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Libera Pluriversità di Napoli Non è Ufficiale ma Vera Napoli - Via del Parco Margherita, 35

Libera Pluriversità di Napoli Non è Ufficiale ma Vera Napoli - Via del Parco Margherita, 35. Sabato 23 gennaio 2010 - Orario 18,00 - 19,00 Lingua e letteratura napoletana Origini e definizione la lezione è coordinata dal prof. pref. Nicola Terracciano dottornico@inwind.it.

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Libera Pluriversità di Napoli Non è Ufficiale ma Vera Napoli - Via del Parco Margherita, 35

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Presentation Transcript


  1. Libera Pluriversità di Napoli Non è Ufficiale ma Vera Napoli - Via del Parco Margherita, 35 Sabato 23 gennaio 2010 - Orario 18,00 - 19,00 Lingua e letteratura napoletana Origini e definizione la lezione è coordinata dal prof. pref. Nicola Terracciano dottornico@inwind.it

  2. Il Napoletano è riconosciuto come lingua nella codifica ISO 639-1, ISO 639-2 oppure ISO 639-3, approvata nel 2005

  3. Non esistono criteri scientifici o universalmente accettati per discriminare le "lingue" dai "dialetti", anche se esistono alcuni paradigmi, che danno risultati spesso contraddittori. • Le varietà linguistiche definite "lingue": • perché sono utilizzate per redigere documenti ufficiali • sono riconosciute come lingua letteraria, avendo una letteratura propria • alla comunità dei locutori della varietà corrisponde uno Stato a sé stante che la riconosca come propria, • un gruppo etnico che si riconosce e venga riconosciuto come tale • perché hanno prestigio presso i locutori e/o presso altri

  4. La lingua napoletana (napulitano) è un idioma che per oltre un secolo è stata lingua ufficiale del regno di Napoli. Il napoletano possiede una ricchissima tradizione letteraria. già nel 960 con il famoso Placito di CapuaPlaciti cassinesi. « Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti. » (Capua, marzo 960) « Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe mostrai, trenta anni le possette parte sancte Marie. » (Teano, ottobre 963) La «scuola siciliana» e il volgare pugliese. corrente letteraria detta «scuola siciliana». Storicamente però furono trattati sempre come versi in lingua napoletana (volgare pugliese), dai grammatici coevi e dallo stesso Dante. Sono le poesie di Giacomo da Lentini, Rinaldo d'Aquino, Pier delle Vigne, Giacomino Pugliese e Guido delle Colonne.

  5. I siciliani estraniano le tematiche cortesi dai motivi politici e religiosi della tradizione provenzale, caratteristici della poesia occitana. I toscani, che spesso copiarono i siciliani, arricchiscono la poesia italiana di tutte le innovazioni tematiche proprie dei primi ambienti borghesi. La poesia meridionale si cristallizza entro stereotipi letterari fortemente condizionati dal sistema centralista e burocratico dello stato unitario del Regno di Sicilia

  6. lo «stilnovismo» non è l'esito o un superamento della poesia meridionale cambiano le tematiche: i rimatori in volgare pugliese sarebbero infatti ispirati da una weltanschauung* diversa da quella degli artisti toscani, esprimevano in contrasti amorosi le continue lotte fra fazioni e gruppi politici. * "concezione del mondo"

  7. Giulio Cesare Cortese (Napoli, 1570 – Napoli, 1640). Di costui si ricorda la Vaiasseide, un'opera eroicomica. È scritto comico e trasgressivo, dove molta importanza ha la partecipazione corale della plebe ai meccanismi dell'azione. Giambattista Basile (Giugliano in Campania, 1566 o 1575 – Giugliano in Campania, 1632) autore di Lo Cunto de li Cunti, ovvero lo trattenimiento de le piccerille, tradotta in italiano da Benedetto Croce, che ha regalato al mondo la realtà popolare e fantasiosa delle fiabe, inaugurando una tradizione ben ripresa da Perrault e dai fratelli Grimm.

