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Il cinematografo in Italia

Il cinematografo in Italia. Lyda Borelli in Salomé (1909). In Italia le tecniche cinematografiche arrivano subito, con le prime proiezioni nel 1896 e l’avvio di una produzione pionieristica che si svilupperà soprattutto in alcune grandi città.

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Il cinematografo in Italia

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Presentation Transcript


  1. Il cinematografo in Italia • Lyda Borelli in Salomé (1909)

  2. In Italia le tecniche cinematografiche arrivano subito, con le prime proiezioni nel 1896 e l’avvio di una produzione pionieristica che si svilupperà soprattutto in alcune grandi città.

  3. A Torino il Cinématographe Lumièrearriva il 7 novembre 1896, allorché Vittorio Calcina, il fotografo che ha la rappresentanza in Italia dei Lumière organizza una serata dimostrativa, per un pubblico scelto, in una sala dell’ex Ospizio di Carità, in via Po 33. Passano sullo schermo una ventina di film realizzati dai tecnici di Lumière, che riscuotono un notevole successo. L’interesse del pubblico si concentra sulla novità del procedimento tecnico che consente la riproduzione della fotografia in movimento. Si tratta, in altre parole, di una piacevole conferenza intorno all’ultima scoperta nel campo della fotografia.

  4. Si aprono così le porte per lo sfruttamento commerciale eCalcina continua le proiezioni fino alla primavera del 1897: «Tutti i giorni, sedute serali dalle ore 20 alle 23. Giovedì e giorni festivi, sedute diurne dalle ore 14 alle 18. Ingresso cent. 50; Militari di bassaforza e ragazzi metà prezzo». Lo spettacolo dura circa venti minuti e costa poco; inoltre cambia ogni settimana e si arricchisce man mano, anche con brevi documentari girati dallo stesso Calcina, che inizia riprendere “scene dal vero”, tra cui le cerimonie riguardanti famiglia reale.

  5. L’Internazionale nel1910 • In seguito gli spettacoli vengono spostati alla birreria di Via Garibaldi e poi interrotti per l’estate, ma ormai il cinema si è insediato nel tempo libero di fine secolo, insieme alle corse automobilistiche e alle nascenti squadre di calcio. Se ne parla, si va con la famiglia o con gli amici, se ne discute al caffè e se ne scrive talvolta sui giornali.

  6. Il cinema riesce a entrare, sebbene di straforo, anche nel “giro” chiuso e diffidente della cultura “ufficiale”. Il Teatro Carignano, tempio della prosa torinese , annuncia regolari proiezioni cinematografiche nel cartellone della nuova stagione teatrale, che avranno luogo dal 5 al 24 novembre 1897.

  7. Passata la fase iniziale della curiosità e dell’entusiasmo per le immagini in movimento, si comincia a pensare seriamente di “fare del cinema” in proprio: dar vita cioè a una produzione regolare di film, avviandosi sulla strada dei francesi, soprattutto di Charles Pathé, il primo vero produttore cinematografico. A partire dal 1903 le case di produzione cinematografica si moltiplicano, attratte dai favolosi guadagni che il nuovo mezzo d’intrattenimento promette. A Torino in poco tempo nascono cinque case di produzione (Ambrosio Film, Aquila Film, Itala Film, Pasquali Film e Savoia Film), ma si distinguono anche Roma (Cines), Milano, Napoli e Venezia.

  8. Arturo Ambrosio, titolare di un laboratorio fotografico nel centro di Torino decide di passare al cinematografo: nel 1904 effettua le prime riprese cinematografiche e poi costruisce il primo teatro di posa; nel 1906 fonda la sua casa produttrice, con un cospicuo capitale sociale di 700.000 lire.

