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Dalla “ rivoluzione filosofica e scientifica ” del XVI/XVII secolo ai nostri giorni. Lo straordinario percorso del pensiero moderno: valori e contraddizioni Anno Accademico 2013-2014 A cura del Prof. Renato Pilutti. …heri dicebamus.
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Dalla “rivoluzione filosofica e scientifica” del XVI/XVII secolo ai nostri giorni Lo straordinario percorso del pensiero moderno: valori e contraddizioni Anno Accademico 2013-2014 A cura del Prof. Renato Pilutti
…heridicebamus • Ci siamo lasciati lo scorso anno con un impegno, quello di legare con attenzione gli spunti straordinari del tardo Rinascimento, la ricerca di una capacità tutta umana di comprendere le cose del mondo, la vita e il destino dell’uomo stesso, alla Rivoluzione filosofica e scientifica che si stava manifestando e sviluppando. • Possiamo dire che da Copernico in poi (XV sec.) nulla è stato più come prima. • La vittima più illustre del passato (che stentava a passare del tutto) è stato l’ultimo autore studiato nel precedente Anno Accademico, Giordano Bruno, ucciso dall’Inquisizione romana ai primi del 1600.
Lo scetticismo tra XV e XVI secc. • Le certezze del sapere tradizionale erano dunque messe in questione da un recupero della posizione scettica, che aveva avuto illustri rappresentanti anche nell’antichità, come Pirrone di Elide (360-270 a. C.) e Sesto Empirico (II-III sec. d. C.). • Le grandi scuole platonica e aristotelica subivano dunque, si può dire, l’attacco delle nuove scienze empiriche e insieme quello di un pensiero complesso, intriso di fideismo, magia, dottrine alchemiche e astrologiche.
Michel de Montaigne (1533-1592) • Nato nei pressi di Bergerac, Michel, conte di Montaigne, fu educato secondo i migliori principi dell’umanesimo letterario e filosofico. Studiò diritto avviandosi a una carriera politica che lo vide anche sindaco di Bordeaux. Fu diplomatico eccellente, amico di Enrico IV di Navarra, ma soprattutto pensoso ricercatore. • Nel 1580 pubblicò la prima edizione dei Saggi, per cui è giustamente famoso.
Il pensiero • Per questo autore, così interessante anche per i nostri tempi, lo scetticismo era da considerare un metodo conoscitivo adatto alla diversità degli spiriti, cioè delle menti umane. • Egli confrontava volentieri e con cura le tradizioni della grande cultura europea con i reportages dei primi grandi viaggiatori sui cosiddetti “popoli selvaggi”, e riscontrava differenze radicali, che oggi definiremmo etnico-antropologiche. Da ciò traeva la convinzione fondamentale che non potessero darsi certezze assolute sui temi conoscitivi ed etici.
Scetticismo e fideismo • Se dunque il pensiero umano può essere così diversificato, solo Dio può dare al pensiero stesso quella logicità e veridicità necessaria a conoscere la verità delle varie realtà. In qualche modo, dunque, in Montaigne troviamo correlati lo scetticismo con una sorta di fideismo. • In realtà il lascito di Montaigne, validissimo anche ai giorni nostri è un monito costante e sistematico contro ogni forma di dogmatismo, fanatismo e fondamentalismo. Quanto utile risulta il pensiero di Montaigne oggi, in una fase dove, accanto a straordinarie scoperte scientifiche, si mantengono atteggiamenti incapaci di ascoltare e di comprendere chi è diverso da noi!
Francis Bacon (1561-1626) • Francis Bacon, primo barone di Verulamioe visconte di St Albans, figlio di Lord Nicholas Bacon, guardasigilli di Elisabetta I, studiò diritto e filosofia al Trinity College di Cambridge. • La sua vita fu intensissima, e contribuì, nell’Inghilterra delle scoperte geografiche e dei viaggi, della prima rivoluzione economica e mercantile, allo svecchiamento della vecchia cultura tradizionale, in favore di una ricerca sperimentale e pratica.
