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La lingua della politica in Italia. 8. La seconda Repubblica. Personalizzazione, leaderismo e mediatizzazione. Dalla prima alla seconda Repubblica. Il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica è stato segnato da novità storiche, politiche e comunicative.
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La lingua della politica in Italia 8. La seconda Repubblica.Personalizzazione, leaderismo e mediatizzazione.
Dalla prima alla seconda Repubblica • Il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica è stato segnato da novità storiche, politiche e comunicative. • Le inchieste di Tangentopoli (cominciate nel febbraio del 1992 con l’arresto del socialista Mario Chiesa) rappresentano solo uno dei fattori di cambiamento che hanno agito sul quadro politico italiano.
La seconda Repubblica: novità storiche e politiche • La caduta del Muro di Berlino, con la fine della politica dei due blocchi contrapposti, e le inchieste di Tangentopoli che hanno decapitato i vertici dei partiti storici, il sistema politico italiano subisce profonde trasformazioni. • La Democrazia Cristiana si sfalda in più formazioni (la più importante, il Partito Popolare Italiano, raccoglie solo il 10% dei voti: un calo del 20% rispetto a quelli presi dalla DC nel 1992); il Partito Comunista si trasforma in Partito Democratico della Sinistra (perdendo anch’esso molti voti); il Partito Socialista Italiano crolla dal 14,3% (1987) al 2,2% (1994); scompaiono i piccoli partiti “laici” come il Partito Liberale Italiano, quello Socialdemocratico e quello Repubblicano (che con DC e PSI formavano negli anni ’80 la coalizione del pentapartito).
La seconda Repubblica: novità storiche e politiche • Il passaggio cruciale è rappresentato dalla riforma elettorale che, tra il 1991 e il 1993, ha portato alla sostituzione del vecchio sistema proporzionale (che assicurava rappresentanza in parlamento in ragione della percentuale di voti ottenuta da ciascun partito) al sistema maggioritario “misto”. • Il nuovo meccanismo elettorale ha spinto i vari gruppi politici, altrimenti destinati a scomparire, a unirsi in coalizioni tenute insieme, più che da un accordo sui programmi, dalla necessità di raccogliere il maggior consenso possibile. Ne è una prova lampante il fatto che la coalizione di centrodestra si sia presentata alle elezioni del 1994 con due formazioni (e due sigle) diverse nel collegio elettorale del Nord (Polo delle libertà) e in quelli del Centro e del Sud (Polo del buongoverno).
La seconda Repubblica: novità storiche e politiche • Una delle conseguenze più evidenti del nuovo sistema elettorale è la concentrazione dei poteri nelle mani del leader della coalizione, sia a livello nazionale sia a livello locale (sindaci, presidenti di province e regioni). • Tramontato il vecchio sistema dei partiti e delle correnti, acquista maggior peso la parte della società civile più ricca di risorse, di rapporti trasversali e di contatti con il mondo dei media. • Parallelamente, si rafforza il fenomeno del lobbismo, ovvero della pressione esercitata da gruppi di potere estranei ai partiti (banche, gruppi editoriali, grandi gruppi industriali e così via).
La seconda Repubblica: novità storiche e politiche • Il leaderismo si combina con la personalizzazione della politica: si formano partiti-non partiti di stampo aziendale con un capo che gode di una delega in bianco. • Queste nuove formazioni politiche non si attengono alle dinamiche che regolavano la vita dei partiti tradizionali (congressi regolari, garanzie per le minoranze). • Inoltre, i meccanismi di carriera sono imprevedibili (spesso legati a rapporti personali con il leader di partito), le gerarchie improvvisate e i processi decisionali informali.
La seconda Repubblica: novità storiche e politiche • In Italia, il sistema maggioritario non ha condotto, com’è invece avvenuto in Inghilterra, a un vero bipolarismo, caratterizzato da un’attenuazione delle posizioni più radicali. • Nel nostro Paese si è mantenuta viva l’opposizione tra destra e sinistra, anche se si è avuta una ridistribuzione dell’elettorato su diadi (la definizione è di Norberto Bobbio), come federalismo/statalismo, che danno vita a schieramenti spesso trasversali. • Nell’ultimo ventennio si assiste soprattutto a una corsa verso il centro, ovvero al tentativo di riconquistare i voti dei cattolici moderati orfani della DC (si pensi alla recente costituzione del cosiddetto “terzo polo”). Non va comunque trascurata l’ingerenza della gerarchia ecclesiastica, ancora capace di orientare il voto di molti cattolici (si ricordi la dichiarazione del cardinale Ruini a favore della Casa delle Libertà alla vigilia delle elezioni del 2001).