  9. Con i primi frutti della produzione, Ambrosio acquista anche una sala cinematografica e - in modo ancora artigianale, forse senza un vero piano ma già con una visione globale del problema - realizza il modello produttivo che per almeno un decennio consentirà alla cinematografia torinese di affermarsi in campo nazionale e internazionale: un ciclo di lavorazione e di sfruttamento commerciale del prodotto che comprende progettazione, realizzazione, distribuzione ed esercizio.

  10. Per ogni fase del ciclo produttivo vengono radunate le competenze necessarie: si scritturano attori registi, operatori, soggettisti, scenografi; si formarono cioè le prime troupe cinematografiche e si consolida anche la coscienza professionale che alimenterà il successo del cinema italiano.

  11. Filoteo Alberini • Un altro pioniere del cinema italiano è Filoteo Alberini, già inventore del kinetografo, che apre nel 1904 a piazza Esedra la prima sala di proiezione della capitale, il cinema Moderno.

  12. L’anno seguente fonda con l’amico Dante Santoni la Alberini e Santoni, manifattura di soggetti e films cinematografiche con teatro di posa in via Vejo, ripromettendosi di produrre pellicole, fabbricare apparecchi e commerciare tutti gli accessori relativi alla cinematografia, fotografia e tecniche affini.

  13. La presa di Roma • Nel quadro di una produzione basata su documentari e film a soggetto che prendono spunto dalla tradizione teatrale, Alberini gira nel 1905 il primo lungometraggio italiano a soggetto, La presa di Roma, che inaugura il genere che farà la fortuna del cinema italiano e sarà esportato in tutto il mondo con grande successo: il film storico. La pellicola è lunga 250 metri (contro una lunghezza media di 60 metri), dura circa un quarto d’ora e costa 500 lire.

  14. L’opera è innovativa per i contenuti, ma ancora tradizionale nella tecnica. Il film è diviso in 7 quadri animati, che ripercorrono gli episodi del 20 settembre 1870, ispirati direttamente al mondo dell’arte, in particolare alle opere del pittore Michele Cammarano.

  15. I sette quadri sono così divisi: • La battaglia di Ponte Milvio • Il rifiuto alla resa da parte del generale pontificio Hermann Kanzler • L'arrivo dei Bersaglieri • La breccia di Porta Pia • L'entrata dei Bersaglieri nell'Urbe • La resa di Pio IX e la bandiera bianca sulla basilica di San Pietro • I festeggiamenti delle truppe italiane.

  16. il 1º aprile 1906 la Alberini & Santoni diventa la Cines, che in estate ospita il regista francese Gaston Velle, proveniente dalla Pathé e accompagnato da scenografi e operatori specialisti in trucchi. Vengono realizzate quell’anno La Malia dell’oro, Pierrot innamorato e Viaggio in una stella.

  17. Il successo della Presa di Roma moltiplica i film storici, che portano sullo schermo i grandi personaggi dell’antica Roma e del Rinascimento, della storia e della mitologia. Così, nel 1907, mentre Velle torna a Parigi e Mario Caserini comincia la sua attività di regista, la Cines si specializza nella produzione storica e in costume con Il Fornaretto di Venezia, Otello, Garibaldi.

  18. Il guadagno piuttosto facile, lo spirito di avventura, il fascino di un mondo distante dal lavoro quotidiano, lascia emergere in pochi anni una produzione cinematografica continuativa e sempre più curata tecnicamente. Nel 1907 Camillo Ottolenghi fonda l’Aquila Film, Carlo Rossi e Guglielmo Remmert creano la Rossi & C., in seguito con l’apporto dell’ingegner Sciamengo e di Giovanni Pastrone nasce la mitica Itala Film. Gli stabilimenti dell’Itala a Torino

  19. Fra il 1907 e il 1915, nascono a Torino più di dieci società, che saranno una trentina entro il 1920 (anche se molte presto spariscono o producono un solo film). Tra le maggiori vanno segnalate la Pasquali & Tempo ela Savoia Films, creata nel 1911, con intenti artistici e culturali alquanto ambiziosi, dal pittore Piero Antonio Gariazzo. Ernesto Maria Pasquali (1883–1919)

  20. A fianco di Caserini, chiamato il “mago della messinscena”, comincia a distinguersi un giovane pittore, Enrico Guazzoni, che ottiene il primo personale successo con Brutus nel 1910, proprio negli anni in cui anche la Cines affronta la grande crisi che colpisce tutti i paesi, in ragione anche della sovrapproduzione, qualitativamente mediocre, non più tollerata da un pubblico diventato nel frattempo molto più esigente. • .