Il pensiero • Specialmente nelle opere Sul progresso del sapere umano e divino, e successivamente nel Novum organum e nel De dignitateetaugmentisscientiarum, Bacon cercò di mostrare come ormai il sapere teoretico tradizionale, specialmente aristotelico, fosse inadeguato ad esplorare la complessità e misteriosità della natura, per cui occorresse un nuovo approccio (Novum organum). • Altrettanto, Bacon se la prende con le scienze-non scienze approssimative come l’alchimia, l’astrologia e la magia tornate di moda negli ultimi due tre secoli in tutta Europa.
La Nova Instauratio • Un vera riforma del sapere, per Francis Bacon, può avvenire solo se si passa dalla teoresi logico-deduttiva dei sillogismi al metodo induttivo, per cui si cerca di capire come funziona la natura per via sperimentale. • Egli vuole costituire una Nova Instauratiodel sapere attraverso l’empiria e la dimostrazione pratica dei fenomeni naturali. • Denuncia perciò una serie di pregiudizi che chiama “idoli”: ne individua quattro: gli idoli della tribù, gli idoli della spelonca, gli idoli del foro e gli idoli del teatro.
Il superamento degli “idoli” • Bacon sostiene che bisogna liberarsi da questi fantasmi-idoli. In che modo? • Non credendo più che a) l’uomo sia misura di tutte le cose, b) il singolo possieda la capacità soggettiva di comprendere le cose, c) il linguaggio e le relazioni non siano ingannevoli, d) le tradizioni filosofiche siano veritiere. • Bacon crea, dunque, le premesse per un cambiamento molto radicale nel rapporto con la conoscenza, anche se non privo di ambiguità e di utilizzo di ”prestiti” argomentativi e concettuali della tradizione aristotelico-scolastica (vedi dottrina delle “forme”).
L’induzione come metodo • Per Bacon la conoscenza della natura avviene per induzione, che coglie la forma della natura che evolve e che predispone ad ulteriori evoluzioni. Potremmo dire che Bacon è un eracliteo bisognoso di Aristotele, anche se non lo ammette esplicitamente. • Infatti, che cosa sono le “tavole”, cioè gli ordinamenti sistematici dei gradi della ricerca se non un’esigenza di classificazione, ancorché non ben definita? Anche Aristotele poneva l’esigenza di sistemare i vari gradi della realtà nelle categorie, o no?
La storia naturale e sperimentale • Per il conte di Verulamiooccorre costruire una storia naturale e sperimentale. Essa deve essere strutturata secondo le tre facoltà dell’uomo: - la memoria, cui corrisponde la storia, - l’immaginazione, cui corrisponde la poesia, - la ragione, cui corrisponde la filosofia (a sua volta suddivisa in teologia, scienze della natura e scienze dell’uomo: fisica, metafisica, meccanica, magia (sic!), etc.. • Bacon, noto per essere considerato l‘iniziatore del metodo scientifico, in realtà lo è certamente, ma di più nello spirito con cui operò, poiché altri lo furono molto più di lui, come il nostro Galileo, che stiamo per incontrare.
Galileo Galilei (1564-1642) • Una biografia articolata e faticosa quella del nostro immenso Galileo Galilei. A 21 anni lascia l’università di Pisa senza conseguire titoli accademici in arte e medicina, ma inizia lo studio delle matematiche con Ostilio Ricci, allievo di Nicolò Tartaglia. • Nel 1589 gli affidano la cattedra di matematica a Pisa dove si dedica alla stesura del De motu. Nel 1592 si trasferisce all’università di Padova dove rimane fino al 1610, meglio trattato e considerato, e in quegli anni sviluppa studi di meccanica, ingegneria e matematica.
