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Thomas Hobbes

Thomas Hobbes. Homo homini corpus. La vita: i primi anni.

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Presentation Transcript


  1. Thomas Hobbes Homo homini corpus

  2. La vita: i primi anni • Thomas Hobbes nasce a Malmesbury in Inghilterra nel 1588. Dopo gli studi filosofici a Oxford diventa precettore del figlio dei conti Cavendish del Devonshire. Seguire la formazione del giovane nobiluomo costituisce per il nostro filosofo l’occasione di diversi viaggi: in uno di questi in Italia, conosce i galileiani di Venezia, mentre, tornato in Inghilterra ha la possibilità di entrare in contatto con Bacone e, successivamente con Galileo stesso nel 1634 ad Arcetri.

  3. La rivoluzione del 1640 • Già dal 1629 Carlo I, re d’Inghilterra, aveva sciolto le camere perché insofferente delle loro richieste circa l’habeas corpus dei membri del parlamento e il diritto, da parte loro di approvare le tasse. Nel 1640 ha tuttavia bisogno del loro appoggio per ottenere i fondi necessari a fronteggiare l’insurrezione calvinista in Scozia, appoggio che naturalmente viene negato. Ciò determina lo scoppio della guerra civile (1641-49) tra re e parlamento, capeggiato da Oliver Comwell, seguito dalle più convinte frange libertarie del puritanesimo inglese (quelle che si opponevano alla centralizzazione anglicana e presbiteriana del culto). Dopo una guerra civile sanguinosa e numerose vittorie militari del New Model Army cromwelliano, il re fu dagli scozzesi consegnato al parlamento che lo condannò a morte, facendolo decapitare nel 1649.

  4. Cromwell e la restaurazione degli Stuart • Da questo momento inizia il periodo repubblicano caratterizzato dalla dittatura sempre più consolidata di Cromwell, che peraltro ottiene notevoli successi militari contro l’Olanda e la Spagna. L’ultimo periodo della vicenda del condottiero repubblicano e calvinista inglese è caratterizzato dal malcontento per il suo crescente autoritarismo, sentimento che, diffuso in egual modo presso la borghesia che lo aveva sostenuto e i nobili che lo avevano combattuto, impedisce al figlio Richard di succedergli, dopo la sua morte nel 1656, al governo e favorisce nel 1660 il ritorno degli Stuart con Carlo II, appoggiato dalla Francia (Carlo II, dal 1645 al 1649 e dal 1651 al 1660 è esule proprio a Parigi).

  5. Hobbes in Francia • Allo scoppio dei disordini nel 1640, Hobbes che ha gia manifestato in privato e in pubblico le sue simpatie monarchiche, decide di rifugiarsi a Parigi. Egli peraltro ha già pensato un grande progetto di studi filosofico-politici, gli Elementa philosophiae, testo articolato in tre parti, che avrebbe dovuto passare dai fondamenti corporei della natura (De corpore completato nel 1655) ad un’accurata analisi antropologica (De homine, completato nel 1658), per arrivare ai fondamenti della filosofia politica e del governo (De cive, il primo che, data l’urgenza politica del pensiero hobbesiano, ha visto la luce a Parigi nel 1642). A Parigi, mentre insegna matematica al futuro Carlo II Stuart, entra in contatto con l’ambiente cartesiano, che lo stimolerà ad approfondire ulteriormente i fondamenti ontologici e gnoseologici della sua filosofia.

  6. Il ritorno in Inghilterra • Quando, nel 1651, la situazione inglese si stabilizza, Hobbes torna in patria. Egli può convivere con il governo cromwelliano poiché, più che partigiano della monarchia in sé, si mostra – e ciò è ben visibile nella sua maggiore opera di filosofia politica, il Leviatano, pubblicata non a caso in inglese nel 1651 – fautore di un governo assoluto, quale, malgrado la retorica parlamentare, si confermava essere quello del generale repubblicano.

