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Introduzione allo Humanistic management Marco Minghetti Lezione 11 Pavia 2008. D: Di cosa parliamo quando parliamo di sensemaking ? Capitolo V di Nulla due volte.
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Introduzione alloHumanistic managementMarco Minghetti Lezione 11Pavia 2008
D: Di cosa parliamo quando parliamo di sensemaking?Capitolo V di Nulla due volte
Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Polo quando gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l’imperatore dei tartari continua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità ed attenzione che ogni altro suo messo o esploratore. Nella vita degli imperatori c’è un momento, che segue all’orgoglio per l’ampiezza sterminata dei territori che abbiamo conquistato, alla malinconia e al sollievo di sapere che presto rinunceremo a conoscerli e a comprenderli; un senso come di vuoto che ci prende una sera con l’odore degli elefanti dopo la pioggia e della cenere di sandalo che si raffredda nei bracieri; una vertigine che fa tremare i fiumi e le montagne istoriati sulla fulva groppa dei planisferi, arrotola uno sull’altro i dispacci che ci annunciano il franare degli ultimi eserciti nemici di sconfitta in sconfitta, e scrosta la ceralacca dei sigilli di re mai sentiti nominare che implorano la protezione delle nostre armate avanzanti in cambio di tributi annuali in metalli preziosi, pelli conciate e gusci di testuggine: è il momento disperato in cui si scopre che quest’impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro scettro possa mettervi riparo, che il trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi della loro lunga rovina. Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riusciva a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, la filigrana d’un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti.
E’ improbabile che Bill H. Fordgates si beva tutte le balle cacciate da Sam Deckard quando gli descrive le aziende visitate nelle sue missioni, indicandole una per una sull’Astrogramma e traendo auspici dal Libro dei Mutamenti Organizzativi, ma certo l’Amministratore Delegato della grande Corporation continua ad ascoltare il giovane (o forse giovanile) Direttore delle Risorse Umane annoiandosi meno che con ogni altro manager. Nella vita degli Amministratori Delegati c’è un momento, che segue all’orgoglio per l’ampiezza sterminata delle aziende, consociate e controllate, che abbiamo conquistato, alla malinconia e al sollievo di sapere che presto rinunceremo a comprenderle e a conoscerle; un senso come di vuoto che ci prende una sera con l’odore acre delle ciminiere fumanti sotto la pioggia sporca e del gas di scarico sputato dalla limousine che ci sta conducendo verso l’anonima suite in cui risiediamo; una vertigine che fa incrinare le procedure istoriate sulle pagine Intranet, arrotola una sull’altra le stampe delle mail che annunciano il franare dei concorrenti di sconfitta in sconfitta, e sbiadisce le carte da lettera intestate di imprenditori ignoti che implorano la protezione delle nostre divisioni avanzanti in cambio di tributi annuali in partecipazioni azionarie, immobili e denaro liquido: è il momento disperato in cui si scopre che quest’impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro logo possa mettervi riparo, che il trionfo sui Consigli di Amministrazione avversari ci ha fatto eredi della loro lunga rovina. Solo nei rapporti bicefali di Deckard, nei bi-sogni che esprimevano, Bill H. Fordgates riusciva a discernere, attraverso gli stabilimenti e gli impianti di produzione destinati a crollare, la filigrana d’un disegno così sottile da sfuggire alle esalazioni inquinanti di un livello ben superiore a quelli ammessi dai Protocolli di Kyoto.
Sensemaking • Il sensemaking è un processo per Weick connotato da sette caratteristiche: • 1. la costruzione di identità, individuale e collettiva; • 2. la retrospettività, per cui la creazione di significato si riferisce a ciò che è già avvenuto, più che a ciò che avverrà; • 3. l’istituzione di ambienti sociali tramite le persone che vi operano, senza dimenticare che • 4. il substrato sociale modella l’interpretato e l’interpretante; • 5. la continuità: il sensemaking è un “never ending process”, • 6. centrato su informazioni selezionate (pensiamo ad Internet. Per non naufragare nel mare di dati reperibili, ogni lettore-autore dovrà costruire personali percorsi di senso, tramite l’eliminazione di ciò che con tali specifici percorsi è incoerente); • 7. la plausibilità.