  8. http://www.bibliotecaitaliana.it/exist/ScrittoriItalia/show-text.xq?textID=mets.si034http://www.bibliotecaitaliana.it/exist/ScrittoriItalia/show-text.xq?textID=mets.si034

  9. http://www.bibliotecaitaliana.it/repository/ScrittoriItalia/si034/si034_0438.jpg','438')http://www.bibliotecaitaliana.it/repository/ScrittoriItalia/si034/si034_0438.jpg','438') Le Muse Napolitane Egloghe* de Gian Alesio Abattutis *L'egloga, o ecloga, è un componimento della poesia bucolica in forma dialogica, con significato allegorico e celebrazione della vita agreste.

  10. letteratura in napoletano, opere di Salvatore di Giacomo, Raffaele Viviani, Ferdinando Russo, Eduardo Scarpetta, Libero Bovio, Eduardo de Filippo, Antonio De Curtis, ecc.. Nel corpo letterario anche le canzoni napoletane. Scuola musicale napoletana, libretti di opere liriche, ('O frate 'nnammurato di Gennaro Antonio Federico musicato da Giovanni Battista Draghi Pergolesi) per 5 secoli dal 1700 riferimento mondiale. Giovan Battista Pergolesi E. A. Mario Giovanni Paisiello Domenico Cimarosa

  11. Fonetica e sintassi ortoepia

  12. Alle vocali italiane "a" - "e" - "i" - "o" - "u" + "j". Quest’ultima si legge "i" e viene usata, con valore di vocale, all'interno di una parola, solitamente, al centro di un trittongo [es.: ajère, duje] e, con valore di consonante, a inizio di parola [es.-.janco, juórno, jurnàta].

  13. Tra le vocali, a - i - u non presentano alcuna particolarità di pronunzia: il loro suono è simile a quello delle corrispondenti italiane

  14. Vocali toniche Le vocali toniche sempre scandite, non soltanto quando sono a fine parola [es.: cafè, cummò], ma anche quando sono nel corpo di una parola [es.: funtàna, sèggia, barcóne] o quando trattasi di monosillabi. Le vocali "e" - "o", se toniche, possono avere un suono chiuso (é - ó) oppure aperto (è - ò). Di solito, nella scrittura, l'accento viene omesso quando la vocale tonica è all'interno di una parola.

  15. La vocale -e nel corpo della parola ha sempre un suono indistinto (dìcere, fùnneco, appìcceco, ecc.); acquista invece: a) suono aperto quando vi cade l'accento (bèlla, règgere, prèvete, ecc., e nelle finali cafè, lacchè, buffè; negli avverbi che finiscono in "mènte" (alleramènte, malamènte) b) ha suono muto nell'infinito apocopato dei verbi in -ere (cadé', pruvvedé', vede', ecc.), nelle finali accentate (pecché, picceré', Vicé', ecc.), nei monosillabi (gué', re, tre), in tutte le finali in –égna/ -égno (gramegna, 'nzegna, marcangegno, sciacquegno), in iéllo (auciello, cerasiello, muzzunciello, ecc.) in -iènte (diente, stiente, pezziente, ecc.), in -éssa (allessa, 'nciuciessa, pettenessa, sguessa), in -ézza (alterezza, munnezza, rezza), in -iéra / iére / iéro (pastiera, canneliere, sulitiero).

  16. 3) La vocale -o in posizione finale ha un suono indistinto che si avvicina all'-e muta del francese pauvre; invece diventa quasi -u in posizione post-tonica, cioè subito dopo l'accento interno (ranavuòttolo, vellìcolo, zéppola, ecc.). Inoltre: a) ha suono chiuso nel dittongo -uó- (cuorno, luongo, puorco, mariuólo, spuórco, ecc.), nei polisillabi accentati del tipo addo' e nelle seguenti finali: in -óna / óne (guagliona, pappona, fissazione, Sciatamone, ecc.), in -óre (accurdatore, addore, zucatore, ecc.), in -osa (azzeccosa, 'ntussecosa, smurfiosa, ecc.), in -uóco (appicciafuoco, bizzuoco, percuoco, ecc.), in -uólo (acquaiuolo, mustacciuolo, pizzaiuolo, ecc.); b) ha suono aperto nelle finali in –òcchia/-òcchio (battilocchio, carocchia, papocchia, ecc.), in -òcco (crocco, nicchinocco, scerocco, ecc.), in -òrio (accidetorio, mazzecatorio, sguazzatorio, ecc.), in -osta (faccetosta, tiritosta, zucagnosta, ecc.), in –òtta/ -òtto (carnacotta, cefalotto, paccotto, pagnotta, pasticciotto, ecc.), in -òzza (chianozza, tavulozza, tinozza, ecc.), nei polisillabi accentati o apocopati (cummò, Nicò', ecc.) e nei monosillabi ciò, po' e pò, mo', ecc.

