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L’Uomo in alcune grandi Religioni

L’Uomo in alcune grandi Religioni. Le Antropologie filosofiche nella Relazione con il Sacro, il Religioso e il Teologale. Dal “ Frammento divino ” alla “ Persona ”. Induismo , Buddhismo , Giudaismo , Cristianesimo e Islam . La Metodologia.

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L’Uomo in alcune grandi Religioni

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Presentation Transcript


  1. L’Uomo in alcune grandi Religioni Le Antropologie filosofiche nella Relazione con il Sacro, il Religioso e il Teologale. Dal “Frammento divino” alla “Persona”. Induismo, Buddhismo, Giudaismo , Cristianesimo e Islam

  2. La Metodologia • Il tema che qui si propone è vastissimo, e perciò stesso di difficile sintesi. Occorre pertanto limitare il quadro di riferimento ad alcune coordinate essenziali, chiarendone il senso e gli obiettivi. • Si tratta infatti di fornire ai partecipanti una carrellata di nozioni che consentano alcune riflessioni non superficiali sul grande tema dell’uomo in relazione con la dimensione religiosa. • Metodologicamente, prima di entrare in ognuno dei cinque grandi plessi teorico-religiosi e teologali, ho ritenuto di proporre una riflessione sintetica sul tema generalissimo della categoria del “sacro”.

  3. Le Antropologie e il “sacro” • L’uomo ha avuto da sempre “a che fare” con il sacro, il religioso e il teologale, cioè con le tre dimensioni che si possono dire di “oltrepassamento” della condizione umana, in ogni antropologia. • Ognuna di queste dimensioni, si può dire, è concettualmente “contenuta” nella successiva, proprio nell’ordine sopra proposto: il sacro come estensione che comprende il religioso, il religioso come estensione che comprende il teologale. • Ogni tempo e cultura si è affacciata in modi diversi al timore e tremore … del sacro.

  4. Del “sacro” • Innanzitutto, entrando nel merito, si tratta di chiarire brevemente l’etimologia e i campi semantici del termine “Sacro”, soprattutto delle aree linguistiche greco-latine e italiana. Lo ιερός [forte, potente, vigoroso, sacro] e il sacer; l’άγιος e il sanctum, il sacro e il santo [come sancito, separato, etc.], il sacro e l’esecrando, il sacro e il pro-fano, ciò che sta di fronte al fanum, al tempio, DasHeilige, etc.. • Il sacro è aggettivo e sostantivo nel contempo, è una amplissima polisemia. • Il senso comune della realtà prevede/contempla l’esperienza del sacro, che è, contrariamente all’opacità delle esperienze quotidiane, un’esperienza assoluta di realtà.

  5. Bibliografia essenziale sul “sacro” • All’interno della questione del Sacro, si propone una ipotesi di lettura della fenomenologia del Sacro, nel senso del “come il Sacro appare” e si configura, in particolare nelle riflessioni e ricerche di Rudolf Otto. • Ci riferiremo innanzitutto al volume di R. Otto Il sacro. L’irrazionale nell’idea del divino, e la sua relazione al razionale, [DasHeilige. Über das Irrazionale in der Idee des Gottlichen und sein Verhaltnis zum Razionalem, Breslau 1917, II ed. rivistadall’autorenel 1936], trad. it. di Ernesto Bonaiuti, ed. Zanichelli, Bologna 1926, Feltrinelli, Milano 1966 e 1984. • Per concentrare l’attenzione sulla fenomenologia, saranno presi in considerazione, in particolare i capp. I – VII e XX. • A latere sarà fornita una bibliografia completa su tutti i temi qui trattati.

  6. Il Sacro come Esperienza assoluta dell’Essere • R. Otto indaga l’essenza autonoma del fatto religioso sia sulla base dell’osservazione della coscienza religiosa individuale, sia circa l’imporsi oggettivo e irresistibile del suo manifestarsi come Esperienza assoluta dell’Essere. • Per lui il manifestarsi del sacro è un “ritorno alle cose stesse” nella loro datità originaria, secondo i principi fenomenologici espressi da Husserl, cui il nostro faceva in parte riferimento. • Per Otto la religione comincia con se stessa, cosicché bisogna indagare su ciò che ne costituisce l’intima essenza, cioè la Categoria del Sacro.