Il senso del lavoro“Il poeta e il mondo” discorso di Wislawa Szymborska tenuto in occasione del conferimento del premio Nobel del 1996 “L’ispirazione non è un privilegio esclusivo dei poeti o degli artisti in genere. C’è, c’è stato e sempre ci sarà un gruppo di individui visitati dall’ispirazione. Sono tutti quelli che coscientemente si scelgono un lavoro e lo svolgono con passione e fantasia. Ci sono medici siffatti, ci sono giardinieri siffatti, ci sono insegnanti siffatti e ancora un centinaio di altre professioni.... Di persone così non ce ne sono molte. La maggioranza degli abitanti di questa terra lavora per procurarsi da vivere, lavora perché deve. Non sono essi a scegliersi il lavoro per passione, sono le circostanze della vita che scelgono per loro. Un lavoro non amato, un lavoro che annoia, apprezzato solo perché comunque non è a tutti accessibile, è una delle più grandi sventure umane.”
Certi mestieri non sono male, c’è un che di puro, di gentile, in alcuni, come quando scaricavo dai vagoni merci il pesce surgelato. il pesce arrivava imballato in confezioni grosse quanto casse da morto stupendamente pesanti e quasi impossibili da spostare. ti davano dei guanti spessi e un uncino, e dovevi arpionare uno di quei maledetti affari e sbatterli giù sul pavimento facendoli scivolare fuori, fino a dentro il camion che aspettava. la cosa strana è che non c’era nessun caporeparto. ci lasciavano semplicemente a noi stessi, lì dentro, sapendo che avremmo fatto ciò che dovevamo Un buon lavorodi Charles Bukoswki
spedivamo sempre qualcuno dei ragazzi a prendere un’altra bottiglia di vino. quelle celle frigorifere erano fredde e scivolose. tiravamo fuori quel pesce surgelato ci scolavamo il vino e le stronzate volavano. ogni tanto ci scappava qualche rissa ma mai niente di davvero violento. io ero quello che metteva pace. “basta con queste cazzate! portiamo questo pesce fuori di qua! dai!” poi riprendevamo a ridere e a sparare stronzate. verso sera diventavamo tutti silenziosi. il pesce ci sembrava sempre più pesante.
i polpacci cedevano, le ginocchia si riempivano di lividi e il vino nello stomaco si faceva sentire. e quando arrivavi all’ultima cassa la scaraventavi fuori solamente con la forza dei nervi. quando timbravi l’uscita anche il cartellino ti sembrava pesante. ti ritrovavi poi nella tua vecchia macchina e tornavi a casa, alla tua baracca, chiedendoti se quel che ti aspettava era una bella serata o l’inferno. ma tutto quel lavoro col pesce surgelato, era un pensiero gradevole e confortante.
e saresti tornato a farlo ancora, ad arpionare e trascinare quelle casse. la notte scendeva e tu accendevi i fari e in quel momento esatto il mondo non era niente male.
Sensemaking: prime difficoltà (Marìas 1) “Quando qualcuno racconta un aneddoto…per il semplice fatto di raccontarlo sta già deformandolo”. Cfr. Javier Marias, Nera schiena del tempo, pp. 3-4.
Sensemaking: prime difficoltà (Marìas 2) • “Insicurezza estrema della parola, in sé stessa metaforica e quindi imprecisa” (“la lingua non può riprodurre i fatti”, come già scriveva Platone nel Cratilo. Cfr anche tutta la tradizione filosofica moderna da Locke a Wittgenstein). • Ciò accade anche con la parola più rozza, con l’insulto persino: se poi si introduce un “come se” per introdurre la finzione nella realtà le cose si complicano ulteriormente.
Sensemaking: prime difficoltà (le cose e le parole – Szymborska) Le tre parole più strane Quando pronuncio la parola Futuro, La prima sillaba già va nel passato. Quando pronuncio la parola Silenzio, Lo distruggo. Quando pronuncio la parola Niente, Creo qualche cosa che non entra in alcun nulla.
Sensemaking: prime difficoltà (Marìas 3) “La vecchia aspirazione di ogni cronista o sopravvissuto, riferire l’accaduto, dare conto di quel che avvenne, lasciare traccia dei fatti e dei delitti e delle gesta, è una pura illusione o chimera, o meglio la frase stessa, quel concetto stesso, sono già metaforici e fanno parte della finzione.”