  17. Vocali atone (su cui cioè non cade l'accento) e quelle poste in fine di parola, non vengono articolate in modo distinto sono pronunciate con un suono centrale indistinto che i linguisti chiamano schwa (in francese lo ritroviamo, ad esempio, nella pronuncia della e semimuta di petit). Le vocali a inizio di parola, le vocali che formano dittonghi o trittonghi vanno tutte scandite [es.: ajére, aniéllo, buatta, chiuóvo]. Le vocali atone devono risultare sempre scritte, a meno che non possano venire elise.

  18. corretta pronunzia delle vocali atone: la "a" è, foneticamente, pressoché muta, quando segue la sillaba tonica in una parola sdrucciola [es.: pòrtano]. Ha un suono evanescente quando è a fine di parola [es.: pèrzeca]. Va, invece, scandita quando si trova alla fine di un aggettivo che precede, immediatamente, un sostantivo iniziante per consonante (es.: tanta gente - na brutta jurnata) la "e" è, foneticamente, pressoché muta, sia che si trovi all'interno di una parola che a fine di parola [es.: ceràse, lampetelle, serenàte, ànnese, cafóne, pulliére]

  19. la "o", è pressoché muta, sia che si trovi all'interno di una parola che a fine di parola [es.: stròppole, trònole, pìnnolo]. Mantiene il suono pieno se costituisce la prima sillaba di una parola [es.: votapéscia] Le vocali "i" - "u", anche se atone, andranno sempre pronunciate. [es.: tièlla, chilli, pupàta, bèllu, chistu]. Il suono pressoché muto di alcune vocali finali atone rende molto frequente la fusione fonetica delle parole [es.: casa allèra, siente a me].

  20. Consonanti le lettere dell'alfabeto napoletano rispetto all'alfabeto italiano presentano in più soltanto la lettera "j" che assume valore di consonante quando è a inizio di parola, si legge "i", con un suono ben scandito [es.: janara, jànco, jastémma, jónta]. La consonante “h” e le consonanti f- l - p - r - t non presentano diversità nell'uso e nel suono, rispetto alla lingua italiana. Molte parole del lessico napoletano iniziano con una doppia consonante, di cui la prima è sempre una "m" o una “n”, il più delle volte preceduta da aferesi [es.: ‘mpìccio, 'mpustatézza, 'nferriàta, 'nguajàto, mbólla), mmaretà/arse, mmità, nnummenàta].

  21. Altre parole possono richiedere, in determinati casi, il raddoppiodella consonanteiniziale [es.: 'e ccase, 'e ffémmene, 'e llire, 'e mmane, 'e ppròve, 'e rròse, 'e sserenàte, a nnuje, cu vvuje, 'e llòro, 'e mmèje, 'e nnòste, 'e ssóje, 'e ttóje]. Nella lingua napoletana la fonetica, spesso, si discosta dalla grafica. Un vocabolo, anche se scritto proprio come in italiano, può differire nel suono per l'accentazione diversa di una vocale o, anche, per la particolare pronunzia che assume una consonante iniziale.

  22. Caratteristiche fonetiche La consonante "b" presenta solitamente un suono forte anche a inizio di parola (base, bòtta, bestia). Nel mezzo della parola si pronunzia doppia (robba, farabbutto, arrubbà'). In posizione iniziale muta spesso in v- (barca / varca, bacio / vaso, bótte / vótte, ecc.). In alcuni casi, questa consonante può essere, anche, sostituita dalla v. [es.: bórza/vórza, biàto/viato, bévere/vévere]. Dinanzi a m si assimila: gamba / gamma, piombo / chiummo, palomba / palomma, ecc. Il nesso latino d + v si trasforma in -bb- (advicinare = abbicinà ').

