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Da Thomson ad Heisenberg 2

Da Thomson ad Heisenberg 2. Luce ed energia. La natura della luce: onda o corpuscolo?. Le ipotesi moderne sulla natura della luce risalgono al Settecento e sono attribuibili a C.Huygens ed a I.Newton che ne sostenevano rispettivamente la natura ondulatoria e corpuscolare.

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Da Thomson ad Heisenberg 2

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  1. Da Thomson ad Heisenberg 2 Luce ed energia Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  2. La natura della luce: onda o corpuscolo? Le ipotesi moderne sulla natura della luce risalgono al Settecento e sono attribuibili a C.Huygens ed a I.Newton che ne sostenevano rispettivamente la natura ondulatoria e corpuscolare. Maxwell, studioso dei fenomeni elettrici e magnetici, nella seconda metà dell'Ottocento scoprì che una carica elettrica oscillante produce un campo elettrico ed un campo magnetico, tra di loro perpendicolari, che si propagano con una velocità uguale a quella sperimentalmente misurata per la luce. Egli concluse che: la luce è un’onda elettromagnetica formata dalla simultanea propagazione di un campo magnetico (M) e di uno elettrico (E) tra di loro perpendicolari. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  3. Vista la maggior importanza che ha il campo elettrico nelle sue interazioni con la materia, si preferisce però rappresentare l’onda in modo semplificato. Una qualsiasi onda elettromagnetica è caratterizzata dalla lunghezza d'onda, l, che rappresenta la distanza fra i punti corrispondenti di due onde successive, e dalla frequenza, n, che è il numero delle oscillazioni che un'onda compie in un secondo. Le due grandezze sono messe in relazione fra loro dalla velocità di propagazione dell’onda (c) l∙n = c Per le radiazioni elettromagnetiche nel vuoto, c vale circa 300.000 km ∙ s-1. La frequenza viene misurata in cicli al secondo o Hertz (Hz) Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  4. Le lunghezze d'onda delle radiazioni elettromagnetiche vanno da 1/10000 di nm per i raggi cosmici fino alle migliaia di metri per alcuni tipi di onde radio. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  5. La luce visibile è dunque solo una piccola frazione dello spettro elettromagnetico. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  6. Le sorgenti luminose: spettri continui e a righe Avremo spesso osservato il fenomeno che si verifica in natura quando la luce del sole, passando attraverso goccioline d’acqua, dà luogo all’arcobaleno. Analoga scomposizione della luce si verifica, anche se con un meccanismo diverso, osservando la superficie di un CD. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  7. La luce delle sorgenti luminose può essere scomposta da un prisma trasparente che separa le varie frequenze presenti. La luce del sole, di una lampadina, o di un qualsiasi altro solido riscaldato analizzata con il prisma mostra di essere policromatica, composta cioè da molte frequenze e forma uno spettro continuo. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  8. Anche elementi in fase gassosa, se vengono eccitati con il riscaldamento o con scariche elettriche, sono in grado di emettere luce, come verifichiamo tutti i giorni nei tubi al neon o, in modo più spettacolare, con i diversi colori dei fuochi artificiali. Ciò che distingue queste sorgenti è che la loro luce ha colore diverso a seconda dell’elemento che la produce. Scomponendo con il prisma la luce emessa in questi casi si nota uno spettro con poche frequenze caratteristiche di ogni elemento. Atomi isolati riscaldati o eccitati in altro modo emettono luce composta da poche frequenze, e formano uno spettro a righe. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  9. Lo spettro del corpo nero: M. Planck e i quanti Gli studi degli spettri dei due diversi tipi, continuo e a righe, occuparono i fisici per tutta la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Era noto che un corpo riscaldato cambiava colore con la temperatura. Un pezzo di ferro, ad esempio, assumerà prima un colore rossastro, poi giallo, poi bianco con sfumature addirittura bluastre se la temperatura sarà sufficientemente alta. Un qualsiasi solido, o anche un gas compresso, che emetta luce in seguito a riscaldamento viene definito corpo nero. