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LE RELAZIONI INTERGRUPPI

LE RELAZIONI INTERGRUPPI. La ricerca sul comportamento intergruppi si è focalizzata principalmente sulle cause che determinano il pregiudizio Esistono varie spiegazioni del pregiudizio e della discriminazione nei confronti di gruppi estranei. Questi possono dipendere:.

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LE RELAZIONI INTERGRUPPI

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Presentation Transcript


  1. LE RELAZIONI INTERGRUPPI La ricerca sul comportamento intergruppi si è focalizzata principalmente sulle cause che determinano il pregiudizio Esistono varie spiegazioni del pregiudizio e della discriminazione nei confronti di gruppi estranei. Questi possono dipendere: • da variabili di personalità (Adorno, 1950), • dalla competizione per uno stesso bene (Sherif, 1966), • dalla semplice appartenenza di gruppo (Tajfel, 1978).

  2. Fattori di personalità come causa del pregiudizio La personalità autoritaria. Secondo Adorno (1950), il pregiudizio nei confronti dell’outgroup dipende da caratteristiche di personalità. Traendo spunto dalle teorie psicoanalitiche, Adorno sostiene che l’ostilità verso alcuni gruppi dipende dal tipo di educazione ricevuto durante l’infanzia. Secondo questa prospettiva, quando i genitori sono troppo severi, il bambino svilupperebbe aggressività nei loro confronti. Non potendo palesare tale aggressività, per timore delle conseguenze, essa viene ridiretta nei confronti di persone più deboli o inferiori. Il risultato è una persona sottomessa all’autorità, e ostile nei confronti delle minoranze etniche.

  3. Partendo da questi presupposti Adorno creò la Scala-F, per rilevare le tendenze fasciste o democratiche delle persone. Gli individui che ottenevano alti punteggi sulla Scala-F avevano avuto un educazione rigida e conservatrice e manifestavano pregiudizio nei confronti di vari gruppi. Al contrario, chi otteneva bassi punteggi aveva avuto un educazione equilibrata e non manifestava alcun tipo di pregiudizio.

  4. Limiti Quando si focalizza la causa del pregiudizio su fattori di personalità di dimenticano i fattori socioculturali che, invece, sono molto rilevanti (perché mostrano pregiudizio sia persone con alti punteggi sia persone con bassi punteggi di autoritarismo?). Le spiegazioni basate sulle differenze individuali non sono in grado di spiegare l’uniformità del pregiudizio (è possibile che un’intera popolazione abbia la stessa personalità?). Le spiegazioni basate sulle variabili di personalità non tengono conto della specificità storica del pregiudizio, ovvero non tengono conto dell’aumento del pregiudizio che si verifica in alcuni periodi storici (è possibile che di colpo tutte le famiglie abbiano cambiato il modo di educare i figli?)

  5. Hovland e Sears: la teoria del capro espiatorio. La teoria del capro espiatorio sostiene che in situazioni di frustrazione si sfoga la propria aggressività su persone più deboli. Essa trae origine dalla teoria della frustrazione-aggressività, secondo cui, l’aggressività di un individuo dipende dalla frustrazione: in seguito a frustrazioni aumenta l’aggressività. Tale aggressività, quando non può essere diretta verso la fonte della frustrazione, si dirige verso un bersaglio più debole (il capro espiatorio).

  6. Dissero ad un gruppo di ragazzi che soggiornava in un campo estivo che la sera sarebbero andati in paese. • Rilevarono, quindi, gli atteggiamenti del gruppo di ragazzi verso alcune minoranze etniche. • Successivamente dissero ai ragazzi che la gita in paese era stata annullata (evento frustrante). • Rilevarono nuovamente gli atteggiamenti nei confronti delle minoranze etniche. • I risultati mostrano che gli atteggiamenti dopo la frustrazione erano peggiorati. In un esperimento Miller e Bugelski (1948), dimostrarono tali ipotesi.