  7. La nozione di Separazione • Senza il Sacro, dunque, non vi sarebbe religione: sacro e religione, entrambi, infatti, hanno qualche attinenza semantica con la nozione di Separazione. Sacro come “recinto” che sta-di-fronte-al-tempio; religioso come un qualcosa che lega [Agostino] o che re-lega, separando. • Religione, inoltre, è termine ampiamente polisemico. [Cf. dimensioni ed elementi teologico-metafisico-razionali ivi presenti, ed elementi e dimensioni a-razionali, ineffabili, incomprensibili, altrettanto presenti, anche se non spesso contemporaneamente, sempre per rapporto alla coscienza individuale].

  8. Il MysteriumTremendumetFascinans • Ciò è chiamato da Otto Numinosum, il quale è extra-razionale ed extra-etico, e suscita un Sentimento creaturale, di dipendenza, un senso di debolezza di fronte ad una realtà indicibile e superiore: cf. Gn 18, 27 dove Abramo dice a JHWH: “[…] mi sono fatto forza di parlare con te, io, che sono terra e cenere”. • Il Numinosum per Otto è composto da suoi peculiari momenti e dimensioni, come vedremo. • Otto, comunque, completa la definizione così: il sacro è Mysteriumtremendumetfascinans.

  9. MysteriumTremendum… • Vi è innanzitutto un rapporto fra Mysterium e Tremendum: senza il Tremendum il Mysterium è solo Mirum, non ancora Admirandum, • Mysterium[cfr. etimologia dal verbo greco μύω, ειν,“nascondo, nascondere”, e del sanscrito muš, “nascosto, occulto, segreto”], perché genera meraviglia, stupore, incertezza, sbigottimento, … Cfr. Agostino, Confessiones, XI, 9, 1 “Quid est illud, quodinterlucetmihietpercutitcormeumsine lesione! Etinhorresco, etinardesco. Inhorresco in quantum dissimilis ei sum. Inardesco, in quantum similis ei sum”.

  10. … etMirum • spavento a causa di ciò che è Mirum, cioè completamente ALTRO [das Ganz anderes], ciò che stupisce, che desta meraviglia, che fa restare senza parole, che sconcerta, che è stupefacente. Ancora: è il greco θάτερον, l’hindu anyad, il latino alienum, o aliudvalde. È tipico della mistica e delle teologie “negative” o apofatiche nelle quali il numinoso non si può dire con un discorso descrittivo-concettuale (sufismo, mistica renana del XIV secolo, buddismo, etc.).

  11. … etTremendum • TREMENDUM, che fa tremare, (ma non è la paura naturale), che genera timore reverenziale, e può partire dal demoniaco, ma anche dalle potenze della natura (ad es. cratofanie litiche), o da un mix fantastico-letterario [il gorgo del Maelstrœm in E.A. Poe, le saghe mitologiche di H.P. Lovecraft, J.R.R. Tolkien, etc.], e infine portare ad un senso di estrema debolezza soggettiva di fronte al Sacro, che è tremendum, che si manifesta … Cfr. nel Diesirae, IX – XIII sec. vari e Tommaso da Celano, il “Rex tremendaemajestatis .

  12. La Maiestas • … come MAIESTAS, energia super-umana. Il TREMENDUM si trova nella Bibbia come ematJahwè, cioè “terrore di Dio”, nel δείμαπανικόν, “la paura del divino” e nell’ οργήΘεού, cioè l’”ira del dio” dei greci. Provoca la sensazione dell’annichilimento e della debolezza di fronte al mistero assoluto. Cfr. il nihil dei mistici cristiani medievali, il sūniam, cioè “il vuoto”, e il sūniata, cioè “la vacuità” dei mistici buddisti. Cfr. R. Otto, Il Sacro, cit., pp. 40 – 41: gli Inni del Numinoso.