Sensemaking: prime difficoltà (Marìas 4) “Riferire l’accaduto è inconcepibile e vano, o piuttosto è possibile soltanto come invenzione. Anche l’idea di testimonianza è vana e non c’è testimone che possa in verità assolvere il proprio impegno. E oltretutto ognuno dimentica sempre troppi istanti, perfino ore o giorni e mesi e anni…anni interi, e non necessariamente i più insignificanti”.
Sensemaking: prime difficoltà (Volli 1) E’ veramente possibile pensare ad un’etica della comunicazione che, come in genere si sostiene, prescriva la verità? “Non se se accada in realtà”, osserva Volli, “ma certamente nei telefilm americani i testimoni ai processi giurano di dire la verità, solo la verità, tutta la verità. Se, pensando ad un’etica della comunicazione, ci ponessimo il problema nei termini di un’etica della verità, potremmo dire che ci si chiede di essere tutti quanti testimoni…..
Sensemaking: prime difficoltà (Volli 2) Si dà il caso però che nella vita quotidiana il ruolo del testimone non sia affatto pacifico: chiunque si trovi a cercare di ricostruire un fatto anche minore come un incidente stradale e proceda interrogando i presenti sulla dinamica dei fatti, si trova di fronte al fatto che sovente la verità non emerge, che le versioni sono spesso diverse. Anche se eliminiamo il caso della cattiva fede, dell’imbroglio, dell’interesse, semplicemente è difficile ricostruire i fatti, semplicemente la corrispondenza fra il discorso e ciò che accade è problematica. Ognuno ha visto una cosa diversa.”
Sensemaking: prime difficoltà (le cose e le parole - Volli 3) A ciò si aggiunge la difficoltà legata al fatto che il linguaggio deve essere necessariamente imperfetto, poiché, come aveva già notato Platone nel Cratilo, se non ci fosse nessuna distanza fra nomi e cose, se i nomi fossero così perfetti da avere le stesse proprietà delle cose, non ci sarebbero più una cosa e un nome, ma due oggetti identici.
Sensemaking: prime difficoltà (le cose e le parole – Dick) La relazione tra parola e oggetto…Che cos’è una parola. Un simbolo arbitrario. Eppure noi viviamo tra le parole. La nostra realtà è fatta di parole, non di cose…La parola è più reale dell’oggetto che rappresenta. La parola non rappresenta la realtà. La parola è la realtà. P. K. Dick, Tempo fuor di sesto, p. 74. A questo libro si è ispirato il film Truman Show. In entrambi i casi i protagonisti scoprono che la realtà perfetta della cittadina in cui vivono è una ricostruzione teatrale. Il Titolo è una citazione dall’Amleto di Shakespeare, che contiene il famoso dialogo con Polonio con inizia con la battuta “Parole, parole, parole…”e dove sistematicamente Amleto usa le parole in un senso che l’altro non capisce (”pescivendolo” per ruffiano, eccetera) anche se al termine Polonio intuisce che “c’è un metodo in questa follia”.
Sensemaking: prime difficoltà (le cose e le parole – Dick e Marquez) Nel romanzo di Dick, il protagonista comincia a sospettare l’irrealtà di quanto lo circonda quando comincia a trovare, al posto degli oggetti consueti, solo dei bigliettini con sopra il loro nome (ad esempio, ad un certo punto vede svanire un chiosco delle bibite e al suo posto trova solo un pezzetto di carta con su scritto “CHIOSCO DELLE BIBITE”) Una cosa simile accade in Cent’anni di solitudine, quando gli abitanti di Macondo perdono la memoria. “Aureliano Buendia… segnò ogni cosa con il suo nome: tavolo, sedia, orologio, porta, muro, letto…sull’entrata della strada avevano messo un cartello su cui era scritto Macondo e un altro più grande che diceva Dio esiste. In tutte le case erano stati scritti segni convenzionali per ricordare gli oggetti e i sentimenti. Ma il sistema richiedeva tanta sollecitudine e tanta forza morale che molti cedettero all’incanto di una realtà immaginaria, inventata da loro stessi, che risultava meno pratica ma più confortante”.
