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Il Bene e il Male nell’Uomo I

Il Bene e il Male nell’Uomo I. Una Riflessione sulla Struttura antropologica dell’Essere Umano, sulla sua Grandezza e sui suoi Limiti. Del Male I.

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Il Bene e il Male nell’Uomo I

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Presentation Transcript


  1. Il Bene e il Male nell’Uomo I Una Riflessione sulla Struttura antropologica dell’Essere Umano, sulla sua Grandezza e sui suoi Limiti

  2. Del Male I • Secondo la comune accezione il male è il contrario del bene, cioè si oppone al bene come un qualche cosa che lo impedisce o lo contrasta, per un'immediata intuizione dell'atto umano come non buono. Si può dire che si tratta di un significato accettabile, anche se incompleto, perché del male, come dei correlati concetti filosofici, etici, religiosi e giuridici citati nel titolo, si possono e si debbono chiarire anche altre dimensioni.

  3. Del Male II • Più precisamente, vi è opposizione di contrarietà tra virtù e vizio, cioè gli habitus (disposizione stabile dell'animo umano orientata al bene o al male), che fondano le azioni umane rispettivamente buone o di malizia. Possiamo dire che l'idea del male è presente nella legge naturale che ogni uomo ha inscritto nel "cuore" (cuore è qui inteso secondo il significato semitico di "centro della persona"), così come è nozione ammessa in tutte le culture, filosofie e religioni.

  4. Del Male III • Nel manicheismo (da Mani) filosofia religiosa proveniente dall'altopiano iranico e molto diffusa ai tempi del primo cristianesimo, insieme con lo zoroastrismo e il mazdeismo, vi è una concezione talmente dualistica della realtà, che prevede perfino l'esistenza, accanto a un Principio o Dio del Bene, di un Principio del male, che così condizionerebbe la volontà umana piegandola al male stesso.

  5. Del Male IV • Dopo Aristotele, che sarà recuperato prima da Boezio e successivamente da san Tommaso, l'analisi più approfondita sulla questione del male viene filosoficamente sviluppata da sant'Agostino. Il Dottore d'Ippona, partendo dalle giovanili posizioni manichee, che forse nel substrato del suo pensiero conserverà a lungo, tratteggia un'analisi sul principio del male che costituirà in seguito la base, sia per il pensiero morale di Tommaso, che per la riflessione moderna e contemporanea

  6. Del Male V • (e nella linea neo-tomista di un Maritain o di un padre Fabro, che nella linea induzionista-riflessiva di Cartesio, Kant, Husserl, Heidegger, Edith Stein, ma anche dello stesso Sartre). Sant'Agostino concepisce il male secondo tre gradi o dimensioni: il male metafisico, il male morale e il male fisico, reciprocamente in qualche modo collegati e interdipendenti.

  7. Del Male VI • Attenzione, però, al linguaggio, che è strettamente filosofico: il male metafisicoè l'"imperfezione", nel senso che ogni res umana, ogni atto umano, ogni modo dell'"essere" (nella duplice accezione di infinito sostantivo e di principio di analogia) umano, è limitato, defettibile, perfettibile, incompleto, o errato, colpevole, e via dicendo. E dunque, in questo senso il male é da intendersi come "non essere", come deficienza di bene. Il male metafisico è quindi un "non essere" oggettivo, ineliminabile, appartenendo esso alla stessa natura delle cose umane.

  8. Del Male VII • Vi è poi il male morale, che è quello che più interessa le azioni umane. Il male morale è il non conformare l'agire pratico alla legge naturale, che è conforme alla legge divina. Fin qui il filosofo africano. Più ancora San Tommaso, soprattutto nella Somma teologica, sviluppa la morale delle virtù, riprendendo Agostino nello schema delle Etiche aristoteliche (soprattutto la Nicomachea), e sostenendo che, se la volontà umana si conforma all'intelletto delle cose, non può non agire virtuosamente, guidata dalla prudenza (che è rectaratioagibilium), la quale sovrintende alle altre virtù (oggi diremmo valori o qualità).

