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Processore Centrale - Attenzione - Apprendimento Specifico (Lettura)

Processore Centrale - Attenzione - Apprendimento Specifico (Lettura). Relatore: Prof. Francesco Benso Docente di PSICOBIOLOGIA e di Psicologia Dell’Attenzione presso l’Università di Genova.

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Processore Centrale - Attenzione - Apprendimento Specifico (Lettura)

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Presentation Transcript


  1. Processore Centrale - Attenzione - Apprendimento Specifico (Lettura) • Relatore: • Prof. Francesco Benso Docente di PSICOBIOLOGIA e di Psicologia Dell’Attenzione presso l’Università di Genova

  2. DIPARTIMENTO DI SCIENZE ANTROPOLOGICHEUNIVERSITÀ DI GENOVAPolo di ricerca e intervento sui disturbi del linguaggio e dell’apprendimento “Maria Teresa Bozzo” www.polobozzo.it

  3. I Sistemi Centrali, l’Attenzione e gli Apprendimenti (lettura). Normalità e Patologia Docente di Psicobiologia e di Psicologia dell’Attenzione Università di Genova Polo Universitario di ricerca e intervento sui disturbi del linguaggio e dell’apprendimento “M.T. Bozzo” Francesco Benso

  4. Disturbi di Apprendimento • Il disturbo di lettura

  5. Disturbo specifico di lettura: diagnosi La caratteristica fondamentale del Disturbo della lettura è data dal fatto che il livello raggiunto, in precisione, velocità o comprensione della lettura si situa sostanzialmente al di sotto di quanto ci si aspetterebbe data l’età cronologica del soggetto, mentre la valutazione psicometrica dell’intelligenza e l’istruzione risultano adeguate all’età. • Tale disturbo, inoltre, deve interferire in modo significativo con l’apprendimento scolastico o con le attività della vita quotidiana che richiedono capacità di lettura.

  6. Diagnosi  criteri di inclusione Essi sono: Livello di lettura di due deviazioni standard inferiore alla media per l’età e per la classe frequentata in uno o più parametri quali rapidità e accuratezza. Nel parametro rapidità si conteggiano le sillabe per unità di tempo, nel parametro accuratezza si conteggiano gli errori prodotti nella lettura di un testo. Quoziente intellettivo (QI) nella norma, quindi il bambino dislessico può avere un livello intellettivo normale, al pari dei suoi coetanei. Il QI è considerato nella media anche quando è inferiore alla media di una deviazione standard.

  7. Diagnosi  criteri di inclusione Assenza di cause neurologiche e/o sensoriali; I bambini dislessici hanno difficoltà nella lettura per motivi non legati a deficit neurologici o visivi, occorre quindi accertarsi che le difficoltà di lettura non siano dovute a una incapacità di vedere le lettere. • Interferenza significativa con l’apprendimento scolastico e con le attività della vita quotidiana che richiedono capacità di lettura • Persistenza del disturbo nonostante l’istruzione

  8. Pertanto la dislessia è un disturbo da non confondere con le abilità intellettive, ma comunque un disturbo con basi neuronali che non può essere ricuperato con tecniche o metodi solo di tipo scolastico. • Per il trattamento sono necessari (anche e soprattutto) interventi mirati sulle abilità sottostanti: memorie, percezione visiva, linguaggio e per i diversi tipi di attenzione. • I risultati ottenuti utilizzando questi metodi cominciano a divenire confortanti (vedi dopo nostra casistica e Dislessia maggio 2007 due articoli Ripamonti et altri…; Wolf)

  9. Diagnosi in Italia In base a recenti evidenze sperimentali (Stella Biancardi, 1996) è stato dimostrato che i bambini diagnosticati come dislessici in base alla loro lentezza nella lettura necessitano di maggior tempo per il recupero riabilitativo rispetto a coloro che risultano dislessici in base al numero di errori commessi. Esiste quindi una differenza nel grado di disabilità in base al tipo di indicatori diagnostici utilizzati: gli errori o i tempi di lettura.

  10. Diagnosi in Italia Va osservato che la diagnosi di dislessia cambia da paese a paese, cambiano infatti la lingua e le sue strutture ortografiche e fonetiche. In una lingua “trasparente” come l’italiano, dove a una certa serie di lettere corrisponde abbastanza univocamente un certo suono, la diagnosi di dislessia non va eseguita sulla base degli errori commessi, ma in base al tempo di lettura.

  11. Diagnosi in Italia Recenti osservazioni di Wimmer (1993) con bambini austriaci, di Stella (2000), di Stella, di Blasi, Giorgetti e Savelli, (2003) e di Tressoldi (1998) con bambini italiani, hanno confermato l’importanza critica della verifica dei tempi per la diagnosi dei disturbi di lettura.