Il SidereusNuncius • Tra il 1592 e l’anno successivo scrive di architettura militare e fortificazioni e il trattato Le mecaniche. In quegli anni abbraccia definitivamente la teoria copernicana, scrivendo un Trattato sulla sfera e Operazioni del compasso geometrico e militare. • Nel 1610 inizia la redazione del Sidereusnuncius, dove espone la scoperta dei quattro satelliti di Giove. In quell’anno torna a Pisa come matematico e fisico del granduca di Toscana e pubblica nel 1612 un Discorso sulle cose che stanno in su l’acqua e l’Istoriae dimostrazioni intorno alle macchie solari nel 1613. subisce le prime denunce: è il padre Niccolò Loriniche tuona dal pulpito contro di lui dal monastero domenicano di San Marco (ahi ahi!). • Nel 1615 lo stesso frate lo denunzia al Sant’Uffizio.
Il Saggiatore • Nel 1616 Galileo scrive la famosa lettera alla granduchessa Cristina di Lorena dove dice che “la scienza non insegna come si vadia in cielo, ma come vadia il cielo”. Siamo nel cuore della polemica scienza-teologia-fede. • Il cardinale Bellarmino lo convoca a Roma intimandogli di abbandonare l’eliocentrismo. Galileo non prende una posizione netta, ma il Bellarmino non è proprio un fanatico. Nel 1623 pubblica Il Saggiatore e nel 1630 il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Nel 1632 il libro viene sequestrato e Galileo convocato a Roma dall’Inquisizione.
I Discorsi e Dimostrazioni matematiche • Nel 1633 il processo si conclude con l’abiura di Galileo dalla teoria copernicana e la sua condanna al carcere, dopo pochi mesi tramutata in domicilio coatto, prima presso l’arcivescovo di Siena e poi presso la sua casa di Arcetri. Ivi lavora ai Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, che viene pubblicato con il suo consenso a Leyden nel 1638. • Muore completamente cieco nella sua casa l’8 gennaio 1643. • I suoi libri saranno resi fruibili dall’Indice dei libri proibiti solo nel 1757.
La formazione • Fondamentali sono stati gli studi delle opere di Euclide e Archimede. • Si tratta di un incontro tra le antiche tradizioni scientifiche e la ricerca della nuova scienza. Un’attività molteplice che, in realtà, converge verso un solo obiettivo: la verifica e la critica sistematica dei postulati della scienza naturale del suo tempo sulla base di una nuova formulazione dell’idea di natura e dell’idea di esperienza. • Una formazione dunque teorica e pratica molto composita, nello stile dei tempi rinascimentali, curiosi ed entusiasti dell’uomo e del mondo. L’invenzione del cannocchiale, falsamente attribuita a Galileo, ne è un po’ il simbolo.
La scienza e la fede • Per Galileo natura e Sacra scrittura procedono entrambe da Dio, e perciò hanno un significato importantissimo e complementare: se la Natura è “osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio”, la Scrittura è “dettatura dello Spirito Santo”. • Per ciò esse non sono in contrasto come lexnaturaee lex divina: vanno solo applicate a due ambiti diversi, il primo nello studio del mondo, e il secondo nell’applicazione dei principi morali e della relazione dell’uomo con Dio e tra tutti gli uomini.
Il “libro della natura” • Il libro della natura, per Galileo, è un libro a caratteri matematici, dove i triangoli e le altre figure geometriche rappresentano il suo linguaggio, la sua grammatica. • Nel Saggiatore Galileo spiega come i corpi siano conoscibili nelle loro qualità oggettive tramite il linguaggio matematico e geometrico, nella loro estensione, figura e moto. • Le altre qualità dei corpi, invece, come il sapore, l’odore, il colore e il suono sono conoscibili solo tramite la relazione soggettiva con l’uomo, cioè con l’individuo conoscente. • La natura quindi, per Galileo, è conoscibile solo mediante le sue manifestazioni fenomeniche, che son misurabili matematicamente, là dove si realizza il punto mediano tra la realtà oggettiva delle cose e la conoscenza soggettiva degli uomini. • Cambia così la gnoseologia classica in una nuova filosofia della scienza.