  9. Del Male VIII • E' una visione un po' strana, forse, per la contemporaneità, dove si combattono una morale dell'obbligo, della colpa e del peccato, e una morale, spesso amorale, del relativo e del contingente (si veda la impostazione neo-radicale, che è un po', purtroppo, trasversale, nelle sinistre politiche). Il male morale, dunque, per Agostino suppone la colpa e il peccato, che è un "mancare" verso Dio e verso il prossimo.

  10. Del Male IX • Suppone una responsabilità che è insita nell'umano libero arbitrio. In altre parole, Dio non impedisce il male, pur conoscendolo nella sua prescienza, perchè all'uomo è data costitutivamente la libertà di scelta. Vi è infine il male fisico, la malattia, la sofferenza in tutti i suoi gradi, che appartengono al modo d'essere del vivente (le piante), sensibile (gli animali), sensibile e razionale (l'uomo), che sono imperfetti e mortali. Nell'uomo, il male fisico può essere anche inteso come conseguenza del male morale, ma senza che fra i due mali vi sia un rapporto di causa-effetto.

  11. Del Male X • Ciò è particolarmente evidente nei mali dello spirito, nelle sofferenze interiori, nelle somatizzazioni dei sensi di colpa (qui non intesi come nevrotizzazioni), che non sono da rimuovere, ma sono da verificare alla luce della coscienza morale. • Per ciò che concerne il peccato, che presuppone la colpa derivante dal libero esercizio della volontà, si può dire che si tratta di un principio di valutazione morale, che lede la natura, la coscienza, e la "legge",

  12. Del Male XI • e che è presente in ambedue le Tradizioni cui fa riferimento la nostra cultura e la nostra scienza etica, sia quella greco-latina, che quella giudaica. Nella Bibbia (si veda ad esempio Esodo 23, 21 e Isaia 1, 2) il riferimento al peccato è verbalmente amplissimo, constando di oltre trenta etimi, i cui principali si trovano nelle aree semantiche di infedeltà (mà'al), di "oltrepassamento" (àbar), e ingiustizia-violenza (àwel), ma vi è anche il concetto generale del peccato come di un senso di fallimento (àwòn, letteralmente: mancare il bersaglio).

  13. Del Male XII • Nei Vangeli sinottici e di san Giovanni, e in san Paolo (si veda Lettera ai Romani), i lessemi greci rinviano a concetti e significati analoghi, poiché, per ingiustizia troviamo adichìa(dalla radice di dichaiusìne, giustizia), e amartìa per peccato di infedeltà. Nell'etica greca e latina (Platone, Aristotele, Seneca, Marco Varrone, Cicerone, Marco Aurelio) così ben studiata da Agostino e Tommaso, troviamo, sia pure senza la dimensione soprannaturale della rivelazione cristiana, un'impostazione che possiede ampie corrispondenze soprattutto nell'ambito morale connotato dall'azione delle virtù e degli opposti vizi.

  14. Del Male XIII • In ambito cristiano si mantiene dunque un'impostazione legata al valore della fedeltà a Dio, la cui negazione (aversio a Deo, conversio ad creaturas: allontanamento da Dio per scegliere i beni finiti, cioè le creature) porta al peccato, cioè all'"atto umano cattivo", a tutti i peccati, sia contro se stessi che contro gli altri. Agostino diceva anche: “Pecca fortiter”, perché la redenzione sarà più profonda. • Ricapitolando possiamo dire: il male di per sé non è come principio, ma esiste ed è conseguenza della responsabile e libera azione dell'uomo, che di sé decide, anche quando agisce verso gli altri, perché in fondo ogni "peccato" è di omissione alla propria umanità. Cioè di rifiuto della possibilità di essere intelligenti.

  15. Le multiformi facce del male I • Se leggiamo il Padre Nostro, al capitolo VI del vangelo di Matteo, versetti da 1 a 9, troviamo l’espressione, all’ultimo versetto “(…) ma liberaci dal male(…)”. In greco l’espressione “πονερός” (poneròs) si può intendere sia nel senso di “male” sia nel senso di “maligno”, quindi di personalizzazione del male.