  7. Limiti Il primo limite riguarda i risultati delle ricerche: in alcune ricerche viene confermata la teoria della frustrazione-aggressività, in altre no. Inoltre, sembra che l’aggressività non dipenda tanto da livelli assoluti di frustrazione, quanto da livelli relativi (teoria della deprivazione relativa). Infine, secondo la teoria della frustrazione-aggressività il comportamento intergruppi è guidato dalle emozioni, piuttosto che da uno scopo.

  8. La teoria della deprivazione relativa Runciman (1966) e Gurr (1970) La teoria della deprivazione relativa sostiene che la soddisfazione di una persona o di un gruppo non dipendono dalla situazione oggettiva, ma dalla situazione relativa rispetto da altre persone o gruppi. La persona o il gruppo provano deprivazione relativa quando ottengono meno di quanto si aspettavano, non in assoluto, ma rispetto ad una altra persona o un altro gruppo.

  9. Comportamento interpersonale vs. comportamento di gruppo. Le spiegazioni del conflitto intergruppi basate su caratteristiche di personalità sostengono che il comportamento dell’individuo quando è da solo e quando è inserito in un gruppo è sostanzialmente uguale. Questa assunzione non è in grado di spiegare l’uniformità e la prevedibilità del comportamento degli individui quando sono in gruppo. A partire da questa evidenza, Tajfel (1978) ha distinto il comportamento interpersonale e il comportamento intergruppi.

  10. Il comportamento interpersonale si riferisce al comportamento dell’individuo in quanto individuo, che possiede caratteristiche uniche e che ha relazioni personali con altri individui. In questo caso, le categorie sociali di appartenenza non sono importanti. Il comportamento intergruppi, invece, fa riferimento all’individuo in quanto membro di gruppo e le categorie sociali a cui si appartiene rivestono un ruolo importante.

  11. Questi due tipi di comportamento costituiscono i poli di un continuum. • Al polo interpersonale ogni tipo di interazione è determinata dalle relazioni personali tra gli individui e dalle loro caratteristiche individuali. • Al polo intergruppi ogni comportamento reciproco di due o più individui è determinato dalla loro appartenenza a diversi gruppi o categorie. Ogni comportamento dell’individuo può essere posto in un punto qualunque del continuum interpersonale/intergruppi.

  12. La collocazione nel continuum dipende da tre fattori: • Precisione con cui si possono identificare le categorie sociali divisioni sociali evidenti comportamento intergruppi 2) Grado di variabilità o uniformità del comportamento o degli atteggiamenti all’interno di un gruppo salienza del gruppo comportamento degli individui più simile 3) Comportamenti e atteggiamenti di una persona nei confronti di un’altra sono una caratteristica idiosincratica o rivelano uniformità e prevedibilità incontri intergruppi percezioni e comportamenti preconcetti

  13. Gli interessi del gruppo come causa del pregiudizio • Quando gli scopi sono incompatibili, ovvero quando un gruppo per ottenere qualcosa deve farlo a scapito di un altro gruppo, si adotta un orientamento competitivo ed aumenta il pregiudizio e l’ostilità nei confronti dell’altro gruppo. • Quando gli scopi sono concordanti, ovvero quando i gruppi hanno bisogno l’uno dell’altro per raggiungerli, i due gruppi adottano un orientamento cooperativo e le relazioni tra i gruppi sono più armoniose. È possibile considerare il pregiudizio e la discriminazione intergruppi come risposte “normali” di persone “comuni” che si trovano in una situazione intergruppi. Nelle situazioni intergruppi, riveste molta importanza la natura degli scopi dei due gruppi. Il pregiudizio, quindi, potrebbe dipendere dalla presenza di scopi incompatibili.

  14. Quando gli interessi sono in conflitto, aumenteranno gli atteggiamenti negativi, il pregiudizio e la discriminazione. • Quando gli interessi dei gruppi sono comuni, il comportamento dei due gruppi sarà più amichevole e cooperativo, e diminuirà il pregiudizio. La teoria del conflitto realistico proposta da Sherif (1966) sostiene, appunto, che i conflitti tra i gruppi sorgano dalla competizione per le risorse. Gli atteggiamenti e il comportamento intergruppi riflettono gli interessi oggettivi del proprio gruppo nel confronto con gli altri gruppi.

