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Non tanto quanto vale il lavoro, ma che cosa vale

Non tanto quanto vale il lavoro, ma che cosa vale. Quando lavoriamo non produciamo solo beni o servizi, ma produciamo noi stessi!!.

barrington
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Non tanto quanto vale il lavoro, ma che cosa vale

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Presentation Transcript


  1. Non tanto quanto vale il lavoro, ma che cosa vale

  2. Quando lavoriamo non produciamo solo beni o servizi, ma produciamo noi stessi!!

  3. La domanda che tutti noi ci poniamo è se il nuovo mondo del lavoro diventerà sempre più spietato, con pressioni e apprensioni implacabili che ci spoglieranno del senso di sicurezza e cancelleranno, nella nostra vita, il posto dei piaceri più semplici – o se, anche in questa nuova realtà, riusciremo a trovare vie che portino a un lavoro capace di entusiasmarci, appagarci e arricchirci. D. Goleman

  4. Un mondo dove non c’è più posto per l’individuo, per la gioia, per l’ozio attivo, è un mondo che deve sparire. A. Camus

  5. Contro la distrazione lavorativa Distrahere: separare, rompere, dividere, alienare. Con l’idea di ben essere tentiamo di combattere la distrazione. Cerchiamo di riunire il lavoro alla vita, alla sua bellezza, alla sua dignità, alla sua complessità.

  6. Nella sua determinazione a vedere solo ciò che entra in calcoli utilitari la mente economica è cieca: cieca rispetto alla ricchezza qualitativa del mondo percepibile; rispetto alla separatezza delle persone, al loro mondo interiore, alle loro speranze, alle loro passioni e ai loro timori; cieca rispetto a ciò che vuol dire vivere una vita umana e tentare di conferirle un significato umano. Martha Nussbaum

  7. La distrazione, la separatezza, la cecità portano all’entropia, all’appiattimento, all’immobilità, all’indifferenza

  8. Lavoro secondo il principio di prestazione-performanza L’essere umano che lavora è: • Homo oeconomicus • Espressione di una razionalità strumentale e utilitaristica • Espressione di Funzione – Ruolo

  9. Logica binaria Lavoro = produttività, interesse, efficacia, efficienza Non lavoro = altro dalla produttività, dall’efficacia, dall’efficienza Principio di separatezza, di frattura

  10. L’uomo che lavora è solamente un essere produttivo, alla ricerca dell’interesse monetario. Siriduce (viene ridotto) alla sua ragione performativa Dimensione “disumana” perché priva l’essere umano di confusione e di eccedenza

  11. Lavoro secondo il principio di esistenza L’essere umano che lavora è: • “Non solo prestazione” • “Anche prestazione” • “Un po’ prestazione e un po’ esistenza” Ulteriorità e eccedenza rispetto alla prestazione

  12. Per capire l’essere umano occorre saper pensare l’ulteriorità, la compresenza, l’incertezza dell’”anche”, del “non solo” Dimensione davvero “umana” perché dota l’essere umano del suo spessore

  13. Obiettivo del ben essere è ridare eccedenza al lavoro, ridargli circolarità, rimetterlo in gioco, riconnetterlo alla vita

  14. Occorre riportare non il lavoro nella vita, ma la vita, gli elementi propri di una buona vita, nel lavoro!

  15. E’ possibile affiancare all’homo oeconomicus un homo reciprocus? E’ possibile ridare un senso ai legami con il lavoro senza ingenuità o retorica, ma anche senza il cinismo che trasforma tutti in prestazioni, oggetti, merci? L’uomo moderno si libera dal legame con il lavoro sostituendolo con un contratto, in modo da essere meno vincolato. Fugge il ciclo dare - ricevere - ricambiare per paura di rimetterci, così sterilizza questo ciclo e lo trasforma in rapporti oggettivi, meccanici, calcolabili

  16. C’è spazio oltre l’utilitarismo? L’utilitarismo e la funzionalità sembrano la sola morale possibile tra uomo e lavoro. E’ adatta in tutti quei rapporti in cui si auspica che si resti estranei, stranieri l’uno all’altro. Ma l’estraneità totale cozza contro il bisogno umano di tessere legami.

  17. Senso al lavoro Non cercando più di collegare il lavoro ad un destino umano, il lavoratore confonde la propria esistenza con la propria funzione, considera la funzione come esistenza. Un lavoro abbandonato a se stesso genera lavoratori che riconoscono come loro unico valore quello di un lavoro svuotato, esistenzialmente deprivato. Occorre sforzarsi di riportarlo alla sua dimensione di luogo in cui e attraverso cui si dipana e prende forma l’esistenza.