  16. Le multiformi facce del male II • Eugenio Montale si pone il problema del male in una sua celeberrima lirica “Spesso il male di vivere ho incontrato/ era il rivo strozzato che gorgoglia/era l’incartocciarsi della foglia, riarsa,/ era il cavallo stramazzato. (…)”. Si noti la durezza ricercata delle consonanti. Come si può constatare vi è un emergere del senso del male persino nell’espressione vitale della poesia somma, così come nel pensiero dei grandi filosofi: in Severino Boezio (VI sec.”(…) si Deus est undemalum, et si non est undebonum?”, cioè se Dio c’è da dove proviene il male, e se non c’è come si può concepire il bene?.

  17. Le multiformi facce del male III • Ma, se ci si chiede che cosa sia il male, ci si deve anche mettere d’accordo circa ciò che sia il bene. • La dottrina tradizionale (di Platone, Aristotele, sant’Agostino, san Tommaso d’Aquino) ci spiega che il Bene coincide con l’Essere, e anche con il Bello. “Verum, BonumetPuchrumconvertuntur”, vale a dire “Il Bene, il Vero e il Bello si convertono l’uno nell’altro”. Sono i famosi “trascendentali” della metafisica.

  18. Le multiformi facce del male IV • Ma il Bene, se coincide con l’Essere non è detto che qualsiasi bene sia tale per chiunque, per me, per te, per l’altro. Il bene deve essere ordinato al Fine, cioè all’Uomo, se possibile illuminato dalla Grazia (divina).

  19. Le multiformi facce del male V • E dunque, a questo punto si pone l’esigenza di un’Etica. Ma quale Etica? Anche l’etica va qualificata: innanzitutto come scienza, cioè “conoscenza certa (soggettivamente) ed evidente (oggettivamente) (…), e poi va qualificata: si tratta di utilitarismo (John Stuart Mill, Jeremy Bentham e liberalismo classico), di edonismo (marketing contemporaneo), di proibizionismo (teorie e prassi penitenziali post – tridentine), di deontologismo (meramente professionale), di emotivismo (Nietzsche e modernità) o di un’Etica del Fine (l’Uomo)? Cioè di un eudemonismo teleologico: come un tendere alla felicità (sempre sfuggente), ma nella prospettiva di un fine di vera autorealizzazione dell’Ente Uomo.

  20. Le multiformi facce del male VI • Tornando al Male, esso si può configurare come metafisico, morale e fisico - come dolore e morte (sant’Agostino e GottfriedLeibniz). • Il male metafisico è la “defectioboni” cioè una mera mancanza di un bene, una mutilazione dell’Essere.

  21. Le multiformi facce del male VII • Il male morale si configura, invece, nel peccato (religiosamente) e nella colpa (laicamente). • Il peccato (colpa) è un “mancare il bersaglio” (tradizione semitica), un “commettere ingiustizia” (tradizione greco-latina).

  22. Le multiformi facce del male VIII • Il peccato si commette indulgendo nei vizi, a partire dal caput vitiorum (origine dei vizi), secondo san Gregorio Magno ed Evagrio Pontico, della SUPERBIA (soprattutto se intellettuale o spirituale, il peccato del satana e dell’uomo che ritiene di bastare a se stesso), e continuando con l’AVARIZIA, l’INVIDIA, la LUSSURIA, la GOLA, l’IRA (la quale, però, se si configura come passione e non come collera distruttiva, può diventare utile per superare ostacoli e prove ardue), l’ACCIDIA, cioè il male di vivere, che oggi chiameremmo “depressione”, e rifuggendo le quattro principali virtù (qualità virili, secondo l’etimologia greco-latina di α΄ρητή, aretè, e virtus) umane, o morali (come da elenco risalente a Platone, poi ripreso dai Padri della chiesa):

  23. Le multiformi facce del male IX • PRUDENZA (come connectiovirtutum, o giusto equilibrio dell’agire umano), GIUSTIZIA (in tutte e tre le sue dimensioni: generale, di scambio e distributiva), FORTEZZA (o coraggio), fomite della pazienza, e TEMPERANZA, o misura della qualità del vivere individuale.

