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La Sardegna di G. Deledda. Thomas Auguste. Una Nobel nuorese. Dalle opere di esordio alla consecrazione . Grandi narratori del '900. Biografia di Grazia Deledda (Nuoro, 1871 - Roma, 1936)
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La Sardegna di G. Deledda Thomas Auguste
Grandi narratori del '900 Biografia di Grazia Deledda (Nuoro, 1871 - Roma, 1936) Frequenta solo le scuole elementari, ma il fatto d’esser nata in una famiglia benestante -suo padre, piccolo proprietario terriero con diploma di procuratore, si dilettava di poesia in dialetto, dando vita a dibattiti letterari - le consente il privilegio d’un istruttore che la indirizza verso lo studio dell’italiano e del francese. A causa della propria educazione irregolare e d’una giovanile propensione per la letteratura d’appendice - Sue, Dumas, Invernizio: quella insomma cui Gramsci riconoscerà una sua funzione positiva - avrà fra i critici non pochi detrattori(trovando invece, tra gli scrittori, il sostegno di Giovanni Verga e di Luigi Capuana). Debutta presto come narratrice con dei racconti, apparsi sulla rivista "L'ultima moda"; “Nell'azzurro”, edito da Trevisani nel 1890, può considerarsi la sua opera d'esordio. A 21 anni pubblica il suo primo romanzo, “Fior di Sardegna” (1892), seguito da “Anime oneste” del 1895. Nel 1900 diventa moglie di un funzionario ministeriale, Palmiro Madesani, e si trasferisce a Roma, dove soggiornerà per il resto della vita; nello stesso anno, sulla “Nuova Antologia”, compare uno dei suoi romanzi più apprezzati, “Elias Portolu”
(in volume nel 1903), storia dell’amore di un ex-detenuto per la cognata. E’ del 1904 “Cenere” (da cui sarà tratto un film, interpretato da Eleonora Duse), in cui viene affrontato il tema di un rapporto filiale. Nel 1913 esce il capolavoro “Canne al vento”, al centro del quale è la fragilità dell'individuo travolto da un destino cieco e crudele; dopo il potente “Marianna Sirca” (1915), è la volta de “La madre” (1920), ove a venirscandagliata impietosamente è la relazione fra un sacerdote e sua madre. Per il teatro, scrive “L'edera” (1912), in collaborazione con C. Antona Traversi, e “La grazia” (1921), in collaborazione con C. Guastalla e V. Michetti. Nel 1926 ottiene, seconda donna nella cronologia del premio, il Nobel per la letteratura: lo ritira - come riferisce Maria Giacobbe, sulla scorta della stampa svedese dell’epoca - senza l’ombra d’un sorriso. Il suo romanzo autobiografico, “Cosima”, esce nel 1937, un anno dopo la sua morte. Carattere chiuso, schivo, la Deledda è creatrice di un universo letterario che si colloca fra il verismo verghiano e il decadentismo di Gabriele D’Annunzio con tratti, comunque, assolutamente personali: se influenze si vogliono individuare, allora bisogna cercarle fra le pagine dei romanzieri russi dell’Ottocento, a cominciare da Lev Tolstoj. Nell’opera della Deledda, predominano i sentimenti primigeni dell'amore e del dolore; i suoi personaggi, irrequieti e sovente tormentati da conflitti interiori, sono sostenuti da una profonda convinzione religiosa e si muovono sullo sfondo dell’austero, arcaico paesaggio sardo. Francesco Troiano