  13. Il Fascinans • FASCINANS, affascinante, ma che attira spaventando, o spaventa attirando, intrecciandosi con il tremendum, e può portare anche all’estasi/beatitudine [sia nelle concezioni mistico-religiose occidentali sia in quelle orientali]. Un altro aspetto riferito alla dimensione del fascinans è la sua funzione apotropaica [αποτρέπειν], cioè dell’ammansimento del divino. Cfr. Ibidem, pp. 46 – 47: Inno di Bernard di Cluny, Dante, Canto XXXIII Paradiso, Divina Commedia, G. Leopardi, I canti, idillio “L’infinito”, 1819, etc..

  14. Il Portentosume il Sanctum • Vi è infine, ilPORTENTOSUM, cioè ciò che èsuperiore per potenza inimmaginabile. • Otto introduce poi anche la categoria del SANCTUM, che si oppone al contaminato, e concerne essenzialmente il divino cristiano. • Le espressioni di questo SACRO-SANTO sono: il culto, la preghiera comunitaria, la celebrazione del rito, ma anche il terrificante, il sublime, il misterioso, le espressioni artistiche, specialmente musicali, etc..

  15. La categoria del “sacro” • Per Otto l’esperienza del sacro si manifesta alla coscienza, anch’esso termine plurivoco e polisemico, cui vanno attribuiti vari significati: a) quello comune come consapevolezza di sé, autocoscienza, etc., b) quello filosofico ed etico come un conoscersi e un giudicarsi, e più estesamente come “centro etico” della persona. • Ma nell’autore tedesco la nozione resta non chiarita fino in fondo, poiché egli propone una specie di “schema del religioso” che inquadra l’incontro fra ragione e irrazionalità, senza approfondire molto oltre. • A Otto va riconosciuto, comunque, il grande merito di avere approfondito la complessità e l’interdisciplinarietà della categoria del Sacro.

  16. Sacro, Religioso, Teologale • … se abbiamo lavorato insieme sul concetto di “sacro”, prima di procedere oltre, occorre definire in estrema sintesi termini di … - “religioso”, inteso come appartenente a un sistema storicamente dato di dottrina religiosa e, • “teologale”, come concetto di riferimento a una fede individuale in una credenza religiosa. • Si può dire dunque che i tre termini, senz’altro contigui, non possono in alcun modo essere utilizzati come sinonimi.

  17. Perché l’antropologia filosofica? • È solitamente ascritto a Kant l’inizio dell’uso di questo sintagma per parlare dell’uomo in termini sistematici [cfr. Anthtropologie in pragmatischerHinsicht, 1798], anche se il termine fu utilizzato anche prima: da O. Casmann, “Psychologiaanthropologica”, 1596; dall’enciclopedista G. Durand, “Encyclopediauniversalis”, alla voce “Anthropologia”, suddivise i temi in biologica e mentale, sec. XVIII; da C. Wolff, “Psychologia empirica”, 1734. • Dal secolo XIX l’antropologia è diventato termine polisemico, poiché è utilizzato anche nei sintagmi “etnico-culturale” e “fisica”.

  18. Una comparazione fra antropologie • Dopo la carrellata rapida sulla categoria del “sacro”, ed esserci dati ragione di un’antropologia filosofica, proviamo a considerare la possibilità di studiare in sequenza, sia pure in estrema sintesi, operando anche delle comparazioni, le principali antropologie religiose. • Necessariamente dobbiamo fare una scelta, non potendo trattare tutte le prospettive religiose presenti nel mondo: esamineremo dunque la prospettiva induista, quella buddhista, la prospettiva cristiana, la prospettiva giudaica e quella musulmana.

  19. L’Induismo • La domanda che ci si può fare è la seguente: si dà un’antropologia induista? Domanda retorica, perché ogni corrente di pensiero ha un pensiero sull’uomo, ma noi occidentali siamo condizionati esplicitamente e implicitamente dalla nostra concezione della persona umana, così come l’abbiamo ereditata dalla grande tradizione filosofica greco-latina e dal retaggio biblico-evangelico. • Anche nella tradizione induista, dunque, si può individuare un’antropologia sulla “struttura dell’umano”, caratterizzata da aspetti per noi certamente sorprendenti e inusuali.