  21. A fianco di Caserini, chiamato il “mago della messinscena”, comincia, proprio negli anni in cui anche la Cines affronta la grande crisi che colpisce tutti i paesi, in ragione anche della sovrapproduzione, qualitativamente mediocre, non più tollerata da un pubblico diventato nel frattempo molto più esigente. • .

  22. Con l’eclisse dei grandi guadagni, il Banco di Roma invia a liquidare lo stabilimento il barone Alberto Fassini, che invece lo riorganizza, aumentando il capitale della società e riuscendo a garantire agli esercenti italiani e stranieri un rifornimento settimanale di 1 dramma (600 m. circa), 1 commedia, 2 comiche e 2 documentari. L’acquisto di attrezzature moderne e la scrittura di troupe fisse, cui si aggiunge la fabbricazione in proprio della pellicola vergine, portano la Cines a un grande sviluppo.

  23. La confusione che regnava nei teatri di posa, di fresca costruzione e non ancora disciplinati dall’organizzazione, era semplicemente caotica. Centocinquanta attori e attrici agivano talvolta contemporaneamente nei capannoni, fra un chiasso indescrivibile! Abituata al ritmo di vita quasi familiare della Pathé, il disordine della Cines mi dava terribilmente ai nervi. Inoltre la mia ambizione era quella di regnare sovrana sull’ambiente; ed essere regina fra tante … imperatrici, era alquanto difficile. • Francesca Bertini

  24. Dal 1908 la Ambrosio Film produce prevalentemente film documentari, alcuni diretti anche dallo stesso Ambrosio, mentre nel 1910 ingaggia il comico spagnolo Marcel Fabre e avvia la produzione di cortometraggi comici della serie Robinet, in risposta alla mossa dell’Itala Film che aveva ingaggiato il più famoso comico francese André Deed. Nello stesso anno l’impresa torinese comincia a produrre anche film di altri generi, come quelli drammatici, assumendo rilevanza internazionale ed esportando le proprie pellicole all’estero.

  25. Le nuove società di produzione si moltiplicano con investimenti talmente interessanti da favorire in poco tempo l’ingaggio di attori francesi che conoscono in Italia un notevole successo (come il comico Cretinetti).

  26. A Torino la Ambrosio Film produce nel 1908 il primo film storico-epico italiano, Gli ultimi giorni di Pompei per la regia di Arturo Ambrosio e Luigi Maggi, un kolossal con grandi effetti visivi che ricreano l’eruzione del Vesuvio, scene di massa e atmosfere di terrore. Il film che inaugura il filone “catastrofico” dura meno di una ventina di minuti ed è ancora composto da una serie di quadri animati senza montaggio.

  27. Anche l’Itala Film di Giovanni Pastrone inaugura una “Serie d’arte” con il film La caduta di Troia del 1910. I film storici iniziano a dilatare sempre più la durata media dei film (circa dieci minuti), anche se la tecnica resta quella tradizionale, con inquadrature a medio campo fisse e lunghe, che imitano la visione dei palcoscenici teatrali.

  28. Nel 1911 il critico del New York DramaticMirror scrive: «Questo spettacolare ed interessantissimo film dimostra, dal punto di vista drammatico, a quali altezze può pervenire l'arte cinematografica. Le scenografie abbracciano una vera città e in tutto il film viene mantenuta una incantevole profondità di prospettiva, attraverso la quale si ammira un’intera armata di cittadini e di soldati brulicare in fitte schiere. Nelle scene della distruzione di Troia un s’accorge di trovarsi di fronte ad una incomparabile produzione di grande bellezza e di molteplici meriti artistici» .

