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Don DeLillo: Infanzia e adolescenza

Don DeLillo: Infanzia e adolescenza. Nasce il 20 nov. 1936 nel Bronx, vicino ad Arthur Avenue, in un quartiere abitato prevalentemente da italo-americani; I genitori erano originari di Montagano, un paese in provincia di Campobasso, emigrati subito dopo la Prima guerra.

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Don DeLillo: Infanzia e adolescenza

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Presentation Transcript


  1. Don DeLillo: Infanzia e adolescenza • Nasce il 20 nov. 1936 nel Bronx, vicino ad Arthur Avenue, in un quartiere abitato prevalentemente da italo-americani; • I genitori erano originari di Montagano, un paese in provincia di Campobasso, emigrati subito dopo la Prima guerra. • Cfr. Don DeLillo, Intervista con Gordon Burn, Wired Up and Whacked Out (1991): “I miei genitori sono nati in Italia. Mio padre venne in questo paese nel 1916, credo, quando era un ragazzino di nove anni. C’erano mia nonna, mio padre e i suoi fratelli e sorelle. Erano sette persone in tutto, incluso un nano e un bambino che mia nonna aveva raccolto lungo la strada, a Napoli”. “Alla fine mio padre andò a lavorare per la Metropolitan Life Insurance Company come una sorta di revisore dei conti, seduto a un tavolo in un enorme ufficio con intorno un centinaio di tavoli identici, qui a New York”.

  2. Don DeLillo: Infanzia e adolescenza • A parte un breve periodo in Pennsylvania, trascorre gran parte della sua infanzia e adolescenza in questo quartiere popolare del Bronx, che lascerà tracce molto evidenti su tutta la sua opera. • In particolare, racconta che è stata un’infanzia passata all’insegna dei giochi (carte, biliardo), dei giochi di strada e degli sport, soprattutto basket, football e “ogni concepibile forma di baseball”. • Don DeLillo, Intervista con Vince Passaro, Dangerous Don DeLillo (1991): “Nessuno aveva una palla da quelle parti. Di solito appallottolavamo un pacco di giornali con lo scotch e usavamo quello. Era la nostra palla”.

  3. Don DeLillo: Studi e formazione La sua educazione si svolge in scuole e università cattoliche: • Prima alla “Cardinal Hayes High School”, una scuola cattolica maschile, dove si diploma nel 1954; • Poi alla “Fordham University” (sempre nel Bronx, retta da gesuiti), dove si laurea in “arti e comunicazione” nel 1958. • Don DeLillo, Intervista con Vince Passaro, Dangerous Don DeLillo (1991): All’università “studiavo poco e niente. Mi sono specializzato in una cosa chiamata communication arts”. Poi aggiunge, a proposito dell’educazione cattolica: “Penso che nella mia opera ci sia un senso delle cose ultime che probabilmente proviene da un’infanzia cattolica. Per un cattolico, non c’è nulla di più importante da discutere o su cui pensare, perché è allarmato dall’idea che potrebbe morire in qualunque istante e che se non vive la sua vita in un certo modo la sua morte è semplicemente un preludio a un’eternità di sofferenze”.

  4. Don DeLillo: Studi e formazione Don DeLillo, Intervista con Robert Harris, A Talk with Don DeLillo (1982): “Penso che New York stessa abbia esercitato un’influenza enorme. I quadri al Museum of Modern Art, la musica alla Jazz Gallery e al Village Vanguard, i film di Fellini e di Godard e di Howard Hawks. E c’era una comica anarchia negli scritti di Gertrude Stein, Ezra Pound e altri. Anche se non vuoi necessariamente scrivere come loro, a uno che ha vent’anni quel genere di opere suggerisce libertà e senso del possibile. Ti può far vedere non solo la scrittura, ma il mondo stesso in un modo completamente diverso”.

  5. Don DeLillo: Studi e formazione Don DeLillo, Intervista con Adam Begley, The Art of Fiction: Don DeLillo (1993): “Domanda: Da ragazzo leggevi?Risposta: All’inizio non molto. Dracula a quattordici anni… E sì, la trilogia di Studs Lonigan [trilogia di romanzi, opera di James T. Farrell], che mi mostrò che la mia stessa vita, o qualcosa del genere, poteva essere materia d’analisi per uno scrittore. Era una scoperta sorprendente. Poi, quando avevo diciotto anni, trovai un lavoro estivo come sorvegliante di un parco giochi. Mi dissero di indossare una maglietta bianca, pantaloni marroni e scarpe marroni e un fischietto intorno al collo – al fischietto ci pensarono loro. Ma non comprai mai il resto della divisa”.

