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Lezione XI: Relazioni verticali

Lezione XI: Relazioni verticali. In molti casi i clienti delle imprese non so-no consumatori finali ma altre imprese (intermediarie o di trasformazione): si pen-si alla catena produttore / grossista / detta-gliante tipica della (grande) distribuzione.

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Lezione XI: Relazioni verticali

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Presentation Transcript


  1. Lezione XI: Relazioni verticali • In molti casi i clienti delle imprese non so-no consumatori finali ma altre imprese (intermediarie o di trasformazione): si pen-si alla catena produttore/grossista/detta-gliante tipica della (grande) distribuzione. • Questo fa differenza per (almeno) 2 ragio-ni. IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  2. Relazioni verticali: introduzione • Il produttore che vende direttamente al consuma-tore finale controlla quasi tutte le variabili che de-terminano la domanda finale (prezzo, qualità, pub-blicità, servizi di vendita, etc.), ma così non è nel caso dell’impresa che venda ad un distributore (si pensi alla pubblicità relativa allo specifico punto di vendita, ma soprattutto al prezzo finale al con-sumo!). • Gli acquirenti/rivenditori (a differenza dei consu-matori), sono potenzialmente in competizione tra loro (e hanno solitamente qualche potere di mer-cato nei confronti del venditore/produttore). IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  3. Relazioni verticali: introduzione • Noi faremo riferimento alla situazione stilizzata in cui un’impresa a monte (produttore, grossista o altro), P, vende ad un’impresa a valle (rivenditore, dettagliante, o altro), R. • Tipicamente, la loro relazione sarà più complicata di quella che si riassume in uno scambio mediante una ta-riffa di vendita lineare, e spesso implicherà l’adozione di una (o più di una) restrizione verticale (per esempio dei limiti sul prezzo al dettaglio) sul comportamento dell’impresa a valle. IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  4. Doppia Marginalizzazione • Sia D(p) la domanda fronteggiata (monopolis-ticamente) da R, e supponiamo (per semplici-tà) che la sua tecnologia sia tale che una unità di input, acquistata da P ad un prezzo unitario pari a w, si possa trasformare in una unità di output senza altri costi. • Sia c invece il costo unitario di P, pure mono-polista rispetto a R. IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  5. Doppia Marginalizzazione: continuazione • Se P e R fossero integrati verticalmente, w sareb-be solo un prezzo interno di “trasferimento”, il loro profitto complessivo sarebbe pari a: •  = P + R = (w - c)D(p) + (p - w)D(p) = (p - c)D(p), • dove p è il prezzo pagato dai consumatori finali, e la scelta ottimale per le imprese sarebbe il “prezzo di monopolio”pm, con: • (pm - c)D’(pm) + D(pm) = 0). IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  6. Doppia Marginalizzazione: continuazione • Se P e R sono invece imprese distinte (e non colludono) non riusciranno a fare un livello di profitto simile, a causa del loro conflitto di interessi. • Poiché infatti R massimizzerà: R = (p - w)D(p), si potrebbe ottenere pR = pm solo se w = c e quindi P= 0. • Perciò sarà sicuramente w > c e pertanto pR > pm, con R + P = < m = (pm - c)D(pm). IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  7. Doppia Marginalizzazione: continuazione • Si noti che se le imprese fossero integrate, al fine di massimizzare i profitti congiunti l’impresa potrebbe definire a monte il suo “prezzo di trasferimento” w = pm e indicare che tale prezzo venga mantenuto a valle. • Con imprese distinte questo non funziona (R risul-terebbe nullo) e P sceglie di vendere con un ulterio-rericarico monopolistico che conduce al valore di pR indicato nella prossima figura (si noti che la cur-va di ricavo marginale di R corrisponde alla curva di domanda di P). IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  8. p PP(q) = R’(q) è la curva di domanda di P, RP’(q) = R’’(q)q + R’(q) è il suo ricavo marginale. pR R w = pm P(q) P c C’ q 0 qR qm RP’(q) R’(q) = PP(q) Doppia Marginalizzazione: graficamente IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  9. Doppia Marginalizzazione: conclusione • Si noti che: • pR è il prezzo “di monopolio” di un’impresa con costo unitario costante pari a w, e curva di doman-da P(q); • w è il prezzo “di monopolio” di un’impresa con costo unitario costante pari a c, e curva di doman-da PP(q); • siccome P(q) e PP(q) sono entrambe lineari e con-dividono la medesima intercetta sull’asse delle as-cisse, ne segue che w = pm < pR. IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  10. Doppia Marginalizzazione: conclusione • Il prezzo pR è dunque il risultato dell’applicazione di due mark up (monopolistici), da cui il termine doppia marginalizzazione. • Perciò esso è troppo alto per massimizzare il pro-fitto congiunto di P e R, e naturalmente anche troppo elevato per il benessere collettivo (che sa-rebbe più elevato a pR = pm). • A causa di questa inefficienza, una forma di inte-grazione tra le due imprese sarebbe potenzialmen-te la benvenuta, indipendentemente dalla presenza di sinergie