  23. La consonante "c" mantiene gli stessi suoni della lingua italiana. Spesso, però, quando è seguita dalla vocale i o dalla vocale e, assume un suono che si avvicina leggermente al suono italiano del digramma sc di scempio [es.'.paciénza, ciento, dujeciénto, croce, voce].

  24. La D in posizione iniziale e in posizione interna ha uno sviluppo in r (dodici/ rùrece, dammaggio/rammaggio, ecc.). Nel nesso -nd- si ha assimilazione regressiva (mandare/manna', vendere/ vennere, bandiera/bannèra, ecc.). Le preposizioni da e de, seguite o precedute da vocale, hanno l’aferesi della d (ped' 'e puorco, levate 'a miezo, ecc.)

  25. La consonante "d" spesso si pronuncia r (rotacismo), nei giorni della settimana: lunnedì, martedì, miercudì, giovedì, viernadì, dumméneca e in molti altri casi [es.: bròdo, dente, dentìllo, dito, detillo, dìcere/dì, diàvulo, rìdere, vedé]. Talvolta, può leggersi, alternativamente, d o r [es.: dà - pronunzia dà o rà, dannà, denaro, denare, diavularìa, dìcere, dimane].

  26. LaG è sempre forte in posizione iniziale o mediana (gente, giro, aggente, reggina); invece, seguita dalle vocali a od u, talvolta s'indebolisce al punto da diventare v (paga /pava, fragola/fravola, spago/spavo, frugolo/fruvolo, cannagola/cannavola, ecc.). Talvolta muta in j (gettare/jettà', correggia/corréja, paese < pagensis / pajése, ecc.).

  27. La consonante "g", mantiene lo stesso suono italiano nei digrammi "gl" - "gn" [es.: uóglio, ògne, ógne. Proprio come la lingua italiana, prende il suono palatale, debole o forte, nelle sillabe "ge" - "gi" [es.: gentarèlla - giàrra]; prende il suono gutturale nelle sillabe "ga" - "go" - "gu" [es.: galiòta, gónnola, 'nguttùso] e nei digrammi "gh" - "gr" [es.: agghiurdàto, 'ngrugnàto. Nel linguaggio parlato, la consonante "g" diventa, spesso, quasi muta, quando a inizio di parola, forma le sillabe "gua"- "gue" [es.: guaglióne/a, guagliunciéllo, guagliuncèlla, guagliunèra, guajo, guantiéra, guapparìa, guardia, gué, guerra]. Per i vocaboli "ragù" e "grattà" (grattare/grattugiare/sgraffignare) è prevista, addirittura, una doppia versione scritta: ragù / raù - grattà / rattà.

  28. La consonante "J" si pronunzia "i" e si trova, soltanto, a inizio di parola [es.: janco, jastémma, juórno, juto]. In posizione iniziale spesso si trasforma in ghi-, specialmente quando deve assumere un suono forte (che ghiurnata!; è ghianco; cu' 'e ghiastemme; tré ghiuorne fa; se n'è ghiuto già a che ghiuoco jucammo?). Talvolta s'inserisce con valore eufonico tra due vocali: cofféa/ cofféja, sbaréo/sbaréjo, ecc.

  29. La consonante "l" ha sempre un suono forte. Davanti a dentali muta in -u- (alto/àuto, falso/fàuzo, saldare/saura', caldaia/caurara, ecc.), oppure in -r- (salpare/sarpà ', coltello/ curtiéllo), talvolta cade (dolce/dòce) o viene aferizzata (specialmente negli articoli).

  30. La consonante "m" all'inizio di molte parole, si presenta raddoppiata foneticamente ma può essere superfluo rappresentarla graficamente con mm- è, quasi sempre, preceduta da aferesi [es.: mmaretàrse, ‘mmasciàta, mmescà, 'mmìria, mmità, 'mmito, 'mmuccà, 'mmunnà 'mmàggene, 'mmaggenà ', mediana, si raddoppia (amore/ammore, fumo /fummo, rame/ramme, camera/cammara, ecc.]. Inoltre, detta consonante, sempre a inizio di parola, figura, spesso, nei digrammi "mb" e "mp” preceduta, il più delle volte, da aferesi [es.: mbólla, mbriàna, 'mbruglià, 'mpastà, 'mpazzì, 'mpepatèlla]. Talvolta, con gli stessi digrammi, sostituisce una preposizione in qualche parola composta [es.: 'mbraccio, 'mparavìso, 'mpiétto].