  6. Don DeLillo: Studi e formazione Don DeLillo, Intervista con Adam Begley, The Art of Fiction: Don DeLillo (1993): “Indossavo blue jeans, camicie a quadretti e tenevo il fischietto in tasca, e me ne stavo seduto su una panchina travestito da comune cittadino. Ed è lì che ho letto Faulkner, As I Lay Dying e Light in August. E venni pagato per quello. E poi James Joyce, e fu grazie a Joyce che imparai a vedere qualcosa nel linguaggio che irradiava luce [that carried a radiance], qualcosa che mi faceva sentire la bellezza e il fervore delle parole, l’idea che una parola possiede una vita e una storia. […] Tutto questo in un parco giochi del Bronx”.

  7. Don DeLillo: Il lavoro, i primi racconti, l’omicidio di JFK • 1959: Un anno dopo la laurea, trova lavoro come pubblicitario presso la Ogilvy & Mather. Un’esperienza breve, che dura cinque anni e che lui stesso definisce poco interessante; • Intervista del 1991, in cui dice che quel lavoro faceva parte di “un’altra vita. Non ne voglio parlare”; • Aggiunge che, dopo avere lasciato il lavoro, “mi sono imbarcato sulla mia vita, la mia vera vita” [quella di scrittore].

  8. Don DeLillo: Il lavoro, i primi racconti, l’omicidio di JFK In questi anni comincia a scrivere, soprattutto racconti: • 1960: Pubblica il suo primo racconto, The River Jordan, su “Epoch”, la rivista letteraria della Cornell University; • 1962: Esce un altro racconto, Take the “A” Train, sempre in “Epoch”, e altri ne seguiranno negli anni successivi.

  9. Don DeLillo: Il lavoro, i primi racconti, l’omicidio di JFK Don DeLillo, Intervista con Anthony DeCurtis, Matters of Fact and Fiction (1988): Il 22 novembre 1963, “stavo pranzando con due amici in un ristorante nel West Side di Manhattan e venni a sapere dell’attentato in banca, poco dopo. Sentii per caso un impiegato della banca che raccontava a un cliente che avevano sparato al Presidente, a Dallas. E la mia prima, curiosa reazione fu: ‘Non sapevo nemmeno che fosse a Dallas’. Ovviamente era del tutto fuori luogo. Ma la piccola sorpresa di allora lasciò il posto all’enorme shock di ciò che significavano quelle parole”.

  10. Don DeLillo: Il lavoro, i primi racconti, l’omicidio di JFK Don DeLillo, intervista con Gordon Burn, Wired Up and Whacked Out (1991): “Lavoravo in un’agenzia pubblicitaria e stavo pranzando con due persone, e uno di loro fu a sua volta colpito e ucciso dieci anni dopo, assassinato durante una rapina in casa sua. Così l’altra persona e io abbiamo la sensazione di essere sopravvissuti a qualcosa – qualcosa di personale e significativo”. “In quello stesso weekend dell’assassinio, dovevo andare in aereo a Detroit. Mi sembrava che l’intera nazione fosse immersa nella morte, e l’ultima cosa che volevo fare era prendere un aereo. E ovviamente un motore prese fuoco, e dovemmo tornare all’aeroporto facendo un atterraggio di emergenza”.

  11. Don DeLillo: Il lavoro, i primi racconti, l’omicidio di JFK Don DeLillo, Intervista con Adam Begley, The Art of Fiction: Don DeLillo (1993):Domanda: “Dicevi che i tuoi libri non avrebbero potuto essere scritti nel mondo che esisteva prima dell’omicidio Kennedy”Risposta: “La nostra cultura è cambiata in modo rilevante. E questi cambiamenti sono tra le cose che sono entrate nella mia opera. C’è la frantumata casualità dell’evento, la motivazione mancante, la violenza che la gente non solo commette ma che sembra guardare simultaneamente da una distanza disinteressata. Poi l’incertezza che proviamo a proposito dei fatti basilari che circondano il caso – il numero dei cecchini, il numero degli spari e così via. La nostra presa sulla realtà [our grip on reality] ne è rimasta un po’ minacciata”.

  12. Don DeLillo: Il lavoro, i primi racconti, l’omicidio di JFK Don DeLillo, Intervista con Adam Begley, The Art of Fiction: Don DeLillo (1993): “Ogni rivelazione a proposito dell’evento sembra produrre nuovi livelli di segreto, legami inaspettati, e credo che questo sia stato parte del mio lavoro, la mentalità clandestina – il modo in cui la gente comune si spia a vicenda, in cui i centri di potere operano e manipolano”.