  20. Esiste il “soggetto uomo”? • Infatti, noi che siamo abituati a concepire noi stessi e ogni uomo come soggetto, nell’induismo troviamo tutt’altro: • Per l’induismo l’uomo è “tattvamasi, cioè “io sono quello”, sono parte del tutto, indifferenziato, … e quindi non corrisponde all’idea greco-latina e anche biblica di una soggettivitàirriducibile, che dice unicità e personalità individua …: ad exemplum citiamo la classica dizione di Severino Boezio [VI sec.]: “Persona est rationalisnaturae individua substantia”. • Nulla di tutto ciò nell’induismo!

  21. L’ātman • L’uomo è dunque essenzialmente ātman, semplice soffio vitale del brahman, l’assoluto trascendente totale che è “ignoto per coloro che lo conoscono e noto per quelli che non lo conoscono” [kenaupanişad, 2,3] in una forma teologica che potremmo dire apofatica. • Questo brahman non si adora, né si implora: si prende semplicemente atto che esiste, ed informa di sé ogni creatura con il suo soffio divino. • Il brahman è l’unico esistente, mentre tutto il resto è “māyā”, cioè magia, gioco, illusione.

  22. Il brahman • L’uomo deve dunque accorgersi di essere solo parte di questo brahman, cioè di “essere parte di quello”, e allora non ha molta importanza tutto il resto: la condizione umana, le caste, noi diremmo … le classi, le categorie sociali, la ricchezza, la povertà. • L’uomo è come una goccia d’acqua che si fonde nell’oceano … • … e deve dire “io sono Brahman[ahamBrahmasmi]. Aham, cioè “io”, consta di due lettere importanti dell’alfabeto sanscrito; la prima lettera, la “a”, l’ultima, la “ha”, mentre la nasalizzazione finale “mmm” percorre tutte le lettere nel mezzo. Nell’io c’è dunque tutto l’alfabeto, e cioè tutto l’umanamente conoscibile e dicibile. • Si tratta del suono primordiale!

  23. Il karman e ilsámsāra • Dal periodo delle Upanişad [1300-200 a. C. circa] emerge un altro elemento fondamentale, la legge del karmaņ, cioè la legge morale a base “retributiva”: ogni essere umano che agisce [dall’etimo sanscrito kŗ, agire, fare] provoca un debito, che può essere positivo o negativo: in qualche modo questo debito deve essere pagato attraverso il karmaņ, una sorta di peso che incombe sull’intelletto agente [direbbe un aristotelico], o sull’anima umana … • … alla morte dell’essere umano resta … il debito “registrato” dal karmaņ, che deve essere onorato nel prosieguo, in una vita o in più vite ulteriori, costituenti il sámsāra, cioè il ciclo delle reincarnazioni, vite caratterizzate da duhkha, il dolore. • La dottrina religiosa delleUpanişadpiù antiche suggerisce allora di agire senza agire, ovvero di agire con distacco, potremmo dire, usando un paradigma teologico agostiniano “ageresineconcupiscentia”, tema ricorrente e trasversale, come vedremo anche nel buddhismo!

  24. Il dharma • … ma per raggiungere la liberazione [mokşa], la sapienza induista suggerisce di seguire il dharma, cioè la legge morale, la religione della verità. • Il dharmaè l’ordine, cioè il giusto rapporto con Dio e con la società: il dharma non è altro che l’imperativo morale assoluto, che non dipende da alcuno, ma che sta lì come una legge universale [sanātanadharma], legge eterna che non recede e non passa mai, dando la regola a tutte le cose, e agli uomini, secondo la propria natura. • Accanto al dharmaeterno e assoluto esiste però anche un dharmarelativo, personale e “castale” [Brāhman, Kşatryia, Vaiśya, Sūdra, intoccabili] che tiene conto di una differenza soggettiva e gruppale tra gli esseri umani.

  25. Le differenze con le antropologie religiose mediterranee • … ecco che qui cogliamo in pieno la differenza fondamentale tra la tradizione antropologica induista e quella “mediterranea” [cioè greco-latina e biblica], che pone la nozione di persona come struttura univoca e portatrice di pari dignità, distinguendo dalla nozione di struttura di personalità [fondamenti irriducibili della differenza soggettiva] come vedremo più avanti. • … che poi storicamente le differenze di casta, classe, categorie sociali siano stati presenti, e lo siano ancora anche in Occidente, questo è un altro tema, di grande complessità.