Il copernicanesimo e la struttura del mondo • Dopo avere messo in questione in maniera radicale l’epistemologia aristotelica, Galileo, nell’ambito delle dottrine fisiche e astronomiche, si muove sulla strada di un radicale copernicanesimo. • Dal 1616, pur ammonito dal cardinale Bellarmino di proporre l’eliocentrismo solo come ipotesi fisico-matematica, Galileo non demorde e propone il testo fondamentale Dialogo sopra i due massimi sistemi tolemaico e copernicano. • In realtà Galileo anche su questo terreno confuta totalmente il sistema aristotelico-tolemaico, affermando che le leggi del mondo fisico sono le stesse, sia sulla terra, sia nei corpi celesti.
I nuovi progressi della fisica • Dopo la condanna del 1633, Galilei, pur se isolato e sconfitto, scrive il suo capolavoro, i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze. • In tale opera ribadisce come la descrizione matematica riesca a spiegare le ragioni e le leggi che governano il moto dei gravi (pesanti o leggeri che siano), mediante il principio di inerzia, senza presupporre alcuna finalità al moto stesso, né alcuna tendenza a ricomporre traiettorie, se non per l’intervento di vettori causali esterni.
Thomas Hobbes (1588-1679) • Nato a Malmesbury, Thomas Hobbes studia a Oxford conseguendo il Bachelorofarts, e diventa subito precettore in casa del barone Cavendish, conte di Devonshire. Va in Francia con il figlio di questi, William, cominciando la pubblicazione delle sue prime opere. • Successivamente è precettore del figlio di Sir Gervase Clifton, con il quale va in Francia e Germania. In Italia incontra e conosce Galilei, dopo di che pubblica Elementi di legge naturale e politica, ma fugge in Francia timoroso dei disordini inglesi. • A Parigi compone le Obbiezionialle Meditazioni cartesiane, finché nel 1651, tornato in Inghilterra riconciliato con Oliver Cromwell, compone The Leviathan, il suo capolavoro. • Dopo aver pubblicato in tarda età il Decameron physiologicum, muore più che novantenne a Hardwicke.
Meccanicismo e materialismo • Con Hobbes si crea un collegamento forte, da un lato con la lezione di Francis Bacon e dall’altra con la cultura continentale europea del tempo: materialismo meccanicistico, dottrina della sensazione, teoria del moto, convenzionalismo delle scienze, concezione del diritto di natura e della sovranità, sono i caposaldi delle teorie hobbesiane. • Per Hobbes tutto la filosofia naturale deriva dalla nozione di corpo e di moto, che si danno nello spazio e nel tempo; ma è soprattutto il moto la causa principale di ogni modificazione ed evoluzione: moto come luogo dell’incontro dei corpi fisici e delle stesse passioni umane. • Contro Cartesio Hobbes sostiene l’identità dei processi fisico-materiali con quelli spirituali. Sentire e pensare sono lo stesso processo (!).
La teoria della conoscenza • La teoria della conoscenza (gnoseologia) di Hobbes si fonda conseguentemente sul senso, cioè sulla pressione che i corpi fisici esercitano sul soggetto conoscente (l’uomo): attraverso l’organo di senso, i nervi, il moto si trasmette al cervello, cosicché lì si forma l’immagine della cosa conosciuta, il cui ripetersi dà luogo alla memoria. • Anche le alterazioni qualitative della sensazioni (colori, sapori, odori, suoni, etc.), secondo Hobbes, sono dovute al riflesso sensoriale esercitato dalla cosa esterna sull’uomo conoscente, non possedendo, di per sé, alcuna reale esistenza. • Ciò che conta nella conoscenza è dunque la pura esperienza. Hobbes è il caposcuola dell’empirismo.
Il linguaggio e la scienza • Per Hobbes il linguaggio è mera convenzione. Il nome delle cose non presuppone che dietro vi sia una realtà corrispondente. • La natura ha un linguaggio diverso dalla scienza: non corrisponde mai a una descrizione razionale-mentale. • Hobbes è dunque fautore di un rigido nominalismo: troviamo qualche autore studiato nel precedente Anno accademico, cui si potrebbe riferire? Forse Occam? • Un nominalismo che, nutrendosi di un rigido empirismo materalistico, si pone come sapere completamente deduttivo, mentre la natura pone sempre problemi induttivi. • In questo ambito ogni aspetto filosofico è estraneo alla dimensione teologica e teologale.
