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Avatar. Dislocazioni mentali,personalità tecno-mediate,derive autistiche e condotte fuori controllo Tonino Cantelmi. Dai tecnoabusers ai nativi digitali . .

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Presentation Transcript


  1. Avatar Dislocazioni mentali,personalità tecno-mediate,derive autistiche e condotte fuori controllo Tonino Cantelmi

  2. Dai tecnoabusers ai nativi digitali • . • Poco più di 10 anni fa, Tonino Cantelmi presentò in un Congresso di Psichiatria a Roma i primi 4 casi italiani di Internet Addiction. • Era il 1998 ed i giornali italiani riportarono la notizia nelle prime pagine, facendola rimbalzare in tutto il mondo. Il popolo della Rete reagì con sdegno, gridando al complotto e al sabotaggio tecnofobo oppure ironizzando su una presunta retedipendenzadello psichiatra stesso.

  3. Dai tecnoabusers ai nativi digitali • Le osservazioni di Cantelmi, arricchite dal contributo essenziale di Massimo Talli, diedero vita ad un vasto percorso di ricerca che è esitato nella costituzione della Società Italiana di Psicotecnologia, fondata da Daniele La Barbera e da altri psichiatri (tra cui Cantelmi, Caretti, Di Giannantonio, Longo) nell’ambito della Società Italiana di Psichiatria.

  4. Il focus si è spostato dal paradigma della tecnodipendenzaalla consapevolezza che l’impatto della tecnologia digitale sulla mente umana possa essere alla base di una “mutazione antropologica”.

  5. “Il mio Avatar? Si chiama detestabilis: è scritto così, senza maiuscola, e nella vita fa lo sciamano…” Sono le parole di un ventenne in difficoltà, la cui complessa situazione personale ci ha condotti a esplorare ancora una volta la psicologia di internet. È uno di quei ragazzi che stanno sempre alle prese con il pc, il più possibile lontano da tutto e da tutti, compresi i familiari che vivono sotto lo stesso tetto...

  6. Per mesi riescono a non uscire di casa pur di stare connessi e passano il tempo a gironzolare on line con i loro Avatar: personaggi digitali stilizzati, colorati, mutevoli, cangianti, eterei, da loro creati per poter vivere e comunicare agevolmente in internet.

  7. Inventarsi un personaggio e metterlo on line è, oggi,un modo di comunicare che, oltre a essere ogni giorno più diffuso, merita di essere analizzato dal punto di vista psicologico, poichè permette una vasta serie di operazioni emotive, tutte interessanti: non è certamente un caso, infatti, che esistano tantissime persone che proprio attraverso un Avatar sono riuscite a fare cose altrimenti rese impossibili dalla timidezza, dalla vergogna, o, semplicemente, dalla difficoltà a trovare persone simili a sé nel proprio ambiente, cui si contrappone l’estrema facilità del fare gruppo on line.

  8. Poter creare un Avatar per ogni occasione ha qualcosa di straordinario e ci mostra ancora una volta quanto formidabile possa essere la nostra umana capacità di inventarci identità sempre nuove e usarle per esprimerci e comunicare.

  9. Dipendere dal PC? Come è accaduto nel caso di “detestabilis”, l’Avatar sciamanico, il cui Autore dichiara:“Magari questa vita che faccio è pure colpa mia anzi di sicuro. detestabilis ha preso il mio posto

  10. “Ci sono persone che vorrebbero che tornassi indietro da questa specie di tana che mi sono fatto dentro la mia stanza. La mia realtà è fatta più o meno così: dopo un po’ che parlo con una persona già capisco dove vuole arrivare, non mi stimola, non mi diverte, non tiene impegnati tutti i miei sensi…ecco perché è nato il mio Avatar”

  11. La parola “Avatar” • Nella lingua originale (sanscrito) la parola Avatar ha il significato di personificazione, ovvero assunzione di un corpo fisico da parte di un Dio. È dunque per traslazione metaforica se nel gergo di internet i personaggi digitali sono definiti Avatar.

  12. La parola “Avatar” • Nella tradizione religiosa induista, ove nasce il concetto di Avatar, il processo di personificazione del Dio assume un’importanza cruciale che può essere ricondotta all’Avatar contemporaneo . • In quel lontano contesto, infatti, tale processo è lo strumento indispensabile affinché qualcosa di spirituale si possa manifestare in veste umana, rendendo tangibile la dimensione dell’ultraterreno.

  13. La parola “Avatar” Un’istanza spirituale prende in prestito una forma e un corpo fisico, manifestandosi sotto l’aspetto di una persona: quello che sembra un individuo non è, allora, solo se stesso, ma è uno dei tanti alter ego possibili di un dio, poichè la religione induista si basa sull’idea che le incarnazioni possano essere molteplici e ripetibili.