  15. Gli studi di Sherif sui campi estivi Per verificare la sua teoria Sherif condusse tre esperimenti sul campo. I partecipanti alla ricerca erano tutti ragazzi bianchi, di 11 o 12 anni, di classe media, sani, ben adattati, provenienti da famiglie stabili, psicologicamente equilibrati. I ragazzi, inoltre, non si conoscevano prima di arrivare al campo. Gli studi di Sherif comprendono tre fasi: • formazione del gruppo • competizione intergruppi • riduzione del conflitto La fase di formazione del gruppo è preceduta dalla fase di scelta spontanea di amicizia interpersonale.

  16. Scelta spontanea di amicizia interpersonale Questa fase è presente solo nei primi due esperimenti, ed ha la funzione di eliminare l’attrazione interpersonale come fattore esplicativo, serve, cioè per diminuire la possibilità che i risultati della ricerca dipendano dagli effetti dell’attrazione interpersonale. Durante questa fase i ragazzi alloggiano insieme e sono liberi di interagire e lavorare con chi preferiscono. Una volta stabilizzate le relazioni, si procede ad una valutazione dell’attrazione interpersonale. I ragazzi vengono quindi divisi in due capanne separando i migliori amici Da questo momento in poi i ragazzi interagiscono solo con i membri del proprio gruppo. Nel terzo esperimento i ragazzi non si incontrano mai prima della formazione dei gruppi

  17. Formazione del gruppo Lo scopo principale di questa fase era assegnare un certo numero di compiti al gruppo (ad es., cucinare, campeggiare), che comprendevano un lavoro di squadra da parte dei ragazzi di ciascun gruppo, senza avere a che fare con l’altro gruppo. Nei primi due esperimenti, già in questa fase vi furono alcuni confronti spontanei tra i gruppi, in cui si favoriva il proprio gruppo. Il favoritismo per il proprio grupposi verificava prima dell’inizio della fase di conflitto. Nel terzo esperimento, invece, i ragazzi non erano a conoscenza della presenza dell’altro gruppo, ma appena seppero della sua presenza decisero spontaneamente di sfidarlo in una competizione sportiva. La semplice presenza dell’altro gruppo suscitava sentimenti competitivi.

  18. Competizione intergruppi In questa fase i due gruppi prendevano parte ad una serie di competizioni, in ognuna delle quali il gruppo vincente riceveva un premio, mentre il gruppo che perdeva non riceveva nulla. In questo modo si creava un oggettivo conflitto di interessi tra i due gruppi. I due gruppi si trovavano in una situazione di interdipendenza negativa: un gruppo guadagna ciò che l’altro gruppo perde

  19. In questa fase Sherif notò che: la presenza dell’outgroup aveva aumentato la coesione all’interno dei gruppi gli atteggiamenti nei confronti dell’outgroup erano diventati negativi, mentre quelli nei confronti dell’ingroup erano diventati più positivi il leader all’interno dei gruppi era cambiato, nel senso che diventavano leader ragazzi più aggressivi gli eventi erano sistematicamente percepiti in maniera da favorire l’ingroup

  20. Riduzione del conflitto L’obiettivo di questa fase era introdurre degli scopi sovraordinati per trasformare le relazioni ostili in relazioni cooperative. Uno scopo sovraordinato è uno scopo che ha un forte richiamo per ogni gruppo, ma che nessun gruppo può raggiungere senza la partecipazione dell’altro. Uno di questi scopi fu progettato in modo da far rompere l’autocarro che portava le provviste. Per avere le provviste bisognava trainare l’autocarro fino al campo. I ragazzi erano motivati ad avere le provviste poiché era quasi ora di pranzo, tuttavia l’autocarro era molto pensante e l’unico modo per farlo arrivare al campo era che i membri di entrambi i gruppi lo trainassero insieme. L’introduzione di vari obiettivi sovraordinati portò a rendere le relazioni tra i due gruppi più amichevoli.