La morale e la politica • La morale umana si fonda, per Hobbes, sullo studio delle passioni: il suo punto di riferimento è senz’altro Epicuro (che abbiamo studiato nel primo Anno accademico): l’uomo tende all’autoconservazione, e pertanto deve seguir i moti che gli danno soddisfazione, ma sempre con la misura della razionalità, senza mai esagerare. • L’altro aspetto che Hobbes sottolinea è lanon-naturale-amicizia tra gli uomini: se per Aristotele l’uomo è animalrationaleetpoliticus, e quindi socievole, per Hobbes l’uomo è lupus homini. • Nello stato di natura vi è l’egoistica ricerca del proprio bene, cui l’uomo cede, appunto, per natura, suscitando la lotta e perfino la guerra. • L’unica soluzione è quella della politica, che sostituisce la guerra ad alcune condizioni.
Il patto sociale e il sovrano • Per rimediare alla sua natura, per Hobbes, l’uomo deve stipulare nelle varie comunità un patto sociale, nel quale vi è una rinunzia a parte della propria libertà personale, che è affidata al sovrano. • Questo diventa quindi depositario di ogni potere che gli è delegato dal singolo uomo, il quale accetta che la morale e la giustizia vengano definiti e gestiti monarchicamente e unilateralmente dal sovrano. • In Hobbes possiamo dunque trovare le radici teoretiche dell’assolutismo successivo (Francia, Russia zarista, etc.).
René Descartes (Cartesio) (1596-1650) • Nato a La Haye in Turenna, René Descartes (Cartesius), studia dai gesuiti di La Flèche grammatica, retorica e filosofia. All’università di Poitiers consegue il titolo accademico in filosofia e diritto. Giovanissimo si unisce alle armate di Maurizio di Nassau in Olanda, spostandosi poi in Germania (Francoforte e Ulm). In quel periodo scrive il Compendiummusicaee successivamente, tornato a Parigi, mentore cardinale Bérulle, redige il trattato Regulae ad directionemingenii. • Stabilitosi in Olanda nel 1629 (salvo qualche rientro a Parigi), si dedica a quelle che saranno le sue opere maggiori: nel 1637 esce il Discorso sul metodo, e nei dieci anni successivi i Principia philosophiaee Le passioni dell’anima, che suscitano non poche polemiche e condanne da parte di teologi (GisbertVoet) e Università (Utrecht e Leyden). • Muore in Svezia a 54 anni, ospite della regina Cristina.
Una scienza “meravigliosa” • Che cosa sia stata questa improvvisa scoperta della “scienza meravigliosa”, non ci è dato precisamente sapere. Cartesio si trovava nei pressi di Ulm nell’armata del principe Massimiliano di Baviera: allora si stava dedicando con passione alla matematica e alla geometria, cercando una specie di minimo comun denominatore per le varie scienze. • Gli pareva allora di intuire che una sola “catena di ragioni” avrebbe potuto aprirgli la porta per un rinnovamento generale del sapere cui si sentiva fortemente portato.
Le “regole” • Le sue prime asserzioni “nuove” fecero breccia come “Regole”, che egli poi riprese nel Discorso sul metodo. • Per Cartesio assume valore primario la regola dell’evidenza, per cui “ogni scienza è conoscenza certa ed evidente”. Dall’evidenza si procede in seguito con la deduzione: l’intuizione dell’evidenza procede dunque con il movimento continuo della deduzione delle cose messe ordinatamente tra loro in connessione. Questo è il metodo. • La prima delle cose naturali semplici è il “cogito”, il pensare soggettivo che dà certezza sull’esistenza dell’io pensante e quindi di Dio stesso.