  24. Le multiformi facce del male X • Ancora, circa il “male”, lo troviamo come “radicale – radicato” nell’uomo (in Immanuel Kant), e pertanto, per il grande solitario di Könisberg, deve essere combattuto con l’impegno individuale al rispetto delle regole: “(…) fai in modo che la massima del tuo agire possa costituire legislazione universale” (Critica della ragione pura pratica); in Dostoievskij, in personaggi come Rask’olnikov di “Delitto e castigo”, in R.L. Stevenson “DoctorJekill (la faccia rassicurante del “bene”) e MrHyde (la faccia angosciosa del male)”; in Leopardi come “pessimismo cosmico”; nel libro biblico di Giobbe, là dove ilsatana ha perfino un posto dialogante alla “corte di Dio”.

  25. Le multiformi facce del male XI • San Tommaso d’Aquino, nella quaestio disputata “De malo” (il male), spiega come esso si possa configurare come conseguenza di ignoranza (colpevole o incolpevole), di debolezza, e di malizia, annettendo a questa ultima la maggiore gravità e responsabilità nell’ambito di un atto umano libero. • Il male peccaminoso radicale, per il DoctorAngelicus si configura come atto compiuto con caratteristiche di “materia grave” (ad es. omicidio, stupro, pedofilia, etc..), “piena avvertenza” (salute mentale, consapevolezza e lucidità psicologica) e “deliberato consenso” (libertà di agire).

  26. Le multiformi facce del male XII • In tutte le culture, infine, sia del bacino mediterraneo, sia nordiche, sia orientali, vi sono “luoghi di espiazione”, l’inferno, abitato dal separatore (il greco dià-bolos – διάβολος, l’ebraico satàn, l’arabo al-shaitaan), che comunque, con la sua azione di persuasore, attenta sempre alla lucidità mentale dell’uomo, dis-orientadolo verso il male. E talvolta, pare, anche secondo recentissimi studi comparati e integrati, di psichiatria e demonologia, addirittura, possedendolo, come potenza che governa, a tratti, la stessa personalità individuale.

  27. Le multiformi facce del male XIII • E’ consigliabile, pertanto, stare lontani dalle cosiddette “porte del maligno”, che sono lo spiritismo, i vari occultismi, comprese le magie, che, in quanto “e-vocative” e non “in-vocative” come la preghiera umile, sono sempre pericolose, il satanismo in tutte le sue forme, e da tutte quelle culture sincretistiche, modaiole, che pretendono di semplificare la grande questione del bene e del male, applicandovi criteri cognitivi irrazionali ed approssimativi.

  28. Istinti, Passioni, Ragione I • L'uomo agisce inizialmente con azioni i cui moti sono istintivi, quasi come quelli degli animali. L'impulso a dare un pugno sul naso di chi mi offende, fa il paio con l'artiglio veloce del gatto che mi scoraggia a tormentarlo ancora. Questi atti si chiamano moti primi-primi, o pulsioni pre-riflesse, o gesti istintivi.

  29. Istinti, Passioni, Ragione II • Non hanno rilevanza morale di sorta, anche se possono averne di giuridica e penale. In questo caso, pur se il diritto si deve fondare sull'etica, esso interviene là dove l'etica resta ancora un "attimo in attesa", perché essa deve interrogarsi innanzitutto se vi siano nel soggetto agente cattive intenzioni, mentre il diritto deve sanzionare comunque la violazione oggettiva.

  30. Istinti, Passioni, Ragione III • Gli impulsi talvolta sono irresistibili, e quindi vanno messi nel conto del normale agire umano. Risulta dalle biografie di tante persone virtuose, che comunque ebbero i loro momenti d'ira, cui seguiva solitamente una fase di ripresa dell'autocontrollo.

  31. Istinti, Passioni, Ragione IV • Poi abbiamo i moti primi-secondi, passioni o emozioni. Inizia l'area del cosiddetto "governo politico" della ragione, o coscienza, sulle passioni che spingono per un'agire immediato e forte. Qui la ragione, guidata dalla prudenza, dovrebbe possibilmente "limitare i danni", se proprio non riesce a governare. Ma spesso non riesce. Perché le passioni sono principi forti, fortissimi.