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  10. L’analisi dello spettro di un corpo nero rivelò che il massimo di intensità varia con la temperatura. Purtroppo però le leggi note mostravano qui i loro limiti. Né la variazione del massimo, nè la distribuzione delle frequenze nello spettro potevano essere correttamente previste dalle leggi dell’elettromagnetismo da cui dipendeva l’emissione della luce da parte della materia. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  11. La spiegazione dei fenomeni osservati per le sorgenti continue venne trovata nel 1900 da M. Planck ammettendo che: l’energia luminosa fosse emessa dai corpi solo sotto forma di quantità ben definite queste quantità di energia fossero in relazione con la frequenza secondo la relazione E=hn dove h, che vale 6,626.10-34 J∙ s, verrà poi chiamata costante di Planck. I pacchetti di energia, vennero chiamati da Planck quanti (dal latino quanta = quantità definite, discrete). L’emissione continua o discontinua può essere rappresentata confrontando un rubinetto ed un distributore di lattine. Mentre nel primo si può regolare il flusso di liquido ad un valore qualsiasi, dal secondo possono essere erogate ogni volta solo quantità ben definite di bibite. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  12. L’idea che l’energia si liberi solo a pacchetti, a quanti, era decisamente rivoluzionaria. Che la materia fosse quantizzata (gli atomi) era ormai stato accettato sin dai tempi di Dalton, ma che anche l'energia dovesse essere disponibile solo in quantità non ulteriormente divisibili sembrò ai più un espediente per far quadrare teoria e realtà del corpo nero. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  13. Einstein e i fotoni Era già noto che un corpo di qualsiasi natura se investito da una radiazione di frequenza opportuna emette elettroni. In particolare alcuni metalli liberavano elettroni per effetto della luce visibile (effetto fotoelettrico). L’emissione si verifica soltanto quando la frequenza della radiazione incidente supera un certo valore no detto soglia fotoelettrica, caratteristico del metallo considerato. I tempi con cui questa emissione avviene, la soglia osservata, l’intensità e l’energia degli elettroni espulsi non venivano però correttamente descritti dalle leggi dell’elettromagnetismo classico. Nel 1905 Einstein riesce a spiegare il fenomeno solo ammettendo che l’energia apportata dal fascio di luce è legata alla sua frequenza dalla relazione di Planck E=hn, e affermando che: la luce stessa è quantizzata, cioè costituita da un flusso di "particelle d'energia" o quanti di luce. Tali “granuli” di energia vennero chiamati nel 1923 fotoni. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  14. In altre parole, Einstein riuscì a spiegare il fenomeno solo ammettendo che il fascio di luce incidente fosse formato da fotoni che trasportano ognuno un’energia legata alla frequenza dalla relazione di Planck E=hn. Un atomocolpito da un fotone riceve in un unico pacchetto l’energia hn e l’elettrone viene emesso solo se questa energia è sufficiente a strapparlo all’atomo. Al di sotto di tale valore minimo di frequenza il fotone non ha l’energia necessaria per estrarre l’elettrone né si può verificare che due fotoni possano sommare i loro effetti colpendolo contemporaneamente: la probabilità di una doppia collisione è troppo bassa. Se i fotoni sono di opportuna energia, il loro numero, cioè l’intensità della radiazione, influenza invece il numero di elettroni emessi. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  15. Il lavoro di Einstein riaccendeva i dubbi sulla natura della luce evidenziati fin dal Settecento. Tutti i fenomeni luminosi studiati fino a quel momento (diffrazione, riflessione, rifrazione etc.) erano perfettamente spiegabili con la teoria ondulatoria mentre l’effetto fotoelettrico richiedeva di ricorrere a quella corpuscolare. Einstein stesso ammise che non si poteva decidere se la luce fosse un’onda o un getto di fotoni. Per spiegare tutti i fenomeni si doveva ricorrere a volte ad una teoria e a volte all’altra poiché nessuna delle due era in grado di spiegare da sola i risultati. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  16. La quantizzazione negli atomi: N. Bohr Come si è visto nel capitolo precedente, il modello di Rutherford portava in sé stesso l'impossibilità fisica di esistere, in quanto l’inevitabile caduta dell’elettrone sul nucleo avrebbe portato all’annullamento della materia. Nel 1913 N.Bohr, sottolineando l’inadeguatezza della elettrodinamica classica per descrivere sistemi di dimensioni atomiche, introdusse nelle relazioni del moto degli elettroni la costante di Planck. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  17. Grande importanza ebbero per Bohr gli studi sulle righe dello spettro di emissione dell'idrogeno e di altri elementi. Tali righe erano, secondo il fisico danese, da collegarsi al contenuto energetico degli elettroni. La costanza delle righe e l’elevata specificità per ogni elemento dovevano essere causate dall'intima struttura degli atomi stessi. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  18. In particolare per l’atomo di idrogeno erano state trovate delle serie di righe i cui reciproci delle lunghezze d’onda erano calcolabili con la formula: dove RH =109.700 cm1, m è un intero, e n può assumere i valori m+1, m+2, m+3. A seconda dei valori di m si ricavavano le diverse serie. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  19. L'analisi dettagliata di tutti questi fatti lo condusse nel 1913 alla proposizione di un nuovo modello che, valido solo per l'atomo di idrogeno, si basava su due postulati innovativi rispetto alla meccanica classica. Il primo postulato afferma che l'elettrone può percorrere attorno al nucleo soltanto alcune orbite circolari senza perdere energia. I raggi di tali orbite soddisfano tutti la relazione: dove m è la massa dell'elettrone, v la sua velocità, h la costante di Planck. Al termine n, un numero intero che può assumere tutti i valori che vanno da 1 a , diede il nome di numero quantico principale. Il modello atomico di Bohr dunque, pur mantenendo la struttura planetaria già suggerita da Rutherford, impone che l’elettrone non possa girare ad una distanza qualsiasi dal nucleo. Le orbite possibili e quindi le quantità di energia che un elettrone può possedere sono ben definite. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  20. Il modello atomico di Bohr dunque, pur mantenendo la struttura planetaria già suggerita da Rutherford, impone che l’elettrone non possa girare ad una distanza qualsiasi dal nucleo. Le orbite possibili e quindi le quantità di energia che un elettrone può possedere sono ben definite. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  21. Il secondo postulato afferma che un elettrone può assorbire solo quelle quantità di energia che lo facciano passare dall'orbita in cui si trova normalmente, orbita fondamentale, ad una delle orbita di energia maggiore. In questo stato, detto eccitato, l'elettrone rimane per una frazione di tempo brevissima (10-9s), per poi ritornare alla situazione di partenza perdendo l’energia precedentemente assorbita. L’energia viene emessa sotto forma di radiazione elettromagnetica del campo ultravioletto - visibile con una frequenza legata alle energie delle due orbite dalla relazione: (Eeccitato-Efondamentale) = hn Un atomo eccitato non può tornare allo stato fondamentale liberando un fotone di qualsiasi frequenza, ma essa dipenderà dalle energie dei due stati tra cui avviene la transizione elettronica. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  22. Ammettendo la quantizzzazione dei raggi, si possono calcolare le energie per le transizioni tra le delle singole orbite con una formula che ricalca quella di Balmer e dove i numeri interi che là apparivano sono qui i numeri quantici principali attribuiti alle varie orbite. Le serie corrispondono ai salti tra le varie orbite e la prima (Lyman), la seconda (Balmer)… Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  23. Sapendo inoltre che tra frequenza e lunghezza d’onda esiste la relazionequanto ricavato da Bohr può essere scritto come o anche Se ora si confronta questa relazione con quella di Balmer si trova una spiegazione per la costante di Rydberg il cui valore sperimentale è in perfetto accordo con quanto previsto da Bohr Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  24. Un altro modo di rappresentare le transizioni elettroniche nell’atomo di idrogeno Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  25. La quantizzazione negli atomi: A.Sommerfeld Il modello atomico di Bohr, pur essendo rivoluzionario per aver quantizzato l’energia delle orbite elettroniche, era relativamente elementare e presentava volutamente molte semplificazioni. Per esempio, considerava unicamente atomi con un solo elettrone per non dover tenere conto delle repulsioni elettrone-elettrone. Trascurava poi la massa elettronica rispetto a quella del nucleo per non essere costretto ad apportare variazioni alle orbite. Anche la velocità con cui si muoveva l’elettrone era stimata molto più bassa di quella della luce, così da evitare complicazioni relativistiche che ne avrebbero fatto variare la massa. A causa di tali approssimazioni il modello di Bohr non incontrò l’approvazione generale dei contemporanei, ma la conferma della sua teoria venne dalla concordanza con lo spettro dell’idrogeno. Le frequenze delle righe ottenute sperimentalmente corrispondevano infatti con quelle calcolabili con la relazione ricavata dal fisico danese. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  26. Inoltre, pur non riuscendo a prevedere matematicamente le frequenze delle righe per atomi con più di un elettrone, questo modello consentiva di dare una spiegazione del perché elementi diversi emettessero radiazioni con differente frequenza. Le frequenze delle radiazioni emesse o assorbite, infatti, dipendono dalle energie delle orbite interessate al salto elettronico, il cui raggio varia da elemento a elemento a causa del diverso numero di protoni ed elettroni dei loro atomi. Purtroppo, però, il modello di Bohr non spiegava ancora perché un elettrone, muovendosi in un’orbita permessa non dovesse perdere energia. Il perfezionamento degli analizzatori di luce, gli spettroscopi,permise di vedere che le righe degli spettri erano costituite in realtà da gruppi di righe più sottili. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  27. Per spiegarle, A. Sommerfeld propose nel 1920 un nuovo modello atomico: l’atomo di Sommerfeld è molto simile a quello di Bohr ma presenta anche orbite ellittiche con differenti orientazioni. Il tipo di orbita era determinato da un ben preciso valore di energia che poteva essere rappresentato con l’introduzione di due nuovi numeri quantici: uno collegato alla forma dell’orbita e uno alla sua orientazione. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  28. Successivamente altri problemi nell’interpretazione degli spettri imposero l’introduzione, dovuta a Pauli, di un nuovo numero quantico, collegato alla rotazione dell’elettrone su sé stesso (spin). Il modello atomico che ne risultò, conosciuto come modello di Bohr-Sommerfeld, spiegava solo parzialmente gli spettri di atomi con più elettroni. Era basato sulle leggi della meccanica classica, ma era stato corretto con l’introduzione del concetto di quantizzazione delle energie elettroniche, e perfezionato con la precisazione, ai fini di spiegare i risultati spettroscopici, della forma e della orientazione delle orbite. Il mescolamento era stridente al punto da richiedere una nuova impostazione. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  29. Onde, corpuscoli: appare l’incertezza Nel 1924 L.V. de Broglie avanzò l’ipotesi che: il comportamento di un corpuscolo in movimento può anche essere descritto come la propagazione di un'onda la cui lè legata alla massa m e alla velocità v del corpuscolo, dalla relazione: l=h/mv Questa formula consentì di dare una base teorica al primo postulato di Bohr. Infatti la formula: mvr = nh/2p utilizzata da Bohr per ricavare i raggi delle orbite possibili consentiva di predire valori in perfetto accordo con i risultati sperimentali ma non aveva un chiaro significato. