una volta a tuo agio, ti presenti ed infine comunichi il perché della tua visita.

  14. GIOVANI E ANZIANIC’era una volta un villaggio ricco e molto popolato, chiamato Lorobo, abitato dalle famiglie nobili di quella regione. I giovani, abituati a fare di testa propria, erano di carattere ribelle e disprezzavano abitualmente il consiglio degli anziani e le tradizioni, incluse le più sacre. Un giorno, il figlio del grande capo persuase gli amici a lasciare il villaggio per stabilirsi qualche chilometro più in là e vivere in piena libertà, lontani dal controllo insopportabile dei loro “vecchi” sempre pronti a fare loro osservazioni non richieste. La popolazione, costernata, chiese al grande capo di castigare l’insolenza dei giovani bastonandoli. Ma l’anziano rispose: “lasciateli andare secondo il loro desiderio. L’esperienza sarà la loro migliore maestra!”. Pochi giorni dopo il figlio del grande capo vide un antilope dalla pelle molto bella. Gridò: “quanto mi piacerebbe vestirmi con la sua pelle!”. Il suo desiderio non tardò ad avverarsi. Subito l’animale fu catturato, scuoiato. Il giovane si vestì della sua pelle ancora calda. Si sentiva così bello da portare quel vestito sempre addosso. Qualche giorno più tardi cominciò a sentire uno strano malessere in tutto il corpo: gli sembrava di non poter respirare. Pregò gli amici che gli togliessero la pelle. Nonostante gli sforzi, nessuno fu capace di farlo. Infatti la pelle, seccandosi, aveva aderito con forza al corpo del povero disgraziato.

  15. Ogni tentativo di strappargliela procurava al giovane indicibili dolori. Nel frattempo la pelle si ritirava sempre più. Quello che più lo faceva soffrire, però, era la vergogna di essersela messa addosso volontariamente per vanità. Non resistendo un minuto di più, chiese agli amici che lo portassero a casa di suo padre. Gli anziani del villaggio erano riuniti intorno al grande capo. Allora, il povero ragazzo si rivolse al padre supplicandolo che lo liberasse da quel supplizio. Suo padre replico: “cosa mi tocca sentire!…tu che sai tutto e disprezzi gli odiosi consigli degli anziani, come mai non sai risolvere un problema così semplice? Persino la persona più ignorante del villaggio è in grado di suggerirti la soluzione”. E per umiliarlo di più ancora, chiamò il conciatore e disse: “insegna a mio figlio e ai suoi amici cosa fare!”. “E’ facile. Basta andare al fiume e immergersi”. Così fece. Al contatto con l’acqua la pelle acquistò di nuovo la sua morbidezza, si distese e, da sola, si separò dal corpo che teneva prigioniero. Da allora il giovane e i suoi amici furono più discreti e obbedienti, rispettando gli anziani del villaggio, come meritavano. (Favola del Benin)

  16. Generazione mutaNoi siamoLa generazione del silenzioSenza trucco né artificioGenerazione mutaConiughiamo al presenteFecondo delle nostre immaginazioniI verbi del futuroFuturo incendiatoFuturo testardoche fertilizza i nostri versi scrutatiAll’ombre degli sguardi esaltatiSiamo la generazione del silenzioChe corre le strade asfaltate di sogniDi sangue e di doloreChe nuotano nel nullaAssurdo

  17. La natura è la nostra geniaIl popolo, nostra fede…Le nostre piume di piombo che sputano lacrimeDomaniSaranno nostri testimoniSorridenti alle luci fosforescenti dell’albadi bronzoFenice… l’avvenire è in cammino…SilenziosaAttraverso precipizi di una traiettoria senza approvazioneVerso il sole oggi in ginocchioGenerazione mutaGenerazione in ginocchioSaremo la scintilladella deflagrazioneFenice dei tempi di tempestaIl silenzio avanza… a uraganoEugène Codjo Kpadé(poeta, drammaturgo, sindaco di Grand-Popo, Benin)

  18. Chi non ha recinto attorno al suo terreno non ha nemici. (Antico proverbio del Burundi)

  19. I quattro figli Un uomo aveva quattro figli che litigavano sempre tra loro anche per delle sciocchezze. Ci soffriva tanto e temeva il peggio per la sua famiglia, anche perché cominciava ad invecchiare. Decise, così, di fare un ultimo tentativo perché la smettessero. Li chiamò tutti e quattro e li fece sedere in fila indiana. Poi portò un fascio di rametti ben legati insieme e lo diede al figlio più piccolo. “Prova a spezzare tutto il fascio in un solo colpo" disse il povero vecchio. Il ragazzo ce la mise tutta ma non ci riuscì. Allora il padre passò il fascio al più grandicello, poi al secondogenito e infine al più grande dei figli. Ma, per quanto ci provassero, facendo leva con il ginocchio e gonfiando le vene per lo sforzo, fallirono tutti la prova. Con un mesto sorriso, il vecchio prese allora un coltello e, recisa la corda che teneva i bastoncini uniti insieme, cominciò a passarli - uno alla volta – al figlio più piccolo ordinandogli :”Spezzalo adesso!” manco a dirlo il bimbo lo spezzò, senza sforzo alcuno. “Spezza anche questo…e questo ancora…”. Quando il bimbo ebbe finito di spezzare tutti i rametti, il vecchio commentò: “Figli miei, se sarete uniti come quel fascio, che nessuno di voi è riuscito a spezzare, nessun nemico potrà mai farvi del male! Ma se vi dividerete, sarete preda di chiunque vi vorrà male, come rametti che anche un bimbo può spezzare!”. Favola dei Bemba (Zambia)