  26. L’Induismo e il resto … • Questa grande cultura religiosa, pur se caratterizzata da specificità e chiusure notevoli, negli ultimi due secoli ha dialogato con grande fervore profondità con il resto … con il cristianesimo in particolare, e soprattutto con due figure grandi: • Ramakŗşņa Paramahamsa[1836-1886], che affermò un massimo di comprensione e di “ecumenismo” interreligioso, e il • Mahātman Gandhi [1869-1948], che elaborò e praticò i tre grandi princípi: a) dell’aderenzaalla verità, b) della non-violenza, c) dell’universale elevazione di tutti.

  27. Il Buddhismo • Il Buddhismo si distacca dalla tradizione induista verso il VII-VI secolo a. C., e si diffonde nelle “terre del riso, del drago e del serpente”. Non attecchisce, invece, nelle “terre del frumento”. • Si adatta alle più varie culture, declinandosi in diversi modi: il Theravāda[detto anche Hînayāna], o “degli anziani” [Sri Lanka e Indocina], il Mahāyāna, o del “grande veicolo” [Giappone, Cina, Laos e Vietnam], e il Tantrismo [Tibet e Mongolia]. • Ne fu il fondatore, come è noto, il nobile principe Siddharta,detto anche Gautama, oSākyamuni, oTathāgata, e infine il Buddha, cioè l’Illuminato, che visse tra il 560 e il 480 a. C..

  28. Il Dharma • Il Dharma è la via mediana [il Tathāgata, uno dei nomi del Buddha, come di ”colui che ha trovato la Verità”] insegnata dal Buddha stesso: dottrina improntata a una filosofia religiosa di stampo laico. • Il Buddha è consapevole dei limiti umani e pone come prospettiva una via che rifugga dalle posizioni estreme, a) di una ricerca spasmodica del piacere e del successo e, al contrario, b) di un’ascesi insopportabile … e sembrano quasi qui risuonare le esortazioni aristoteliche, ma anche epicuree e stoiche, e più tardi cristiane, alla moderazione e al governo delle passioni …

  29. Il dolore • Tutto è dolore, afferma il Buddha, e pertanto bisogna scoprire la fonte del dolore, che nell’uomo è rappresentata dal desiderio. • L’uomo è dunque formato dagli elementi dell’attaccamento all’esistenza [i khanda o skanda]: • rūpa, cioè la corporeità, costituita dagli elementi della materia minerale e biologica; • vedanā, cioè le sensazioni, vale a dire quanto percepiscono i cinque sensi esterni e l’intelletto; • saňňā, la consapevolezza che nasce dalle sensazioni;

  30. La finitudine - samskāra, cioè le forze interiori, la volontà individuale, le reazioni emotive, …; - vijňāna, le conoscenze delle cose e del mondo. Tutto ciò, per il buddhismo è destinato a finire, e perciò l’uomo deve avere la consapevolezza delle finitudine, del limite, dell’inconsistenza, dell’impermanenza, e infine … della futilità e irrazionalità di ogni superba e vanitosa ambizione di possesso, e di potere fine a se stesso.

  31. Le cause del dolore • Le cause del dolore sono la sete di tutte le cose: piacere [kāma], di esistere [bhava], di non-essere [vibhava]. Stupisce forse la “terza sete”, ma non più di tanto, perché vi può essere anche la brama superba dello scomparire, non accettando la condizione umana. In altre parole il buddhismo insegna l’accettazione dell’esistenza, contro ogni superbia individuale, epperò il dominio delle passioni. • Per il Buddha lo stesso ātman, l’io empirico che tendiamo tanto ad esaltare, non-esiste, è an-attā.

  32. La “persona” • La nozione di “persona” per il buddhismo, dunque, anche se declinata come ātman, è soltanto una parola che dice -sulle prime- inconsistenza ontologica, perché esiste soltanto il dolore che nasce dalla “sete”. • Possiamo notare, intanto, un sostanziale rovesciamento della nozione “mediterranea” di persona, la cui consistenza ontologica, da Platone-Aristotele e dagli antichi Padri della chiesa, è fuori discussione. Ecco però il passaggio successivo, decisivo … • … il buddhismonon nega la persona sotto il profilo metafisico-ontologico, perché si pone su un piano diverso, facendo un’affermazione semplicemente spirituale!