La seconda Repubblica: novità storiche e politiche • Un parziale ritorno della politica si è avuto tra il 1996 e il 2000. • Già pochi mesi dopo il trionfo elettorale del 1994, il governo Berlusconi perde l’appoggio della Lega (è il cosiddetto ribaltone) e subentra un governo tecnico guidato da Lamberto Dini. • Il 1995 è l’anno del congresso di Fiuggi, della divisione del PPI e del progetto dalemiano di un governo di larghe convergenze. • Nel 1996 si tengono le elezioni e la vittoria va alla coalizione di centrosinistra (l’Ulivo) guidata da Romano Prodi. La politica di risanamento economico portata avanti da Prodi fa affiorare la nostalgia per i politici di professione. • Nel 1998 il governo Prodi cade (per il voto di sfiducia di Bertinotti) e l’incarico di formarne un nuovo viene affidato a D’Alema che, sopravvissuto alle critiche sulla missione in Kosovo, si dimette dopo la sconfitta delle sinistre alle elezioni amministrative del 2000 (particolarmente difficile da digerire è la perdita della città di Bologna, roccaforte della sinistra, che per la prima volta è amministrata da un sindaco di centrodestra: Guazzaloca). • Segue un governo tecnico guidato da Giuliano Amato che resta in carica fino alle elezioni del 2001.
La seconda Repubblica: novità storiche e politiche • La campagna per le elezioni politiche del 2001 ha segnato il trionfo della mediatizzazione e della spettacolarizzazione. • La trasformazione della propaganda in comunicazione politica era già avvenuta in America nel 1960 con lo storico faccia a faccia tra John F. Kennedy e Richard Nixon. • In Italia le tappe di questo passaggio sono state: • la fine del monopolio Rai (1970); • la diffusione, negli anni ’80, dei primi spot elettorali e dei talkshow, che si affermano a discapito delle tribune politiche e anche dei comizi di piazza; • la legge Mammì del 1990 che liberalizza l’uso della diretta televisiva. • Si comincia a intuire che la televisione premia il politico più efficace come comunicatore.
La seconda Repubblica: novità storiche e politiche • Per comprendere l’impatto della televisione sulla politica italiana a partire dagli anni ’80 bisogna tenere presenti due questioni fondamentali: l’evoluzione del pubblico televisivo e l’influsso della comunicazione televisiva sui comportamenti elettorali. • A questo proposito va rilevato il peso crescente di uno strumento come il sondaggio d’opinione, che permette d’interrogare “in tempo reale” una platea di milioni di telespettatori (ora anche con l’ausilio dell’interattività consentita dal digitale terrestre).
La seconda Repubblica: novità storiche e politiche • La nascita del secondo governo Berlusconi, in particolare, ottiene la sua legittimazione mediatica nel salotto televisivo di Porta a Porta con la firma del contratto televisivo con gli italiani e poi con l’intervento di Tremonti per mostrare il “buco” di bilancio ereditato dai governi di centrosinistra. • Già dal celebre discorso berlusconiano della “discesa in campo” il processo di mediatizzazione e personalizzazione della comunicazione politica appare ormai irreversibile.
La seconda Repubblica: novità comunicative • Delle novità comunicative che accompagnano il passaggio alla seconda Repubblica si possono dare due chiavi di lettura, tra loro strettamente connesse: • l’esaurimento della politica dei blocchi contrapposti e la fine delle ideologie hanno degradato il lessico della prima Repubblica a un complesso di etichette usate come bersagli vuoti (fascista, comunista) o riformulate nel quadro della dinamica vecchio/nuovo; • i vecchi partiti vengono identificati con il vecchio sistema corrotto e le simpatie degli elettori vanno a chi sa presentarsi come antipartitico o antipolitico, per provenienza o per stile comunicativo.