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  30. Se ora consideriamo un elettrone come il propagarsi di un’onda, questa dovrà avere un movimento costante in ogni punto, ovvero deve essere stazionaria. progressiva stazionaria Tale situazione si verifica solo se l’orbita elettronica, a cui lunghezza vale 2pr, contiene un numero intero di onde. La circonferenza di tale orbita sarà dunque: 2pr=nl che in base alla formula di De Broglie potrà essere scritta: 2pr=nh/mv relazione che, disposta in altro modo, dà appunto il primo postulato di Bohr. Le prime verifiche sperimentali della teoria di De Broglie vennero nel 1927 quando si trovarono per gli elettroni dei comportamenti spiegabili solo se essi venivano considerati fenomeni ondulatori. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  31. Sempre nel 1927 W. Heisenberg osservò che anche se nel mondo macroscopico si era in grado di misurare con notevole precisione tutte le grandezze necessarie alla descrizione del moto di un corpo, questo non era possibile su scala atomica. Ricorriamo ad un esempio fatto dallo stesso Heisenberg. Immaginiamo di voler determinare la posizione di un elettrone grazie ai fotoni. Perché l'elettrone sia individuato deve essere colpito da un fotone che venga deviato verso l'osservatore. Ciò però comporterà passaggio di energia dal fotone all'elettrone che ne risulterà così disturbato nella velocità. Se, per evitare questo problema, scegliamo di usare un fotone a bassa energia, la lunghezza dell’onda del fotone ad essa associata è così grande da rendere impossibile la determinazione della posizione. La situazione viene riassunta da Heisenberg nel principio di indeterminazione: non è possibile determinare contemporaneamente e con assoluta precisione la quantità di moto (p) e la posizione (x) di un elettrone. Heisenberg dimostra infatti che le incertezze delle due grandezze devono sempre rispettare la legge Dx · Dp  h/4p Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  32. Vediamo degli esempi numerici. In base alla relazione vista, un elettrone con una velocità di 1000 m·s-1 (misura ricavata con un incertezza dello 0,01%) avrebbe una incertezza di posizione di più di 0,5 mm, valoreenorme rispetto alle sue dimensioni che sono dell’ordine di 10-12 mm. D'altro canto il principio di indeterminazione non ha significato nel campo macroscopico. Considerando un corpo di 10 kg di massa, con una velocità di 5,0 m·s-1, nota con una incertezza dello 0,1%, si ricaverebbe una incertezza sulla posizione di 3,7  10-34m, assolutamente irrilevante. Per meglio comprendere il significato del principio di indeterminazione possiamo fare un paragone con la fotografia. Quando si fotografa un oggetto in movimento è difficile fare un’istantanea che renda il senso della velocità e, allo stesso tempo, rappresenti bene l’oggetto. Infatti se scegliamo tempi d’esposizione bassi, otterremo una immagine ben definita ma ferma, mentre, con tempi alti otterremo delle immagini mosse che rendono bene il senso della velocità, ma non danno una rappresentazione fedele dell’oggetto. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  33. E' bene sottolineare che il principio di indeterminazione non è causato dalla nostra incapacità di osservare i fenomeni ma dalla natura ondulatoria delle particelle. Si può dire che esiste un limite, legato dalla costante di Planck, al di sotto del quale non possiamo osservare la realtà. Analogamente non si può osservare troppo da vicino uno schermo televisivo per vedere tutti i particolari: otterremmo solo un insieme di punti senza alcun significato. L’incertezza insita nella misura di velocità e posizione dell’elettrone sono in assoluto contrasto con il modello atomico di Bohr-Sommerfeld che prevedeva invece orbite ben definite in cui ad ogni momento tali variabili potevano essere esattamente calcolate. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  34. Il nuovo modello atomico: meccanica ondulatoria e probabilità Già nel 1926 E. Schrödinger aveva iniziato a elaborare una equazione matematica in grado di rappresentare il comportamento dell'elettrone considerandolo come onda. Al contrario del modello di Bohr, che si basava sull'interpretazione di evidenze sperimentali, il lavoro di Schrödinger parte da considerazioni esclusivamente teoriche e abbandona completamente l'uso della meccanica classica: è l'affermazione definitiva della meccanica ondulatoria. L’equazione che descrive il comportamento ondulatorio dell’elettrone venne chiamata equazione d’onda di Schrödinger. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  35. Contemporaneamente da un’idea di Heisenberg, con i contributi di Born e Jordan, venne sviluppata una meccanica che si fonda sulle relazioni esistenti tra le frequenze e le intensità delle righe spettrali emesse dai sistemi eccitati. La nuova teoria prese il nome di meccanica quantistica i cui risultati sono in perfetto accordo con la meccanica ondulatoria di Schrödinger[1]. Per questi motivi l’ultimo modello atomico che considereremo, quello attualmente utilizzato è da attribuirsi ad entrambi gli scienziati. [1]Vista la concordanza dei risultati spesso i termini “meccanica quantistica” e “meccanica ondulatoria” vengono usati impropriamente come se si riferissero ad un’unica teoria. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  36. Le soluzioni dell'equazione di Schrödinger, dette funzioni d'onda ed indicate con y(psi), permettono di calcolare l'energia degli stati elettronici e sono il punto di partenza per descrivere il comportamento degli elettroni. Infatti anche se y non rappresenta nessuna di quelle realtà che eravamo abituati a riscontrare nel modello di Bohr, il suo quadrato (y2) calcolato per una determinata porzione di spazio, è legato alla probabilità che l'elettrone sia presente in essa. E’ proprio la probabilità di trovare l'elettrone che ci consente di dare una rappresentazione atomica più facilmente comprensibile. Mentre nell'atomo di Bohr avevamo delle orbite, nel modello di Schrödinger-Heisenberg possiamo parlare solo di regioni dello spazio in cui il quadrato della funzione d’onda raggiunge i valori più alti. Tali regioni furono chiamate, nel 1932, da R.S. Mulliken orbitali. L’orbitale è quella zona in cui la probabilità di trovare l'elettrone è maggiore del 95%.[2] [2]A rigore questa definizione non è corretta perché considera l'elettrone (corpuscolo) in uno spazio che ha il suo motivo di esistere solo quando l'elettrone è interpretato come onda. Quando si parla di un elettrone (come corpuscolo) in un orbitale si usa un linguaggio efficacemente descrittivo ma assolutamente non rigoroso. Pur tuttavia risulta molto pratico avvalersene. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  37. Un buon modo per rappresentare un orbitale è immaginare di fotografare molte volte l’elettrone attorno al nucleo, utilizzando sempre la stessa pellicola: otterremmo un risultato rappresentabile come in figura con tanti puntini, uno per ogni istantanea dell’elettrone. La “nuvola” elettronica che viene così a formarsi rappresenta la distribuzione della probabilità di trovare l’elettrone. L’insieme delle zone dove i punti sono più fitti è l’orbitale. I risultati della meccanica ondulatoria sono in ottimo accordo con le evidenze sperimentali e confermano, anche se sotto una nuova luce, quanto i modelli precedenti avevano previsto. Ad esempio, nell'atomo di idrogeno di Bohr, il raggio della prima orbita è di 53 pm. Con l'equazione di Schrodinger la distanza alla quale è massima la probabilità di trovare l'elettrone di un atomo di idrogeno non eccitato è ancora 53 pm. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  38. I numeri quantici nel modello ondulatorio: n, l, m, s L'equazione di Schrödinger pur partendo da considerazioni teoriche, fa apparire automaticamente nelle sue soluzioni, che descrivono gli stati possibili degli elettroni, i quattro numeri quantici introdotti nel decennio precedente per risolvere i problemi spettroscopici. Il significato fisico dei numeri quantici è molto simile a quello che era stato introdotto nel modello atomico planetario. n: numero quantico principale. Indica il livello energetico di un orbitale. Può assumere tutti i valori interi compresi tra 1 ed  anche se in condizioni non eccitate si arriva a 7. Il numero totale di orbitali presenti nel livello n è uguale ad n2. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  39. l: numero quantico secondario. Indica la forma di un orbitale. In un dato livello energetico, l può assumere tutti i valori interi compresi tra 0 e n-1. A seconda del valore assunto la forma può essere: sferica per l=0 (orbitali s), a due lobi per l=1 (orbitali p), a quattro lobi per l=2 (orbitali d), a otto lobi per l=3 (orbitali f). Il gruppo di orbitali di un certo livello energetico, accomunati da un ugual valore di l è chiamato sottolivello. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  40. m: numero quantico magnetico. Indica l'orientazione di un orbitale. Per un dato valore di l, e quindi per un certo sottolivello, può assumere tutti i valori interi tra -l e +l, zero compreso; per questo motivo gli orbitali s hanno una sola orientazione, gli orbitali p sono in gruppi di tre, ciascuno con una diversa orientazione, gli orbitali d sono 5 e gli orbitali f sono 7. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  41. s: numero quantico di spin. Nel modello quanto-meccanico indica la polarizzazione dell’onda in una direzione o in quella esattamente opposta. Per questioni di chiarezza per esso manterremo il significato già visto e cioè il senso di rotazione su sé stesso dell'elettrone. Può assumere solo i valori +1/2 e -1/2. I campi magnetici generati dalla rotazione degli elettroni fanno sì che in uno stesso orbitale possano stare solo due elettroni con spin opposto (principio di esclusione di Pauli). In base a questo fatto il numero massimo di elettroni che possono stare nel livello n è pari a 2n2. S= + 1/2 S= + 1/2 S= + 1/2 S= - 1/2 Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  42. Livelli, sottolivelli ed orientazionedegli orbitali Abbiamo visto che gli orbitali si differenziano per energia, forma ed orientazione. Gli orbitali sono infatti disposti in livelli energetici all’interno dei quali, escluso il primo, esistono dei sottolivelli che si differenziano leggermente per la loro energia. Nell’ambito di un sottolivello, gli orbitali presenti hanno diversa orientazione. Nel primo livello di energia (n=1) è ammesso per l solo il valore 0. Vi è quindi solo il sottolivello s fatto da un solo orbitale. Esso è di tipo sferico e viene indicato con 1s. Nel primo livello al massimo stanno 2 elettroni. Nel secondo livello di energia (n=2), i valori ammessi per l sono 0 e 1. Questo significa che i tipi possibili di orbitali sono s e p. Troviamo l’orbitale 2s e, a energia leggermente più elevata, il sottolivello p con tre orbitali che si differenziano per i diversi valori di m: 2px (m=-1), 2pY (m=0), 2pz (m=1). In totale nel secondo livello possono stare otto elettroni. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  43. Il terzo livello consentirà tre diversi valori di l: 0,1 e 2. Saranno dunque presenti i sottolivelli s, p e d. Oltre all’orbitale 3s e agli orbitali 3px, 3py e 3pz incontriamo, a energia leggermente più alta, i cinque orbitali d con diverse orientazioni contraddistinti dai valori di m -2,-1, 0, 1, 2. Globalmente nel terzo livello di energia possono stare 18 elettroni. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  44. Il quarto livello di energia poiché consente i valori 0,1,2 e 3 per l, avrà l’orbitale 4s, i tre orbitali 4p, i cinque orbitali 4d e sette orbitali 4f, contraddistinti dai valori di m -3, -2, -1, 0, 1, 2 e 3. Grazie anche a questi nuovi orbitali il quarto livello può contenere 32 elettroni. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  45. Nei successivi livelli sono possibili oltre ai sottolivelli s, p, d e f anche ulteriori tipi di orbitali che però in condizioni non eccitate non sono occupati, per cui non verranno qui considerati. Inoltre se è vero che nell’ambito di un livello i sottolivelli s, p, d ed f hanno energia crescente, non sempre un orbitale di un dato livello è di energia più bassa di tutti gli orbitali del livello immediatamente superiore. Il numero quantico secondario (m) può infatti dare un contributo significativo all’energia dell’orbitale. L’ordine effettivo di energia crescente degli orbitali è dato dalla regola della diagonale In cui risulta evidente dallo schema che le complicazioni iniziano quando entrano in gioco gli orbitali d ed f. A puro titolo di esempio si può osservare come l’orbitale 6s abbia un’energia più bassa sia dei sottolivelli 5d e 5f, sia addirittura del 4f. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  46. 7p 6d 5f 7s 6p 5d 4f 6s Energia crescente 5p 4d 5s 4p 3d 4s Gli orbitali sono frequentemente rappresentati con dei quadratini. Qui sono raffigurati gli orbitali normalmente utilizzati, in ordine di energia crescente. Si deve sottolineare che al crescere di n le differenze energetiche divengono sempre più piccole. 3p 3s 2p 2s 1s Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  47. La configurazione elettronica: come sono disposti gli elettroni Con il termine configurazione elettronica di un elemento si intende la disposizione degli elettroni nei suoi orbitali. Essa viene rappresentata graficamente utilizzando gli schemi degli orbitali visti prima ed indicando gli elettroni con delle freccette. Se invece la si vuole scrivere si mette il livello di energia seguito dal simbolo del sottolivello ponendo all’esponente il numero totale di elettroni contenuti (ad esempio la notazione 1s2 significa due elettroni nell’orbitale 1s e si legge “uno – esse – due”). 1s2 1s Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  48. L’atomo di un dato elemento possiede tanti elettroni quanti protoni. Noto quindi il numero atomico sappiamo quanti elettroni dobbiamo collocare nei suoi orbitali. • Il riempimento degli orbitali avviene seguendo alcune regole: • principio dell’Aufbau: gli orbitali vengono riempiti seguendo l’ordine dato dalla regola della diagonale; • principio di esclusione di Pauli: in ogni orbitale possono stare al massimo due elettroni, nel qual caso hanno spin opposto (antiparalleli)[1]; • regola di Hund o della massima molteplicità: quando gli elettroni hanno a disposizione più orbitali con la stessa energia (degeneri) tendono sempre ad occuparne quanti più possibile, dando luogo ad orbitali semioccupati in cui si disporranno con spin paralleli[2]; • [1]Il principio di esclusione di Pauli afferma che due elettroni nello stesso atomo non possono avere i quattro numeri quantici uguali. Pertanto due elettroni che stiano nello stesso orbitale avrebbero già uguali n,l,ed m ed essendo solo due i possibili valori di s (+1/2 e -1/2), due soli potranno essere gli elettroni contenuti in quanto un terzo verrebbe ad essere uguale ad uno di quelli già presenti. • [2]Ciò consente agli elettroni di stare il più lontano possibile, minimizzandone la repulsione . Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  49. 1s 1s 2s 1s 2s 1s Come esempio di applicazione delle regole viste ricostruiamo la configurazione elettronica dei primi 10 elementi. L’idrogeno ha un solo elettrone che si troverà nell’orbitale a più bassa energia e cioè nell’1s. La sua configurazione si scrive 1s1. L’elio ha due elettroni che si collocano nello stesso orbitale (1s) ma con spin opposto. Con l’elio che ha configurazione 1s2 il primo livello energetico è saturo, cioè completamente occupato. Il litio ha tre elettroni che non possono stare tutti nello stesso orbitale: due saranno nell’1s ed uno nell’orbitale a più bassa energia del secondo livello, ovvero nel 2s. La configurazione sarà 1s22s1. Il berillio ha quattro elettroni, due nell’1s e due nel 2s: la sua configurazione è 1s22s2. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

  50. 2p 2p 2p 2s 2s 2s 1s 1s 1s Il boro ha cinque elettroni. I primi quattro sono disposti come nel berillio mentre il quinto è posto nell’2px: 1s22s22p1. Il carbonio ha sei elettroni: due nell’1s, due nel 2s, uno nel 2px e uno nel 2py (1s22s22p2). Questo perchè, per la regola di Hund, gli elettroni preferiscono occupare entrambi gli orbitali con uguale energia. Si ricordi che gli spin dei due elettroni del sottolivello 2p sono paralleli. L’azoto ha sette elettroni, due nell’1s, due nel 2s, ed uno ciascuno nei tre orbitali 2p: 1s22s22p3. Per gli stessi motivi analizzati con il carbonio, gli ultimi tre elettroni hanno spin paralleli. Prof. F.Tottola IPSIA E.Fermi Vr

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