  7. Gli ultimi anni • Dopo il 1660, Carlo II, tornato sul trono londinese, concede ad Hobbes numerosi riconoscimenti pubblici e una lauta pensione. Quindi egli può dedicarsi agli studi, non mancando di entrare in polemica con le gerarchie ecclesiastiche, che a più riprese lo accusano di ateismo ed eresia, probabilmente a causa del suo deciso statalismo che auspicava la sottomissione del potere religioso a quello statale. Dopo avere affrontato in due scritti temi relativi al diritto consuetudinario inglese (1666) e alla storia della guerra civile (1668) e dopo aver tradotto in inglese i poemi omerici, muore novantunenne ad Hardwicke, ospitato dai conti Cavendish, nel 1679.

  8. Hobbes: un razionalista-empirista • L’idea di filosofia in Hobbes è dominata da un concetto matematico di ragione, da un approccio empiristico-sensistico alla dottrina della conoscenza, e da un’ontologia radicalmente materialistica che fa da base ad entrambi. In tal senso Hobbes si fa portatore di istanze razionalistiche, in linea con le correnti continentali della filosofia europea, e al tempo stesso si lega alla tradizione empiristica tipicamente inglese.

  9. La ragione matematica • La ragione corrisponde per Hobbes ad una razionalistica capacità di calcolare e prevedere gli effetti di una qualsiasi cosa pensata. Essa è presente, pur in misura depotenziata, anche negli animali. Il ragionare si caratterizza formalmente come un’operazione matematica, tanto che i giudizi possono essere pensati come delle operazioni: dire X è Y significa aggiungere Y a X, mentre dire X non è Y significa sottrarre Y da X.

  10. Il corpo, la cosa animata, l’essere pensante • Hobbes nel De corpore fa il seguente esempio: qualcuno vede una cosa da lontano oscuramente, essa gli appare come semplice corpo, avvicinandosi egli acquisisce una nuova idea della cosa, ora gli appare come una cosa animata; recandosi ancor più vicino, la cosa animata si manifesterà come essere pensante. Nel soggetto che via via si avvicina all’idea di corpo si aggiungerà quella di animazione e poi il pensiero, così egli aggiungerà avvicinandosi via via idea ad idea e si farà un concetto completo della cosa vista. Allo stesso modo, allontanandosi, potrà constatare che via via le idee si sottraggono dal totale, per arrivare nuovamente alla nozione iniziale di corpo.

  11. Ciò che distingue l’uomo • L’uomo però si distingue dagli animali per il possesso del linguaggio di cui Hobbes dà un’interpretazione radicalmente nominalistica per comprendere la quale è però necessario affrontare la sua ontologia e la conseguente dottrina della conoscenza.

  12. L’essere • Tutto ciò che è, è capace di agire o di subire. Questa definizione del Sofista platonico, viene da Hobbes giocata in senso materialistico, così come avevano già fatto anticamente gli stoici. Solo i corpi materiali, infatti, hanno la capacità di agire o di subire un’azione, dunque solo i corpi materiali sono. Quindi tutto ciò che è, è materia, corpo.

  13. L’uomo • Anche l’uomo è essenzialmente un essere corporeo. Egli è caratterizzato da un movimento vitale finalizzato all’autoconservazione. Corpo e movimento, che identificano l’essere dell’intera natura, costituiscono i due concetti-base per interpretare l’umanità, la cui struttura interna e i cui rapporti con l’esterno sono riconducibili a meccanismi di interazione tra le parti del proprio corpo o tra i corpi naturali e il proprio.

  14. Sensazione e conoscenza • Dunque la conoscenza e il pensiero si spiegano in base a movimenti corporei. Noi conosciamo perché stimolati da un corpo esterno, che produce un movimento il quale si comunica al cervello o al cuore i quali reagiscono producendo a loro volta un movimento nelle parti organiche, che infine genera un’immagine (phantasma) del corpo esterno. Quest’ultima è l’immagine prodotta dalla sensazione e rappresenta la componente – empiristica perché derivata dall’esperienza – di ogni nostra conoscenza.