  20. LA PARABOLA DELLA VITA (POESIA DELLA COSTA D’AVORIO) Sotto il baobab, al chiarore della luna, l'anziano narratore di storie intrattiene bambini, ragazzi e giovani per trasmettere, sotto forma di racconto, la "sapienza". Il narratore africano conclude spesso la storia con una sentenza, un proverbio, un aforisma. La tradizione e la saggezza popolare non distinguono il sacro dal profano, la prosa dalla poesia, il sogno dalla realtà. Poesia, proverbio, sapienza codificata nel ritmo dei tamburi parlanti sono sovente inseriti nel rito, nell'incantesimo, nella magia. Rimandano ai riti primordiali. Toccano quel mondo di animali, e di oggetti dove si reincarnano o vivono gli spiriti degli antenati che bisbigliano con il vento tra le fronde, che borbottano nel fuoco scoppiettante, che scatenano la loro ira con il tuono e se vogliono, ti colpiscono con il fulmine.

  21. Non c’è bisogno di mostrare l’elefante con il dito. (Antico proverbio Basa)

  22. Il bambino non diventa uomo in un sol giorno. (Proverbio Mongo)

  23. LA MANDIBOLA E IL VENTRE Tragico è il destino di un popolo che al risveglio trova ai piedi del suo letto ”l’indipendenza” avvolta in un pezzo di stoffa multicolore miticamente battezzato “bandiera nazionale”, con un inno ridicolmente chiamato “inno dei nostri antenati” come se la nazione esistesse. Come appoggio, ritagli di testi chiamati Costituzione, calata dall’alto, spadroneggiando libertà e speranze di soggetti di ieri improvvisamente divenuti cittadini. Tragico è il destino del mio popolo che grida ed è immerso nell’illusione di “sovranità” in cui quattordici è uguale a zero*. Tragico è il destino del mio popolo che ha conferito a l’illusorio, lo statuto di logico permanente che regola i suoi riflessi, il suo modo di pensare e di agire, il suo comportamento quotidiano. Tragico è il destino del mio popolo che si alza presto al mattino e non sa dove andare… aspettando ordini come un bambino… *Allusione al balletto della svalutazione del franco Cfa, in cui quattordici stati “sovrani” non hanno avuto alcun peso nella decisione tanto importante che riguardava la vita delle loro popolazioni. Quattordici Capi di Stato di fronte ad un ministro. Nonostante ciò…

  24. Tragico è il destino del mio popolo che ha messo nelle mani dell’altro la scrittura della propria storia. Tragico è il destino del mio popolo che rifiuta ogni ideale di sacrificio e di sofferenza e si compiace nel tendere la mano vedendosi restituite in debito e briciole le ricchezze che gli hanno rubato. Tragico è il destino del mio popolo, la cui élite formata con grandi spese ha voltato le spalle al dovere e si muove solo per discorsi vanagloriosi e retribuiti. Tragico è il destino del mio popolo, la cui “élite”, sensibile unicamente all’appello del ventre, calpesta dignità e ideali. Tragico è il destino del mio popolo che conta solo ventriloqui, ventripotenti e budellame. Tragico è il destino del mio popolo che non cresce mai… Tragico Tragico è il destino dei popoli che come il mio hanno perso la loro lingua e la loro identità… All’incrocio dei sentieri brilleranno per il loro silenzio e la loro assenza…

  25. Tragico Tragedia di un coma prolungato… Questi popoli s’immergono senza fine in “Stati sovrani” con sovranità fittizia. Sotto dettatura dell’altro, saranno eterne e volgari macchine di consumo e disprezzabili supporti di amaca. Qui, in questo sguardo che interroga si trova il mio popolo… Ecco un grido, quello dei popoli negri la cui storia è una sequela di insulti, disprezzo senza nome, vessazioni molteplici e spoliation multicolore. Ieri, oppresso Oggi, disprezzato e umiliato senza processo Domani, calpestato ed esiliato… Poste testa a testa, queste grida uscite dalle profondità dell’impotenza e dell’indignazione si annunciano come canti di risurrezione che attingono la loro armonia e la loro vitalità nella speranza e la persuasione che un giorno, saremo in piedi. Sì, in piedi. Eugène Codjo Kpadé (poeta, drammaturgo, sindaco di Grand-Popo, Benin)

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