La seconda Repubblica: novità comunicative • I simboli negativi diventano la partitocrazia e il politichese. Nel giro di pochi anni viene meno la dimensione sacrale della politica, l’ideologia perde valore, il termine partito tende a scomparire e nascono formazioni e liste personali, cioè raccolte intorno al nome del loro leader. • Riprendendo una definizione di Claudio Giovanardi possiamo parlare di due tipi di comunicazione antipolitica: quella pre-politica, che rifiuta la dialettica parlamentare basata sul rispetto dell’avversario, e quella post-politica, capace di avvalersi dei nuovi media.
Personalizzazione e leaderismo • Con l’avvento del bipolarismo, i partiti di centro si sono trovati a dover scegliere da quale parte schierarsi; inoltre, le ali estreme della destra e della sinistra hanno fatto il loro ingresso nei due poli. • La prima conseguenza del bipolarismo è il leaderismo, derivato dalla necessità di contrapporre non più una miriade di piccoli partiti ma due personalità dotate di carisma e visibilità nazionale. I leaders vengono scelti a seguito o di dibattiti congressuali o di consultazioni come le primarie. • La scelta può però cadere anche su personalità che si sono imposte per particolari qualità (come è stato per il presidente manager Silvio Berlusconi e per il professore Romano Prodi che è stato assunto a simbolo del non-leader, o del leader senza partito). • Lo scontro tra due personalità emergenti non è una novità (pensiamo ai regimi totalitari o ai blocchi ideologici contrapposti all’epoca della guerra fredda) ma il nuovo sistema elettorale e l’uso dei moderni mezzi di comunicazione hanno enfatizzato la tendenza al verticismo.
Personalizzazione e leaderismo • L’immagine personale e lo stile comunicativo del leader sono studiati per renderlo riconoscibile e sono spesso imitati dai gregari; in casi estremi si arriva a un vero e proprio mimetismo dell’immagine e del linguaggio del leader (è uno dei fattori che contribuiscono alla creazione dei tormentoni linguistici). • La personalizzazione della politica, inoltre, fa passare in secondo piano l’appartenenza ideologica: vengono così valorizzati altri aspetti (aspetto fisico, simpatie sportive, hobby). Anche la vita privata diventa pubblica.
Personalizzazione e leaderismo • Tra gli effetti linguistici della personalizzazione spiccano l’uso del tu (preferito al lei) e, appunto, la creazione e la diffusione di tormentoni linguistici che possono anche irradiarsi dal leader ai gregari e anche agli avversari politici, fino ai comici (si producono così fenomeni di irradiazione deformata). • I tormentoni linguistici più noti sono il “mi consenta” di Berlusconi, i “diciamo” e i “francamente” di D’Alema, il “che ci azzecca” di Di Pietro e la formula “dire qualcosa di sinistra” che prende spunto da una battuta del film Aprile di Nanni Moretti).
Mediatizzazione, spettacolarizzazione e marketing politico • Con il termine mediatizzazione s’intende la tendenza della politica italiana ad avvalersi prevalentemente dei nuovi media ridimensionando l’uso dei canali di comunicazione tradizionali. • La televisione è certamente il medium egemone, anche perché garantisce la diffusione del messaggio politico a una platea vastissima di cittadini-elettori. • Contemporaneamente, tra gli anni ’80 e ’90, è cambiato anche l’impianto delle trasmissioni televisive: si è passati dalla tradizionale tribuna elettorale (caratterizzata da una rigida distribuzione dei tempi e dei turni di parola) ai talk-show sempre più inclini a dare spazio alla cosiddetta telerissa. • La telerissa è una sorta di lite in diretta in cui l’abilità dei partecipanti sta nella capacità di alzare i toni e di interrompere l’avversario, spesso con la complicità del conduttore (si è parlato di “morte del moderatore” e “nascita dell’interruttore”). Ne sono un esempio la trasmissione “L’Istruttoria” di Giuliano Ferrara e i programmi condotti da personaggi come Gianfranco Funari e Michele Santoro.