  32. Istinti, Passioni, Ragione V • La tradizione filosofica ne propone addirittura undici, che qui non elencheremo, poiché si possono riassumere in due grandi generi: le passioni legate al principio dell'irascibile (uno dei due cavalli che secondo Platone trainano la vita di ogni uomo, e che debbono essere controllati e guidati dall'anima razionale), e al principio del concupiscibile (l'altro "cavallo").

  33. Istinti, Passioni, Ragione VI • All'irascibile si annettono tutte le passioni correlate ai moti d'ira, collera, esercizio del coraggio nell'affrontare prove ardue: l'esercizio della sua moderazione è aiutato dalla fortezza, che induce a controllare lo slancio e ad avere pazienza. Molti aspetti e circostanze dell'esercizio dell'irascibile sono da considerare positivi: basti pensare a tutte le volte in cui si è chiamati a superare degli ostacoli e a vincere la paura.

  34. Istinti, Passioni, Ragione VII • Al concupiscibile ineriscono invece le passioni legate al desiderio di possesso, di qualsiasi specie lo intendiamo: il potere, i beni, il sesso fine a se stesso, le altre persone. Concupire è brama di acquisizione di dominio sulle cose e sugli altri. Come si vede, ognuna di queste due grandi pulsioni concorrono a rendere difficile il rapporto dell'individuo con le altre persone e con le cose. Si può dire, a titolo esemplificativo, che Bush e Saddam sono stati, sia pure in condizioni molto diverse, presi in modo irresistibile dalle stesse passioni: l'uno per dimostrare al mondo la propria primazia, a qualsiasi costo, l'altro per tentare di continuare ad essere un "re pastore", padrone del popolo, crudele e spietato.

  35. Istinti, Passioni, Ragione VIII • Da ultimo, e soprattutto vi é la ragione, o coscienza, o luce dello spirito. Lì c'é una sorta di "risonanza ontologica dell'uomo", una specie di manifestazione dell'essere dell'uomo quale non si trova in nessun'altra facoltà sottostante. Si può dire che la ragione denota l'uomo differenziandolo in modo radicale dagli altri animali. La ragione, non solo accede alla conoscenza razionale, tramite i tre livelli dei processi astrattivi, dell'esperienza e delle scienze fisiche, della matematica e della metafisica, ma è il "luogo" nel quale risuona quella che si può chiamare "voce della coscienza" o della "legge morale naturale".

  36. Istinti, Passioni, Ragione IX • E' un luogo che può essere pieno di vita, cioè di idee, ragionamenti, deduzioni, intuizioni, oggetti d'immaginazione, interpretazioni, ipotesi, scelte, decisioni di esercizio della volontà, ma anche luogo di silenzio, esperienza di deserto, là dove ci può essere spazio per l'indagine più intima sulle scelte morali. Che però sono sempre passibili di essere fuorviate, poiché resta rilevante la pressione dell'inconscio e delle passioni: ricordiamo anche che l'uomo non può avere mai una conoscenza completa di sé, poiché molto di questo séresta inespresso o inesprimibile, nascosto, ottenebrato e ambiguo.

  37. Istinti, Passioni, Ragione X • Le 11 passioni sono da considerare in 5 coppie e una separata: • Amore/Odio, • Desiderio/Fuga (o Repulsione) • Piacere/Dolore • Speranza/Disperazione • Gioia/Tristezza • Ira

  38. L'Invidia, la Gelosia, il Desiderio, il Destino I • L'invidia deriva dal verbo latino in-vidère, cioè un "vedere contro", considerare inviso a se stessi l'altro. E', dunque, propriamente un "diventare ciechi", incapaci di valutazione oggettiva, razionale. • Vizio capitale, come è stato considerato da Evagrio Pontico (IV-V), da papa san Gregorio Magno (VI-VII), da san Simeone il Nuovo Teologo (X), da Gregorio Palamas (XIV) nell'ambito della dottrina morale classica, propriamente significa malevolenza nei confronti degli altri, a cui, volendo male, si auspica (e talvolta si opera affinché) perdano i beni posseduti.

