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LA LETTERATURA COME VISIONE DEL MONDO

LA LETTERATURA COME VISIONE DEL MONDO. PROF. CORRADO BOLOGNA. 1. Perché tu devi sapere che, sebbene mi sia costata parecchia fatica il comporla, non ne ho mai durata tanta, quanto a scrivere questa prefazione che ora tu leggi.

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LA LETTERATURA COME VISIONE DEL MONDO

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Presentation Transcript


  1. LA LETTERATURA COME VISIONE DEL MONDO PROF. CORRADO BOLOGNA

  2. 1. Perché tu devi sapere che, sebbene mi sia costata parecchia fatica il comporla, non ne ho mai durata tanta, quanto a scrivere questa prefazione che ora tu leggi. Molte volte presi la penna a scriverla e altrettante la posai per non sapere cosa avrei scritto. Ma un giorno, stando col naso in aria, la carta dinanzi, la penna dietro l'orecchio, il gomito sulla scrivania e la mano alla gota, pensando a quel che dire, entrò a un tratto un amico, un uomo faceto e assai colto, il quale, vedendomi tanto pensieroso, me ne domandò la ragione. E io, che non avevo motivo di nascondergliela, gli dissi che pensavo alla prefazione che dovevo fare per il Don Chisciotte, e che mi sentivo in tale condizione d’animo, che non volevo più farla e nemmeno pubblicare le imprese di un così nobile cavaliere. (M. de Cervantes, Don Chisciotte, prologo)

  3. 2. CAPITOLO XXVI A una siffatta domanda, don Abbondio, che pur s'era ingegnato di risponder qualcosa a delle meno precise, restò lì senza articolar parola. E, per dir la verità, anche noi, con questo manoscritto davanti, con una penna in mano, non avendo da contrastare che con le frasi, né altro da temere che le critiche de' nostri lettori; anche noi, dico, sentiamo una certa ripugnanza a proseguire: troviamo un non so che di strano in questo mettere in campo, con così poca fatica, tanti bei precetti di fortezza e di carità, di premura operosa per gli altri, di sacrifizio illimitato di sé. Ma pensando che quelle cose erano dette da uno che poi le faceva, tiriamo avanti con coraggio. (A.Manzoni, I Promessi sposi, cap. XXIV)

  4. 3. CAPITOLO PRIMO IL QUALE TRATTA DELLA CONDIZIONE E DELLE OCCUPAZIONI DEL FAMOSO GENTILUOMO DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA In un borgo della Mancia, di cui non voglio ricordare il nome, non molto tempo fa viveva un gentiluomo di quelli con lancia nella rastrelliera, scudo antico, ronzino magro e can da seguito. […] Aveva una governante che passava i quarant’anni, una nipote che non arrivava ai venti e un garzone capace per il campo e per il mercato, buono a sellare il ronzino come a menar la roncola. L'età del nostro gentiluomo rasentava la cinquantina: era di complessione robusta, asciutto di corpo, magro di viso, molto mattiniero e amante della caccia. Vogliono dire che avesse il soprannome di Chisciada o Chesada (perché a questo proposito c’è qualche discrepanza tra gli autori che ne hanno scritto), ma da congetture assai verosimili si arguisce che si chiamava Chisciana. Ma questo importa poco pel nostro racconto: basta che nell’esposizione dei fatti non ci si scosti una linea dalla verità. 

  5. Bisogna poi sapere che questo gentiluomo, nei periodi di tempo in cui non aveva nulla da fare (cioè la maggior parte dell'anno) si dedicava alla lettura dei romanzi cavallereschi e a poco per volta ci si appassionò tanto, che dimenticò quasi del tutto la caccia e anche amministrazione del suo patrimonio; anzi,la sua curiosità e la smania di questa lettura arrivarono a tal segno , che vendè parecchi appezzamenti di terreno, e di quello buono anche, per comprarsi dei romanzi cavallereschi. […] Insomma, si sprofondò tanto in quelle letture, che passava le notti dalla sera alla mattina, e i giorni dalla mattina alla sera, sempre a leggere; e così, a forza di dormir poco e di legger molto, gli si prosciugò talmente il cervello, che perse la ragione. Gli si riempì la fantasia di tutto quello che leggeva nei suoi libri: incanti, litigi, battaglie, sfide, ferite, dichiarazioni, amori, tempeste e stravaganze impossibili; e si ficcò talmente nella testa che tutto quell’arsenale di sogni e di invenzioni lette nei libri fosse verità pura, che secondo lui non c'era al mondo storia più certa. (Don Chisciotte, capitolo I)