Mediatizzazione, spettacolarizzazione e marketing politico • La mediatizzazione ha accelerato un’altra trasformazione intervenuta negli ultimi anni nella comunicazione politica: la spettacolarizzazione. • Il dibattito politico ha assunto progressivamente le forme di un match che richiede studiate strategie non solo comunicative ma anche d’immagine. Questo perché l’attenzione dei telespettatori è catturata più che dalle parole dagli elementi della comunicazione non verbale, ovvero dagli aspetti pragmatici della comunicazione (prossemica, mimica facciale, gestualità o cinesica). • Sempre più spesso i politici si rivolgono a esperti della comunicazione e a veri e propri consulenti d’immagine. • Per consolidare la propria immagine e garantirsi il massimo grado di visibilità, inoltre, i politici compaiono anche in trasmissioni d’intrattenimento, in veste di cuochi, opinionisti sportivi, cantanti.
Mediatizzazione, spettacolarizzazione e marketing politico • Si è così imposto anche nel nostro Paese il marketing politico, che consiste nel trasferimento delle tecniche pubblicitarie alla comunicazione politica. • Già il PSI dei primi anni ’80 si era guadagnato le simpatie (e il voto) dei cittadini grazie agli spot elettorali; Marco Pannella ha proposto una spiccata teatralizzazione della propria immagine e del proprio lessico. • Sul piano linguistico, le formule e le riflessioni ideologiche cedono il passo a slogan, frasi a effetto, metafore colorite e battute polemiche (o addirittura umoristiche). • Al politico basta lanciare il messaggio, magari in un’intervista “rapida” perché s’inneschi un processo di rifrazione, riformulazione e deformazione sui vari media.
Mediatizzazione, spettacolarizzazione e marketing politico • L’adozione delle tecniche di marketing nella comunicazione politica ha spinto gli studiosi a parlare di promocrazia. • Anche gli strumenti tradizionali della propaganda elettorale, come slogan e manifesti, sono sempre più costruiti secondo le tecniche della pubblicità. • Sui muri delle città, a ridosso degli appuntamenti elettorali, campeggiano cartelloni giganti con slogan semplici, ritmati e facili da ricordare (soprattutto quelli di Forza Italia: meno tasse per tutti, per un nuovo miracolo italiano, un presidente operaio per cambiare l’Italia).
Comunicazione povera e nuovi media • Anche se la televisione è il canale privilegiato da tutti i partiti per trasmettere i propri messaggi, non va trascurato il peso di altre forme di comunicazione complementare: la comunicazione povera (o diretta) e i cosiddetti nuovi media. • Rientrano nella comunicazione povera i viaggi elettorali (ricordiamo il pullman di Prodi della campagna elettorale del ’95-’96), i volantini a basso costo, i gazebo nelle piazze; a livello locale si deve tener conto anche dell’apertura di comitati elettorali, delle telefonate o delle visite “porta a porta”, delle cene e dei cocktail elettorali di stile angloamericano. • Come si è visto, molte di queste tecniche erano state sperimentate dai movimenti giovanili, femminili e pacifisti del ’68 e del ’77 e, successivamente, da alcuni partiti (in particolare dai Verdi e dai Radicali di Marco Pannella).
La politica e i nuovi media • Internet ha rivoluzionato gran parte della comunicazione (si pensi al successo dei quotidiani on line) ma la politica ha avuto un approccio più timido al nuovo medium. • Se da un lato i siti dei partiti consentono l’ascolto “in viva voce” e l’accesso diretto ad archivi e documenti, dall’altro non permettono ancora una vera e propria interattività con la base elettorale (sono ancora pochi i politici bloggers). • La comunicazione politica in rete offre sicuramente dei vantaggi sul piano economico ma comporta anche dei rischi: divisioni generazionali e socio-economiche, riduzione dell’azione di mediazione e controllo esercitata dai giornalisti, convivenza di informazioni attendibili con altre non verificabili. Il rischio ultimo è rappresentato da potenziali derive demagogiche.
Comunicazione povera e nuovi media • Sul piano linguistico, la comunicazione povera e quella tecnologica dei nuovi media presentano alcuni elementi in comune: • ricerca della sintesi (lo slogan è tanto più efficace quanto più è breve, ritmato e memorizzabile); • uso combinato di canali diversi (orale, scritto, trasmesso) che si traduce in una commistione di codici; • importanza dell’elemento emotivo (ironia, aggressività e gioco linguistico).
