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3 . Il processo camerale ibrido

3 . Il processo camerale ibrido. Lezioni anno accademico 2013/2014 Secondo semestre. L’opzione della riforma.

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3 . Il processo camerale ibrido

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Presentation Transcript


  1. 3. Il processo camerale ibrido Lezioni anno accademico 2013/2014 Secondo semestre

  2. L’opzione della riforma E’ già stato possibile evidenziare che la riforma ha abbandonato il modello monitorio processo sommario-eventuale processo ordinario di opposizione, per optare verso le forme camerali-sommarie, che già avevano contraddistinto in parte il diritto fallimentare nel regime previgente.

  3. Scelta non unilaterale In realtà la scelta non è univoca, poiché in alcuni casi: • Processo per la dichiarazione di fallimento; • Processo di accertamento dei crediti e dei diritti reali; • Processo di impugnativa degli atti degli organi giurisdizionali del fallimento; il legislatore ha adottato un modello camerale ibrido.

  4. Il camerale ibrido Per camerale ibrido deve intendersi un richiamo alle forme camerali solo formale e nominalistico essendosi nella realtà adottato un modello assimilabile ad un processo di cognizione piena con rito speciale. Ne sono indicative le prescrizioni in ordine alla domanda (analogia all’art. 163 c.p.c.), in ordine all’atto difensivo del convenuto (analogia all’art. 167 c.p.c.); in ordine alla introduzione di un sistema di preclusioni all’attività difensiva delle parti; la disciplina di un’attività istruttoria in cui ha svolgimento il diritto alla prova della parte con attenuazione dei poteri istruttori dell’ufficio, la frequentazione di misure anticipatorie.

  5. La diversificazione dei camerali ibridi Tuttavia il legislatore non adotta un unico processo camerale ibrido che nasconde un processo a cognizione piena di diritto speciale, ma vari modelli diversificati, con riti speciali differenti l’uno all’altro, distinguendosi: • Il rito per la dichiarazione di fallimento; • Il rito per l’accertamento del passivo; • Il rito per la impugnativa degli atti degli organi giurisdizionali

  6. Il modello camerale puro Viene tuttavia adottato in alcune ipotesi (le impugnative degli atti degli organi amministrativi del fallimento; i procedimenti di ripartizione del ricavato, di chiusura del fallimento, di rendiconto, di esdebitazione, ecc.) il c.d. camerale puro, ovvero il richiamo agli artt. 737 e ss. c.p.c. senza alcuna variante, con una disciplina non univoca anche in questo caso.

  7. I processi sommari fallimentari Oltre ad un processo camerale ibrido e puro, con connotati di evidente specialità del diritto processuale fallimentare, il nuovo sistema riformato conosce alcuni episodi di tutele sommarie di natura cautelare e/o anticipatoria, che pure essi dovranno essere oggetto di studio particolare per la loro specialità.

  8. La specialità del diritto processuale fallimentare E’ necessario dunque studiare la specialità del diritto processuale fallimentare muovendo prima dal processo camerale ibrido per poi esaminare in un secondo capitolo il processo camerale puro ed infine in un ultimo capitolo la cognizione i processi cautelari sommari e non nel diritto fallimentare.

  9. Il processo per la dichiarazione di fallimento

  10. Funzione dichiarativa e sostitutiva Già si è detto che il processo per la dichiarazione di fallimento che assume i caratteri del rito camerale ibrido ha la funzione di accertare la fattispecie dell’imprenditore commerciale insolvente, aprendo, come effetto costitutivo, l’applicazione del regime del diritto concorsuale ed in specie dedicato al fallimento in senso stretto.

  11. La giurisdizione Il tema della giurisdizione deve tener conto della sempre maggiore integrazione internazionale delle imprese, con sedi in varie nazioni e i principi della concorsualità che implicano il coinvolgimento dell’universalità dei beni, dal lato attivo, e della universalità dei creditori, dal lato passivo.

  12. Il problema Dunque non si tratta solo di identificare un giudice, ma quello di coordinare le eventuali procedure concorsuali promosse nei vari ordinamenti.

  13. Stati Extraeuropei-stati europei Mentre per la comunità europea è stato adottato un regolamento (n. 1346 del 29 maggio 2000), le imprese multinazionali con sedi in stati extra europei, sono ancora assoggettate all’art. 9.