  6. 4. Capitolo 1. - I TRE REGALI DEL SIGNOR D'ARTAGNAN PADRE. Il primo lunedì del mese d'aprile del 1625, il borgo di Meung, dove nacque l'autore del 'Romanzo della Rosa', sembrava essere in completa rivoluzione, proprio come se gli Ugonotti fossero giunti per farne una seconda Rochelle. […] il già detto primo lunedì del mese d'aprile del 1625, gli abitanti di Meung, sentendo rumore e non vedendo né la bandiera gialla e rossa, né la livrea del duca di Richelieu, si precipitarono verso l'osteria del Franc-Meunier dalla quale proveniva il chiasso. E non appena arrivati, poterono appurarne la causa.Un giovane... tracciamo con un tratto di penna il suo ritratto:figuratevi don Chisciotte a diciott'anni, ma un don Chisciotte senza corazza e senza cosciali, vestito di una giubba di panno il cui blu originario si era trasformato in una sfumatura indescrivibile di feccia di vino e d'azzurro pallido. Viso ovale e bruno dagli zigomi salienti, segno indubbio di astuzia; muscoli mascellari enormemente sviluppati, indizio infallibile dal quale si riconosce il guascone, anche senza berretto, e il nostro giovanotto ne portava uno ornato di una specie di piuma; occhio grande e intelligente, naso adunco, ma finemente disegnato, troppo grosso per un adolescente e troppo piccolo per un uomo maturo. (A. Dumas, I tre moschettieri, capitolo I)

  7. 5. CAPITOLO II PRIMA SORTITA DELL’INGEGNOSO DON CHISCIOTTE DAL PROPRIO PAESE Fatti dunque questi preparativi, non mise tempo in mezzo ad effettuare la sua idea: Lo sollecitava il pensiero del danno che secondo lui produceva nel mondo il suo indugio, tante eran le offese che si proponeva di vendicare, i torti che pensava di raddrizzare, le ingiustizie che avrebbe riparate, gli abusi che avrebbe distrutti, i debiti a cui avrebbe soddisfatto. E così, senza confidare ad alcuno la sua intenzione, e senza che alcuno lo vedesse, una mattina, prima dell’alba (era uno dei giorni più caldi del mese di luglio) si armò di tutte le sue armi, montò su Ronzinante, con in testa la mal contesta celata, imbracciò lo scudo, prese la lancia, e per la porta segreta d'un cortile uscì in aperta campagna; tutto contento e allegro nel vedere con quanta facilità aveva dato principio al suo nobile desiderio. (Don Chisciotte, capitolo II)

  8. 6. CAPITOLO IV CIÒ CHE SUCCESSE AL NOSTRO CAVALIERE DOPO CHE FU PARTITO DALL'OSTERIA Era sul far dell'alba quando don Chisciotte uscì dall'osteria; così contento e allegro d’esser finalmente armato cavaliere, che gli riboccavan di gioia fin le cinghie dei finimenti. Ma ricordandosi dei consigli dell’oste sulla necessità di portar con sé provviste e specialmente quattrini e biancheria, decise di tornare a casa e di provvedersi di tutto, e anche d'uno scudiero. (Don Chisciotte, capitolo IV)

  9. 7. CAPITOLO IV Il sole non era ancor tutto apparso sull'orizzonte, quando il padre Cristoforo uscì dal suo convento di Pescarenico, per salire alla casetta dov'era aspettato. … Il padre Cristoforo da *** era un uomo più vicino ai sessanta che ai cinquant'anni. Il suo capo raso, salvo la piccola corona di capelli, che vi girava intorno, secondo il rito cappuccinesco, s'alzava di tempo in tempo, con un movimento che lasciava trasparire un non so che d'altero e d'inquieto; e subito s'abbassava, per riflessione d'umiltà. La barba bianca e lunga, che gli copriva le guance e il mento, faceva ancor più risaltare le forme rilevate della parte superiore del volto, alle quali un'astinenza, già da gran pezzo abituale, aveva assai più aggiunto di gravità che tolto d'espressione. Due occhi incavati eran per lo più chinati a terra, ma talvolta sfolgoravano, con vivacità repentina; come due cavalli bizzarri, condotti a mano da un cocchiere, col quale sanno, per esperienza, che non si può vincerla, pure fanno, di tempo in tempo, qualche sgambetto, che scontan subito, con una buona tirata di morso. L’ARTE DEL RITRATTO La lunga similitudine, di ambito zoomorfo, suggella alla perfezione la descrizione realizzata col metodo “frontale” e da fermo; nella costruzione del ritratto sono però omessi i dati anagrafici del personaggio.