di costo tra di loro. IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  11. Tariffe a due parti • In realtà, l’inefficienza indicata si annulla an-che senza bisogno di integrazione verticale se P può utilizzare per vendere il suo prodotto una tariffa a due parti (w, f). • In tal caso la scelta ottima per P sarebbe w = c e f = m, che non sorprendentemente realizze-rebbe una sorta di discriminazione perfetta in questo contesto. Ovvero: pR = pm, q = qm, P = m = vR, R = 0 = vP. IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  12. Tariffe a due parti: continuazione • L’utilizzo di una tariffa a due parti in questo contesto assomiglia ad un contratto di franchising (anche se in quel caso il contratto comprenderebbe potenzialmente altre prestazioni da parte di P). • Di fatto trasforma il problema di massimizzazione del profitto di P in un problema di massimizzazione del profitto congiunto, con il valore di f che svolge il ruolo di distribuire tale profitto tra le due imprese. IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  13. Tariffe a due parti: conclusione • Il risultato sopra ottenuto dipende comunque dalla mancata presenza di concorrenti a valle (come ve-dremo), e richiede una perfetta informazione di P sui “fondamentali” del mercato a valle. • Si noti inoltre che, come sopra suggerito, in alterna-tiva ma con gli stessi risultati P potrebbe utilizzare w = pm e una clausola che imponga a R un prezzo al dettaglio massimo pari a pm (questa pratica fun-ziona se non ci sono altri costi per R oltre a w). IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  14. Competizione tra rivenditori • Se i rivenditori sono più di uno e tra loro in concorrenza, un prezzo all’ingrosso w = c non induce un prezzo al dettaglio di equilibrio pari a pm, poiché la competizione spinge il prezzo di equilibrio ad essere più basso (si pensi al caso di una competizione à la Cournot). • Non conviene dunque a P praticare tale prezzo neppure se può disporre di una parte fissa della tariffa per fare profitti (e w è solo un prezzo “marginale”). IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  15. Competizione tra rivenditori: continuazione • Comunque, con competizione à la Bertrand (perfetta concorrenza tra i rivenditori), senza vincoli di capacità, è ovvio che P dovrebbe porre w = pm, ottenendo per sé il profitto di monopolio. • In generale, si dimostra che quanto più accesa è la concorrenza tra rivenditori, più elevato deve essere il prezzo ottimale per P (che però non si appropria in generale dell’intero profitto di monopolio). IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  16. Esternalità (tra rivenditori) • E’ possibile che i servizi alla vendita offerti da un rivenditore (si pensi al settore degli elettro-domestici) siano utilizzati da clienti di altri ri-venditori che praticano prezzi più scontati e minori servizi alla clientela. • Tale possibilità di free riding tra rivenditori ha come conseguenza la minor fornitura di servizi alla clientela, e dunque una riduzione ineffi-ciente della domanda finale che danneggia an-che il produttore. IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  17. Esternalità (tra rivenditori): continuazione • Il problema si risolve se P può imporre un prezzo (minimo) imposto (resale-price maintenance), che permette al rivenditore che investe in maggiori servizi alla clientela di ot-tenerne un ritorno in termini di un maggiore volume di vendita. • Un problema analogo si pone nel caso di riven-ditori che fanno pubblicità (generica) al pro-dotto. In tal caso una soluzione potrebbero es-sere le concessioni territoriali di vendita in esclusivaottenute dai rivenditori (com’è il caso delle automobili in Europa). IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  18. Controllo indiretto • Ci sono altri casi in cui i servizi di vendita sono im-portanti, anche se è difficile che diano luogo a vere e proprie esternalità tra rivenditori (ex: abbigliamen-to). • In generale, il raggiungimento del massimo profitto complessivo dipenderà dal valore del prezzo di ven-dita, piR, e dall’ammontare dei servizi offerti, si, dai singoli rivenditori. L’investimento in tali servizi di-pende dal margine di profitto piR – w ottenuto dallo specifico rivenditore i su ciascuna vendita (se non può essere fissato contrattualmente). IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  19. Controllo indiretto: continuazione • Anche in questi casi, P potrebbe trovare conve-niente utilizzare una clausola di mantenimento del prezzo(o di prezzo minimo). • In particolare, il produttore dovrebbe adottare w = ceimporrepiR = pm,in deroga al precedente risultato per il quale la presenza di competizio-ne tra i rivenditori aumenta il valore di w che P dovrebbe fissare, per ottenere il massimo profitto complessivo (redistribuito poi attraverso la parte fissa di una tariffa a due parti). • Ex: Levi’s. IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  20. Controllo indiretto: conclusione • La clausola di mantenimento del prezzo serve qui (come nel caso della esternalità tra rivendi-tori) per attenuare gli effetti indesiderati della competizione: in questo caso, che si riducano gli investimenti promozionali. • La fissazione del massimo