  31. Anche la consonante "n“ a inizio di molte parole, si presenta raddoppiata e, quasi sempre, preceduta da aferesi [es.: 'nnammuràrse, 'nnammuràto/a, 'nnànte/ 'nnànze, 'nnucènte, nnummenà)]. Inoltre, a differenza della lingua italiana, questa consonante, figura spesso, a inizio di parola, nei digrammi "nc" - "nd" - "nf - "ng" - "nq" – “nt” - "nv” quasi sempre, preceduta da aferesi [es.: 'nchiuvà, 'ncuccià, 'nduvinà, 'nfracetà, 'ngnajàto, 'ngrugnàto, ‘nquartàto, 'ntuppà, 'nvèstere, 'nzerrà].

  32. Ancora N In posizione iniziale nell'avverbio nun (non) spesso cade ('un 'o ssaccio) e talvolta si semplifica alla sola 'n' ('n'accatta' 'sta stoffa, 'n 'appiccia ' 'a luce}. Anche n, geminandosi, diventa forte; ma la si può rappresentare nella forma nn- sol quando sia all'inizio di parola aferizzata ( ‘nnanze). Quando la 'n è aferesi di in sarà meglio incorporarla con la parola seguente: 'ncoppa, 'ncapo, 'ncanna. Davanti a m e p , la n della preposizione in aferizzata si trasforma in m: 'mmano, 'mpietto, 'mponta, ecc. Davanti a -v- può rimanere la n ( 'nvìdia, 'nveperuto) oppure mutarsi in doppia m: mmidia, mmeperuto.

  33. P Talvolta muta in b acquistando un suono forte (aprile/abbrile, eresipola/ resibbola), oppure in c (seppia/ seccia, so / saccio).

  34. La consonante "q" è presente in poche parole [es.: quèquero, 'nquartàrse]; la lingua napoletana propende per la consonante "c" [es.: ccà, cuièto, Pasca]. Spesso è indurito in c, ch (qua/ccà, qualcosa/caccósa, ecc.) oppure assorbe la vocale che segue (quieto/ cuieto), oppure passa in palatale tenue (quercia/cercula-cerqua).

  35. R Iniziale, muta talora in d-, specialmente nella parlata più popolare (rotto / dutto, per uno / ped uno); cade frequentemente nel gruppo -str- (maestra / maésta, terrestre / terresto)); talvolta si propaggina (venerdì / viernadì}; qualche caso di ellissi (addietro/arèto, proprio/propio).

  36. La consonante "s", attenzione, ai fini di una corretta dizione napoletana. In posizione iniziale muta talvolta in z- (zolfo / zorfo, soffritto / zuffritto, succo-sugo / zuco, ecc.); anche dopo r muta spesso in z- (arsura / arzura, orso / urzo, persica / pèrzeca, spersa / sperza, ecc.); egualmente muta in -z- dopo l e n (balsamo/barzamo, polso/puzo, senso/senzo, insegna/ 'nzegna, pensare/penzà', ecc.). Nei digrammi "sc"- "sf - "sp" - "sq" la consonante "s" dovrà, sempre, pronunciarsi "sc" come in italiano il digramma "sc" di scialle, prima di unirsi foneticamente alla consonante che segue; ciò qualsiasi sillaba andrà a formare [es.: Pasca, Pascale, scassà, schiuppà, scugnàto, scugnìzzo, scrianzàto, sfizio, sfìziùso, sfóttere, spàrtere, sperùto, sprufùnno, spugnàto, squarciòne, squagliato.]

  37. Logicamente si pronuncia, come in italiano quando forma le sillabe sce- sci [es.: cascètta, sciosciole]. Nei digrammi "sb" - "sg" - "sm" "sv" la consonante "s" dovrà sempre pronunciarsi “j”, come in francese la j di je (io), prima di unirsi foneticamente alla consonante che segue; ciò qualsiasi sillaba andrà a formare. [es: sberréssa, sbitàto, sbrunzulià, sbruvignàto, sgarro, sgravuglià, smargiàsso, smurfiùso, svacantà, sverdézza. Il digramma "st" conserva lo stesso suono della lingua italiana [(es.: stròppole , stunato)]. I digrammi "sl" - '"sn" non figurano nel lessico napoletano.