  14. Noi e le nostre molteplici incarnazioni • In ogni cultura il processo di personificazione rappresenta un meccanismo simbolico arcaico e potente, che riguarda molti fenomeni, anche distanti tra loro e non necessariamente di tipo religioso. Ciò che si manifesta, può essere, infatti, un’entità divina, ma anche un concetto, un’idea, un simbolo. Anche nel linguaggio comune si dice a volte che una persona “incarna un ideale”, ad esempio di Bellezza, o di Libertà.

  15. Noi e le nostre molteplici incarnazioni • Gli archetipi e gli ideali, che caratterizzano ogni civiltà, sono entità così astratte che necessitano di un modo per rendersi visibili agli occhi: tutto ciò che è troppo astratto, distante, indefinito sembra aver bisogno, insomma, di diventare concreto.

  16. Il concetto di avatar nella cultura induista può essere utilizzato come metafora per il moderno avatar digitale: come per l’Avatar induista è possibile cogliere solo alcuni aspetti e non la totalità delle caratteristiche del dio, cosìper gli Avatar, quotidianamente messi in rete, è possibile percepire solo alcune incarnazioni di aspetti del proprio Sé, un Sé cheresta sempre un po’ sullo sfondo, nascosto e inafferrabile.

  17. La messa in scena virtuale è rivelatrice di qualcosa, che magari off line non trova spazio, ma si può aggirare, “quasi tranquillamente”, nella realtà virtuale.

  18. Gli Avatar che abitano forum, chat e giochi di ruolo rappresentano, allora, emozioni e pensieri tradotti in immagini, personaggi con i loro destini, che vivono una propria vita che prende le mosse a partire da quella dell’Autore. Gli Avatar non rivelano tutta la Verità sulla persona che li utilizza e possono senza dubbio occultarla (dietro un’età diversa, un altro sesso, un altro status).

  19. È importante, allora, dal punto di vista psicologico, capire come attribuire loro la giusta funzione emotiva e sociale, costruendo griglie di interpretazione in grado di rivelare l’effetto che comporta per una persona vestire quotidianamente i panni dei propri Avatar.

  20. Ci chiediamo in che rapporto questi ultimi siano con il vero io dei loro Autori, se ne manifestino qualcosa che non poteva essere svelato altrove o, se, piuttosto, ne portino alla luce verità nascoste o ingannevoli. Gli Avatar che vanno in giro per le loro strade digitali, sembrano, infatti, esser creature dalle incredibili potenzialità espressive: invenzioni curiose, parlanti, portatrici di messaggi.

  21. INTERNET E LA COMPUTER MEDIATED COMMUNICATION (CMC) “I computer sono incredibilmente veloci, accurati e stupidi. Gli uomini sono incredibilmente lenti, inaccurati e intelligenti. L’insieme dei due costituisce una forza incalcolabile”. Albert Einstein

  22. Le teorie sulla Computer MediatedCommunication (CMC) La comunicazione mediata da computer si è diffusa nelle case solo da una ventina d’anni con la nascita del world wide web, gli studi sistematici su di essa risalgono agli anni ’80, anche se già alla fine degli anni’60 e ’70 apparvero alcuni studi pionieristici.

  23. Seguirà una panoramica sommaria delle teorie principali sulla CMC, senza la pretesa di fornirne una descrizione dettagliata e contestualizzata storicamente.

  24. Il modello RSC (Reduced Social Cues) • nato negli anni 80 per opera delle sociologhe Sproull e Kiesler (1986), • ipotizzava che la CMC, per le caratteristiche intrinseche al tipo di tecnologia adottata, potesse offrire una “larghezza di banda” limitata rispetto alla comunicazione face to face. Molte delle informazioni sugli interlocutori non possono, infatti, venir trasmesse, con la conseguenza che le “presenze sociali” nel gruppo risultano ridotte e livellate tra di loro.

  25. Da questa ridotta disponibilità di informazioni condivisibili derivano due conseguenze generali: • Maggiore libertà di espressione: le persone che interagiscono via computer sono isolate dalle regole sociali e questo le fa sentire al sicuro dal controllo e dalle critiche. • Maggiore violazione delle norme sociali: le persone che interagiscono via computer tendono più frequentemente ad adottare comportamenti disfunzionali, come l’uso di insulti e di termini aggressivi (flaming) che gli autori considerano essere tipico di questo media.

  26. L’approccio RSC è stato criticato su più fronti: • si contesta il metodo con cui gli studi sono stati condotti: si trattava spesso di gruppi sperimentali, composti da studenti, che sperimentavano la CMC in laboratorio, senza mai essersi incontrati prima e a cui veniva chiesto di portare a termine un compito. • L’approccio fu poi accusato di determinismo tecnologico in quanto faceva derivare la povertà sociale della comunicazione direttamente dalle caratteristiche intrinseche della tecnologia, cioè dalla sua ristretta ampiezza di banda, concependo la presenza sociale solo come una quantità di informazioni da trasmettere.