Dio, le verità eterne e la fisica I • Se esiste il “cogito”, esistono l’io e Dio, come rescogitans: il mondo esterno è invece resextensa. • Queste sono verità create da Dio nella mente umana e perciò sono eterne e immutabili. • Abbandonando completamente la fisica aristotelico-scolastica, Cartesio ipotizza tre leggi generali: • “Ogni parte della materia conserva sempre lo stesso stato fino a quando le altre urtandola non la costringano a cambiarlo”; • “Quando un corpo ne spinge un altro non può trasmettere o sottrarre a esso alcun movimento senza perderne o acquistarne nello stesso tempo una certa quantità; • “Quando un corpo si muove tende sempre a continuare il proprio movimento in linea retta”.
Dio, le verità eterne e la fisica II • Cartesio individua dunque la fondamentale legge dell’inerzia, essendo il movimento un stato delle cose. • Il mondo è quindi retto da leggi matematiche ed è caratterizzato, sia nelle cose terrestri, sia in quelle celesti, dagli stessi principi ordinatori (come in Galileo!). • La struttura quantitativa delle particelle che costituiscono i corpi determinano la loro diversità, mentre gli aspetti qualitativi, come i colori, gli odori, i sapori e la temperatura sono soggettivi e dipendono dalle percezioni di ciascuno.
La macchina del corpo • Dopo avere trattato il tema del “Mondo”, senza pubblicare il testo, Descartes si occupa dell’Uomo. Applica però anch’esso il suo meccanicismo sistematico. • L’uomo è dunque per lui una sorta di bio-macchina che funziona meravigliosamente perché tutti gli organi concorrono in perfetta sincronia ai suoi bisogni: tutto però dipende dal cervello che tramite il sistema nervoso ordina il movimento, sia quello autonomo, neurovegetativo, sia quello volontario. • Al centro del cervello, per Descartes è posta la “ghiandola pineale” (conarium), preposta alla percezione dai sensi esterni, punto di contatto tra la resextensae la rescogitans, cioè il pensiero.
Il “Discorso sul metodo” I • Il “Discorso sul metodo” è una sorta di prefazione ai trattati su la “Diottrica”, le “Meteore” e la “Geometria”. • Il suo primo assunto è quello di mostrare come sia possibile unificare il carattere composito delle scienze trovando un “metodo” capace di procedere fattivamente nella ricerca di ciascuna disciplina, e indica quattro regole fondamentali: • evidenza: “non accogliere mai come vera nessuna cosa che non conoscessi con evidenza esser tale”; • analisi: “dividi ognuna delle difficoltà che tu esamini in tante particelle quanto fosse possibile e richiesto per meglio risolverle”;
Il “Discorso sul metodo” II 3) sintesi: “conduci per ordine i tuoi pensieri cominciando dagli oggetti più semplici e più facili a conoscere, per ascendere a poco a poco come per gradi alla conoscenza dei più composti”; 4) enumerazione: “fai dappertutto delle enumerazioni così complete e delle revisioni così generali da essere certo di nulla omettere”. Vi è dunque una matematica universale (mathesisuniversalis) che regola tutto. Descartes modifica anche il linguaggio matematico algebrico, che è quello ancora oggi in uso: x, y, z, con gli esponenti numerici.
La regola della morale provvisoria • Descartes non scrisse mai un trattato di “Morale”. Le sue riflessioni rimasero a livello di abbozzo, tant’è che le chiamò come nel titolo, dando loro il connotato di “provvisorietà”. In queste individuò tre momenti o princìpi: • 1. obbedire alle leggi vigenti e alle consuetudini morali e religiose (temeva forse il rischio “rivoluzionario” del suo pensiero filosofico, • 2. essere risoluti nelle proprie azioni una volta intrapresa una linea guida e una decisione, • 3. proporsi di vincere se stessi, piuttosto che la fortuna o la sorte, con una forma di autodisciplina (di origine stoica).
Il dubbio • Descartes si pose il problema della conoscibilità del reale, dell’accesso alla verità in modo sistematico, con quello che fu chiamato il dubbio metodico. Un dubbio che concerne innanzitutto la conoscenza sensoriale, ma anche quella legata alla ricerca scientifica e matematica. • Cartesio non si accontenta di nulla di meno che dell’evidenza, per poter ammettere che qualcosa è vero. Il suo è una specie di scetticismo metodico. • Perfino Dio avrebbe potuto aver ingannato l’uomo sulle verità matematiche, ma ciò non è ammissibile perché Dio non può volere ciò che è tipico di una specie di “genio maligno”, non della bontà assoluta.