  13. Don DeLillo: I romanzi Dopo avere lasciato il mondo della pubblicità, DeLillo si mantiene con molte difficoltà, facendo vari lavori. • Intanto inizia la stesura del suo primo romanzo, Americana, che gli costa molti anni di lavoro e che viene pubblicato nel 1971; • Seguiranno End Zone (1972) e Great Jones Street (1973). • Don DeLillo, Intervista con Adam Begley, The Art of Fiction: Don DeLillo (1993): “Anche quando ero bene immerso nel mio primo romanzo, non avevo un metodo di lavoro, un’affidabile routine. Lavoravo a casaccio, spesso a tarda notte, talvolta al pomeriggio. Passavo troppo tempo a fare altre cose o a non fare assolutamente nulla. Nelle umide notti estive inseguivo i tafani nell’appartamento e li uccidevo – non per la carne ma perché mi stavano facendo impazzire con il loro ronzio. Non avevo sviluppato una consapevolezza sufficiente del livello di dedizione necessario per fare questo tipo di lavoro”.

  14. Don DeLillo: I romanzi Don DeLillo, Intervista con Tom LeClair, Anything Can Happen (1979): “Quando ero circa a metà di Americana, che ha richiesto più o meno quattro anni di lavoro, mi venne in mente quasi in un lampo che ero uno scrittore. Qualunque senso di provvisorietà che avevo provato a proposito del libro svanì. L'ho concluso con la sensazione di mettere da parte una cosa difficile, molto ingombrante, con la sensazione di aver dimostrato certe cose a me stesso”. “In quel periodo vivevo in un piccolo appartamento senza forno e con il frigo in bagno, e pensavo che i primi romanzi scritti in quelle circostanze dovevano essere romanzi in cui grossi pezzi di esperienza venissero urlati sulla pagina. Ed è quello che feci. Il manoscritto originale era più alto della mia radio”.

  15. Don DeLillo: I romanzi • 1975: Si sposa con Barbara Bennett, originaria del Texas, bancaria che poi diventerà un’architetto del paesaggio. Vivono a Toronto per circa un anno, nel 1975, mentre lei è impiegata alla Citybank. • Nel frattempo, DeLillo si dedica a studi molto approfonditi di matematica che confluiranno nel suo romanzo successivo, Ratner’s Star (1976). Dice di essere stato attratto “dalla bellezza del linguaggio scientifico, dal mistero dei numeri, dall’idea della matematica pura come una storia segreta e un linguaggio segreto” (Intervista 1993). • I romanzi successivi sono Players (1977) e Running Dog (1978)

  16. Don DeLillo: I romanzi Alla fine degli anni Settanta, DeLillo intraprende viaggi in Medio Oriente, India e soprattutto recia, dove rimane tre anni. • Tutte queste esperienze confluiscono in un nuovo romanzo, The Names (1982), che sviluppa una sofisticata riflessione sul linguaggio e che ha un discreto successo di pubblico. • Don DeLillo, Intervista con Robert Harris, A Talk with Don DeLillo (1982): “La scoperta era che tutto questo viaggiare mi ha insegnato a vedere e sentire tutto in modo nuovo. Qualunque siano le idee sul linguaggio presenti in The Names, penso che la cosa più importante sia quello che ho provato nel sentire le persone e nell’osservare i loro gesti – nell’ascoltare il suono del greco e dell’arabo e dell’hindi e dell’urdu. Il semplice fatto che stavo affrontando nuovi paesaggi e nuove lingue mi ha fatto sentire quasi il dovere di farlo bene. Riuscivo a vedere e sentire più chiaramente di quanto ho potuto fare in luoghi più familiari”.

  17. Don DeLillo: I romanzi • 1982: Dopo il soggiorno in Grecia, torna negli USA e scrive il romanzo che comincia a renderlo famoso e che è considerato uno dei testi fondamentali della letteratura postmoderna, White Noise (1985). Vince il National Book Award. • Don DeLillo, Intervista con Mervyn Rothstein, A Novelist Faces His Themes on New Ground (1987): “Ho vissuto all'estero per tre anni, e quando sono tornato in questo paese, nel 1982, ho cominciato a notare qualcosa in televisione che non avevo notato prima. Era il quotidiano stillicidio tossico − c'erano le notizie, il tempo, e lo stillicidio tossico. Era un fenomeno che nessuno aveva nemmeno menzionato. Era semplicemente una realtà televisiva. […] Questa è stata una delle forze motivanti di White Noise”.