  15. Memoria e pensiero • Quando l’oggetto scompare dalla nostra facoltà percettiva, il movimento da esso prodotto, tuttavia, per legge d’inerzia rimane, sebbene depotenziato. Quindi si può conservare la corrispondente immagine e parimenti la connessione tra le immagini. Riferire un’immagine al suo oggetto esterno vuol dire individuarne la causa, così come riferire l’ordine in cui si producono le diverse immagini, significa individuare i rapporti di causa-effetto tra i diversi oggetti. Pensare significa appunto ricercare i nessi causali tra i vari fenomeni con cui entriamo in contatto.

  16. Causa ed effetto • La causa non è l’essenza di un fenomeno o la sua forma, bensì coincide con le condizioni, poste le quali, un determinato fenomeno può essere pensato come esistente e in assenza delle quali un determinato fenomeno non può essere pensato come esistente.

  17. Particolare ed universale • Nella dottrina hobbesiana, le immagini prodotte dalla sensazione si riferiscono sempre ad oggetti particolari; sono, diremmo, individualizzate. Universali sono solo i nomi, i quali costituiscono dei segni convenzionali attraverso i quali noi indichiamo una molteplicità di oggetti affini tra loro. Questo è il nominalismo hobbesiano. I nomi sono convenzioni nati arbitrariamente per indicare classi di immagini che riferiamo ad oggetti affini. Noi possiamo connettere nomi in un discorso, ma la verità in senso stretto è attribuibile solo ai discorsi.

  18. Il linguaggio • Inteso in senso nominalistico, cioè come produzione di nomi ad indicare classi arbitrarie di immagini, il linguaggio ci serve per evitare che i nostri pensieri-immagini ci sfuggano dalla memoria, per registrare le connessioni tra le immagini, per comunicare con gli altri e per generalizzare e prevedere a lunga scadenza la condotta nostra e del mondo. Se non generalizzassi infatti potrei capire che la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a due angoli retti, ma non potrei applicare tale conoscenza a tutti i triangoli. Insomma il linguaggio, nato dalla libera convenzione dei parlanti, ci libera dalla nostra dipendenza dalla singola immagine sensibile della cosa.

  19. Verità e falsità • Noi dunque connettiamo nomi che con cui abbiamo chiamato classi di immagini generate per sensazione: “Quando due nomi si congiungono insieme in una conseguenza o affermazione come questa: ‘Un uomo è una creatura vivente’, o come quest’altra: ‘Se egli è un uomo è una creatura vivente’, se il secondo nome (creatura vivente) significa tutto quello che significa il primo nome (uomo), allora l’affermazione o conseguenza è vera, altrimenti è falsa. Perché vero e falso sono attributi della parola, non delle cose, e dove non vi è parola non vi è nemmeno vero e falso” (T. Hobbes, Leviatano I, 4)

  20. Geometria, logica e fisica • Ovviamente se abbiamo a che fare con connessioni di nomi di cui si valuta esclusivamente la non contraddittorietà, la disciplina così costruita sarà certissima e vera come accade nella geometria e nella logica. Qui infatti da assiomi posti da noi deduciamo conseguenze, come se avessimo noi determinato la causa e poi dedotto l’effetto. Nella fisica si tratta invece di risalire dagli effetti dei corpi su di noi alle cause, per poi costruire un sistema deduttivo con un grado di attendibilità quindi minore.

  21. La scommessa della conoscenza • La scommessa della conoscenza è che la connessione dei nomi, cioè l’ordine artificiale che abbiamo così creato, serva per prevedere future sensazioni cioè futuri movimenti delle nostra parti organiche, secondo cioè una connessione riproducibile mediante gli stessi nomi. In questo senso il discorso sarà utile e le connessioni individuate corrette.