Sensemaking: prime difficoltà (le cose e le parole – Borges) • Nel racconto Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, che apre il più leggendario dei suoi libri, Finzioni (1956), Borges narra di un’enciclopedia progettata per descrivere la geografia e la cultura di un pianeta immaginario: Tlön. Ad un certo punto, la realtà cede e oggetti di Tlön vengono ritrovati in diversi paesi, le copie dell’enciclopedia di Tlön proliferano, le scienze e la storia vengono riformate in base a essa. • «Come non sottomettersi a Tlön, alla vasta e minuziosa evidenza di un pianeta ordinato? Inutile rispondere che anche la realtà è ordinata. Sarà magari ordinata, ma secondo leggi divine - traduco: inumane - che non finiamo mai di scoprire. Tlön sarà un labirinto, ma è un labirinto ordito dagli uomini, destinato a esser decifrato dagli uomini.» • Se oggi esistesse un progetto Orbis Tertius avrebbe nelle reti informatiche il suo mezzo di realizzazione. Internet è un’enciclopedia tlöniana? Senza dubbio ci troviamo di fronte al primo ambiente artificiale condiviso da milioni di persone. La realtà allora, come scrive Baudrillard, si sta per dissolvere in un’ultrarealtà? Andiamo verso l’affermazione del "platonismo digitale" - dove si suppone che l´umanità consideri vera quella che è solo l´ombra della realtà, magari confondendo l´Iperuranio con lo schermo del Pc?
Sensemaking: prime difficoltà in sintesi Imprecisione del linguaggio e dei diversi linguaggi specialistici o specifici che non si parlano fra loro (sfida della metadisciplinarietà) Perdita dell’identità monolitica (ciascuno ridefinisce continuamente sé stesso e la propria molteplicità individuale) La memoria e il tempo (ciascuno re-inventa gli eventi che ha vissuto) La natura del reale (è difficile distinguere fra realtà e finzione), in un momento in cui tempo e spazio coincidono (istantaneità) Conseguenze di ordine etico (le verità condivise –quindi anche i valori, i sentimenti, le emozioni condivise- sono menzogna o invenzione)
Sensemaking: il gioco del mondo Tutto è scrittura, ossia fabula. Ma a che ci serve la verità che tranquillizza l’onesto proprietario? La nostra verità possibile deve essere invenzione, ossia scrittura, letteratura, pittura, scultura, agricultura, pescicultura, tutte le ture di questo mondo. I valori, le ture, la santità, una tura, la società, una tura, l’amore, nient’altro che tura, la bellezza, tura delle ture (p.362)
Sensemaking: il gioco del mondo Invece dell'indice e della prefazione si trova una tavola d'orientamento: "A modo suo questo libro è molti libri, ma soprattutto è due libri. Il primo, lo si legge come abitualmente si leggono i libri, e finisce con il capitolo 56. (...) Il secondo, lo si legge cominciando dal capitolo 73 e seguendo l'ordine indicato a piè pagina d'ogni capitolo...". Segue la tabella dell'ordine di lettura dei capitoli che è, tanto per darne un'idea: 73 - 1 - 2 - 116 - 3 - 84, e così via. Cortazar lascia al lettore la scelta del percorso da seguire: lettura lineare nel primo caso, lettura articolata e zig-zagante (ma guidata) nel secondo Ogni paragrafo è infatti numerato, dal numero 1 al numero 155. E al termine di ogni paragrafo c'è un numerino che indica una possibile continuazione, nel caso non si voglia procedere con quella sequenziale.. Esattamente quel che si può fare oggi con internet: questo libro è una rete di moduli più o meno autonomi che si possono leggere con differenti sequenzialità. Il risultato è che la trama prende vita nella testa del lettore, ma a quella stessa trama ogni lettore ci arriva per vie differenti.