  21. I risultati di questi esperimenti dimostrano l’insufficienza delle teorie che spiegano il conflitto tra gruppi in termini di fattori di personalità. Infatti, in questi esperimenti si vede come dei bambini normali modificarono sistematicamente il proprio comportamento adeguandosi alla relazione intergruppi. Inoltre, i cambiamenti avvenuti nei ragazzi erano stati troppo veloci per poter essere attribuiti a caratteristiche di personalità. Sherif concluse che discriminazione e il pregiudizio tra i gruppi dipendono dall’incompatibilità di obiettivi materiali.

  22. La semplice appartenenza al gruppo come causa di pregiudizio Alcuni studiosi hanno analizzato il favoritismo per il proprio gruppo (ingroup bias) nel contesto dei gruppi minimi. I gruppi minimi o gruppi minimali sono gruppi in cui la categorizzazione ingroup/outgroup viene effettuata in base ad un criterio debole. Inoltre, tra i due gruppi mancano le condizioni che di solito sono associate al conflitto intergruppi (ad es., competizione per uno stesso bene che solo uno dei due gruppi può ottenere).

  23. Rabbie e Horwitz (1969) ipotizzarono che la condizione essenziale di discriminazione intergruppi possa essere determinata dalla percezione di una interdipendenza nel destino dei membri del gruppo. Nel loro esperimento, alunni che non si conoscevano venivano casualmente assegnati a due gruppi (verdi o blu). I membri dei due gruppi portavano delle targhette identificative con il colore del proprio gruppo. I membri dei due gruppi sedevano ai due lati di un paravento (i verdi da una parte e i blu dall’altra), ogni partecipante, quindi, poteva interagire solo con i membri dell’ingroup.

  24. Nella fase successiva veniva tolto il paravento e ogni membro dei due gruppi leggeva ad alta voce alcune notizie biografiche. I membri di entrambi i gruppi valutavano il partecipante che stava parlando. Vennero create due condizioni sperimentali Nella condizione di controllo si passava direttamente alla fase successiva. Nella condizione sperimentale i partecipanti ricevevano (o no) delle radioline.

  25. I risultati mostrano che nella condizione di destino comune i partecipanti esibivano favoritismo per il proprio gruppo: le valutazione dei membri dell’ingroup erano più favorevoli delle valutazioni dei membri dell’outgroup. Nella condizione di controllo questo non si verificava. La conclusione fu che l’appartenenza ad un gruppo produce ingroup bias quando tale appartenenza coincide con un’esperienza comune di ricompensa o deprivazione (ricevere o meno la radiolina). La condivisione di un destino comune, da sola, può generare favoritismo per l’ingroup.

  26. L’esperimento di Tajfel et al. (1971) Tajfel e collaboratori minimizzarono ulteriormente le caratteristiche della situazione intergruppi. L’obiettivo era di definire le condizioni minime in cui un individuo effettua delle distinzioni tra il proprio gruppo di appartenenza e un altro gruppo. L’ipotesi era che la semplice appartenenza di gruppo (senza conflitto o destino comune) avrebbe prodotto favoritismo per l’ingroup, la sola categorizzazione ingroup/outgroup avrebbe prodotto discriminazio- ne

  27. Non doveva esserci alcuna interazione faccia a faccia tra i membri del proprio gruppo, del gruppo estraneo o tra i gruppi • L’appartenenza al gruppo doveva essere anonima • Non doveva esserci alcuna precedente ostilità tra i gruppi • Non doveva esserci alcun conflitto di interesse tra i gruppi • Non doveva esserci alcun legame utilitaristico o strumentale tra le risposte dei soggetti e i loro interessi personali • Non doveva esserci un destino comune tra i membri del gruppo Con lo scopo di eliminate dalla situazione sperimentale tutte le variabili che di norma producono favoritismo, furono adottati alcuni criteri nella strutturazione dell’esperimento.