  14. Regime previgente Il vecchio tenore dell’art. 9 sanciva, in aderenza al principio autarchico che ispirava il ventennio (autosufficienza dell’economia dell’ordinamento italiano), ammetteva la giurisdizione del giudice italiano anche se l’impresa aveva sede principale all’estero. La norma non si poneva alcun problema di coordinamento tra i diversi procedimenti

  15. Correttivo interpretativo All’interprete non restava che applicare l’art. 7, legge n. 218/1995, laddove in caso di litispendenza internazionale imponeva il criterio della prevenzione come soluzione al conflitto.

  16. Disciplina attuale L’attuale tenore prevede la dichiarazione di fallimento in Italia anche se l’impresa ha sede principale all’estero, sottintendendo che l’impresa debba avere almeno in Italia una sede secondaria. La riprova è nell’ultimo comma dell’art. 9 che fa salva la giurisdizione italiana anche in caso di trasferimento all’estero nell’anno della sede.

  17. Imprenditori con beni in Italia Qualora l’imprenditore non abbia sede in Italia, neppure secondaria, non potrà aversi dichiarazione di fallimento. Per i beni di cui è proprietario in Italia varranno le regole di diritto internazionale privato processuale sull’efficacia dei provvedimenti giurisdizionali stranieri in Italia.

  18. Salvezza del regime convenzionale Resta salva una diversa determinazione delle convenzioni internazionali e della normativa comunitaria (attualmente solo San Marino del 1939, mentre la convenzioni con Francia e Austria sono assorbite nel regolamento).

  19. Il regolamento CE Con il regolamento n. 1346 si è risolto sia il profilo della giurisdizione, che il profilo del coordinamento tra le plurime concorsuali.

  20. La giurisdizione Il regolamento contempla la giurisdizione del paese ove l’impresa ha la sede principale e la giurisdizione dei paesi ove l’impresa ha sede secondaria, distinguendo un fallimento principale da un fallimento secondario.

  21. Sede principale La nozione comunitaria corrisponde alla nozione interna di centro degli interessi dell’imprenditore (art. 9, 1° comma), ovvero il luogo ove vengono assunte le decisioni fondamentali dell’impresa, normalmente il luogo dell’amministrazione, non esclusivamente il luogo della produzione o dello scambio di merci o servizi.

  22. Coordinamento sotto il profilo dell’azione - Il curatore del fallimento principale può assumere iniziativa cautelare e conservativa, prima che sia dichiarato il fallimento secondario nell’ordinamento corrispondente; - Il curatore del fallimento principale può promuovere una procedura secondaria in altro ordinamento; - Il curatore del fallimento principale può insinuare al passivo del fallimento secondario tutti i creditori già ammessi al suo passivo.

  23. Coordinamento sotto il profilo della litispendenza - La procedura secondaria può aver luogo anche quando non è promossa o non può aver luogo quella principale; • il curatore di uno qualunque dei fallimenti deve informare tutti i creditori, indicando le forme dell’atto di insinuazione, che possono insinuarsi nel suo fallimento; - il fallimento secondario può esser sospeso in attesa degli esiti di quello principale se capace di chiudere il fallimento e il residuo attivo di quello secondario deve essere trasferito a quello principale.

  24. Coordinamento sotto il profilo dei provvedimenti La sentenza che dichiara il fallimento in uno Stato è efficace anche nell’altro, salvo la violazione di regole di ordine pubblico e l’efficacia riguarda anche tutte le misure conservative, pure aventi forma diversa dalla sentenza e pure i provvedimenti di cause connesse, come l’azione revocatoria fallimentare.

  25. Competenza per materia e per territorio E’ per materia competente il tribunale sul procedimento per la dichiarazione di fallimento del luogo ove ha sede principale l’impresa (competenza territoriale inderogabile ex art. 38 c.p.c. essendo dettata per un procedimento in camera di consiglio).

  26. Ratio La delicatezza della materia e gli interessi pubblici implicati, rappresentati dall’intervento necessario del P.M., rendono necessaria la competenza per materia del tribunale. Sul piano territoriale il riferimento è al centro direttivo degli interessi dell’imprenditore dove sono più facilmente reperibili i dati contabili necessari (per questo non ha rilievo il luogo dell’attività produttiva o dell’atto tipico dell’imprenditore, ma il centro della direzione e amministrazione dell’impresa).

  27. Sede formale e sede sostanziale Il riferimento è normalmente alla sede indicata nel registro delle imprese, ma sino alla prova contraria, poiché in tal caso prevale la sede sostanziale o di fatto.

  28. Perpetuatioiurisdictionis Onde evitare frodi alla ricerca del giudice più favorevole, non hanno rilievo i trasferimenti della sede entro l’anno dal deposito della domanda per la dichiarazione di fallimento (art. 9, 2° comma).