  12. Prime Riflessioni • E’ molto importante allora conoscere le sillabe al secondo (velocità di lettura) del singolo soggetto. • Le sill/s. DOVREBBERO APPARIRE IN CHIARO SU OGNI CARTELLA DIAGNOSTICA. • Ciò faciliterebbe la comprensione della vera difficoltà che deve sostenere il Bambino..

  13. La lettura si trova pienamente nell’area patologica essendo al di sotto della media di ben 3 deviazioni. La bambina legge come si può vedere dai dati in chiaro 0,41 sillabe al secondo mentre i pari età sono già oltre alle 3 sillabe al secondo.

  14. Ciò fa immediatamente comprendere come il soggetto in questione necessiti di più di 6 volte del tempo utilizzato dai pari età ed abbia bisogno di una “contestualizzazione” orale o di una pre lettura del materiale che dovrà leggere.

  15. Sempre per quanto riguarda la lettura bisogna valutare che, senza opportuna e costante stimolazione, i soggetti con difficoltà possono guadagnare 0,29 sillabe al secondo l’anno; Mentre i normolettori guadagnano circa 0,5 sillabe al secondo all’anno (Stella Faggella Tressoldi, 2001).

  16. Bisogna, inoltre, tener conto dell’inevitabile basso livello di autostima prodotto da questi bambini che vivono questi disagi. Vanno sostenuti attraverso approcci delicati e pacati e soprattutto attraverso il consolidamento delle abilità (operazione assolutamente necessaria per raggiungere l’autoefficacia e quindi il potenziamento della motivazione e dell’autostima; vedi De Beni 2006). • NEL SENSO CHE L’AUTOSTIMA AUMENTA CON IL POTENZIAMENTO DIRETTO DELLE ABILITA’ CARENTI E NON CON SOSTEGNI CHE NEL TEMPO DIVENTANO POCO CREDIBILI PER IL SOGGETTO

  17. In questo quadro si innesta la debolezza delle risorse attentive non sufficienti per “alimentare” i processi più complessi. Tali risorse non sono ricuperabili attraverso la volontà, ma solo attraverso l’esercizio specifico, spesso tralasciato (non è compito facile misurare e stimolare l’attenzione per chi non se ne occupa direttamente. Vedi protocollo Benso, 2004).

  18. Secondo punto collegato alla necessità di conoscere la velocità di lettura: • << Attenzione alle etichette diagnostiche>>. • Sono fonte di errori metodologici anche nella ricerca • Creano il rischio di generare spiegazioni circolari, modelli tautologici e stereotipi insostenibili dal punto di vista scientifico. • Possono fuorviare le conclusioni e gli interventi

  19. Valore medio Area di diagnosi della dislessia Numero di casi - 2 - 1 0 + 1 + 2 Velocità di lettura (Sillabe per unità di tempo) Deviazione standard Valore medio Area di diagnosi della dislessia Numero di casi - 2 - 1 0 + 1 + 2 Numero di errori Deviazione standard

  20. Calcolo punto z • valore ottenuto dal sog. – media • Z= ------------------------------------------- • deviazione standard

  21. Calcolo punto z • Esempio terza elementare. • 3 – 3 • Z= ------------------------------------- = 0 • 0,76

  22. Valore medio Area di diagnosi della dislessia Numero di casi - 2 - 1 0 + 1 + 2 Velocità di lettura (Sillabe per unità di tempo) Deviazione standard Valore medio Area di diagnosi della dislessia Numero di casi - 2 - 1 0 + 1 + 2 Numero di errori Deviazione standard

  23. Es. Bambino di terza elementare media in sillabe al secondo = 3 deviazione St. = .76 • 3 – (0,8 x2) = 3-1,6 = 1,4 valore della media meno due deviazioni. • TUTTI i VALORI < o = a 1,4 cadono nella patologia, • Ma un Bambino che legge ad 1,8 sill/s. che per la convenzione (DSM4 ICD 10) dei manuali diagnostici statistici non cade nell’area patologica obiettivamente come dovrebbe essere trattato a scuola e a casa se legge praticamente anche lui con un tempo doppio dei pari età ?.. • Torniamo all’importanza delle sillabe a secondo IN CHIARO

  24. Il problema delle cause sottostanti • Pur riscontrando un certo accordo tra i ricercatori in merito ai criteri di inclusione ed esclusione per la diagnosi della dislessia, per quanto riguarda le cause a livello cognitivo sono emerse linee di pensiero molto diverse e, spesso, in contrasto tra loro. Solo di recente emergono modelli che portano ad una certa uniformità.