  28. L’esperimento si svolgeva in due fasi: • Nella prima fase, i soggetti eseguivano un compito banale che consisteva nell’esprimere una preferenza per i dipinti di un pittore astratto (Klee o Kandinski). Si creavano, quindi, due gruppi: quelli che preferivano Klee e quelli che preferivano Kandinski. • Nella seconda fase, i partecipanti ricevevano un blocchetto contenente delle matrici di assegnazione di risorse. Tramite queste matrici assegnavano delle quote di denaro a membri dell’ingroup e dell’outgroup. Le persone a cui si assegnava il denaro erano anonime, nel senso che era indicato solo il gruppo di appartenenza e un numero. • In nessun caso i partecipanti avrebbero ricompensato se stessi.

  29. Esempi di matrice Ogni matrice veniva presentata due volte, invertendo le ricompense per i membri dei due gruppi. I partecipanti dovevano scegliere una colonna della matrice. Questa matrice era costruita in modo da rilevare la tendenza a massimizzare la differenza tra l’ingroup e l’outgroup.

  30. Risultati Nella matrice a i partecipanti di solito scelgono l’equità tra i due gruppi (13/13). Nella matrice b, invece, i partecipanti tendono ad assegnare più al proprio gruppo (11/12), rinunciando a somme di denaro superiori (25/19) pur di guadagnare più dell’altro gruppo.

  31. I risultati mostrarono una tendenza a favorire il proprio gruppo anche quando l’assegnazione al gruppo è fatta su una base insignificante. • La discriminazione rilevata in questo esperimento • non dipende da attrazione personale per i membri dell’ingroup • non dipende da precedenti ostilità tra i gruppi • non dipende dalla presenza di un conflitto di interessi tra i gruppi • non dipende dall’interesse personale • non dipende dalla presenza di un destino comune La discriminazione è determinata dalla categorizzazione Klee/Kandinski (sovrastimatori/sottostimatori, X/Y). Tajfel concluse che la semplice categorizzazione ingroup/outgroup è sufficiente a creare discriminazione

  32. Spiegazioni della discriminazione nei gruppi minimi: 1. Ruolo delle norme La consapevolezza dei membri di appartenere ad un gruppo genera associazioni con squadre, il che rende saliente un tipo di norma competitiva Questa competitività non si manifesta del tutto perché nelle varie culture è saliente anche un’altra norma, la norma dell’imparzialità Critiche a questa spiegazione

  33. Se si spiega il comportamento tramite le norme si dovrebbe essere in grado di prevedere in quali situazioni si adotta la norma competitiva e in quali si adotta la norma dell’imparzialità Le spiegazioni di tipo normativo sono troppo generali non consentono di prevedere variazioni sistematiche che si possono osservare all’interno di una cultura

  34. 2. La categorizzazione L’individuo ha bisogno di organizzare l’ambiente in cui vive e lo fa tramite il processo di categorizzazione. Gli elementi del mondo fisico e sociale, quindi, vengono divisi in categorie in base alle loro somiglianza. In questo modo l’individuo avrà a che fare con un numero limitato di categorie, invece che con innumerevoli casi singoli. Doise (1976)- Una conseguenza della categorizzazione è la differenziazione categoriale, processo tramite cui si massimizzano le differenze tra gli elementi che appartengono a gruppi diversi e si minimizzano le differenze tra gli elementi che appartengono allo stesso gruppo. Questo processo aiuta a discriminare i membri di una classe da chi non fa parte della stessa classe.

  35. Il contesto dei gruppi minimali è una situazione indefinita e per dargli chiarezza l’individuo si attacca all’unica informazione disponibile, ovvero l’appartenenza di gruppo. Una volta adottata la classificazione ingroup/outgroup entrerà in atto il processo di differenziazione categoriale. Nella situazione dei gruppi minimi l’unico modo per differenziare tra i due gruppi consiste nell’attribuire più denaro al proprio gruppo rispetto all’altro gruppo. Anche la spiegazione basata sulla categorizzazione non è sufficiente. Essa non spiega, infatti, per quale motivo quando si differenzia lo si fa sempre a favore del proprio gruppo e mai dell’altro.