  18. Don DeLillo: I romanzi Già durante la stesura di White Noise, DeLillo comincia a progettare un lavoro esplicitamente dedicato all’omicidio Kennedy: • Nel 1983 interrompe temporaneamente la stesura del romanzo e scrive un saggio, pubblicato su “Rolling Stone”; • Nel 1985 comincia a pensare seriamente a un romanzo, per il quale compie un enorme lavoro di documentazione: studia i 26 volumi della Commissione Warren, i rapporti del FBI, passa molto tempo a Dallas e a New Orleans dove Oswald è stato in alcuni periodi; • Il risultato sarà Libra, scritto negli anni successivi e pubblicato nel 1988; il suo primo best-seller, che vince numerosi premi letterari.

  19. Don DeLillo: I romanzi • Don DeLillo, Intervista con Adam Begley, The Art of Fiction: Don DeLillo (1993): “Libra avrà un effetto persistente su di me in parte perché mi sono fatto coinvolgere così profondamente nella storia e in parte perché la storia non ha una fine, qui, nel mondo al di là del libro - nuove teorie, nuovi sospetti e nuovi documenti continuano ad apparire. E non finirà mai”.

  20. Don DeLillo: I romanzi • Il romanzo successivo è Mao II (1991), che ha come temi principali il terrorismo e il ruolo dello scrittore Romanzi scritti dopo Underworld (1997): • The Body Artist, 2001 • Cosmopolis, 2003 • Falling Man, 2007 • Point Omega, 2010

  21. La genesi del romanzo Don DeLillo, The Power of History (“The New York Times Book Review”, Sunday, September 7, 1997): “All’inizio non era molto, una breve diversione che nasceva dalle colonne allineate del giornale. La storia riguardava il quarantesimo anniversario di una famosa partita di baseball giocata a New York nel 1951. Lessi l’articolo, sorseggiando il mio caffè mattutino, e ricordai perfino dove fossi, quattordicenne, quando la partita giunse al climax e salì fino al cielo. Tuttavia, un attimo dopo aver concluso la lettura, dimenticai tutto. C’erano altre storie, altre preoccupazioni, un altro giorno da affrontare oltre la fantasticheria da colazione. […]Ma alcune settimane dopo ritornò. Mi sorpresi a riflettere sull’evento in modo diverso, con una prospettiva ampia, storica, come un esempio di qualche irripetibile fenomeno sociale, e non potei scrollarmi di dosso l’impatto del grandioso finale della partita – il boato di giubilo nel vecchio Polo Grounds e in gran parte della città quando Bobby Thomson dei Giants batté il fuoricampo vincente”.

  22. La genesi del romanzo “Scesi nei sotterranei di una biblioteca locale per cercare qualche cronaca della partita. Non avevo una motivazione chiara. Solo una curiosità, un’intuizione. Localizzai il giusto rotolo di microfilm, lo infilai nel rullo e sfiorai il pulsante della velocità. Era come vedere la storia nel microonde, con le pagine del giornale che scorrevano sullo schermo in uno sfumato bianco e nero. Quando rallentai il movimento e trovai la data che cercavo, fissai lo schermo per qualche istante, provando una distaccata fascinazione, uno scontro di emozioni − penso cercassi di rimanere obiettivo di fronte a una rivelazione, una connessione inaspettata, una simmetria che sembrava attendesse solo di essere scoperta da qualcuno.Prima pagina del “New York Times”, 4 ottobre 1951. Una coppia di titoli appaiati nella parte superiore della pagina. Stesso carattere, stesso corpo. Ogni titolo largo tre colonne, disposto su tre righe”.

  23. La genesi del romanzo “I Giants vincono il campionato – era il contenuto drammatico del primo titolo.Il secondo esperimento atomico sovietico – era l’inquietante minaccia del secondo”.

  24. La genesi del romanzo “Che cosa vidi in questa giustapposizione? Due tipi di conflitti, certamente, ma anche qualcos’altro, forse molte cose – all’epoca non ero in grado di dirlo. Vidi, soprattutto, il potere della storia. È questo che mi tenne fermo sulla sedia girevole, con gli occhi fissi sullo schermo […]. Un narratore avverte il richiamo quasi palpabile dei grandi eventi che lo spingono a immergersi nella narrazione. Lo studio appassionato del materiale documentario è una cura salutare per la crescita smisurata dell’io e l’interiorità sfrenata che un lungo romanzo può infliggere a uno scrittore”.