  39. L'Invidia, la Gelosia, il Desiderio, il Destino II • Guardiamoci in giro, anche in questo nostro Friuli Venezia Giulia: quanto diffusa è l'invidia! La vediamo trapelare da ogni anfratto vitale: nella politica tra i politici e gli aspiranti tali per questioni di potere e di "spazi vitali"; nella vita sociale dei piccoli paesi ("chissà cosa vuole quello, chissà chi crede di essere", talora solo perché qualcuno desidera ragionare con il proprio cervello); tra le popolazioni della regione con l'eterna, inutile, oramai penosa diatriba sulle specificità; nelle professioni; tra i parenti più stretti.

  40. L'Invidia, la Gelosia, il Desiderio, il Destino III • La gelosia, invece, è un sentimento umanissimo e profondamente diverso dal vizio dell'invidia. Per alcuni aspetti è un sentimento anche positivo, soprattutto se serve da stimolo alla crescita personale, per imitare i migliori. E' altamente plausibile anche nei rapporti affettivi maschio-femmina. In qualche modo costituisce la misura di un interesse per l'altra persona, poiché se in amore non vi fosse neppure un pizzico di gelosia vi sarebbe motivo di dubitare dell'amore stesso. Anche in questo ambito, comunque, bisogna tenere conto della misura, poiché un eccesso di gelosia si configurerebbe come forma nevrotica.

  41. L'Invidia, la Gelosia, il Desiderio, il Destino IV • Il desiderio è primariamente da de-sidera (lat.: quasi un moto da luogo strumentale, letteralmente significa "dagli astri"). Il desiderio nasce dall'esigenza, tutta umana, di possedere il bene e su ciò essere rassicurati, e così conoscere il proprio futuro. Per questo, fin dall'antichità ha avuto largo seguito il sapere dei sacerdoti astrologhi in Mesopotamia e in Egitto, impegnati a concordare i destini e gli atti umani con i moti degli astri, degli haruspices in Grecia e a Roma, che divinavano il futuro osservando il fumo dei sacrifici e le interiora degli animali sacrificati, degli sciamani e stregoni africani, siberiani e americani, adusi alle droghe e ai vaticini richiesti ai defunti.

  42. L'Invidia, la Gelosia, il Desiderio, il Destino V • Ma il desiderio è anche una passione che si oppone alla passione contraria, che è la paura, la quale determina la fuga del soggetto, prima desiderante. Desiderio e fuga sono contrastanti e nel contempo si attraggono, perché spesso, quando il desiderio-passione viene temperato dalla prudenza, ecco che vi sono momenti di stasi, nei quali la persona non si sa decidere, non ha la forza sufficiente per prendere una strada o l'altra, non riesce a discernere ciò che sia il bene-vero per sé. Questa è la quaestio principalis: sapere ciò che sia il bene-vero per sé.

  43. L'Invidia, la Gelosia, il Desiderio, il Destino VI • Qui confliggono le varie morali: soprattutto quella delle virtù che individua il bene nel proprio fine, e quella relativistico-utilitarista, cioè della scelta come convenienza hicetnunc. La cesura fondamentale fra le etiche è tra una scelta per un qualcosa che possa rispondere ad una legge universale di giustizia e di realizzazione del fine buono particolare, e un'etica che risponde solo alla convenienza del momento, senza porsi questioni di principio, un'etica dunque che si affida alla cultura prevalente o alla legislazione storicamente data: un'etica di questo genere è la stessa che riteneva normale che gli Spartani operassero una eugenetica verso i fragili.

  44. L'Invidia, la Gelosia, il Desiderio, il Destino VII • Destino deriva forse dal greco epistème - ̉ή, scienza, come a significare un qualcosa che è solido, che sta lì (ancora dal greco upòìsthemi - ̉̀ ̉́, stare sopra, consistere), e dunque non se ne può prescindere. Vi è quella particella infissa "ste-sti" che dà il senso all'ipotesi che propongo. Il destino lo si ritiene di solito ineluttabile, come se qualcuno avesse pre-scelto per noi il percorso esistenziale e i suoi esiti, e finanche, abinitio, le nostre inclinazioni o vocazioni. Ciò è implausibile, se non sotto due prospettive specifiche: quella della concausalità materiale e quella della prescienza divina.