  29. La Cines risponde, nel 1912, con due impegnativi film di Enrico Guazzoni, un giovane pittore distintosi all’ombra di Caserini che ha già ottenuto un primo personale successo con Brutus nel 1910. Il primo dei due è La Gerusalemme liberata. Il secondo è Quo Vadis?, che costa 60.000 lire ma porta la Cines ai primi posti tra le società produttrici del mondo e decreta il trionfo del genere peplum.

  30. Guazzoni e la Cines si confermano nel 1913 con Marcantonio e Cleopatra, il cui costo (300.000 lire) viene recuperato con la sola cessione del film all’esercizio inglese per un anno.

  31. Nel 1913 la Ambrosio realizza anche una seconda versione de Gli ultimi giorni di Pompei, dal romanzo di Edward G. Bulwer-Lytton, per la regia di Mario Caserini e Eleuterio Rodolfi. Girata in contemporanea con l’omonimo film della Pasquali diretto da Giovanni Enrico Vidali, che dopo traversie giudiziarie deve cambiare il titolo in Jone, la pellicola suggerisce a Pastrone chiari spunti per la realizzazione di Cabiria l’anno seguente

  32. Intanto Giovanni Pastrone, memore del successo de La caduta di Troia, medita un’opera più ambiziosa, sia per durata (oltre due ore e mezzo di film), sia per le spettacolari scenografie, desunte direttamente dalla tradizione dei più spettacolari allestimenti del teatro d’opera, sia per le novità nel linguaggio cinematografico, con l’abbandono della fissità della cinepresa: Cabiria (1914), a cui vengono chiamati a collaborare personaggi della cultura quali Gabriele D'Annunzio e Ildebrando Pizzetti. Il film ha un grandissimo successo e suscita molto interesse in America, influenzando anche David W. Griffith.

  33. Dal film Cabiria giunge un contributo importante per i futuri sviluppi della storia del cinema, non solo da un punto di vista produttivo e linguistico ma anche da quello culturale.Cabiria rappresenta infatti un passo decisivo per il ridimensionamento del complesso d’inferiorità che il nuovo mezzo nutre verso il teatro.

  34. Giovanni Pastronepropone a Gabriele D’Annunzio (l’intellettuale più noto nell’Italia del periodo) un compenso non trascurabile per avere la sua firma sui testi dell’opera. Quest’operazione indica come il cinema abbia bisogno di mettere in evidenziare l’aspetto meraviglioso e l’eccezionalità del nuovo prodotto e contiene però anche i motivi delle difficoltà della nuova industria, troppo debole per competere con i prodotti dello stesso tipo che saranno prontamente messi in cantiere a Hollywood.

  35. Accanto alle case di produzione nascono le sale cinematografiche, sempre più numerose e sparse in ogni quartiere della città, luogo di ritrovo di una società che a poco a poco abbandona i caffè e i teatri per scoprire il nuovo fascino delle immagini in movimento.

  36. La produzione, lasciato lo stretto ambito del documentario e del breve film comico, si muove ormai nel più vasto campo del film di medio e lungometraggio: dai drammi passionali a quelli storici e mitologici, dalle avventure esotiche alle commedie di costume. È un repertorio di situazioni, ambienti, personaggi, storie a cui attingono soggettisti,sceneggiatori, registi, attori e operatori: un repertorio che abbraccia la storia patria e le letterature d’ogni Paese, la cronaca mondana, le favole infantili, i casi giudiziari.

  37. Nascono anche le prime riviste cinematografiche, i giornali di categoria, la pubblicistica. E la stampa si occupa non saltuariamente di cinema.