  25. La genesi del romanzo “E la prospettiva di recuperare una lingua quasi perduta, la parlata e il gergo sconnesso del periodo postbellico, nonché l’esistenza stessa dello scrittore, ma in gran parte offuscata nella profonda distanza – quali sfoghi di piacere preliminare può evocare tutto questo. Una lingua per rinvigorire i sensi. Un soggetto di grandi proporzioni, molto coinvolgente. Questi erano sentimenti che sarebbero giunti più tardi. Al momento, nei sotterranei della biblioteca, solo un lieve silenzio. Un senso della storia. Il fuoricampo che chiuse la partita – presto conosciuto, con grande enfasi, come ‘Il botto che ha fatto il giro del mondo’ – aveva trovato il suo vasto e orribile contrappunto. Un fungo atomico russo”.

  26. La genesi del romanzo Don DeLillo, The Power of History: “Qualche tempo dopo essere emerso dai sotterranei della biblioteca, venni a sapere che un pittoresco quartetto aveva assistito alla partita. Jackie Gleason, Frank Sinatra, Toots Shor and J. Edgar Hoover. Tre nottambuli spacconi e un austero uomo di legge. […] Il nome di Hoover fu una sorpresa, quel genere di scoperte fortunate che fanno credere a uno scrittore di essere baciato dal destino. […] È stata la presenza di Hoover sulla scena che mi ha permesso di portare la notizia dell’esperimento atomico sovietico nel Polo Grounds e per impostare un primo tono dei mutevoli conflitti che volevo esaminare”.

  27. Pieter Bruegel, Il trionfo della morte (1562 circa)

  28. La genesi del romanzo Così, De Lillo mette insieme questi tasselli narrativi e inizia a scrivere. Ma non progetta da subito un romanzo. Scrive invece un racconto lungo, intitolato Pafko at the Wall, a cui lavora per un anno e che viene pubblicato nell’ottobre 1992 su “Harper’s”. • Don DeLillo, Intervista (in un art. intitolato Everything under the bomb, “The Guardian”, 10 gen. 1998): “Non so che cosa mi abbia spinto [a pubblicare Pafko at the Wall]. Forse cercavo qualche incoraggiamento pubblico. Certo non avevo mai fatto una cosa del genere, prima. Non lo pubblicai con lo spirito con cui si pubblicano estratti di un romanzo già concluso, che è una forma di pubblicità. Non che io fossi convinto che rappresentasse l’inizio e la fine di questa esperienza. Devo aver sentito che lì c’era qualche speranza di un’opera più vasta”.

  29. La genesi del romanzo Don DeLillo, Intervista con Adam Begley, The Art of Fiction: Don DeLillo (1993): “Verso la fine del 1991 cominciai a scrivere qualcosa di nuovo e non sapevo che cosa sarebbe diventato – un romanzo, un racconto, un racconto lungo. Era semplicemente un pezzo di scrittura, e mi diede maggior piacere di qualunque cosa avessi mai scritto. Si trasformò in un racconto lungo [novella], Pafko at the Wall. Ma a un certo punto decisi che non avevo finito con quel pezzo. Stavo lanciando segnali nello spazio e ricevendo indietro echi, come un delfino o un pipistrello. Così il pezzo, lievemente modificato, è diventato il prologo di un romanzo in progress, che avrà un titolo diverso. E il piacere è da tempo svanito nella dura realtà della no man’s land del lungo romanzo. Ma sto ancora sentendo gli echi”.

  30. La genesi del romanzo Don DeLillo, Intervista in Everything under the bomb: “Nel prologo, ci sono un paio di frasi che descrivono un ragazzo sedicenne del Bronx che sta ascoltando la partita in una radio portatile. È quello che poi sarebbe diventato Nick Shay, anche se a quell’epoca non lo sapevo ancora. Non è qualcosa che ho inserito dopo, per introdurlo nelle prime pagine. Era già là, e non so esattamente perché”. “Non ero io. Io ero un po’ più giovane. Non avevo una radio portatile, non ascoltavo le partite di baseball, e non ero un tifoso dei Dodgers. Eppure c’era qualcosa. Questo ragazzo, perché mai doveva essere nel Bronx in quel particolare paragrafo? Non lo so. Ma è quello che ho scritto. E non l’ho cambiato. E alla fine è diventata una voce in prima persona”.