  27. La difficoltà nello spiegare l’alta frequenza con cui la CMC veniva usata per scopi ricreativi. Se la CMC fosse stata effettivamente povera socialmente, come sarebbe stato possibile avviare una comunicazione da sempre ricca di contenuti sociali e personali?

  28. Il modello SIDE (Social IdentityDE-individuation) • Nato nei primi anni 90 contesta principalmente all’approccio RSC la confusione tra la dimensione sociale e quella interpersonale.

  29. La larghezza di  banda di un mezzo di comunicazione non ha niente a che fare con la capacità di trasmettere indici sociali che, invece, sono più frequentemente deducibili da altri contesti informativi (Spears e Lea, 1992), come: • le informazioni che fanno da cornice ad un messaggio, per il sesso o l’appartenenza istituzionale; • le conoscenze precedenti relative agli interlocutori; • le deduzioni fatte a partire dalla situazione comunicativa, per esempio l’argomento del newsgroup a cui si partecipa.

  30. La CMC non determina né la scomparsa delle norme sociali né comportamenti devianti, benché alcuni codici tipici della comunicazione interpersonale (espressioni non verbali), e gli effetti visibili delle emozioni, vengano limitati. • Queste mancanze vengono spesso colmate da strategie comunicative inventate (uso delle emoticons), capaci di generare lo stesso livello di empatia e comprensione della comunicazione face to face.

  31. L’attenzione al contesto sociale, piuttosto che alla larghezza di banda, allontana il modello SIDE da un’impostazione deterministica: se è vero che la CMC comporta una de-individuazione e un certo “anonimato visivo”, le conseguenze sociali di ciò variavano enormemente a seconda del contesto dell’interazione.

  32. Il modello SIP (Social Information Processing) • al contrario della RSC, sostiene che la CMC possieda delle caratteristiche tali da poter essere considerata “iperpersonale” : essa sarebbe sovraccarica di contenuti sociali, nel senso che le relazioni si svilupperebbero in una modalità “più stereotipicamente sociale” che nelle interazioni “face to face” (Walther, Burgoon, 1992).

  33. Le persone tenderebbero a classificare se stesse e gli altri in categorie sociali in maniera ancor più netta di quanto accada normalmente. • Ciò comporta un predominare dell’identità sociale su quella personale.Questo è valido siaper il ricevente che per l’ emittente. • Quest’ultimotenderebbe a presentarsi agli altri in maniera predeterminata, avendo modo di preparare con cura la propria persona online e di censurare o accentuare alcuni elementi. • Questo processo, detto selective o optimizedself-presentation(Walther, 1996) è più  accentuato nelle comunicazioni online di tipo asincrono, in cui il tempo per preparare il messaggio è maggiore.

  34. La comunicazione asincronadà la possibilità: • di scegliere quando partecipare alla discussione con il risultato che, tendenzialmente, gli interlocutori hanno più tempo e più voglia di dedicarsi a curare gli aspetti relazionali e sociali della comunicazione. Il rischio di creare delle persone ideali e stereotipate appare progressivamente crescente, in quanto una volta avviato il processo di costruzione sociale della realtà (Berger e Luckmann, 1966), gli interlocutori tendono a non deludere le aspettative altrui e a confermare quelle che hanno sugli altri.

  35. CIBERPSICOLOGIA

  36. La Ciberpsicologia • La comprensione dello sviluppo e degli effetti dei nuovi media rappresenta una sfida centrale per la società moderna. “La tecnologia ci pone di fronte a problemi fondamentali , che non possono essere superati basandoci su quanto abbiamo fatto in passato. Abbiamo bisogno di un approccio più tranquillo , più affidabile, più a misura d’uomo” (Norman, 2007). • La ciberpsicologia nasce proprio da questa esigenza e promette di rivoluzionare radicalmente la stessa comprensione dell’uomo contemporaneo.

  37. Ma di cosa si occupa la Ciberpsicologia? Di tutti i fenomeni psicologici che si associano o che impattano con la tecnologia. • “Ciber” deriva dalla parola “Cibernetica”, scienza che studia i principi di funzionamento e la realizzazioni di macchine automatiche in grado di simulare le funzioni di organismi viventi. • “Psicologia” scienza che studia i fenomeni della vita affettiva e mentale dell’uomo. La Ciberpsicologia, pertanto, studia i fenomeni psicologici umani nel contesto dell’interazione uomo-macchina.