  25. Per capire di più dobbiamo valutare cosa è e come funziona un modulo (sistema specifico) e come intervengono i sistemi centrali sul modulo stesso

  26. PROCESSORE CENTRALE MODULO ESEMPIO DI UN PROCESSORE CHE SUPERVISIONA UN MODULO ASSEMBLATO

  27. Lobo Frontale ProcessoreCentrale MODULI LETTURA SCRITTURA LINGUAGGIO

  28. Attenzione • Spiegare cosa è l’attenzione non è facile perché è un termine molto utilizzato e quindi ognuno presume di conoscerla. • L’attenzione è un processo di filtro e selezione delle numerose informazioni che “bombardano” i sistemi sensoriali.E’ altresì un sistema che deve fornire risorse che sono limitate per svolgere compiti che richiedono concentrazione, vigilanza, allerta….. • Ognuna di questi aspetti è valutabile e misurabile con strumenti relativamente poco costosi, ma tecnicamente molto sofisticati e soprattutto è allenabile

  29. Quando le risorse attentive sono poche il soggetto ha difficoltà a concentrarsi ad essere pronto a svolgere compiti protratti nel tempo e soprattutto a richiamere volontariamente l’attenzione. • Dire: <<stai attento !>> ad un soggetto debole nelle risorse attentive è paradossale come dire: <<dormi!>> a chi soffre di insonnia. • In questi casi l’attenzione può essere richiamata dall’esterno, ma deve e può essere sviluppata con specifici training. Vedi Benso (2004) Neuropsicologia dell’Attenzione.

  30. L’attenzione è implicata nella dislessia come in qualsiasi tipo apprendimento se si sa misurare si trova sempre un aspetto attentivo collegato. • Questo implica che per trattare i disturbi oltre che lavorare direttamente sui tipi di apprendimenti sofferenti è necessario stimolare l’intero sistema attentivo. • Il modello di Moscovitch e Umiltà fornisce copertura teorica a quanto affermato (vedi dopo) • Così come confermano i risultati da noi ottenuti nei traumatizzati adulti(e pubblicati) nel recupero della memoria, delle funzioni linguistiche e percettive, e NEI SOGGETTI DISLESSICI (vedi )

  31. PROCESSORE CENTRALE o Sistema Esecutivo o Sistema Attentivo Supervisore (SAS; Shallice, 1989), si colloca come substrato anatomico prevalentemente nei lobi frontali, nei gangli della base e nel cervelletto;è multicomponenziale.

  32. Esso è deputato a:fornire risorse attentive (che sono a capacità limitata); a sostenere l’attenzione;alle funzioni di controllo del pensiero e dell’azione; ad inibire i distrattori; all’organizzazione, alla pianificazione; a mantenere la concentrazione sullo scopo; alla modularizzazione delle funzioni specifiche (es. apprendimento motorio); a fornire le risorse attentive ai processi di memorizzazione in genere.

  33. Il modello del SASShallice (1988)

  34. Multicomponenzialità del sistema esecutivo. • Da queste osservazioni si comincia a comprendere che il SAS è multicomponenziale e diventa necessario ampliare la batteria testistica per riuscire a fornire prove oggettive della caduta dell’esecutivo (per non limitare la diagnosi all’osservazione inevitabilmente soggettiva attraverso questionari).

  35. Multicomponenzialità del sistema esecutivo. • In questo momento vi è un grosso fermento scientifico per analizzare e far risalire all’esecutivo molte patologie, ad esempio, Ozonoff e Jensen (1999) osservano diversi profili dell’esecutivo in sindromi diverse. Nella sindrome di Tourette, i pazienti cadono nell’inibizione di impulsi prepotenti; nell’autismo, cadono nella flessibilità e pianificazione; nel DDA/I, cadono nell’attenzione sostenuta e nell’inibizione. E’ appunto ciò che sostengo nella teoria dei trattamenti: che l’esecutivo è sottostante a tutte le abilità,

  36. Benso e Usai 2002

  37. BREVE EXCURSUS TEORICO • Teoria modulare di FODOR (1976) • Shallice (1990) afferma sulla teoria di Fodor che: << .. per gli scopi della neuropsicologia, i criteri che egli suggerisce potrebbero risultare troppo specifici e i sistemi ai quali si potrebbero applicare troppo limitati.>>. • Sempre Shallice (1990) per ridefinire il concetto di “modulo” cita: Marr (1982; sistemi relativamente isolabili), Posner (1978; sottosistemi isolabili) e propone la definizione di “sottosistema funzionale”. Quando la funzione è almeno parzialmente governata da principi diversi utilizza il termine “modulare”.