Forme dell’oscurità e forme della semplicità • Nell’ultimo ventennio, con l’avvento dell’antipolitica, della mediatizzazione e della spettacolarizzazione dello scontro, il politichese della prima Repubblica sembra essere ormai tramontato. • Va detto però che un certo grado di oscurità è connaturato alla comunicazione politica, anche per l’abitudine dei politici a scambiarsi messaggi trasversali. • Si è avuta cioè una semplificazione del linguaggio politico in cui Giuseppe Antonelli ha riconosciuto il passaggio dal paradigma della superiorità al paradigma del rispecchiamento.
Dal politichese al gentese • La politica tradizionale amava ricorrere a una retorica di tipo umanistico-giuridico che faceva leva su un’aura di prestigio, di superiorità. • I nuovi politici, invece, preferiscono una comunicazione chiara e comprensibile, per fornire agli elettori un’immagine in cui possano riconoscersi. Il rispecchiamento non è solo linguistico ma coinvolge anche la sfera dei comportamenti. Si è così passati dal politichese al gentese. • La politica ci ha ormai abituati a gesti plateali, risse nei luoghi istituzionali, aggressioni personali, uso di metafore colorite e sarcasmo.
Forme della semplicità • Tra le forme della semplicità possiamo annoverare diverse modalità comunicative: • aggressività verbale • infantilismo • uso del dialetto.
1. L’aggressività verbale • È da tempo un ingrediente del linguaggio politico (si pensi alle picconate di Francesco Cossiga in veste di presidente della Repubblica) e con il passare del tempo ha legittimato anche l’uso di espressioni triviali, parolacce e insulti rivolti all’avversario. • Le avvisaglie di questo imbarbarimento linguistico erano state già segnalate da Luca Serianni nella seconda metà degli anni ’80 ma è innegabile che il processo abbia subìto un’impennata nella seconda Repubblica. • La propensione al turpiloquio vede decisamente in prima linea il leader leghista Umberto Bossi e Silvio Berlusconi ma non è estranea alle forze politiche di centrosinistra e non risparmia neppure le donne (si pensi alle parlamentari Alessandra Mussolini e Daniela Santanchè).
2. L’infantilismo • Si può definire così l’uso di tecniche di comunicazione “infantili” come l’egocentrismo, il vittimismo, la pretesa di avere sempre ragione. Si tratta di comportamenti che vengono attribuiti soprattutto a Silvio Berlusconi (di cui vengono ricordati anche il gesto delle corna in una foto ufficiale al termine di un vertice europeo, il “cucù” fatto ad Angela Merkel in un’occasione analoga e le foto edulcorate allegate all’opuscolo Una storia italiana distribuito in occasione della campagna elettorale del 2001). • Tuttavia, di là da questi eccessi, i modi infantili possono attivare, se gestiti con accortezza, meccanismi psicologici di adesione inconscia nel destinatario del messaggio. • Non si tratta neppure di tecniche del tutto nuove. Basti pensare al baby talk dell’ex presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan che si rivolse così all’omologo russo Mikhail Gorbaciov: «Lo tiriamo giù, sì o no, questo Muro di Berlino?». • Rientrano nella categoria della comunicazione infantile anche i girotondi, i cori e gli slogan esibiti nelle manifestazioni di piazza.
3. L’uso del dialetto • Il ricorso al dialetto nel linguaggio politico rientra senz’altro tra le forme della semplicità. • Se in altre nazioni viene ancora apprezzato un eloquio che non tradisca le origini vernacolari di un politico, in Italia l’inflessione dialettale non è mai stata sanzionata, al massimo ci si scherzava su (come con l’inflessione irpina di Ciriaco De Mita o con quella sarda di Francesco Cossiga). • Più che la cadenza ci interessano qui le singole macchie dialettali che vengono inserite in contesti verbali tutti italiani e che sono spesso indizio di un certo DNA linguistico. • È quello che si può dire, per esempio, per Umberto Bossi e in generale per gli esponenti della Lega Nord, un partito che nutre una simpatia “ideologica” per il dialetto (Umberto Bossi è per tutti il senatùr, capo del partito dei lumbard). • Anche il linguaggio di Antonio Di Pietro si segnala per l’originale commistione di italiano popolare, tecnicismi giuridici e colorite espressioni regionali o dialettali (presenti del resto nel suo eloquio già ai tempi in cui non era ancora entrato in politica).