  36. La teoria dell’identità sociale (Tajfel, 1978) Tajfel definisce l’identità sociale come “quella parte del concetto di sé di un individuo che deriva dalla consapevolezza di appartenere ad un gruppo (o gruppi) sociale unita al valore e al significato emotivo attribuito a tale appartenenza”. Dato che gli individui preferiscono avere un’immagine di sé positiva, piuttosto che negativa, e dato che una parte dell’immagine dell’individuo proviene dall’appartenenza di gruppo, ne deriva che gli individui preferiscono appartenere a gruppi valutati positivamente.

  37. Per giudicare il valore del proprio gruppo lo si confronta con altri gruppi L’esito di questi confronti è importante poiché influenza direttamente l’autostima delle persone. Per questo motivo si tende a distorcere il confronto, nel tentativo di creare una specificità o distintività positiva per il proprio gruppo, ovvero nel tentativo di differenziare positivamente il proprio gruppo dall’altro.

  38. Uno studio sul campo La teoria dell’identità sociale è applicabile anche a gruppi reali. Un esempio è costituito da una ricerca di Brown (1978) condotta in una fabbrica Ai partecipanti, operai di tre diversi reparti (Sala attrezzi, Sviluppo e Produzione), venivano mostrate alcune matrici di assegnazione delle risorse simili a quelle utilizzate da Tajfel Interessanti sono i risultati del reparto Sala attrezzi: Ai partecipanti era chiesto di scegliere la paga settimanale da assegnare al proprio gruppo (Sala attrezzi) e agli altri due gruppi

  39. Anche in questo caso i partecipanti dovevano scegliere una riga della matrice. I risultati indicano che la maggior parte dei partecipanti del reparto Sala attrezzi sceglie l’ultima riga della matrice (66.30/67.30). Ipartecipanti sono disposti a sacrificare una parte di guadagno pur di guadagnare più degli altri gruppi, ovvero, pur di creare una distintività positiva per il proprio gruppo.

  40. Il modello di Hinkle e Brown (1990) La teoria dell’identità sociale prevede che vi sia una relazione tra il livello di identificazione e il favoritismo per l’ingroup, nel senso che maggiore è l’identificazione più si dovrebbe discriminare a favore del proprio gruppo Tuttavia, in una rassegna di studi condotta da Hinkle e Brown si è visto che non sempre si trova questa relazione I due autori hanno, quindi, ipotizzato che le previsioni della teoria dell’identità sociale possano valere solo per alcune persone o gruppi Hinkle e Brown propongono di dividere le persone e i gruppi in quattro tipi derivati dall’incrocio di due dimensioni: Collettivismo/Individualismo e Orientamento Autonomo/Relazionale

  41. Individualismo/Collettivismo Il collettivismo può essere definito come un modello sociale che considera individui strettamente legati tra loro, individui che si vedono come parti di una o più collettività (la famiglia, i colleghi di lavoro, la nazione); essi sono motivati nel loro comportamento più dagli obiettivi del gruppo d’appartenenza, che dagli obiettivi personali e seguono le norme imposte dalla collettività L’individualismo può essere definito come quel modello sociale che prende in esame individui slegati tra loro, che si percepiscono come indipendenti da qualsiasi gruppo sociale, motivati nel loro comportamento più dalle loro preferenze, dai propri bisogni e diritti, che da quelli del gruppo; essi danno la priorità agli obiettivi personali e, prima di associarsi con altri, fanno un’analisi razionale dei costi e dei benefici derivanti da tale unione

  42. Orientamento Autonomo/Relazionale. Questa dimensione si riferisce alla tendenza a valutare l’ingroup confrontandolo o meno con altri gruppi L’orientamento è autonomo nel caso in cui un gruppo viene valutato senza essere confrontato con altri gruppi L’orientamento è relazionale, invece, nel caso in cui un gruppo viene valutato tramite il confronto con altri gruppi Secondo i due autori gli individui e i gruppi che mostreranno ingroupbias saranno quelli collettivistici con orientamento relazionale; lo stesso non dovrebbe valere per gli individui e i gruppi individualistici con orientamento autonomo.

