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LA MORTE DI DIDONE. Emma Cavarocchi 2T - A.S. 2010/11- Epica. CONTESTUALIZZAZIONE DEL BRANO. Il brano “La morte di Didone” è ambientato nella reggia della regina di Cartagine nel XIII-XII secolo a.C., ossia nel periodo in cui si svolge tutto il poema di Virgilio.
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LA MORTE DI DIDONE Emma Cavarocchi 2T - A.S. 2010/11- Epica
CONTESTUALIZZAZIONE DEL BRANO Il brano “La morte di Didone” è ambientato nella reggia della regina di Cartagine nel XIII-XII secolo a.C., ossia nel periodo in cui si svolge tutto il poema di Virgilio. Le vicende narrate avvengono in seguito alla partenza di Enea e dei suoi compagni verso le coste laziali. Didone, venuta a sapere dell’imminente abbandono da parte del principe troiano, si sente offesa e disperata. Irata con l’amato, lo affronta accusandolo di lasciarla sola e inerme davanti ai possibili attacchi dei re nemici e di non riuscire a consolarla. [“Didone ed Enea”, libro IV, vs. 296-392] La regina Didone accetta la sua disperata situazione, ma ritiene la morte l’unica soluzione possibile per far fronte alla solitudine e allo sconforto che le riempie l’animo. All’alba Didone si affaccia sul mare e, vedendo le navi troiane allontanarsi, presa da un impeto di disperazione maledice Enea e si uccide con la spada dell’eroe.
RIASSUNTO DELL’EPISODIO La regina Didone invoca Zeus (o Giove per i Romani) ponendogli alcune domande. Gli chiede, per esempio, se la sua flotta, essendo stata sfruttata e derisa da quella dei Troiani, la inseguirà per distruggerla. Domanda anche al re degli dei e degli uomini perché soltanto ora che è stata abbandonata si accorge della malvagità di Enea e se non sarebbe stato meglio uccidere i Troiani al loro arrivo invece che accoglierli così benevolmente nella sua reggia. Poi si rivolge alle altre divinità perché ascoltino le sue preghiere. Invoca il dio Sole, Giunone, Ecate (solitamente Diana, in questo caso si riferisce però alla dea degli Inferi) e le 3 Furie (o Erinni: Aletto, Megera e Tisifone). Chiede di rendere tormentato e difficile il compito di Enea, ostacolato da forti popoli guerrieri (i Rutuli guidati dal re Turno), di fare si che l’eroe sia esiliato e costretto a implorare aiuto, che molti suoi compagni siano uccisi e la pace infine stipulata svantaggiosamente. Inoltre spera che Enea muoia giovane e che il suo corpo non riceva una degna sepoltura. Infine parla ai Cartaginesi ordinando loro di perseguitare il popolo che sarà fondato da Enea in modo tale che ci siano solo odio e guerra tra le due genti. Si augura che le due popolazioni siano sempre ostili fra loro e che dalle sue stesse ossa (la sua stirpe) nasca un vendicatore avverso ai Romani. L’episodio è raccontato da un narratore esterno onnisciente anche se è costituito quasi completamente dal discorso diretto di Didone. La presenza di Virgilio si riscontra infatti soltanto nel primo verso con il verbo “esclamò”, il cui soggetto è la regina Cartaginese.