  38. Il numero di locali italiani che proiettano film cresce ogni anno e intorno al 1910 si registra una vera impennata: 40 nel 1911, 73 nel 1913, mentre a Roma sono 38, a Genova 16, a Palermo 9 e a Venezia 7.

  39. La fruizione del nuovo spettacolo riveste inizialmente un carattere molto popolare: oltre ai militari, sono i giovani a frequentare il Cinematografo, provocando discussioni sull’aumento degli atti criminali e sulla decadenza di valori. Nel 1909 la Chiesa vieterà ogni proiezione negli istituti religiosi, proibendo al clero di entrare nei cinematografi.

  40. Alle soglie della Grande Guerra la Cines, scrittura grandi artisti, come Lyda Borelli e i registi Nino Oxilia, Nino Martoglio, Carmine Gallone, Amleto Palermi, e Augusto Genina. Nel 1918 il barone Fassini lascia la Cines che nel 1919 la entra nell’Unione Cinematografica Italiana e nel 1921 cessa ogni attività.

  41. Presso la Ambrosio Film lavorano (molti in maniera discontinua) e si formano importanti personalità del cinema di allora, attori e registi come Ernesto Vaser, Alberto Capozzi, Alberto Collo, Ernesto Maria Pasquali Mario Caserini, Vitale De Stefano, Eleuterio Rodolfi, Febo Mari, Mario Bonnard e molti altri, e attrici come Mary Cleo Tarlarini, Mirra Principi, Lydia De Roberti, Gigetta Morano, Helena Makowska, Maria Caserini, Fernanda Negri Pouget, Marcella Albani, Tatiana Pavlova e molte altre. Collaborarono inoltre anche personaggi della cultura, come il giornalista Arrigo Frusta (che firmò numerose sceneggiature), oppure di intellettuali come il poeta Guido Gozzano, cugino del regista Omegna, la cui collaborazione come soggettista però non fu mai dichiarata perché lo stesso non amava far sapere di scrivere per il cinema, e alcune volte anche Gabriele D'Annunzio.

  42. Nel 1919 la Ambrosio Film entra a far parte dell’Unione Cinematografica Italiana, ma la crisi del cinema italiano esplosa alla fine della Prima guerra mondiale porterà in breve alla chiusura di diverse aziende; la Ambrosio Film, una delle poche a competere sul mercato internazionale, cercherà di rilanciarsi attraverso costose produzioni (Teodora, 1919, e La Nave, 1921) che sfociano in fallimenti economici e chiuderà i battenti nel 1924.

  43. Il 18 luglio 1919, durante la lavorazione di un film, l’attore teatrale Ruggero Ruggeri si abbandona a una violenta sfuriata con il regista Genina contro i teatri di posa infuocati dal sole, le macchine da presa che si inceppano, l’abitudine di lavorare nelle ore più calde della giornata, il metodo di messa in scena che non consente mai all’attore la minima comprensione di quello che fa, contro il cinematografo in generale.«In quel giorno» racconta Genina in un’intervista «nessuno avrebbe mai potuto immaginare che un mese dopo Ruggero Ruggeri non solo si sarebbe abituato a tutti i gravosi inconvenienti e ai disagi del cinematografo, ma penetrando a fondo in ogni sua legge di lavoro, ci avrebbe dato la possibilità di riconoscerlo anche sullo schermo artista grande e raffinato quanto in teatro».

  44. Ruggero Ruggeri nella parte di Aligi nella prima rappresentazione della Figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio, messa in scena dalla Compagnia dei Giovani diretta da Virginio Talli

  45. «Mi si potrà osservare che non è precisamente in un solo mese che Ruggero Ruggeri ha potuto comprendere il cinematografo. Egli è stato uno dei primi a varcare il Rubicone cinematografico e uno dei pochi ad insistere nel voler fare qualcosa di buono, per non ritornarsene precipitosamente indietro, seguendo l’esempio disgraziato di molti suoi compagni. Io però mi permetto di considerare quest’ultimo suo lavoro come il fortunatissimo cui va l’onore di averlo deciso a studiare la grande differenza che passa fra la recitazione dinanzi al pubblico, cosa viva, nervosa, piena di calore e di comunicativa, e quella davanti all’obbiettivo della macchina da presa, cosa morta, fredda e stupida nella sua vitrea e imbarazzante fissità».