  38. BREVE EXCURSUS TEORICO • Nel frattempo: • In età dello sviluppo si innesta la critica di KARMILOFF-SMITH (1992). I sistemi si modularizzano nell’arco dello sviluppo.Questa tesi tempera innatismo fodoriano e costruttivismo piagetiano. • Poco prima viene pubblicata la teoria modulare di MOSCOVITCH e UMILTÀ (1990) che negando soprattutto uno dei principi “forti” di Fodor, la “non assemblabilità” attraverso esempi ed osservazioni di casi e patologie in “doppia dissociazione” costruisce una gerarchia tra i moduli.

  39. BREVE EXCURSUS TEORICO • Semplificando; per Fodor sono moduli solo i sistemi di input percettivi e il linguaggio. • Per la neuropsicologia cognitiva sono definiti moduli tutti i sistemi funzionalmente separabili e quindi lo sono anche tutti i tipi di apprendimento dopo che è avvenuto il processo di modularizzazione come direbbe KARMILOFF-SMITH (1992).

  40. BREVE EXCURSUS TEORICO • La distanza che attualmente intercorre con la “rigida” teoria di Fodor la si può valutare da una definizione molto recente di Sternberg (2006): I moduli sono parti in un certo modo indipendenti che hanno funzioni differenti (contro l’incapsulamento rigido di Fodor). Un modulo può esso stesso essere composto da moduli (contro la non assemblabilità di Fodor).

  41. Output significativo e profondo che può accedere alla coscienza SISTEMI CENTRALI Output periferico, deve essere interpretato dai sistemi centrali MODULI Trasduttori

  42. TEORIA MODULARE DI FODOR (1976) MODULI: • Veloci • Automatizzati • Dominio-specifici • Dal funzionamento obbligato • Insensibili a finalità cognitive centrali • Architettura neurale fissa • Geneticamente determinati • Informazionalmente incapsulati • Non assemblabili

  43. TEORIA MODULARE DI MOSCOVITCH E UMILTÀ (1990) Esistono 3 tipi di moduli: • Moduli di 1° tipo, “alla Fodor”: non assemblati e con una specificità funzionale, Ad esempio, sarebbero moduli di primo tipo la percezione dei colori, delle frequenze acustiche, della localizzazione del suono e visiva, della profondità, dei visi

  44. TEORIA MODULARE DI MOSCOVITCH E UMILTÀ (1990) • Moduli di 2° tipo, assemblati su base innata, con l’input integrato da un elaboratore centrale, che sembra distaccare risorse per dedicarle definitivamente al modulo (processore dedicato). Esempi di moduli di secondo tipo sono le abilità linguistiche e il riconoscimento degli oggetti.

  45. Posner e Di Girolamo (2000) citano un lavoro con bambini di 18 mesi. I risultati portano alla conclusione che lo sviluppo del Sistema Attentivo Supervisore è importante per l’apprendimento di strutture complesse e per il controllo del linguaggio durante il secondo anno di vita. Anche e Clohessy, Posner, Rothbart (2001) trovano risultati sui bambini di 18 mesi coerenti con quanto detto da Posner e Di Girolamo.

  46. TEORIA MODULARE DI MOSCOVITCH E UMILTÀ (1990) TEORIA MODULARE DI MOSCOVITCH E UMILTÀ (1990) • I moduli di “terzo tipo”, infine, sono quelli assemblati su base esperenziale (es. lettura e capacità motorie); in questo caso il processore è fortemente implicato attraverso un atto consapevole, cosciente e volitivo.

  47. Camminare e parlare: moduli di secondo tipoSciare e leggere: moduli di terzo tipo.L’attività motoria complessa può essere utile per aumentare le risorse del processore centrale, poi comunque va stimolato anche in modo specifico il modulo che non funziona. Questi due interventi (sviluppo delle risorse attentive e stimolazione mirata del modulo) sono ASSOLUTAMENTE NECESSARI in un protocollo preventivo, rieducativo, riabilitativo.

  48. Percezione di configurazioni Semplici. MODULO I tipo Percezione di configurazioni semplici. MODULO I tipo Coordinamento delle unità percepite MODULO I tipo Coordinamento delle unità percepite MODULO I tipo Percezione di suoni elementari MODULO I tipo Percezione di suoni elementari MODULO I tipo Coordinamento fonatorio MODULO I tipo Coordinamento fonatorio MODULO I tipo Risorse attentive implicite PROCESSORE DEDICATO Risorse attentive implicite PROCESSORE DEDICATO Risorse attentive implicite PROCESSORE DEDICATO Risorse attentive implicite PROCESSORE DEDICATO Mod. II tipo PERCEZIONE VISIVA Mod. II tipo PERCEZIONE VISIVA Mod. II tipo LINGUAGGIO Mod. II tipo LINGUAGGIO Risorse attentive esplicite PROCESSORE CENTRALE Risorse attentive esplicite PROCESSORE CENTRALE LETTURA LETTURA LETTURA LETTURA Mod. III tipo Mod. III tipo

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