  33. L’impermanenza … • … la persona umana esiste, eccome!, ma è impermanente, limitata, alla fine inconsistente. Certamente anche nella cultura occidentale troviamo analogie, soprattutto in certe scuole filosofiche, come nella tradizione scettica o cinica, e anche in alcuni autori moderni e contemporanei di sensibilità empirista, presente soprattutto nell’area Anglosassone. • Se la “persona” è impermanente, non lo è comunque il suo karma, nozione induista presente anche nel buddhismo. Il karma persiste e opera nella onnipotenzache ogni atto esprime. Si può dire che per il buddhismo l’atto prevale sul soggetto, al contrario di quanto presente stabilmente da millenni nella nostra forma mentis di occidentali.

  34. Il karma • Ogni volizione che determina un atto umano libero lascia nel mondo, potremmo dire nell’esseredelle cose, una traccia indelebile [con il linguaggio teologico della tradizione cristiana si direbbe: sub specie aeternitatisoppure in mente Dei]. • Il karma, dunque, condiziona la catena causale, anche se segreta [da cui forse deriva la nostra esigenza argomentativa di introdurre il concetto di “caso”]; questa catena causale è in parte personale, determinata da atti liberi, e in molta parte impersonale, perché agiti da atti liberi o determinati dalla natura, che restano sconosciuti all’osservatore.

  35. La causa e l’effetto • La causa del dolore è alla fine un “circolo vizioso”, un circolo prodotto da una catena di cause/effetti, dove però non avviene quello che noi occidentali pensiamo, almeno da prima di Hume, l’hocpropter hoc: secondo il buddhismo causa ed effetto fanno parte di un unico atto dell’accadere delle cose, per cui se l’effetto rinvia alla causa, la causa stessa sarà stata effetto di una causa precedente, e così via … • … arduo, e non poco per noi questo modo di procedere della filosofia religiosa del buddhismo, per il quale tutto il cosmo e le vite di tutti sono concatenati in una infinita relazione che agisce nel tempo e nello spazio [R. Panikkar, Il silenzio di Dio. La risposta del Buddha, Borla, Roma 1985, pp. 48-60].

  36. Il nirvāņa • Vi è però una soluzione al dolore: il karma non può condizionare indefinitamente … l’uomo può liberarsene … cercando di raggiungere uno stato di imperturbabilità, una specie di atarassía, direbbe un filosofo stoico occidentale … • Questo stato è detto nirvāņa, e può essere conseguito anche durante la vita terrena. Significa letteralmente “spegnimento delle passioni, superamento dell’ansia e dell’angoscia, raggiungimento di uno stato indicibile” [Suttanipāta]. • L’uomo, quando raggiunge ilnirvāņa, raggiunge la realtà vera, nel superamento dell’io individuale.

  37. Lo specchio del “reale” • Negli Udāna, 8, 1, 3, vi è un testo che riportiamo: “[…] vi è, o monaci, il non-nato, il non-fatto, il non-composto. Monaci, se questo non-nato, non-divenuto, non-fatto, non-composto non fossero, non si conoscerebbe modo di sfuggire a questo nato, divenuto, fatto, composto. Perciò, o monaci -dato che vi è un non-nato[…]- si conosce rifugio da questo nato, divenuto, fatto, composto”. • Che dire di queste misteriose parole? • E allora, vediamo come il Buddhismo guida i suoi fedeli …

  38. L’ottuplice sentiero • Vi è un ottuplice sentiero per chi vuole progredire verso la saggezza: 1. la retta fede o visione, che è un rendersi-conto; 2. il retto proposito di entrare nel distacco dai beni materiali; 3. la retta parola nell’evitare la menzogna perseguendo la verità; 4. la retta azione, evitando di fare danno alle altre creature; 5. il retto sistema di vita, evitando l’inganno agli altri; 6. il retto sforzo, teso come ascesi spirituale del pensiero; 7. la retta attenzione, che è la meditazione; 8. la retta concentrazione per il distacco dalle meschinità, dalla superbia del proprio “io”, dalla ricerca del piacere … e dei vantaggi individuali.