  46. «Ecco perché oggi Ruggero Ruggeri è forse uno dei pochi grandi attori che sia passato dal teatro al cinematografo dimenticando completamente di aver recitato per molti anni, con strepitoso e incontrastato successo, sul palcoscenico di tutti i teatri del mondo. A differenza di molti suoi colleghi, anche grandissimi, che avevano sempre adattato ad una interpretazione cinematografica posizioni ed espressioni mimiche di cui il continuo uso del teatro aveva dato loro l’abitudine, egli ha creato ex nova tutta una serie di mezzi espressivi in perfetta armonia con le ultimissime forme di messa in scena. L’attore del cinematografo non ha quindi niente di comune in lui con l’attore di teatro. Non un gesto, non un movimento che possa ricordarcelo. È veramente sorprendente come egli abbia saputo costringere la sua mimica cinematografica in una immobile espressività».

  47. «Il cinematografo m’interessa - mi diceva tempo fa ritornando dall’aver passato in proiezione gli ultimi quadri fatti - trovo che per gli autori e gli inscenatori potrà elevarsi a vera forma d’arte.- E per gli attori?Ero curioso di conoscere il suo autorevole parere a tale riguardo.- Non saprei risponderle con precisione, ma... a me sembra di no... Del buon virtuosismo... ma arte, veramente arte, sinceramente no...Pittori, scrittori, commediografi, interrogati sulla stessa questione, hanno dato risposte presso a poco simili. Ma allora eravamo molto lontani da quello che adesso è il cinematografo».

  48. «Abbiamo esempi bellissimi di artisti che, convertiti al cinematografo e giunti rapidamente alla perfetta conoscenza di ogni suo segreto tecnico, con la stessa sicura padronanza se ne sono serviti che avevano sempre avuta nel maneggiare la penna, o i colori, o lo scalpello. Abbiamo altri esempi, pure bellissimi, d’artisti ignudi d’opere e di fama che, fatto del cinematografo l’unica loro forma di espressione artistica, riuscivano a provarci come non sia impossibile animare il bianco schermo di una sala di proiezione d’immagini di bellezza e di poesia. Ecco ora l’esempio di Ruggero Ruggeri, che impossessatosi completamente del metodo di recitazione cinematografica, lo usa con tale perfezione, tale maestria, tale arte, da non farci rimpiangere il calore della sua bella voce. Tutto questo è arte».

  49. «Il cinematografo dunque potrà divenire forma di arte, purché gli artisti, anziché rimanerne lontani, cerchino di studiarlo e comprenderne a fondo il suo non difficile linguaggio tecnico. Il cinematografo non è teatro, non è romanzo. Partecipa dell’uno e dell’altro in quanto è l’illustrazione animata, meglio la rappresentazione visiva dell’uno e dell’altro. Alle parole, che suscitano immagini, qui sono sostituite le immagini stesse. La parola del cinematografo è dunque pittura, scultura, composizione. Questo per gli autori».

  50. «Per gli attori dirò che alla voce è sostituito il gesto, il movimento, il gioco di fisionomia. Modulazione di voce: maggiore o minore espressione di riso più o meno vicino alla macchina di presa. Pause nella voce, pause nell’azione. Immobilità e lentezza, lo stesso come in teatro è necessaria una dizione non precipitata, chiara e precisa. Sono paralleli semplici, ma che difficilmente autori ed attori riescono a stabilire. E per questo il cinematografo dovrebbe attendersi, anzi, pretendere il loro concorso». • Augusto Genina

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