  22. La scienza • Quindi scienza come calcolo significa poter comporre tramite nomi delle proposizioni, e poter comporre tramite proposizioni dei ragionamenti che ci permettano di stabilire delle relazioni di causa effetto. Questo ci deve permette di prevedere l’andamento della realtà al fine di dominarla cioè di influire su di essa: “Il fine della scienza è la potenza; il fine dei teoremi sono i problemi, cioè l’arte del costruire: ogni speculazione, insomma, è stata istituita per l’azione o per un lavoro concreto” (De corpore I, 6). In sostanza la nostra mente costruisce una scienza in quanto il movimento-connessione dei suoi nomi appaia in grado di diventare un modello che riproduca i movimenti-connessioni reali per poter influire sui movimenti reali.

  23. La classificazione delle scienze • Vi può essere una scienza dei corpi in generale (de corpore), di quel corpo specifico che è l’uomo (de homine) e del corpo politico (de cive), cioè delle relazioni tra quei corpi specifici che sono gli uomini. La disciplina che connette la scienza dell’uomo e quella politica è necessariamente l’etica, poiché per capire in che modo vanno stabilite le relazioni fra gli uomini bisogna sapere qual è effettivamente il comportamento umano.

  24. Etica descrittiva e non prescrittiva • L’etica, cioè la scienza del comportamento umano è per Hobbes eminentemente descrittiva, cioè stabilisce quale è il comportamento umano e non quale dovrebbe essere, il lato prescrittivo è affidato principalmente alla politica ( vedremo successivamente come).

  25. Conservare la vita • Ciò che fa l’uomo è preservare la propria vita. Bene e male per l’uomo non sono altro che nomi per i comportamenti che nella nostra mente sono reazioni a stimoli che sono in contrasto o in accordo con il movimento di autoconservazione dell’organismo. Se lo stimolo percepito è in accordo la reazione sarà di desiderio, in caso contrario sarà di fuga, l’oggetto che provoca lo stimolo sarà di conseguenza considerato rispettivamente bene o male.

  26. La libertà • La volontà umana risulta necessitata da moventi corporei, dunque strutturalmente non è libera. Tuttavia in senso lato si può chiamare libero tutto ciò che non è ostacolato da elementi esterni. Io non sono libero di volere o non volere del cibo se ho fame, posso essere libero di accedere o meno al cibo. In questo secondo senso ci può essere libertà se vi è assenza di costrizioni esterne.

  27. Relativismo • Siccome ognuno cerca ciò che soddisfa il proprio istinto vitale, e l’oggetto varia a seconda degli individui e delle circostanze in cui sono inseriti, l’etica di Hobbes si caratterizza come radicalmente individualista e relativista. Tale impostazione ha importanti conseguenze politiche.

  28. Politica e stato di natura • Per Hobbes l’uomo, puntando esclusivamente al mantenimento di se stesso, è tendenzialmente aggressivo ed egoista. Se lo consideriamo al di fuori di ogni regola civile, che limita tale sua aggressività, il suo carattere emerge in tutta la sua drammatica realtà. E’ quanto accade nello stato di natura, una condizione prepolitica postulata da Hobbes proprio per far comprendere la reale dimensione aggressiva dell’umanità. In sostanza Hobbes prova, con un esperimento mentale, a pensare come sarebbe l’uomo se fossero eliminate le condizioni del vivere comune stabilite dalle leggi elaborate in sede politica e di governo, e se nessuno avesse l’autorità per farle rispettare. Tale situazione ipotetica e non storica è da lui chiamata stato di natura.

  29. L’uomo nello stato di natura • In tale situazione l’uomo sarebbe un lupo per l’uomo (homo homini lupus) perché l’essere posto nell’assoluto diritto su tutto, lo condurrebbe a ricercare liberamente la soddisfazione delle proprie inclinazioni, senza alcun riguardo per l’altro. Così si arriverebbe a un conflitto generalizzato, perché nessuno potrebbe negare ad un altro la prerogativa di cercare il proprio bene, anche qualora tale bene fosse stato da acquisito da un soggetto che ne vuole godere in modo esclusivo. Infatti nello stato di natura vige una condizione di generale uguaglianza fra gli uomini: nessuno può fare qualcosa che qualcun altro non abbia il diritto di fare. Mettendo insieme detta uguaglianza e la volontà di godere in modo esclusivo di beni che altri intenderebbero pure godere allo stesso modo, si produce una conflittualità insanabile: un bellum omnium contra omnes (guerra di tutti contro tutti).