“Cogito, ergo sum” • “Jepense, doncjesuis”, una specie di entimema logico, che sta per: 1) il pensante è, 2) io penso, 3) dunque sono: cogito, ergo sum. • Una prima obiezione che potremmo fare è la seguente: allora, ciò che non pensa non è? Ovvero, vi può esserci qualcosa che non pensa? • Ecco che siamo nella diuturna diatriba tra realisti-oggettivisti (Aristotele e Tommaso d’Aquino) e soggettivisti (Agostino e Descartes). • Chi ha ragione? Si può dare una ragione che prevalga sull’altra?
Dal “Cogito“ a Dio • Descartes, per superare la querelle, ritiene che occorra un fondamento: non altro che Dio stesso, come causa dell’idea massima, quella di infinito. • Ciò che conosco dipende dunque dalle idee chiare e distinte che io -conoscendo- acquisisco: Dio è causa delle idee e anche causa del mio stesso essere. • Se è vero che le idee derivano da Dio e che Dio è causa prima, anche della mia esistenza, Dio è causa sui, come essere perfettissimo, incausato e incondizionato, eterno e infinito.
Dio e la verità • Il dilemma che si pone è dunque se sia Dio il garante della verità delle cose, o se l’autocoscienza, in quanto capace di concepire idee chiare e distinte, sia il momento e il luogo nel quale abbiamo, come esseri umani l’idea di Dio. • Vi è prima di tutto, quindi, Dio e le realtà create oppure il “cogito”, che mi permette di avere evidenza di me e del mondo, come creature di Dio? • Su questo, in Cartesio, permane una certa ambiguità di fondo, che gli è stata rimproverata, sia dai contemporanei sia successivamente.
Il mondo esterno • Per Descartes il mondo esterno può essere conosciuto solo nella sua estensione e nel movimento, di cui danno evidenza le scienze matematiche e geometriche. • Tutte le altre qualità delle cose, suoni, colori, odori, calore e freddo, sono sottoposti al giudizio soggettivo degli esseri umani, e pertanto non possono avere caratteristiche di oggettività. • La conoscenza è dunque possibile tramite i principi della matematica e della geometria, che sono veri come Dio stesso.
“Rescogitans“ e “resextensa” • Si dà alla conoscenza dell’uomo una prima dimensione che è detta “rescogitans”, cioè spiritualità, psichismo e senso morale; e poi una seconda dimensione, che è detta “resextensa”, cioè il mondo fisico, compreso il corpo umano. • Si accentua in questo modo un dualismo netto tra le due dimensioni che Descartes cerca di comporre con la teoria di strutture sottili -gli spiriti- che collegherebbero le due dimensioni, mediante movimenti sottili dei nervi.
L’errore • Per il nostro l’intelligenza umananon può sbagliare nella concezione dell’idea di una cosa, bensì nel giudizio che di essa può dare: pertanto la possibilità dell’errore risiede nel libero arbitrio, cioè nella volontà, che è limitata dal fatto che esistono le passioni o inclinazioni naturali: • Nulla, perciò, che derivi dalla rescogitans, dal puro intelletto, può essere oggetto di errore. • Descartes è stato un vero e proprio spartiacque nella storia del pensiero occidentale: con lui inizia con maggior nettezza una fase nella quale il soggetto pensante e agente è posto al centro della riflessione filosofica.
Dopo Cartesio • Nulla dopo questo pensatore è stato come prima in ambito filosofico. • Cartesio trovò sostenitori e avversari: tra questi indubbiamente Malebranche e Pierre Gassendi, che non trova nel cartesianesimo un vero superamento della metafisica classica: Gassendi, invece, propone una sorta di ritorno all’epicureismo atomistico attraverso il sensismo, in definitiva lo sperimentalismo di una scienza che trae dall’empiria la propria epistemologia e anche il proprio linguaggio.