  39. Il Giudaismo • La domanda che ci si deve immediatamente fare è questa: il Giudaismo, radice e tronco da cui è sorto il Cristianesimo e successivamente, anche se in parte l’Islam, è una religione o una cultura etnica, o addirittura un popolo? • Si può dire che è l’una e l’altro, in una commistione unica e sorprendente! • Nel Giudaismo il Popolo è legato a Dio da un’Alleanza, e quindi il popolo è un “soggetto sacer-dotale”.

  40. La Storia e la Legge • Per il Giudaismo il futuro è carico di tutto il passato e del presente, perché l’umanità sta dentro una storia lineare e progressiva (quanta differenza con le grandi religioni orientali!) … e il popolo ebraico è primariamente all’interno di un’Alleanza con il Dio-Signore [Jahwe], fin dai tempi di Noè e poi dell’Esodo, quando Mosè ricevette da Dio stesso le Tavole della Legge. • Vi è dunque una Legge da osservare, così come è sintetizzata nei 10 Comandamenti e nel Libro, la Torah o Pentateuco, e poi la Bibbia.

  41. I vari giudaismi e la fede storica • La tradizione ebraica si esprime in varie “declinazioni”, che vanno dall’ortodossia più estrema, a posizioni più liberali e progressiste. • Se andiamo a bene vedere, lo stesso Israele odierno è l’unica nazione e paese del Vicino oriente governato democraticamente , con una presenza laburista molto forte e l’esperienza dei Kibbutzim, indubbiamente di tipo socialista partecipativo e umanitario. • E speriamo che la “Primavera araba” si inserisca, anche se con le difficoltà a tutti note, in un contesto di dialogo evolutivo con Israele,e venga meno la nefasta dizione di “entità sionista”.

  42. La centralità di Dio • Dio il Signore è al centro della tradizione giudaica. Il tetragramma JHWH accompagna questo popolo da tremila anni, un Dio che non si può nemmeno nominare, lasciando alla filosofia e alla teologia dogmatica il compito di “studiarLo” … nella sua unicità e centralità. • Dio cerca la compagnia e l’amicizia dell’uomo, in ciò marcando una enorme differenza con l’Islam e una vicinanza notevole con il Cristianesimo, che pone come dogma centrale la mediazione dell’umano-divino in Gesù Cristo. • Dio fa il più grande regalo all’uomo con la Torah, il libro che è parola di Dio.

  43. L’uomo • Ilgiudaismo concepisce l’uomo in modo fondamentalmente positivo: lo stesso peccato originale ha causato solo la sua limitatezza e mortalità, non gli ha tolto la capacità di discernere il bene e il male. • L’uomo è dunque creatura di Dio, fatto a immagine e … somiglianza [Genesi 1, 27]. • Il giudaismo, a differenza del cristianesimo, non ha subito influenze significative dalla filosofia greca, per cui l’uomo è concepito in modo fortemente “unitario”, laddove corpo, anima e spirito sono solo tre “nomi” diversi per dire “persona”.

  44. La Tradizione • I due maggiori gruppi religiosi del giudaismo dei tempi di Gesù erano i Farisei, molto presenti tra il popolo, osservanti ligi della Legge di Dio: costoro credono nella resurrezione dei morti e nell’immortalità dell’anima, e i Sadducei , più legati alle classi superiori, che invece la escludono. • Nel corso dei secoli la Tradizione giudaica, soprattutto dopo la diaspora, dopo il 70 e il 135 d. C., si è espressa in grandi testi, come il Talmud, cioè la “Via da seguire” e i suoi commenti, declinati nella Mishnah, cioè l’insegnamentoda ripetere sempre. • Dal XII/XIII sec. d. C. si sviluppò anche la Kabbala, tradizione esegetica di tipo esoterico e aritmologico .