COMMENTO DEL BRANO L’episodio dell’Eneide “La morte di Didone” è stato ripreso e trattato da molti scrittori ed esperti nel corso del tempo. Un esempio è il saggio “La tecnica epica di Virgilio” di Richard Heinze (1867-1929). Il famoso latinista considerava il brano di Virgilio una rivisitazione di vari testi antichi (soprattutto greci) perfezionata e arricchita di dettagli. Nonostante le numerose fonti da cui sembra che il poeta latino abbia preso spunto per il suo poema, la figura di Didone è infatti caratterizzata principalmente da due sentimenti: la rassegnazione e il desiderio di vendetta. Anche se è ormai prossima alla morte, non prova emozioni contrastanti: non è infatti divisa tra la rabbia e la passione (già repressa da quando aveva scoperto che Enea stava preparando la sua partenza). Proprio con l’ultimo dialogo tra i due innamorati, Virgilio aveva sottolineato la fine del sentimento d’orgoglio che la regina provava prima di essere abbandonata da Enea, quell’aspetto della sua personalità che caratterizzava la figura di regina. Accettò perfino di umiliarsi davanti al suo popolo cercando invano di trattenere l’amato con lei, mostrandosi debole e indifesa nei confronti del re nemico Iarba e del fratello Pigmalione [A chi mi lasci morente, ospite? vs. 323]. Anche se la passione per Enea non le aveva fatto dimenticare il suo importante ruolo nei confronti dei Cartaginesi, con l’abbandono dell’amato, Didone ha riconquistato il ritegno e il pudore di prima. E’ però anche la dignità ormai disonorata che la porta al suicidio. La regina non dimenticherà mai l’offesa di Enea nei suoi confronti. Infatti quando l’eroe Troiano si recherà nell’Oltretomba e vedrà Didone, lei non lo degnerà di uno sguardo e si allontanerà da lui per ricongiungersi con il marito Sicheo.
Gli ultimi versi del brano sono però i più celebri. E sorgi, vendicatore, dalle mie ossa, e perseguita col ferro e col fuoco i coloni dardanii ora, in seguito, o quando se ne presenteranno le forze. Lidi opposti ai lidi, onde ai flutti auguro; armi alle armi; combattano essi e i nipoti. La maledizione di Didone si avvererà realmente. Questi pochi versi riassumono infatti un aspetto centrale dell’espansione e della storia romana: l’eterno conflitto con Cartagine. Le guerre Puniche termineranno però con la vittoria di Roma e la città africana sarà distrutta e reputata maledetta (si narra che i soldati romani sparsero del sale sopra le rovine). Il vendicatore sarà Annibale, abile comandante delle truppe cartaginesi durante la seconda guerra Punica (219-202 a.C.).
PARAFRASI dei versi 590-620 […] “o Giove” gridò Didone “lo straniero partirà deridendo in questo modo la mia autorità? I Cartaginesi non brandiranno le armi, non si raduneranno da tutti i punti di Cartagine e non salperanno con le navi ancora in costruzione per braccare i Troiani? Partite, prendete velocemente i dardi per distruggere l’accampamento troiano, distribuite le armi, spingete sui remi! Cosa dico? Dove mi trovo? Quale idea folle mi sconvolge la mente? Infelice Didone! Solo adesso ti rendi conto del crudele comportamento di Enea? Allora dovevi accorgertene, quando gli proponevi di regnare con te su Cartagine. Ecco cos’è in verità la promessa solenne e la lealtà di chi si narra che porti con sé i Penati e il padre stanco per la vecchiaia sulle spalle! Non potevo fare a pezzi il suo corpo e lasciarlo in mare? E uccidere con la spada i compagni e lo stesso Ascanio, e offrirlo come cibo al padre? Ma la lotta era incerta. E lo fosse stata! Ormai destinata a morire, di chi devo mai aver paura? Avessi portato torce nell’accampamento dei Troiani, incendiato i ponti delle navi, ucciso il il figlio e il padre, distrutto la stirpe e mi fossi gettata sul rogo! O Sole, che illumini con i tuoi raggi tutti i prodotti della terra, e tu, Giunone, artefice e partecipe delle mie sofferenze, Ecate invocata ululando alla città con gli incroci notturni, e Furie vendicatrici, e dei della morente Elissa (Didone) accettate ciò che vi chiedo, punite empi con la dovuta severità e assecondate le mie preghiere. Se l’ignobile Enea deve arrivare in porto e attraccare nel Lazio come ha stabilito la volontà di Giove, e l’esito del viaggio non può essere modificato, comunque sia tormentato dalla guerra e dalle armi di un popolo valoroso (i Rutuli), esiliato dalla nuova terra, allontanato dall’affetto del figlio Iulo,chieda aiuto e assista alle ingiuste uccisioni dei suoi compagni, e dopo aver accettato uno svantaggioso accordo di pace, non goda del regno e della luce dolce della vita; ma muoia prematuramente e non riceva una degna sepoltura rimanendo tra la sabbia.