  29. La pronuncia sulla competenza: regime previgente In difetto dell’attuale ampia disciplina, la Corte di cassazione aveva ammesso un regolamento di competenza nel caso di conflitti positivi o negativi di competenza nell’ambito fallimentare, forzando l’istituto: • ammettendo un regolamento fuori termine (art. 47 c.p.c.); • Non estendendo la disciplina sulla traslatioiudicii (art. 50 c.p.c.)

  30. segue In caso di conflitto positivo, il giudice di legittimità applicava il criterio della prevenzione (art. 39, 1° comma c.p.c.). In caso di conflitto negativo era dato al secondo giudice lo strumento del regolamento d’ufficio ex art. 45 c.p.c.

  31. segue In caso di pronuncia di fallimento, il profilo sulla sola competenza doveva essere fatto valere con il regolamento necessario; un’impugnativa mista, con l’opposizione. In caso di rigetto del fallimento per incompetenza, era inevitabile il reclamo ex art. 22 e all’esito l’eventuale regolamento necessario di competenza.

  32. il problema della inapplicabilità dell’art. 50 c.p.c. Nel caso di pronuncia sulla competenza non era chiaro se il giudice dovesse limitarsi a revocare il fallimento o indicare il giudice competente e trasferire d’ufficio gli atti al medesimo (stante l’originaria promuovibilità d’ufficio del fallimento). La lettura prevalente era nel senso della trasmissibilità degli atti al giudice indicato come competente, salvo regolamento d’ufficio da parte di quest’ultimo.

  33. La riforma La riforma interviene con un’articolata disciplina, sul conflitto positivo di competenza e sul conflitto negativo, in modo da risolvere tutti i problemi del recente passato, che erano stati costretti a forzare la disciplina.

  34. Conflitto positivo: art. 9ter In caso di duplice dichiarazione di fallimento, il conflitto è risolto con il criterio della prevenzione (1° comma), salvo che il secondo giudice non ritenga opportuno sollevare regolamento d’ufficio ex art. 45 c.p.c. Se il secondo giudice non ritiene di sollevare regolamento d’ufficio, trasmette gli atti al primo giudice e restano salvi gli effetti degli atti compiuti (per richiamo all’art. 9bis).

  35. Conflitto negativo: art. 9bis Il giudice che si dichiara incompetente dispone la trasmissione degli atti a quello competente e il giudice indicato come competente se non solleva regolamento d’ufficio della competenza, dispone dinanzi a sé la prosecuzione del fallimento, nominando giudice delegato il curatore. Restano salvi gli atti compiuti nel primo fallimento.

  36. La soluzione dei conflitti Pertanto anche dopo la riforma è la Corte di cassazione, adita in sede di regolamento d’ufficio, a risolvere i conflitti positivi o negativi di competenza. Avverso le sentenze che dichiarano il fallimento e sottintendono la competenza del giudice adito, è consentito in caso di impugnativa mista il reclamo ex art. 18, in caso di impugnativa solo per la competenza, il regolamento. Avverso i decreti di rigetto, previo reclamo ex art. 22, è consentito contro il decreto che decide il reclamo, il regolamento di competenza.

  37. La legittimazione: art. 6 L’art. 6 dopo la riforma esclude un impulso officioso per la dichiarazione di fallimento, escludendo che il giudice possa d’ufficio provvedere ancorché siano implicati nel procedimento interessi generali e non particolari, rispetto ai quali è legittimato il p.m Pertanto la legittimazione spetta al creditore, al p.m. e allo stesso imprenditore/debitore.

  38. La vera legittimazione: il creditore Non si deve dimenticare che ex art. 118, n.1, la mancata proposizione di una domanda di insinuazione al passivo importa la chiusura del fallimento, ovvero l’impossibilità di proseguire nell’amministrazione e liquidazione fallimentare. Ciò implica l’assoluta centralità dell’iniziativa del creditore (è da constatare poi che in caso di provvedimento di rigetto legittimato al reclamo è il solo creditore (ex art. 22, 2° comma).

  39. La legittimazione del P.M. Il P.M. non ha legittimazione generalizzata, ma solo nei casi indicati nell’art. 7: - quando l’insolvenza risulti in procedimento penale e da fatti esteriori che integrino insolvenza, noti al P.M. (fuga, chiusura locali, trafugamento sostituzione e diminuzione dell’attivo); - quando l’insolvenza è segnalata dal giudice civile. La ratio della legittimazione del p.m. è nella esercizio dell’azione penale per reprimere i reati fallimentari.