  10. […] La sua indole, onesta insieme e violenta, l'aveva poi imbarcato per tempo in altre gare più serie. Sentiva un orrore spontaneo e sincero per l'angherie e per i soprusi: orrore reso ancor più vivo in lui dalla qualità delle persone che più ne commettevano alla giornata; ch'erano appunto coloro coi quali aveva più di quella ruggine. Per acquietare, o per esercitare tutte queste passioni in una volta, prendeva volentieri le parti d'un debole sopraffatto, si piccava di farci stare un soverchiatore, s'intrometteva in una briga, se ne tirava addosso un'altra; tanto che, a poco a poco, venne a costituirsi come un protettor degli oppressi, e un vendicatore de' torti. (A.Manzoni, I Promessi sposi, cap. IV)

  11. «Il sole non aveva ancora la minima intenzione di apparire all’orizzonte che già il brigadiere Pestalozzi usciva (in motocicletta) dalla caserma degli erre erre ci ci di Marino per catapultarsi alla bottega-laboratorio dove non era minimamente aspettato, almeno in quanto brigadiere fungente» (C. E. Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, cap. VIII) ECHI LETTERARI Il brano, che si apre con la parodia dell’incipit del cap. IV dei Promessi Sposi, è colmo di richiami ironici alla tradizione letteraria (…)

  12. 9. Il contadino che si vide addosso quel fantastico arsenale d’armi e la punta della lancia sul viso, si credette morto e rispose con buone parole: — Signor cavaliere, questo ragazzo che sto gastigando è un mio garzone a cui ho dato da guardare un branco di pecore che ho in questi dintorni; ma è tanto sbadato che tutti i giorni me ne manca qualcuna, e perché gastigo la sua sbadataggine, o fors’anche la sua furfanteria, dice che lo fo per malignità e per non pagargli il salario; e nel nome Dio e in coscienza dell'anima mia egli mente. — Osate dir “Mente” dinnanzi a me, vil marrano? — esclamò don Chisciotte. — Per il sole che c'illumina, io non so chi mi tenga dal passarvi da parte a parte con questa lancia. Pagatelo subito, senza replicare; se no, per quel Dio che ci governa, giuro che vi finisco e vi anniento all'istante. Scioglietelo incontanente. (Don Chisciotte, capitolo IV)

  13. 10. CAPITOLO VIII PROSPERO SUCCESSO CHE IL PRODE DON CHISCIOTTE EBBE NELLA SPAVENTOSA E MAI PENSATA AVVENTURA DEI MULINI A VENTO, NONCHÉ D'ALTRI SUCCESSI DEGNI DI FELICE RICORDANZA Tutte queste cose che diceva don Chisciotte, stava sentirle uno scudiero di quelli che accompagnavano la carrozza, che era biscaglino; questi, vedendo che [Don Chisciotte] non voleva lasciar proseguire la carrozza, e anzi diceva che doveva invertire il viaggio per Toboso, si avvicinò a don Chisciotte e lo prese per la lancia, dicendogli in cattivo castigliano e pessimo biscaglino: — Vattene, cavaliere, e sia alla malora; per il Dio che creommi, se non lasci carrozza, muori ucciso che qui sta biscaglino. Don Chisciotte lo capì benissimo e gli disse con gravità: — Se fossi cavaliere, come certo non sei, già io avrei punito la tua sfrontata volgarità, vile creatura. Al che rispose il biscaglino: — Non cavaliere io? Giuro a Dio, tu menti come sei cristiano. Se lancia getti e spada cavi, quanto presto vedrai te le suono. Biscaglino sulla terra, gentiluomo per mare, gentiluomo per tutti i diavoli; e menti, bada, se altro dici. (Don Chisciotte, capitolo VIII)