Sensemaking: il gioco del mondo • Cortazar dà alle stampe il suo corposo romanzo (circa 500 pagine) nel 1962. Il titolo è: "Rayouela". • "Rayouela", che in spagnolo vuol dire "rete", "ragnatela", viene pubblicato in Italia nel 1969 da Einaudi nella traduzione di Flaviarosa Nicoletti Rossini con il titolo "Il gioco del mondo". Non s'era ancora nell'era digitale (quasi) di massa. Altrimenti, il titolo italiano, forse, sarebbe stato diverso. • Se vogliamo adesso passare a parlare de "Il gioco del mondo" con la terminologia che siamo soliti adottare quando parliamo di scrittura ipertestuale, potremo ben dire, io credo, che il lettore è invitato a creare lui stesso i collegamenti, i "link", le connessioni tra le centinaia di frammenti di cui il testo si compone. Cortazar, come Borges, Dick, Perec, Calvino, attua dunque già, nel testo a stampa, ciò che oggi vediamo realizzato con l'ipertesto elettronico
“Riferire l’accaduto” è inconcepibile e vano, o piuttosto è possibile soltanto come invenzione. Marias
Esercizi di stile Raymond Queneau, 1947 Traduzione di Umberto Eco (1983)
Notazioni Sulla S. in un’ora di traffico. Un tipo di circa 26 anni, cappello floscio con una cordicella al posto del nastro, collo troppo lungo, come se glielo avessero tirato. La gente scende. Il tizio in questione si arrabbia con un vicino. Gli rimprovera di spingerlo ogni volta che passa qualcuno. Tono lamentoso, con pretese di cattiveria. Non appena vede un posto libero vi si butta. Due ore più tardi lo incontro alla Cour de Rome, davanti alla Gare Saint-Lazare. E’ con un amico che gli dice "dovresti far mettere un bottone in più al soprabito “. Gli fa vedere dove (alla sciancratura) e perchè.
Partita doppia Nel mezzo della giornata e a mezzodì mi trovavo e salii sulla piattaforma e balconata posteriore di un autobus e di un tram a cavalli autopropulso affollato e pressocché brulicante di umani viventi della linea S che va dalla Contrescarpe a Champerret. Vidi e rimarcai un giovinotto non anziano, assai ridicolo e non poco grottesco, dal collo magro e dalla gola scarnita, cordicella e laccetto intorno al feltro e cappello. Dopo uno spingi-spingi e un schiaccia-schiaccia, quello affermò e asserì con voce e tono lacrimoso e piagnucoloso che il suo vicino e sodale di viaggio s’intenzionava e s’ingegnava volontariamente e a bella posta di spingerlo e importunarlo ogni qual volta si scendesse uscendo o si salisse entrando. Questo detto e dopo aver aperto bocca, ecco che si precipita ed affanna verso uno scranno e sedile vergine e disoccupato. Due ore dopo e centoventi minuti più tardi, lo reincontro e lo ritrovo alla Cour de Rome a cospetto della Gare Saint-Lazare, mentre è e si trova con un amico e contubernale che gli insinua di, e lo incita a, far applicare e assicurare un bottone e bocciolo d’osso al suo mantello e ferraiuolo.
Raddoppiare per Potenziare Una ricchissima serie di esempi di questa modalità di giocare con l’ambiguità delle parole la troviamo in Hamlet. Ne ricordo solo alcuni fra i più noti: • The flash and outbreak of a fiery mind (Il baleno e l’irruzione di un animo infiammato, II, i, 33) • The slings and arrows of outrageus fortune (I proiettili e i dardi della fortuna, III,i, 58) • The whips and scorns of time • (Le frustate e i dileggi del tempo, III, i,70).
In questi casi, chiosa Empson, “basterebbe sempre una sola delle due parole per comunicare il senso”. Ma attraverso la duplicazione, che non è mai gratuita, il senso di volta in volta si arricchisce di echi, di sottintesi, di rimandi ad altre parti dell’opera o a segreti doppi sensi. Frank Kermode ha sviluppato questo approccio con l’eccellente analisi dell’Amleto contenuta nel suo volume sul linguaggio di Shakespeare (pubblicato in Italia da Bompiani). Egli dimostra come l’opera sia dominata dall’ossessione per i “raddoppiamenti di ogni genere”, in particolare “dall’uso della figura nota come endiadi. In senso letterale, essa significa l’uno attraverso il due e possiamo illustrarla con espressioni quali law and order (legge e ordine)”.
Non solo, ma “il raddoppiamento influisce anche sulla struttura dell’Amleto. Ci sono coppie di personaggi: Cornelio e Voltemando, due ambasciatori che pronunciano (insieme) solo dieci parole; e gli indistinguibili Rosenkrantz e Guildenstern. Il teatro nel teatro è un doppio inquietante dell’Amleto, e la pantomima lo è del teatro. Il ruolo del vendicatore è raddoppiato (Laerte e Fortebraccio)…”, eccetera: gli esempi sono numerosissimi. L’Amleto è stato paragonato ad un grandioso gioco di specchi in cui ogni verso, ogni personaggio, ogni particolare della trama si riflettono, raddoppiandosi, incessantemente l’uno nell’altro: nella sua versione cinematografica, K. Branagh fa svolgere gran parte dell’azione nel grande salone centrale della reggia di Elsinore, dalle pareti coperte di specchi, che si infrangeranno solo alla fine, con l’irruzione dei soldati di Fortebraccio. Tramite l’uso di tutti questi strumenti poetici, la “vision” di Shakespeare ne risulta ampliata, fortificata, potenziata.