  30. La guerra civile • Ecco allora descritta quella situazione di difficoltà estrema e di crudeltà diffusa in cui ciascun uomo è posto in conflitto con altri, la situazione che lo stesso Hobbes aveva potuto sperimentare osservando le degenerazioni della guerra civile inglese del 1640, in un contesto di lotta fra poteri, anarchia, e ricorso continuo alle armi. Si tratta di una guerra particolarmente crudele, perché sregolata, senza altra possibilità di conclusione se non l’eliminazione totale dell’avversario.

  31. Le leggi di natura • Ciò malgrado esiste anche nello stato di natura ciò che può essere indicata come una sorta di legge, anche se il termine non è pienamente corretto, giacché si tratta di una legge che non ha coattività, non essendo riconosciuta alcuna autorità in grado di farla rispettare. Tale legge è data dal fatto che, pur nello stato di natura, l’uomo possiede la ragione e comprende che la condizione di conflitto generalizzato rende il suo diritto su tutto assolutamente aleatorio, giacché, avendo altri il medesimo diritto, nessuno può godere in sicurezza dei beni cui legittimamente aspira.

  32. Il contenuto delle leggi di natura • Le leggi di natura indicano agli individui quel comportamento razionale che presuppone la valutazione dei propri atti in relazione alle conseguenza vantaggiose o svantaggiose cui possono dare luogo. Il primo di tali precetti indica la necessità di ricercare la pace ove possibile e, in alternativa, di ricercare aiuti per la guerra. Insomma si tratta di rendersi conto che la pace è la condizione migliore e più vantaggiosa, mentre, in seconda istanza, se non è possibile evitare una guerra, è necessario vincerla.

  33. La rinuncia al diritto su tutto • Se la pace è da ricercare, è ovvio che ciascuno non può mantenere il diritto su tutto, perché bisogna concedere che colui con il quale si fa la pace abbia a disposizione dei vantaggi e dei beni di cui godere. Se così è necessario addivenire ad un accordo. È poi necessario che tale accordo sia rispettato dalle parti contraenti. Di qui un’altra legge di natura: pacta sunt servanda (i patti vanno rispettati).

  34. Le prime tre leggi di natura • In questo modo si determinano le prime tre leggi di natura: • Ricerca la pace • Rinuncia al diritto su tutto • Rispetta i patti A siffatte indicazioni, Hobbes, per deduzione aggiunge altre sedici regole razionali, che garantirebbero, attraverso una pacifica convivenza, la possibilità, pur limitata, di godere di alcuni beni fondamentali, in alternativa all’astratto e ingodibile diritto di tutti su tutto.

  35. Non coattività delle leggi di natura • Il problema però rimane, poiché non essendovi un’autorità che garantisca l’osservanza delle leggi, chiunque, per ottenere un vantaggio immediato, po’ decidere di trasgredirle, riportando la situazione indietro alla condizione di generale conflitto. Infatti la trasgressione di un individuo comporterebbe un effetto domino e genererebbe ulteriori reciproci atti di trasgressione in un processo inarrestabile.

  36. L’uscita dallo stato di natura • Data l’insufficienza della sola legge naturale, si rende necessario uscire dallo stato di natura. Ma come? Attraverso un accordo che dia origine ad una condizione diversa. Tra i vari individui si stipula un contratto che elimina l’insicurezza e procura a tutti la tranquillità. Ciascun individuo decide di rinunciare al proprio originario diritto su tutto per formare una società e contemporaneamente trasferisce ad un terzo soggetto, il sovrano che non partecipa al patto, ogni diritto per consentirgli di emanare e far rispettare le leggi.