  31. La genesi del romanzo Don DeLillo, Intervista in Everything under the bomb: “Quando decisi che sarei andato avanti, mi resi conto che avrei dovuto impegnarmi per un’enorme quantità di tempo. Ma accolsi l’idea, davvero. Quando il soggetto è così coinvolgente – e questo lo era per me – non mi importa quanti anni o quante parole siano necessarie. Sentii che ero pronto”. “Sapevo che sarebbe stato un libro lungo, ma non sapevo che avrebbe coperto un arco di 45 anni. Non sapevo che la struttura avrebbe assunto quella forma. Probabilmente colpisce il lettore come più o meno inevitabile, o almeno logica, ma ogni sviluppo mi colpì come un’enorme rivelazione. E quando iniziai originariamente a scrivere la Parte Prima, corrispondeva a quella che ora è la Parte Sesta”.

  32. La genesi del romanzo Don DeLillo, Intervista in Everything under the bomb: “Avevo scritto per circa tre settimane, e mi trovavo benissimo con il materiale, ma a mano a mano che il tempo passava, mi resi conto che qualcosa non funzionava, e che avevo bisogno di un enorme salto tra la partita e l’inizio del romanzo vero e proprio. Non so bene perché. O meglio, lo so. Quello che stavo facendo era troppo convenzionale. E a quel punto ho fatto il salto, non solo un salto cronologico ma la cosa che ha reso il romanzo eccitante per me, avanzare di quarant’anni verso il futuro e adottare improvvisamente una voce in prima persona che non aveva assolutamente nulla a che fare con il prologo, e quindi tornare indietro. A quel punto mi sono reso conto che stavo facendo qualcosa che avrebbe mantenuto il mio interesse”.

  33. La genesi del romanzo Il romanzo viene pubblicato il 3 ottobre 1997, nel quarantaseiesimo anniversario della partita, dall’editore Scribner. Fotografia di André Kertész

  34. La genesi del romanzo La pubblicazione era stata accuratamente annunciata e preparata, e l’uscita del romanzo suscita una larga eco: • È oggetto di molte recensioni, in larghissima parte positive (ma anche negative) – viene accolto come un esempio tardo del “great american novel”; • Entra nelle classifiche e vi rimane a lungo; • Viene subito tradotto in varie lingue; • 1997: È finalista in due premi letterari, il “National Book Award” (vinto da Charles Fraiser, Cold Mountain), e il “Pulitzer” per la narrativa (vinto da Philip Roth, American Pastoral); 2000: Vince la “William Dean Howells Medal”. • Entra quasi subito nel dibattito accademico…

  35. Tra Modernismo e Postmdernismo Don DeLillo, Intervista in Everything under the bomb: “Sembra che il postmoderno abbia diversi significati in relazione a diverse discipline. Nell’architettura e nell’arte sembra avere uno o due significati differenti. Nella narrativa sembra averne un altro. Quando si dice che White Noise è postmoderno, non ho nulla da obiettare. […] Ma non credo che Underworld sia postmoderno. Forse è l’ultimo rantolo modernista [the last modernist gasp]. Non so”.

  36. Tra Modernismo e Postmdernismo John Duvall, Don DeLillo’s “Underworld” (2002): “Si può dire che DeLillo non raggiunga le note acute dello stile ludico o che solleciti i limiti della rappresentazione come fanno Thomas Pynchon o Donald Barthelme; tuttavia, l’argomento di DeLillo è sempre stata la postmodernità – ciò che significa vivere nell’epoca contemporanea.Underworld non è altro che un tentativo di raccontare la comparsa della paranoia in quanto tratto distintivo dell’identità nazionale americana durante la Guerra fredda. È anche un romanzo, dunque, che racconta come gli Stati Uniti sono diventati postmoderni, sia dal punto di vista culturale che estetico. Il romanzo di DeLillo suggerisce che la vittoria degli Usa sull’Unione Sovietica è stata ottenuta non solo dalla politica governativa ufficiale nel contenimento del comunismo.

  37. Tra Modernismo e Postmdernismo John Duvall, Don DeLillo’s “Underworld” (2002): […] Underworld suggerisce che l’America abbia vinto la Guerra fredda in gran parte perché, secondo la classica metafora economica, è riuscita ad avere sia i cannoni che il burro – sia una forte presenza militare all’estero che una proliferazione di beni di consumo in patria. L’Unione Sovietica avrebbe potuto fronteggiare la potenza nucleare statunitense, ma non il suo consumismo”.

  38. Modelli e influssi Don DeLillo, Intervista in Everything under the bomb: “A volte ho menzionato queste cose perché la gente mi chiede quali scrittori mi abbiano influenzato, e qualcosa dentro di me resiste a questa domanda. Non perché non ne voglia parlare, ma perché non posso. Posso ricordare casi particolari dai quali sono stato folgorato, per esempio quando lessi Moby Dick a diciassette anni, […] o soprattutto Ulisse, una prima volta a vent’anni e poi ancora cinque o sei anni dopo. Tra i venti e i trent’anni ho letto una massa spaventosa di narrativa contemporanea, ma non so quanto abbia influenzato la mia opera, e sono totalmente incapace di dire in quale particolare modo”.