Blaise Pascal (1623-1662) • La formazione di Pascal è scientifica e filosofica. Studi di geometria e matematica caratterizzano i primi anni della sua crescita. • Ben presto, però, il giovane Pascal non si fa bastare lo studio della natura attraverso le scienze del numero e si rende conto che la conoscenza non può essere data dal solo esprit del geometrie, cioè dalla possibilità del calcolo razionale: all’uomo, infatti, sfugge senza possibilità di raggiungerlo, Dio stesso e la nozione di infinito e di eterno.
L’affidamento e la scommessa • Solo l’espritde finesse, l’intuizione, può dare all’uomo la possibilità di intuire che vi è una dimensione, quella divina, in grado di dare la risposta definitiva. • La “scommessa su Dio” (Dio c’è, e così vi è anche la prospettiva dell’infinito) maturata negli ambienti del giansenismo di PortRoyal, dà a Pascal quello spirito di ricerca mistica e spirituale, che lo colloca in una linea di superamento, sia nel neonato cartesianesimo, che per lui era troppo razionalista, sia della tradizione aristotelico-scolastica: Pascal recupera così il filone più autentico dell’agostinismo etico-filosofico.
Baruch Spinoza (1632-1677) • Ebreo di origine portoghese, Spinoza nasce a Amsterdam, dove studia l’Antico testamento e il Talmud nelle scuole ebraiche. Allievo di Franciscusvan den Enden, professa una libertà di pensiero tale da essere espulso dalla comunità ebraica. • Nel 1660 lascia Amsterdam per Rijnsburg, nei pressi di Leyden, dove termina il Breve trattato su Dio, l’uomo e la sua felicità, iniziando il Tractatus de intellectusemendatione, rimasto incompiuto. • Successivamente pubblica il RenatiDesCartesprincipiorumphilosophiae, Pars I et II more geometrico demonstratae, insieme al Cogitata metaphysica. • Un ultimo trasferimento, a Voorburg presso l’Aia, gli permette di attendere al fondamentale Ethica ordine geometrico demonstrata, e al Tractatustheologico-politicus. • Muore all’Aia .
La “sostanza” • Se Cartesio separa per primo la dimensione del mondo dalla dimensione del pensiero, legandolo però all’autoconsapevolezza del soggetto, Spinoza fa un passo deciso in tutt’altra direzione: colloca la sua epistemologia su una posizione decisamente monista, nettamente contraria al dualismo cartesiano. • Per Spinoza, tutto ciò che è in sé concepito per sé è sostanza, la quale è -appunto- comprensibile in sé e per sé: cioè è causa sui, esistendo necessariamente, poiché non può non esistere. • Tale sostanza coincide con Dio stesso: Deus sive Natura.
Gli attributi della sostanza • Si capisce come una tale concezione creasse problema, non solo negli ambienti ebraici, ma anche i quelli cristiani. • Dio, però, non coincide in assoluto con la natura, perché questa si manifesta con caratteristiche, gli attributi, praticamente infiniti. Gli attributi sono ciò che l’intelletto percepisce della sostanza come costitutivo della specifica essenza. • Gli attributi sono la sostanza, ma noi ne conosciamo realmente due soli: il pensiero e l’estensione, che però sono due modi della sostanza stessa, che è infinita.
I modi della sostanza • Se gli attributi sono la sostanza stessa, i modi ne sono gli accidenti (cf. tradizione aristotelico-scolastica). • Ad esempio,il movimento è un modo dell’estensione, mentre la nascita è un modo della generazione, ovvero la morte un modo della corruzione. • I modi sono nel tempo, e quindi non necessariamente esistenti mentre la sostanza (che è Dio) è eterna. • Alcuni modi, però sono intermedi tra la sostanza e i modi finiti: sono i modi infiniti, come il pensiero, che è immagine dell’intelletto infinito di Dio. • La sostanza pensante e la sostanza estesa sono dunque la stessa cosa sotto due diversi punti di vista, perché ambedue sono causate da Dio.