  37. Lo Stato • Hobbes chiama il reciproco accordo di cessione dei diritti al sovrano, pactum unionis, il quale implica un pactum societatis, cioè il patto che fonda la società, e il pactum subjectionis, poiché nel momento stesso in cui si fonda la società, ci si sottomette ad un sovrano, esterno al patto, quindi non obbligato da nessuno, detentore di tutti i diritti, libero e incondizionato nell’agire, il cui unico obbligo sta nell’efficacia della sua azione pacificatrice.

  38. Il Leviatano • Per simboleggiare la sovranità assoluta dello Stato, Hobbes utilizza l’immagine biblica del Leviatano, il mostro marino dalla potenza invincibile, che nella copertina del testo omonimo è rappresentato come un grande uomo formato da un gran numero di uomini piccoli, da cui esso trae la forza di governare sia da un punto di vista strettamente politico sia da un punto di vista religioso (infatti il Leviatano tiene nelle sue mani lo scettro del comando e la pastorale del potere religioso).

  39. La sovranità decide • Il sovrano deve mantenere la pace per permettere ai cittadini della società civile di vivere e prosperare. I cittadini tuttavia non hanno alcun diritto di fronte allo Stato, il cui potere è assoluto. Infatti il potere sta propriamente nella facoltà di decidere su ogni argomento. Ogni concetto, ogni questione che può divenire motivo di contrasto deve essere risolta dallo Stato. Quindi se i cittadini devono avere proprietà, lo Stato non solo determina in quale misura e secondo quali regole, ma esso stabilisce anche che cosa vada inteso per proprietà. Allo stesso modo vale per le leggi, il diritto, la guerra, la religione. Solo infatti se la decisione è del sovrano l’ordine può essere garantito. Ogni diritto a decidere tolto al sovrano rappresenta una limitazione e cessione della sua sovranità, dunque una contro sovranità che degenera in conflitto, distruggendo il corpo sociale e riproponendo la condizione di guerra civile.

  40. La sovranità è irrevocabile e sciolta dalle leggi • Nessuno può stabilire limiti di tempo e di spazio alla sovranità, poiché se qualcuno decidesse questo per il sovrano il sovrano non sarebbe più tale. Nessuna legge, nemmeno quella promulgata dal sovrano stesso, può limitarne l’agire, poiché vi dovrebbe essere qualcuno che la renda coattiva nei confronti del sovrano, e dunque quest’ultimo sarebbe il vero sovrano.

  41. L’unico dovere del sovrano: l’efficacia • L’unico dovere del sovrano è quello di essere “succesful”, cioè di avere successo e di essere efficace nel suo compito, preservando la pace nello Stato, il che è condizione essenziale perché la vita dei cittadini possa essere difesa. Per contro i cittadini non hanno alcun diritto, se non quello di non rinunciare alla propria vita.

  42. Ci si può ribellare al sovrano? • Nessuna ribellione è ammessa, poiché se il sovrano non ha successo, lo Stato si dissolve nei fatti e quindi nessuna ribellione è necessaria, se invece ha un minimo di successo e mantiene un minimo di condizioni di vivibilità, la sua sovranità è vigente e lo Stato mantiene ogni diritto.

  43. La forma di governo • Per Hobbes la forma di governo è indifferente. A governare può essere un singolo o un assemblea. L’importante è che gli organi dello Stato mantengano intatta la sovranità. Tuttavia nel De cive, citando Aristotele, Hobbes dice che comunque è meglio che uno solo governi. Il governo di uno solo prende decisioni più in fretta e in modo più efficiente, inoltre, ammettendo un certo livello di clientelismo e corruzione, data la fallibilità della natura umana, la corte dell’unico sovrano è certamente più ristretta che le molteplici corti dei numerosi membri dell’assemblea, grazie ai quali le clientele aumentano smisuratamente a detrimento del funzionamento generale dello Stato.