  45. La preghiera e il Sabato • La preghiera è un momento fondamentale della religione giudaica: essa è quotidiana, settimanale con il grande giorno del Sabato, e annuale, nelle festività che la Bibbia stessa comanda. • La preghiera è innanzitutto “memoriale dell’Esodo”, e poi invocazione a Dio, lode, istanza dell’uomo che, fidente, si rivolge al Signore Altissimo. • Il Sabato è una vera imitazione del “riposo di Dio” nel settimo giorno della creazione, mentre le feste annuali sono legate, come in altre culture, al ciclo delle stagioni.

  46. Il Cristianesimo • Si tratta del credo religioso più diffuso al mondo, presente in tutti i continenti, ma specialmente a partire dal plesso Mediterraneo e settentrionale del pianeta, dove paradossalmente da qualche decennio, o secolo, è entrato in una grave crisi. Un grande sviluppo, invece si registra in Asia e nel sud del mondo, sia nella confessione cattolica, ma forse ancora di più in quelle riformate. • Come si sa, l’origine è ascritta all’Evangelo di Gesù di Nazaret, detto il Cristo, così come è narrato in varie versioni, canoniche e apocrife, e come è presentato nelle Lettere cattoliche, tra le quali spiccano quelle di Paolo. • Il Cristianesimo accoglie poi, fin dalle sue origini, almeno dal II-III secolo anche le scritture dell’Antico Testamento, mutuate quasi concordemente dal Giudaismo, che insieme con gli scritti sopra citati costituiscono la Bibbia cristiana. • Vi sono alcune differenze nei Canoni biblici accettati dalle Chiese Cattolica e Ortodossa e dalle Chiese riformate.

  47. La Dottrina cristiana I • Trattare del Cristianesimo in ambiente storicamente cristiano-cattolico potrebbe sembrare molto facile, tanto da suggerire di “saltare” letteralmente molti passaggi teorici, che si riterrebbe di dare per scontati. • Grave errore! Infatti la conoscenza media attuale della dottrina cristiana e della sua antropologia, al di fuori di quel circa 36% di credenti-praticanti [dati Italia] è molto bassa, perlopiù “orecchiata” dai mezzi di comunicazione o memorizzata da lontani catechismi infantili. • Perciò, se pure nei limiti di questi incontri, qualcosa qui ricorderemo …

  48. La Dottrina cristiana II • … è basata su un “monoteismo dinamico”, e comporta due dogmi essenziali e imprescindibili: • la Trinitarietàdi Dio, che, pur rimanendo unico si dinamizza nelle relazioni tra il Padre, il Figlio generato, non-creato, e lo Spirito, che è Dio stesso, procedendo dal Padre e dal Figlio [Credo Niceno-Costantinopolitano, 325-381 d. C.]; • la doppia Natura, umano-divina nell’unicaPersona di Cristo-Gesù. Il dibattito in merito occupò almeno i primi cinque secoli dell’era cristiana, fino al Concilio di Calcedonia del 451 d. C., e lasciò strascichi robusti fino ai nostri tempi, soprattutto sul dogma relativo alla figura di Gesù Cristo.

  49. L’essere umano • Creato da Dio nell’anima spirituale, l’uomo è libero di comportarsi come gli consente la sua struttura auto-consapevole e provvista di senso morale. • L’antropologia cristiana è un’antropologia mediterranea, greco-latina e biblica, mutuata essenzialmente dal Nuovo Testamento, dalle Lettere di Paolo, dal platonismo, per il tramite di s. Agostino e di s. Anselmo, e dall’aristotelismo, soprattutto con s. Tommaso d’Aquino. • Soprattutto Agostino e Tommaso sono considerati i fondatori dell’antropologia cristiana, che si caratterizza come sintesi delle due grandi tradizioni.

  50. La fenomenologia e il trascendentalismo • Per comprendere l’antropologia cristiana, a parer mio, occorrono due approcci: a) quello fenomenologico e b) quello trascendentale. • Ambedue le visuali sono richieste, perché la prima cerca di raccogliere i dati del comportamento e dell’agire umano, la seconda cerca di fornire delle spiegazioni che hanno a che fare con una visione essenzialmente teleologica del cristianesimo stesso, e quindi della vita delle persone. • Occorre, però, prima partire da due nozioni sinottiche: a) la struttura della persona e, b) la struttura della personalità.

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