  18. Speranza è capacità di vedere la realtà in tutta la sua complessità: non solo per qual è, ma anche per ciò che urge dietro ogni realtà. Speranza è capacità di vedere che oltre l’esistente vi sono altre potenziali realtà che attendono e che spingono per poter venire alla luce.

  19. Se uno non spera l’insperabile non lo troverà: senza speranza non c’è né ricerca né via. Eraclito, fr. 18

  20. La corrispondenza tra capacità e possibilità

  21. Esistere significa venire al mondo, entrare nel mondo, entrare in uno spazio che è lo spazio delle possibilità offerte alle nostre capacità.

  22. Il ben essere consiste nel potersi protendere sul mondo. E’ trovare nel mondo una possibile presa, è afferrare un buon numero di possibilità offerte dal mondo. Così facendo espandersi, svilupparsi.

  23. Il mal essere è viceversa un blocco di possibilità. E’ scarto tra capacità e possibilità. Il più delle volte determinato da una realtà deprivata di possibilità, inadatta a rispondere alle capacità dell’uomo.

  24. Il metodo delle capacità come misura del ben essere

  25. Le persone si ritengono soddisfatte o meno di ciò che fanno? Che cosa, quali risorse sono in grado di controllare? Come percepiscono la loro vita? Che cosa desiderano?

  26. Che cosa davvero la persona è in grado di fare, di pensare, di essere? Quali sono le sue relazioni con il lavoro che svolge e con gli altri? Che cosa riesce a immaginarsi e di che cosa riesce a godere? Come fa – può far uso dei suoi sensi? Come le condizioni di lavoro promuovono od ostacolano la sua realizzazione come essere umano?

  27. In questione non è solo la generica soddisfazione, ma che cosa effettivamente la persona può fare e che cosa fa.

  28. 1 Esistono alcune funzioni – capacità umane essenziali per la vita umana. • 2 Esistono condizioni - situazioni di impoverimento esistenziale tali rendere poco o non degna la vita dell’uomo.

  29. Impoverimento esistenziale Quando l’essere umano non è più capace di esercitare in maniera sufficiente le proprie facoltà – capacità fondamentali, limitandosi a sopravvivere, e non si manifesta nella sua molteplicità e per le sue potenzialità.

  30. La persona è lavorativamente nelle condizioni di agire e di vivere in modo pienamente umano, può cioè godere delle opportunità per disporre di tali funzioni-capacità?

  31. Il ben essere lavorativo promuove una concezione di lavoro tale per cui chi lavora ha: • Il diritto alla protezione delle sue molteplici capacità funzionali fondamentali. • Il diritto di essere messo nelle condizioni di poter esercitare sul lavoro e attraverso il lavoro le capacità funzionali comuni a tutti gli esseri umani.

  32. La vita buona, il ben essere esistenziale, l’eudaimonia.

  33. Il ben essere consiste in una condizione di vita, in una vita compiuta, una vita in cui le capacità proprie di ciascuna persona possano trovare espressione e maturazione.

  34. L’eudaimonia, il ben essere, la felicità esistenziale sono condizioni oggettive

  35. La realtà lavorativa migliore (eudaimonica) è quella nella quale ogni lavoratore è in condizione di ottenere il meglio da se stesso vivendo una vita professionale appagante, piena e realizzata.

  36. Eudaimonica è quell’organizzazione che crea le condizioni sociali, economiche, culturali, ambientali perché chi lavora sia messo in condizioni di attualizzarele sue capacità fondamentali.

  37. Capacità fondamentali e Capacità lavorative 11 motori del ben essere

  38. 1 Capacità di andare in cerca di forme di saggezza esistenziale • possibilità di comprendere il senso profondo di ciò che si fa; • possibilità di mettere il lavoro in relazione di senso con i diversi aspetti dell’esistenza personale.

  39. 2 Capacità di provare sentimenti di mutuo riconoscimento • possibilità di venire rispettati in quanto persone; • possibilità di evitare forme di mortificazione, estraneità, anonimato nelle relazioni interpersonali.

  40. 3 Capacità di bilanciare la serietà e la routine con l’ironia e con lo scostamento dal consueto • possibilità di innestare sul lavoro logiche di gioco che prevedano il divertimento, l’avventura, l’incertezza, l’umorismo.

  41. 4 Capacità di valutare, scegliere, seguire indirizzi di comportamento eticamente maturati • possibilità di interrogarsi, individualmente e collettivamente, circa valori, vision, mission, indirizzi etici personali e dell’organizzazione in cui si lavora.

  42. 5 Capacità di provare sentimenti di affiliazione • possibilità di vivere relazioni con colleghi e utenti rette non solamente da un’integrazione funzionale • poter adottare comportamenti guidati non solo da logiche strumentali, ma da logiche di fiducia, cortesia, dono, solidarietà.

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