  44. Il potere religioso • Lo Stato è una sorta di Dio mortale, che sopra di sé ha solo il Dio immortale. Lo Stato ben formato è lo Stato cristiano. E’ vero che in fondo la signoria di Cristo è esempio e modello di ogni signoria e la religione cristiana è il fondamento di ogni convivenza civile, col suo precetto della carità. Nondimeno la domanda che si pone è “Chi interpreta il messaggio di Cristo tramamandatoci dalle Scritture?”

  45. Quis judicabit? Quis interpretabitur? • Chi giudicherà? Chi interpreterà? E’ chiaro che se l’assemblea dei cristiani, intesa come Chiesa distinta dal potere politico, si arroga il diritto di interpretare le Scritture e di guidare i cristiani decidendo che cosa sia giusto per loro, si genera una sfera in cui la sovranità dello Stato viene limitata. Una sfera molto vasta, data la religiosità del popolo. Al suo interno sarà inoltre possibile il disaccordo e il conflitto, come dimostrano le guerre di religione che hanno insanguinato l’Europa e l’Inghilterra nel XVII secolo. Quindi la pace non potrà essere preservata.

  46. La soluzione … lo Stato • Dati i rischi della presenza di un contropotere che possa impedire allo Stato di svolgere il suo compito, ogni potestà religiosa va affidata al potere politico, che decide che cosa debba essere inteso per religione, per devozione, e come debbano essere interpretati tutti i concetti religiosi e morali. La gerarchia ecclesiastica deve essere, come tutto il resto, sottomessa allo Stato e mantiene una funzione importante soltanto per quanto riguarda l’insegnamento.

  47. Un contrattualismo assolutista • La dottrina politica di Hobbes, a differenza di quelle classiche di derivazione aristotelica, ritengono l’ambito della politica una sfera artificiale: l’uomo non è per natura animale politico, per natura l’uomo è un animale non socievole e portato alla sopraffazione. Lo Stato, quindi, risulta essere un artificio, un prodotto della volontà umana che in ogni individuo genera la possibilità di un accordo, cioè di un contratto. Lo Stato è il prodotto di un contratto, ma non solo lo Stato, anche la società. Senza sovranità vi è conflitto e non è possibile convivenza sociale. Dunque senza Stato non vi è società, ma solo un accostamento di individui in conflitto fra loro. Tutto ciò ha il presupposto dell’intoccabilità e pienezza della sovranità statale: qualunque elemento che la limiti, perciò stesso la distrugge.

  48. Lo stato di natura internazionale • Se nello Stato la questione della pace e della sovranità è definitivamente risolta, che cosa avviene fra gli Stati? Nei rapporti internazionali non si può evidentemente pretende che vi siano delle leggi che regolino l’azione dei vari Stati, infatti la presenza di tali leggi, limiterebbe la libera sovranità di ciascuno. Quindi il rapporto fra gli Stati è lasciato nella condizione dello stato di natura, in cui il conflitto è sempre possibile.

  49. La pace fra le nazioni? Non vi si può sperare se non in virtù dell’obbedienza al proprio Stato • “Non potete sperare in una pace di questo tipo fra due nazioni, poiché non esiste in questo mondo un’autorità comune, capace di punire le ingiustizie che quelle commettono. Il timore reciproco potrà per un certo periodo di tempo tenere tranquille le nazioni, ma appena una di esse si sentirà più forte aggredirà l’altra; evidentemente il momento più favorevole per aggredire è quello in cui una obbedisce al proprio re e l’altra no. E allora è lecito ritenere che la pace interna sia durevole, quando l’uomo comune viene persuaso dell’utilità di obbedire e di seguire il suo sovrano e del danno che gliene verrà se ascolterà coloro i quali lo ingannano con le loro promesse di riforme o di mutazioni di governo” (T. Hobbes, Dialogo fra un filosofo e una studioso del diritto comune d’Inghilterra, in Opere politiche di Thomas Hobbes, tr. it. di N. Bobbio, Utet, Torino, 1971, pp. 403-404).

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