  40. L’iniziativa del debitore Il debitore ha un diritto di chiedere il proprio fallimento per beneficiare degli effetti della procedura, come l’esdebitazione. Il debitore ha un obbligo a chiedere il suo fallimento, per non aggravare il suo dissesto (l’omissione con aggravio di dissesto integra il diritto di bancarotta semplice). L’inquadramento del fallimento come beneficio, non spiega la ragione per cui l’imprenditore non abbia azione di reclamo contro il diniego del suo fallimento, ciò che pone problemi di costituzionalità

  41. Il procedimento: l’audizione facoltativa La legge del 1942 prevedeva come eventuale l’audizione dell’imprenditore dopo la formulazione della domanda per la dichiarazione del suo fallimento (art. 15). Corte cost. n. 141 del 1970, che ha aperto il fallimento alla processualità e al contraddittorio, ha dichiarato l’incostituzionalità della norma, per cui l’audizione è diventata obbligatoria

  42. Art. 15: forma e termini di convocazione dell’imprenditore La pronuncia della Corte cost. lasciava tuttavia impregiudicato il profilo delle forme con le quali il contraddittorio doveva essere assicurato e del termine a difesa necessario per l’imprenditore. L’art. 15, 3° comma; assicura invece forme e termini: • termine a difesa di 15 giorni; • forma della notifica.

  43. Abbreviazione dei termini, deformalizzazione della convocazione Particolare ragione d’urgenza, ad esempio l’imminenza della scadenza dei termini di cui agli artt. 10 e 11, rende ragione di una abbreviazione discrezionale dei termini, introdotta con la novella del 2007, da parte del giudice e di modalità di convocazione “con ogni mezzo idoneo” capace di portare a conoscenza dell’imprenditore la pendenza del procedimento (art. 15, 5° comma).

  44. Convocazione non necessaria Se il fallito ha formulato egli stesso la domanda per la dichiarazione del suo fallimento, non ha senso la sua convocazione per contraddire. Più dubitativamente la giurisprudenza esclude l’obbligo di convocazione quando vi sia una reiterazione dei creditori tutti riuniti nello stesso procedimento: se egli ha contraddetto su una non deve contraddire sulle altre.

  45. I termini di costituzione Il convenuto (art. 15, 4° comma) deve costituirsi 7 giorni prima dell’udienza con memoria, deposito documenti e relazione tecnica (in relazione alla fallibilità), ma tale termine non è previsto a pena di decadenza, essendo il procedimento – come vedremo – aperto ad una sostanziale illimitata iniziativa d’ufficio nella ricerca della prova.

  46. Poteri istruttori d’ufficio Il giudice, infatti, gode di poteri istruttori accentuati: • Potendo imporre all’imprenditore il deposito dei bilanci degli ultimi tre esercizi ed una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata, nonché altre informazioni urgenti (art. 15, 4° comma); • Disporre, per il tramite del giudice delegato l’audizione delle parti, l’ammissione e l’espletamento di qualsiasi mezzo istruttorio.

  47. Divieto di istruttoria segreta Nell’esercizio dei poteri istruttori il giudice deve consentire che la prova sia raccolta con il contraddittorio delle parti o che le parti possano interloquire sulle prove precostituite, sotto pena di nullità degli atti e della sentenza che dichiara il fallimento.

  48. Il diritto alla prova delle parti Il procedimento sancisce un pieno diritto alla prova delle parti: • Mediante documenti e relazioni tecniche in allegato agli atti introduttivi (art. 15, 4° comma) ; • mediante istanza per l’espletamento di qualsiasi mezzo istruttorio, non necessariamente solo documentale (art. 15, 6° comma); • Mediante l’ausilio di consulenti tecnici (art. 15, 7° comma).

  49. Onere della prova In ordine all’art. 2697 c.c.: • il proponente deve allegare e provare la sua legittimazione (esistenza del credito anche non esigibile; esistenza di fatti di rilievo penale emersi in un dibattimento o di segnalazione del giudice civile sull’insolvenza); la qualità di imprenditore commerciale del debitore, l’insolvenza e il superamento della soglia di cui all’art 15 u.c.; • il convenuto deve provare il non superamento della propria impresa delle soglie quantitative per la non fallibilità (art. 1, 2° comma)

  50. Misure cautelari In pendenza del procedimento, a tutela del patrimonio, il tribunale può emettere misure cautelari ad istanza di parte (e quindi non d’ufficio): misure assimilabili al sequestro giudiziario, aventi la durata del procedimento sino al provvedimento finale (poiché i loro effetti sono prodotti anche dalla sentenza che dichiara il fallimento, v. spossessamento dell’imprenditore)

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