  39. Modelli e influssi Don DeLillo, Intervista in Everything under the bomb: Interpellato sull’influsso di pittori, musicisti o registi, risponde: “Non so se quei quadri o quella musica o quei film mi hanno spinto a voler diventare uno scrittore. Certo mi hanno fatto percepire il potere dell’arte. Ricordo che, molto tempo prima di iniziare il mio primo romanzo, scrissi un racconto che avrebbe potuto essere un soggetto per un film di Godard. Quei film europei furono una rivelazione per me quando avevo venti o ventidue anni. E nonostante l’enorme valore di registi come Howard Hawks e John Ford, furono loro ad assumere maggior significato per me. Come per il jazz: dopo un’adolescenza in cui Joni James e Jo Stafford costituivano la musica di sottofondo, scoprire Thelonius Monk e John Coltrane fu un’esperienza esaltante”.

  40. Responsabilità, impegno e realismo “critico” Don DeLillo, Intervista con Anthony DeCurtis, Matters of Fact and Fiction (1988): “I romanzi che ho scritto negli anni Ottanta ubbidivano a motivazioni più profonde e richiedevano un senso di impegno [commitment] molto più forte rispetto ai libri scritti in precedenza”. DonDeLillo, Intervista con Kevin Connolly, An Interview with Don DeLillo (1988): “Scrivendo Libra ho avvertito un forte senso di responsabilità. Molto più, credo, di quello che tanti romanzieri sentono scrivendo un particolare romanzo”.

  41. Lo scrittore come “bad citizen” Don DeLillo, Intervista con Ann Arensberg, Seven Seconds (1988): “Domanda: Che ruolo può giocare lo scrittore nella nostra società in questo scorcio finale del secolo?Risposta: Lo scrittore è colui che sta al di fuori della società, libero da affiliazioni e influenze. Lo scrittore è colui o colei che automaticamente assume una posizione contro il suo governo. Ci sono tante di quelle tentazioni per gli scrittori americani di diventare parte del sistema e parte della struttura che ora, più che mai, dobbiamo resistere. Gli scrittori americani devono stare e vivere ai margini, ed essere più pericolosi. Nelle società repressive, gli scrittori sono considerati pericolosi. È per questo che molti di loro sono in prigione”.

  42. Lo scrittore come “bad citizen” Don DeLillo, Intervista con Maria Moss, “Writing as a Deeper Form of Concentration” (1999): “Domanda: Una volta hai detto: ‘La narrativa deve contestare il potere’.Risposta: Non ricordo di averlo detto, ma penso che sia vero. Nessuno ha più libertà di uno scrittore americano. Ma allo stesso tempo, penso che lo scrittore di opposizione sia un’idea da prendere sul serio. Lo scrittore si oppone – in teoria, come principio generale – allo stato, all’impresa e al ciclo senza fine di consumo e spreco immediato. In un qualche inconsapevole modo, penso che sia per questo che gli scrittori, alcuni di noi, scrivono lunghi, complicati, provocatori romanzi. Come un modo per esprimere la nostra opposizione alle richieste del mercato”.

  43. Lo scrittore come “bad citizen” John Duvall, Don DeLillo’s “Underworld” (2002): “Underworld è un romanzo popolato da un gran numero di artisti […]. Non ci sono solo gli artisti veri e propri e riconosciuti come tali – la pittrice Klara Sax e la sua amica Acey Greenwood −, ma anche gli artisti underground la cui opera non sempre viene sanzionata con lo statuto dell’arte − il writer Ismael Muñoz a il comico satirico Lenny Bruce. […] Tutti questi personaggi permettono a DeLillo di riflettere sulle possibilità della produzione estetica. Insomma, attraverso i frequenti riferimenti all’arte e il gran numero di figure di artisti nel romanzo, DeLillo si chiede indirettamente se all’artista sia rimasta una funzione oppositiva in una postmodernità dominata dai media elettronici e della pubblicità”.

  44. Lo scrittore come “bad citizen” Don DeLillo, Intervista con Ann Arensberg, Seven Seconds (1988): “Penso che il tema del rapporto tra terrorismo e arte – dove ‘arte’ significa ‘scrittura’ – sia molto interessante. Mi chiedo se gli scrittori moderni si siano sentiti espropriati dal terrorismo, se abbiano sentito di perdere una certa influenza che la violenza, un particolare genere di violenza teatrale, ha sottratto loro”.