  43. Questa ipotesi è stata confermata da Hinkle e Brown dividendo gli individui che avevano partecipato a tre esperimenti in base alla tassonomia proposta, e rilevando, per ognuno dei quattro gruppi, la correlazione tra identificazione e favoritismo per l’ingroup. Come appare dai risultati, per i membri classificati come collettivisti, con orientamento relazionale, si trova una correlazione elevata tra l’identificazione e la discriminazione.

  44. I gruppi di status inferiore In molti casi i gruppi che si confrontano non hanno lo stesso status. Per i membri dei gruppi di status inferiore il confronto con i gruppi di status superiore potrebbe portare ad un esito negativo, con conseguente calo dell’autostima. Le strategie per ripristinare la positività dell’identità sociale possono essere sia individuali sia collettive e dipendono tre fattori. • Permeabilità/Impermeabilità dei confini dei gruppi • Legittimità/Illegittimità delle relazioni di status • Stabilità/Instabilità delle relazioni di status

  45. Il continuum mobilità individuale/cambiamento sociale Quando i confini tra i gruppi sono percepiti permeabili (si può passare da un gruppo all’altro), l’individuo usa strategie di mobilità individuale per ripristinare la positività della propria identità sociale ed elevare la propria autostima. Tenterà, quindi, di passare nel gruppo di status superiore. Quando, invece, i confini tra i gruppi sono percepiti impermeabili (non è possibile passare da un gruppo all’altro), l’individuo usa strategie collettive per risolvere i problemi legati alla propria identità. Le strategie collettive possono produrre cambiamento sociale.

  46. Quando le relazioni di status sono legittime e stabili si può ripristinare la positività dell’identità sociale: • cambiando il gruppo di confronto, cioè confrontandosi con un gruppo di status inferiore; • modificando le dimensioni di confronto, cioè trovando dimensioni in cui il proprio gruppo è superiore all’altro. Il tipo di strategia collettiva adottata dai membri del gruppo di status inferiore dipende dalla stabilità e dalla legittimità delle relazioni di status. • Quando, invece, le relazioni di status sono percepite illegittime e instabili è possibile ripristinare un’identità sociale positiva: • chiedendo un confronto diretto con il gruppo dominante, con lo scopo di modificare lo status dei due gruppi.

  47. Secondo la teoria dell’identità sociale, i fenomeni di discriminazione più forti si avranno quando i confini intergruppi sono percepiti impermeabili e l’inferiorità dell’ingroup è percepita illegittima e/o instabile.

  48. Riduzione del conflitto • l’esito della cooperazione è positivo • i gruppi hanno ruoli distinguibili e complementari Ridisegnare i confini della categoria Come abbiamo visto la semplice categorizzazione ingroup/outgroup produce discriminazione. Un modo per ridurre la discriminazione consiste nel ridisegnare i confini delle categorie Questo si può fare in due modi: Scopi sovraordinati Una strategia per ridurre il conflitto consiste nell’introduzione di scopi sovraordinati. Tuttavia, questo porta alla riduzione del conflitto solo se: • creando un ingroup comune • incrociando le categorie

  49. Creazione di un ingroup comune Secondo Gaertner et al., (1993) per ridurre la discriminazione gli individui appartenenti a gruppi diversi devono percepirsi come membri di uno stesso gruppo. Bisogna passare, quindi, da una situazione in cui esiste un noi e un loro, ad una situazione in cui esiste un NOI più inclusivo.

  50. Un maschio/italiano condivide entrambe le categorizzazioni è quindi membro di un doppio ingroup. • una femmina/albanese è membro di un doppio outgroup, poiché differisce in entrambe le dimensioni. • una femmina/italiana e un maschio/albanese sono membri di un ingroup parziale, poiché condividono solo una dimensione. Categorizzazione incrociata La categorizzazione incrociata fa riferimento all’incrocio di una dimensione di categorizzazione (ad es., italiano-albanese) con una seconda (ad es., maschio-femmina), in modo da formare quattro gruppi (italiano/maschio, italiano/femmina, albanese/maschio, albanese/femmina). Es. Rispetto ad un maschio italiano:

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