margine possibile per i rivenditori (piR – c) assicura in effetti che questi ultimi offrano il livello dei servizi si che massimizza il profitto congiunto. IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  21. Competizione tra produttori • E’ naturalmente possibile che ci siano molte imprese anche a monte, e/o che il potere di mercato stia piut-tosto a valle (è sovente il caso della grande distribu-zione nel settore alimentare). • Questo cambia naturalmente la natura dei contratti verticali “ottimali” monte/valle, e introduce interazio-ne strategica tra i produttori. • Per esempio, la pratica “ottimale” di fissare un prezzo marginale all’ingrosso elevato (per attenuare la com-petizione) può implicare che la componente fissa sia negativa (sia per pagare i costi fissi dei rivenditori sia per concedere loro una quota significativa dei profitti). IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  22. Competizione tra produttori: continuazione • Si osservano infatti, tipicamente, delle slotting allowances pagate dai produttori per il diritto ad ottenere l’esposizione dei loro prodotti sugli scaffali dei supermarket. • Inoltre, si osservano clausole di esclusiva imposte ai produttori dai distributori. Ex: settore dei giocattoli. IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  23. Esternalità tra produttori • Le clausole di esclusivaimposte ai rivendi-tori possono poi essere interpretate come una soluzione al problema delle esternalità tra produttori. • Ex: si pensi al settore delle automobili, in cui i venditori spesso sono formati a carico delle ditte automobilistiche. IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  24. Market foreclosure • Le clausole di esclusiva (e più in generale molte delle restrizioni verticali che abbiamo visto) possono natural-mente essere un modo di aumentare il potere di merca-to delle imprese. In particolare, un modo per “chiudere” (foreclose) il mercato ai competitori a monte o a valle. • Ex1: è tipico che la Coca-Cola e la Pepsi-Cola abbiano contratti di esclusiva coi loro distributori. • Ex2: la causa intentata nel 1994 contro la Microsoft, che imponeva ai produttori di harware di pagare una royalty su ciascun computer indipendentemente dal fatto che avessero installato il suo sistema operativo. Un sistema per spiazzare gli altri produttori di sistemi operativi? IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  25. Collusione via restrizioni verticali • E’ ovvio in quel che abbiamo detto che l’uso di restrizioni verticali può attenuare la com-petizione tra imprese col fine di realizzare forme di collusione. • Per esempio, un mercato di rivenditori à la Betrand conw = c (praticamente, un intero settore perfettamente competitivo) può essere trasformato in un settore di fatto monopoliz-zato se l’industria adotta una clausola di prezzo minimopiR  pm. IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  26. Restrizioni verticali e politica antitrust • Le ultime considerazioni suggeriscono che la valutazione delle restrizioni verticali dal punto di vista del benessere collettivo sia molto complicata. • Da un lato ci sono considerazioni “di efficienza” (riduzione delle esternalità, aumento del livello di investimento nei servizi sussidiari alla vendita), dall’altro le possibili implicazioni in termini di potere di mercato (chiusura del mercato ai concorrenti). IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  27. Considerazioni antitrust • Di fatto, sia le autorità europee che quelle sta-tunitensi sembrano essersi orientate nel tempo verso una considerazione più favorevole. • Ciò è particolarmente vero negli Stati Uniti, in cui si è passati da una proibizione “di per sé”, ad una valutazione “caso per caso”, sino alla legalizzazione di una clausola di prezzo massi-mo. • In Europa, le restrizioni verticali sono vietate dal Trattato di Roma come abusi di posizione dominante o intese tra imprese. IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  28. Considerazioni antitrust: continuazione • Il Trattato di Roma ammette comunque tutta una serie di esenzioni “per giustificazioni economiche o tecniche, se i consumatori si appropriano di una quota dei corrispondenti benefici”. • Di fatto, ci sono settori per i quali le clausole di esclusiva e i territori esclusivi sono ammessi (au-tomobili) e settori per i quali sono vietate (bevan-de, gelati), e ammesso è il franchising. • In particolare, i prezzi imposti sono vietati ma non così quelli “consigliati”! IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

  29. Il caso del mercato del latte artificiale Una decisione interessante dell’Autorità Antitrust italiana ha riguardato nel 1999 (su denuncia di una associazione di consumatori) il mercato del latte artificiale. A quel tempo i prodotti, sostanzialmente omogeneni e realizzati da un oligopolio di 7 imprese, non erano venduti nei supermercati, e il prezzo medio era molto più elevato che in altri paesi europei. L’Antitrust ha sentenziato che gli oligopolisti si rifiu-tavano (tranne la Star) di vendere nei supermercati per paura di non riuscire a controllare i prezzi al di fuori del circuito delle farmacie. IO: XI Lezione (P. Bertoletti)

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