Litoti Non s’era in pochi a spostarci. Un tale, al di qua della maturità, e che non sembrava un mostro d’intelligenza, borbottò per un poco con un signore che a lato si sarebbe comportato in modo improprio. Poi si astenne e rinunciò a restar in piedi. Non fu certo il giorno dopo che mi avvenne di rivederlo: non era solo e si occupava di moda. Litote: figura retorica che consiste nell'attenuare apparentemente un concetto che si esprime negando il suo contrario: sostanzialmente, con tale artificio, gli si dà maggior risalto; p.e. è una litote dire che "una merce non è a buon mercato", per significare che "costa molto"; analogamente, dire che una persona "non si distingue per la sua onestà", significa che "è assai disonesta".
Sorprese Com’eravamo schiacciati su quella piattaforma! E come non era ridicolo e vanesio quel ragazzo! E che ti fa? Non si mette a discutere con un poveretto che - sai la pretesa, il giovinastro! - lo avrebbe spinto? E non ti escogita niente po’ po’ di meno che andar svelto a occupare un posto libero? Invece di lasciarlo a una signora! Due ore dopo, indovinate chi ti incontro davanti alla Gare Saint-Lazare? Ve la do a mille da indovinare! Ma proprio lui, il bellimbusto! Che si faceva dar consigli di moda! Da un amico! Stento ancora a crederci!
Ignoranza Io proprio non so cosa vogliono da me. Va bene, ho preso la S verso mezzogiorno. Se c'era gente? Certo, a quell'ora. Un giovanotto dal cappello floscio? Perché no? Io vado mica a guardare la gente nelle palle degli occhi. Io me ne sbatto. Dice, una specie di cordoncino intrecciato? Intorno al cappello? Capisco, una curiosità come un'altra, ma io queste cose non le noto. Un cordoncino... Boh. E avrebbe litigato con un altro signore? Cose che capitano. E dovrei averlo rivisto dopo, un'ora o due più tardi? Non posso negarlo. Capita ben altro nella vita. Guardi, mi ricordo che mio padre mi raccontava sempre che...
Volgare “Aho! Annavo a magnà e te monto su quer bidone de la Esse - e 'an vedi? - nun me vado a incoccià con 'no stronzo con un collo cche pareva un cacciavite, e 'na trippa sur cappello? E quello un se mette a baccaglià con st'artro burino perchè - dice - je' acciacca er ditone? Te possino! Ma cche voi, ma cchi spinge? e certo che spinge! chi, io? ma va a magnà er sapone! 'Nzomma, meno male che poi se va a sede. E bastasse! Sarà du' ore dopo, chi s'arrivede? Lo stronzo, ar Colosseo, che sta a complottà con st'artro quà che se crede d'esse er Chistian Dior, er Missoni, che so, er Mister Facis, li mortacci sui! E metti un bottone de quà, e sposta un bottone de là, a acchittate così alla vitina, e ancora un po' ce faceva lo spacchetto, che era tutta 'na froceria che nun te dico. Ma vaffanculo! “
Altri esempi di tono e punti di vista Esitazioni Precisazioni Svolgimento Lettera ufficiale Comunicato stampa Ampolloso Interrogatorio Commedia ….
Sogno Mi pareva che tutto intorno fosse brumoso e biancastro tra presenze multiple e indistinte, tra le quali si stagliava tuttavia abbastanza netta la figura di un uomo giovane, il cui collo troppo lungo sembrava manifestarne da solo il carattere vile e astioso. Il nastro del suo cappello era sostituito da una cordicella intrecciata. Poco dopo ecco che discuteva con un individuo che intravvedevo in modo impreciso e poi - come colto da sùbita paura - si gettava nell'ombra di un corridoio. Un altro momento me lo mostra mentre procede in pieno sole davanti alla Gare Saint-Lazare. È con un amico che gli dice: «Dovresti far mettere un bottone in più al soprabito». A questo punto mi sono svegliato.