  14. 11. CAPITOLO IV Que' due si venivano incontro, ristretti alla muraglia, come due figure di basso rilievo ambulanti. Quando si trovarono a viso a viso, il signor tale, squadrando Lodovico, a capo alto, col cipiglio imperioso, gli disse, in un tono corrispondente di voce: - fate luogo. - Fate luogo voi, - rispose Lodovico. - La diritta è mia. - Co' vostri pari, è sempre mia. - Sì, se l'arroganza de' vostri pari fosse legge per i pari miei. I bravi dell'uno e dell'altro eran rimasti fermi, ciascuno dietro il suo padrone, guardandosi in cagnesco, con le mani alle daghe, preparati alla battaglia. La gente che arrivava di qua e di là, si teneva in distanza, a osservare il fatto; e la presenza di quegli spettatori animava sempre più il puntiglio de' contendenti. - Nel mezzo, vile meccanico; o ch'io t'insegno una volta come si tratta co' gentiluomini. - Voi mentite ch'io sia vile. - Tu menti ch'io abbia mentito -. Questa risposta era di prammatica. - E, se tu fossi cavaliere, come son io, - aggiunse quel signore, - ti vorrei far vedere, con la spada e con la cappa, che il mentitore sei tu. (A.Manzoni, I Promessi sposi, cap. IV)

  15. 12. Non si smagliasse, nella rete dell’idea, lo strappo piscivùlvulo del condono. Circa l’onore e il dovere, quali fossero, come adempirvi, pur seguitando a coltivar le unghie, non aveva mai esitato, mai tremato, mai disperato: dacché, alto sul flutto, nel piegare la ruota del timone, soltanto e sempre aveva affisato sua stella. Onta, per lui, e rammarico immedicabile in tutto il siderale corso degli anni, non essere arrivato a tempo a far impiccare sulla forca pubblica certo Filarenzo Calzamaglia o, come dicevan tutti, Enzo, sfuggito di mano della sua giusta giustizia; che gli aveva messo i manichini attorno i polsi durante certi tumulti di San Juan, del novembre ’88. Costui, da un incendio all’altro, e dopo aver ascoltato a cicalare alcuni cretini, aveva fatto il fesso a sua volta, al di là di ogni pensabile provvidenza d’indulto del Governatore, o benignazione della Soprana Clemenza. (C. E. Gadda, La cognizione del dolore, p I, cap. I) LA RETE E GLI STRAPPI • Ancora lo smagliarsi di uno strappo, come nel finale di T! (da La cognizione del dolore). Il ritorno del tema segnala come l’argomento della rete e dei relativi strappi sia centrale per Gadda. FILARENZO CALZAMAGLIA • Il nome ricalca ironicamente il nome dell’eroe manzoniano: FILA-RENZO CALZA-MAGLIA LO-RENZO-TRAMA-GLINO.

  16. LUMINISMI CARAVAGGESCHI Nel 1924 il grande scrittore CARLO EMILIO GADDA attende al suo esordio narrativo un ”romanzo psicopatico e caravaggesco” ambientato nell’Italia fascista (sarà il Racconto italiano di ignoto del Novecento, pubblicato solo nel 1983). In pagine intense e sorprendenti, egli indica come proprio nume tutelare Manzoni, che a lui sembra il poeta insuperato del vizio, della corruzione, della pestilenza e dell’abnorme. Gadda riconosce inoltre nel romanzo manzoniano, e nelle illustrazioni che Gonin su indicazione dell’autore ne realizza, il “barocco lombardo” e le sue luci, che sono poi le stesse luci della pittura di Caravaggio. Osserviamo ad esempio l’illustrazione per la notte delle grandi manovre, con la fuga di Don Abbondio, e la celeberrima Vocazione di San Matteo di Caravaggio realizzata nel 1599-1600e custodita presso la chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma. Nella scena della fuga di Don Abbondio, così come descritta nel testo e ripresa nel disegno di Gonin, il taglio di luce movimenta l’azione e le dà consistenza “teatrale”, illuminando” i protagonisti, che risaltano sul fondo scuro. Il modello di quest’uso della luce è, appunto , la Vocazione di San Matteo

  17. LA VOCAZIONE DI SAN MATTEO • Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, 1599-1600 (Roma, San Luigi dei Francesi, Cappella Contarelli)

  18. LA FUGAFrancesco Gonin,DonAbbondio,approfittandodel buio,fugge.

  19. FrancescoGonin, Don Abbondio, sorpreso da Renzo,Lucia, Tonio e Gervaso.

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