  45. Lo scrittore come “bad citizen” Don DeLillo, Mao II: “C’è un curioso nodo che lega romanzieri e terroristi. In Occidente noi diventiamo effigi famose mentre i nostri libri perdono il potere di formare e di influenzare. Chiedi mai ai tuoi scrittori cosa ne pensano di questo? Anni fa credevo che fosse ancora pensabile per un romanziere alterare la vita interiore della cultura. Adesso si sono impadroniti di quel territorio i fabbricanti di bombe e i terroristi. Ormai fanno delle vere e proprie incursioni nella coscienza umana. Era quanto solevano fare gli scrittori prima di essere mercificati”

  46. Lo scrittore come “bad citizen” Queste posizioni radicali – sostenute in pubblico, sia attraverso le interviste sia attraverso gli stessi romanzi – hanno provocato alcuni attacchi contro DeLillo, soprattutto da posizioni conservatrici e di destra. È stato accusato di avere denigrato l’America, soprattutto in rapporto al caso Kennedy, di essere addirittura un traditore della patria. • Particolarmente violento l’attacco di un giornalista del “Washington Post”, George Will, che ha accusato DeLillo di essere un “literary vandal” e un “bad citizen”, per avere suggerito che l’omicidio di Kennedy non sia stato opera di un “lone gunman” ma di una cospirazione.

  47. Lo scrittore come “bad citizen” Don DeLillo, Intervista con David Remnick, Exile on Main Street: Don DeLillo’s Undisclosed Underworld (1997): [All’accusa di George Will di essere un “bad citizen” e di essere parente di Lee Harvey Oswald, risponde] “Questo non lo prendo sul serio [si riferisce alla frase ‘Don DeLillo è quasi parente di Lee Harvey Oswald’], ma essere definito ‘cattivo cittadino’ è un complimento per un romanziere, almeno questa è la mia opinione. È esattamente quello che dovremmo essere. Dovremmo essere cattivi cittadini. Dovremmo, nel senso che scriviamo contro ciò che il potere rappresenta, e spesso contro ciò che il governo rappresenta, e contro ciò che la corporation impone, e contro ciò che è venuta a significare la consapevolezza del consumatore. In questo senso, se siamo cattivi cittadini, facciamo bene il nostro mestiere”.

  48. Lo scrittore come “bad citizen” Frank Lentricchia, Introducing Don DeLillo (1991): “Nel contesto della recente narrativa americana, leggere l’opera di DeLillo è un’esperienza di travolgente densità culturale – sono romanzi che non avrebbero potuto essere scritti prima della metà degli anni Sessanta. Credo che in questo, nel loro rigore storico, risieda la loro oltranza politica: il grado straordinario in cui impediscono ai loro lettori di scivolare nell’opinione rassicurante che i problemi reali del genere umano siano sempre stati simili a quelli di oggi”.

  49. Una controstoria Don DeLillo, Libra: “La storia è la somma totale delle cose che non ci hanno raccontato”. Don DeLillo, The Power of History: “Contro la forza della storia, così potente, visibile e reale, il romanziere pone l’io idiosincratico. […] È quasi inevitabile che il romanziere, avendo a che fare con questa realtà, finisca per violare una serie di codici e contratti. Opererà uno scarto rispetto alle disposizioni abituali che legano una figura storica a ciò che è stato riferito, discusso, confermato o solennemente celebrato. È compito della narrativa immaginare in profondità, seguire desideri oscuri nelle regioni inaffidabili dell’esperienza […]”.

  50. Una controstoria “Il romanzo è liberazione onirica, è la sospensione del reale di cui la storia ha bisogno per sfuggire ai suoi stessi, brutali confini. La narrativa non ubbidisce alla realtà nemmeno nell’opera più lineare e semidocumentaria. Dialogo realistico è il nome che abbiamo deciso di dare a un certo repertorio di scambi verbali che in realtà non hanno nulla o quasi nulla a che fare con il modo in cui la gente parla. È un fitto sistema di convenzioni che ci porta a giudicare un’opera altamente stilizzata come fedele alla vita [true to life]. La narrativa può essere fedele a mille cose, ma raramente all’oggettiva esperienza vissuta. In definitiva, ubbidisce ai misteriosi mandati dell’io (dello scrittore), di tutte le cose e persone che lo hanno circondato nel corso della sua vita, di tutti gli stili che ha sperimentato e di tutta la narrativa (di altri scrittori) che ha letto o non letto. […] Queste caratteristiche, prima o poi, entreranno in un rapporto conflittuale con la storia. […]”.

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