  45. L'Invidia, la Gelosia, il Desiderio, il Destino VIII • Per concausalità materiale si intende che tutti gli eventi sono tra loro collegati, per cui talora ci sembra che le cose siano guidate dal caso, mentre invece, se potessimo accedere ad una meta-visione del tutto, ci accorgeremmo che ogni atto, fatto, evento, dipendono da una serie di concause spesso non evidentemente concatenate: ad esempio, sul lavoro scatta una promozione perché il capo precedente, inopinatamente, si dimette.

  46. L'Invidia, la Gelosia, il Desiderio, il Destino IX • Circa la prescienza si presuppone il dato della fede in Dio. Come spiega benissimo sant'Agostino nel De libero arbitrio, solo Dio, che ha la visione del tutto, conoscendo tutto, vede anche ciò che per noi uomini appartiene a ciò che ancora non ha (per il momento) l'essere, cioè il futuro. • Per il resto sussiste e funziona il nostro libero arbitrio individuale, che è la radice della responsabilità morale degli atti che compiamo.

  47. La Cupidigia I • San Gregorio Magno, grande papa del sesto secolo, considera la cupidigia, detta anche avarizia, come uno dei due fomiti principali degli altri vizi, insieme con la superbia, confortato dall'opinione di sant'Agostino, il quale chiama concupiscenza tutte le inclinazioni dell'uomo che lo portano ad "idolatrare" beni finiti, beni terreni, il loro possesso e dominio. L'idolatria, il denaro, il potere sono collegati, perché il denaro e il potere, se assurgono a fine supremo, diventano idoli cui si sacrifica tutto, anche i veri beni, che sono quelli spirituali, le virtù morali e il rapporto che abbiamo con Dio e gli altri.

  48. La Cupidigia II • San Bernardo di Clairvaux specifica nel dettaglio la consecutio vitiorum, soffermandosi specialmente sulla superbia, come primo dei vizi, definendola caput vitiorum, e analizzandola in dodici modi scalarmente più gravi, con Gregorio e con san Tommaso d'Aquino: "appetito disordinato della propria eccellenza". San Bernardo sostiene che il più grave moto di superbia é la ribellione esplicita a Dio, come quella di Adamo e di Lucifero, ma il suo inizio sta nei primi moti dell'autocompiacimento di se stessi.

  49. La Cupidigia III • Il primo comandamento "Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio, il settimo "non ruberai", il decimo "non desiderare ciò che gli altri possiedono", sono strettamente correlati e connessi nel primo, perché se Dio diventa un dio-denaro-potere, allora non c'è più posto per Lui. Lucio Anneo Seneca in diversi scritti, san Paolo nelle lettere ai Corinzi, a Tito e a Timoteo, più volte riprendono il tema grave della cupidigia, paventando con toni analoghi (il filosofo stoico e l'apostolo cristiano) il pericolo mortale dell'egoismo e dell'avarizia.

  50. La Cupidigia IV • Nell'Antico Testamento troviamo soprattutto in Ezechiele la condanna di questo vizio, e in Giobbe la grande figura di chi riesce a non rinnegare Dio anche perdendo tutto, salute, figli, armenti, casa, proprietà e denari. Giobbe, pur sollecitato a farlo da satana (deverbale ebr. da satàh, separare) e dai tre visitatori che dialogano con lui, oramai derelitto, non cede, perché crede nella misericordia del Signore. E così tutto gli viene ri-dato in sovrabbondanza. Un'altra grande lezione ci viene dal buddhismo. Il primo dei quattro precetti principali é la liberazione dal desiderio e dal desiderio di possesso, prima causa del dolore umano. Siamo sempre sullo stesso tema, e la soluzione proposta é ancora più radicale di quella stoico-cristiana.

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