Forme dell’oscurità • Il linguaggio politico conserva comunque una certa dose di oscurità; sono cambiati, però, gli elementi classificabili come forme dell’oscurità che sono essenzialmente due: • uso del lessico dell’economia e della finanza (e dei dati statistici) • ostentazione dell’anglicismo
1. Lessico dell’economia e della finanza • Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 una nuova classe politica, formatasi sul linguaggio dell’economia e della finanza ha sostituito quella precedente, formata perlopiù da umanisti e avvocati. • Perciò molte parole della finanza hanno acquistato un significato politico e sigle come Pil (Prodotto interno lordo) e Dpef (Documento di programmazione economica e finanziaria) sono diventate familiari agli italiani. • Il corollario di questo lessico è l’uso (e abuso) di cifre e percentuali. • È significativo che resista uno “zoccolo duro” di terminologia giuridica, sia per il gran numero di parlamentari di formazione giuridica, sia per il rilancio garantito ad alcune parole dalla stagione giudiziaria di Tangentopoli (garantismo, giustizialismo e simili). • Infine, permane nel lessico politico una quota di latinismi di lontana matrice giuridica come l’espressione par condicio (dalla formula par condicio creditorum).
2. Anglicismi • Molti anglicismi sono entrati nel linguaggio politico italiano non solo per l’aura di prestigio che li circonda (e che ne ha fatto la versione aggiornata del latinorum di manzoniana memoria) ma anche per effetto dell’adozione di pratiche politiche modellate sui sistemi maggioritari angloamericani. • Si spiega così la fortuna di parole come premier e premiership (che convivono con i calchi primo ministro e premierato), del termine bipartisan e dei calchi governatore (presidente di una Regione) o primarie. • Da inglesi e americani abbiamo copiato anche le convention, i vari labour-day, tax-day, election-day, l’introduzione degli exit-poll e la procedura di impeachment. Di origine scozzese è invece la devolution. • Dalla “corsa” presidenziale statunitense viene anche il termine ticket con cui si indica l’accoppiata di candidato presidente e vicepresidente che riequilibra le differenze tra settore moderato prevalente e settore più radicale del partito o della coalizione (così’ è stato in Italia per l’accoppiata Prodi-Veltroni nel 1996). • Alcuni anglicismi si sono invece imposti per l’alone di efficientismo che li circonda: il Ministero del welfare ha sostituito il Ministero del Lavoro.
Pratiche simboliche e rituali • Un’accorta gestione di pratiche simboliche e rituali è indispensabile per la conquista e il mantenimento del consenso. • Per questo da sempre tutti i grandi movimenti di massa fanno ricorso a scenografie e apparati simbolici imponenti. • Oggi, poi, la centralità del mezzo televisivo nella comunicazione politica richiede un’attenzione anche ai dettagli più minuti. • Ovviamente, l’attenzione a questi particolari è massima nelle campagne elettorali ma è alta anche in occasione di convegni e feste (bandiere, striscioni, riproduzioni del simbolo del partito, gadget).
Simboli • I manifesti elettorali hanno un ruolo fondamentale e fin dall’Ottocento sono costruiti con le stesse tecniche usate per i cartelloni pubblicitari. Tutto è attentamente studiato, dalla simbologia dei colori alla scelta del simbolo del partito che, in tempi di mediatizzazione e spettacolarizzazione, assume sempre più i caratteri di un logo (spesso ideato con il contributo di designer professionisti). • Alcune vicende storiche legate ai simboli hanno accompagnato trasformazioni tutt’altro che esteriori all’interno dei singoli partiti (si pensi alla sostituzione della falce e martello con il garofano nel logo del PSI, alla disputa tra gli ex democristiani per i diritti di proprietà dello scudo crociato, all’abbandono della fiamma tricolore nel simbolo di AN). • Nei paesi anglosassoni i partiti si dotano di simboli zoologici ironici e finalizzati al merchandising (come l’asino dei Democratici e l’elefante dei Repubblicani negli Stati Uniti). In Italia, il superamento del vecchio sistema dei partiti ha favorito scelte analoghe, anche se da noi sembrano avere maggior fortuna i simboli botanici (garofano, quercia, ulivo, margherita, rosa) che si caricano di valori metaforici.