  38. Gli studi si concentrano soprattutto sull'impatto della Rete Internet sulla psicologia individuale e gruppale dei suoi utenti. • Gli argomenti più frequentemente dibattuti sono: • L’identità online • La psicopatologia Internet correlata • La psicoterapia mediata da computer • Le caratteristiche della Computer MediatedCommunication (CMC) • Le applicazioni del Web in ambito lavorativo, educativo, formativo e altro ancora • I cyber crimini, come la cyber pedofilia o il cyber bullismo

  39. Con l’emergere dell’ Avatar Generation, al tempo dei social network, di nuovi strumenti di informazione quali Youtube e i blog, la ciberpsicologia ha dovuto modificare e, in alcuni casi, creare nuovi strumenti di indagine. Le patologiestanno cambiando, così come cambiano i pazienti. Le modalità interpretative e operative dello psicologo devono, dunque, sapersi aggiornare.

  40. “Alcuni strumenti di indubbio valore per esaminare aspetti della personalità, come il test delle macchie di Rorschach, ormai appartengono alla tradizione. Le risposte a questo test si trovano su Internet, come hanno fatto negli Usa alcuni padri per superare il test psicologico e ottenere l'affido dei figli”.

  41. Iltema della sicurezza dei minori è particolarmente importante . La rete, infatti, accanto a contenuti di tipo educativo e ricreativo, ne offre altri non adatti ai piccoli utenti: • siti che propongono materiale pornografico; • siti che istigano alla violenza, all’odio e al razzismo; • siti che cercano di adescare con messaggi accattivanti • Utenti che si servono del mezzo telematico per scopi illeciti.

  42. L’analisi comparativa 2005-2008 sulla sicurezza dei giovani italiani in rete (Telefono Azzurro ed Eurispes) , mostra sconcertante aumento dell’usodi chat, community e blog, anche nella prima decade di vita. Se nel 2005 il numero di adolescenti e di bambini internauti che chattavano era rispettivamente del 37, 9% e poco più del 13%, nel 2008, invece, la percentuale saliva a quota 69.4% per i primi e a 33,1% per i secondi, in pratica un bambino su tre (Cantoni, 2009).

  43. Come è accaduto per ogni innovazione tecnologica, accanto agli entusiasmi giustificati dalle potenzialità di Internet, hanno nel tempo trovato spazio almeno altrettante perplessità nei confronti del nuovo mezzo. Sono sempre di più, oggi, gli specialisti che svolgono studi sui rischi psicopatologici connessi all’uso e soprattutto all’abuso della Rete.

  44. La review di studi che qui presentiamo si propone di fornire le più aggiornate ricerche condotte sull’Internet RelatedPsychopathology (IRP): Disturbi e comportamenti online anche molto diversi fra loro (dipendenza da cyber-sesso, dipendenza da cyber-relazioni, dipendenza dai giochi di ruolo online e altro ancora), tuttavia accomunati dalla stessa esperienza “additiva”, ovvero di abuso o dipendenza

  45. L’uomo è nato per soffrire, e ci riesce benissimo. Roberto Gervaso

  46. Un disturbo per 29 definizioni • Rapporti aneddotici di dipendenza da computer emersero già negli anni settanta e ottanta (Shotton, 1991). • Si parlava ovviamente di problematiche connesse all’uso-abuso del PC e non di Internet, dato che questo ancora non esisteva. • Secondo la leggenda il primo studioso ad ipotizzare il disturbo e a chiamarlo Internet AddictionDisorderfu lo psichiatra americano Ivan Golberg(1995), il quale in maniera piuttosto provocatoria fece girare in Rete i relativi criteri diagnostici.

  47. Da allora, nel panorama scientifico, si sono affacciate una moltitudine di definizioni per descrivere la sindrome: • Internet Addiction (Young, 1996), • Internet Dependency, (Scherer, 1997), • Compulsive Internet Use (Greenfield, 1999), • Compulsive Computer Use (Potenza e Hollander, 2002), ecc.

  48. Come avviene per le scatole cinesi, così la IRP può essere intesa come un sottoinsieme più piccolo di un problema più grande, che a sua volta può essere scomposto in base all’oggetto specifico di dipendenza (vedi il prospetto terminologico), ovvero in: • CybersexualAddiction, • Cyber RelationshipAddiction, • MudsAddiction, • Compulsive Online Gambling, • Compulsive Online Shopping, • Information OverloadAddiction, • EbayAddiction e Trading Online Addiction(Young, 1996).

  49. Lavenia e Marcucci(2005) tendono a operare un ulteriore distinzione tra CybersexAddiction e CyberpornAddiction, attribuendo alla prima una interattività sessuale (sistema “uomo-macchina-uomo”) completamente assente nella seconda (sistema “uomo-macchina”). • Davis (1999) con il suo modello cognitivo-comportamentale, propone di utilizzare semplicemente il termine SpecificPathological Internet Use(contrapposto a GeneralizedPathological Internet Use) per indicare una qualsiasi forma di dipendenza on-line specifica.

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