Colonne sonore • Le musiche scelte per accompagnare meeting di partito e spot autogestiti sono sempre più lontane dai tradizionali inni di partito. • Il primo inno di Forza Italia, le cui parola furono proiettate sui maxischermi, mescolava abilmente melodie epico-avventurose di sapore cinematografico: il primo esempio di “karaoke politico”, come lo definì il giornalista Giampaolo Pansa sulle colonne del quotidiano «La Repubblica». • I jingle che accompagnano manifestazioni e video promozionali sono d’impronta pubblicitaria mentre per le kermesse di molti partiti, soprattutto in occasione delle campagne elettorali, vengono scelti brani di cantautori che non nascondono le proprie simpatie politiche (La canzone popolare di Ivano Fossati per la campagna elettorale dell’Ulivo nel 1996, Una vita da mediano di Ligabue per la convention di febbraio del 2004, sempre dell’Ulivo).
Dettagli • La mediatizzazione enfatizza i dettagli, dall’abbigliamento (con ostentazione di spille con il simbolo del partito) fino al trucco e allo studio di postura e gestualità. • Ricordiamo le polemiche del 2004 sul presunto lifting di Berlusconi e ancora prima sul presunto uso di un collant sulla telecamera in occasione del discorso berlusconiano della “discesa in campo”. Fece molto effetto anche la prima uscita pubblica di Umberto Bossi dopo la malattia. • Tutto ciò rientra nelle strategie di personalizzazione dei leader (si pensi al doppiopetto blu di Berlusconi o alla sua ormai celebre bandana o ancora alle cravatte e ai fazzoletti verdi dei leghisti, al cachemire e all’astuccio per gli occhiali di Bertinotti, al gesto di Bersani che si rimbocca le maniche della camicia). • La riproducibilità delle registrazioni televisive ha inoltre scolpito nella memoria dei telespettatori alcuni gesti come quello di Antonio Di Pietro che si sveste della toga.
Formule vecchie e nuove • Di pari passo con la fine delle contrapposizioni ideologiche entrano in crisi anche i gesti simbolici tradizionali (il pugno chiuso e il saluto romano) e le vecchie formule allocutive compagni e camerati sostituite dal più generico amici (o precedute da un cari/care che ne stempera la carica ideologica). • Analogamente, in tempi di omologazione dei programmi in direzione centrista, anche gli slogan tendono a scolorirsi fino ad apparire interscambiabili (come quello lanciato da Rifondazione Comunista per le elezioni amministrative del 2000: Insieme si può).
Rituali • Infine, sono manifestazioni simboliche anche i rituali, come quelli inscenati dalla Lega (dal giuramento di Pontida alle cerimonie sul Po) e i gesti plateali come il tintinnio delle manette e i cappi ostentati in Parlamento negli anni di Tangentopoli e il lancio di monetine contro Bettino Craxi all’uscita dell’Hotel Raphael o ancora, in anni più recenti, il banchetto a base di champagne e mortadella inscenato in parlamento da alcuni esponenti del centrodestra alla proclamazione della caduta del governo Prodi, il 24 gennaio del 2008.
I manifesti elettorali • I manifesti elettorali rappresentano un esempio della categoria scritto-scritto. • All’elemento iconico (generalmente una foto del candidato) si accompagnano uno slogan conciso ma pregnante dal punto di vista del significato (headline), il simbolo del partito e altri elementi (scritte o immagini e, sempre più spesso, l’indirizzo del sito internet del candidato o del partito). • La scelta e l’accostamento dei colori sono spesso l’unico residuo segnale di appartenenza ideologica (per esempio il rosso sui manifesti dei partiti di estrema sinistra). • I manifesti sono presenti negli spazi regolamentati (anche se con infrazioni continue) ma anche sui siti internet dei singoli partiti dove compaiono generalmente nella sezione “Materiali per la comunicazione” (materiali testuali più corposi trovano invece spazio nella sezione “Documenti”). • Che siamo in tempi di campagna elettorale permanente risulta evidente anche dal gran numero di manifesti affissi non solo in occasione delle consultazioni elettorali ma anche per sensibilizzare l’opinione pubblica su temi particolarmente importanti (referendum in testa) o per promuovere le iniziative del governo o delle amministrazioni locali. Non vanno dimenticati i manifesti di “contropubblicità”, ovvero di satira e polemica nei confronti degli avversari.