  38. T spesso muta in c gutturale o palatale (vomitare/vummecà', torma/chiorma, rotolare/ rucinlià'); talvolta in n (patata/patana).

  39. La consonante "v", in taluni casi muta in b, specie nei raddoppiamenti (valigia/balicia, avvicinare/abbicinà', avvelenare/abbelenà', ecc.); [es.: Viciénzo, veléno, venuto, 'o vvì (!?), 'e vvì (!?)] 'On Vicienzo mò è venuto - nun è veleno, 'o vvì? 'On Bicienzo mò è benuto - nun è beleno, ‘o bbì? scade dinanzi a spiranti gutturali (favore/faóre, pavone/paóne, lisciva/liscìa); nel gruppo -nv- si trasforma per assimilazione in -mm- (invidia/'mmidia, invece/'mmece, ecc.); tra due vocali, e preceduto da u, viene assimilato da quest'ultima (Giovanni / Giuanne).

  40. La consonante "z", presenta, di solito, un suono dolce, come la z di zaino, anche in parole come zia, zio. La si trova, spesso, nel digramma "nz", preceduto da aferesi, quando è a inizio di parola [es.: 'nzalata, ‘nzipeto, 'nzuónno, penzà]. E frequente nel digramma "rz" [es.-.bórza, córza, perzóna, scarzo]. Muta talvolta in c palatale (zufolo/ciufolo, pazienza/ pacienza). La doppia -zz- ha in genere suono aspro (lazzaro, zizzania); la finale -zione è questi sempre forte, ma è errore anche in dialetto scrivere -zzione

  41. SEGNI ORTOGRAFICI

  42. Accento Nella scrittura napoletana l'accento riveste un’importanza fondamentale per il suono che da alla parole. L'accento acuto (‘) o quello grave ('), messo sulle vocali e - o, sta ad indicare un suono stretto oppure aperto. Talvolta un accento diverso può cambiare, non soltanto il suono, ma anche il significato di una parola (es.: "sóla" = agg. femm. "sola"; "sola" = sost. femm. "suola"). L'accento circonflesso (^), che veniva posto su una vocale per prolungarne leggermente il suono, è stato nel tempo sostituito dal semplice accento acuto (es.: tu hé, invece di tu hê — tu hai) o dall'aferesi dinanzi alle vocale a, o, e, come nel caso di alcune preposizioni articolate (es.: 'a invece di â = alla, 'o invece di ô=- allo, 'e invece di ê = agli/alle, come pure 'ncopp’ 'o / 'ncopp' 'a invece di 'ncopp'ô / 'ncopp'â = sullo/sulla, ecc.). Oggi, per fare un esempio, si scrive, in modo semplicistico e scorretto: 'e vvòte, anziché ê vvòte '=- alle volte. Anche la dieresi (¨), molto usata in passato, soprattutto da poeti, è stata completamente abolita.

  43. Apostrofo La lingua napoletana fa molto uso dell'apostrofo per indicare un'elisione, un'apocope o un'afèresi. Elisione, caratterizzata da un apostrofo a fine parola, indica la soppressione fonetica di una vocale finaleatona dinanzi a una vocale iniziale della parola che segue. L'elisione può indicare anche la caduta della vocale finale unitamente alla consonante h, come nel caso di "che" usato con valore di pronome in proposizioni interrogative o esclamative. Esempi: N'ammóre - Chill‘ òmmo - Dint' a sta casa - C’addóre! – C’ha ditto?

  44. Apocope, caratterizzata sempre da un apostrofo a fine parola, rappresenta l'elisione del gruppo di lettere finali che seguono la vocale tonica. La si dovrebbe usare per i verbi con la desinenza tronca e per alcuni sostantivi (nomi propri, titoli accademici ecc.), quando ci si rivolge direttamente alla persona [es.: cavalie’, dutto', giuvìno', guaglio', mariscia', sìgno']. Esempi: Rafe' va a fatica! - Alfre', tu nun vuó vedé - Penz' 'e venì pur' io - Cavalie', trasìte! - Gué, guaglio', ma sì' cecato? Prevale, sempre più, l'uso di ricorrere all'accento acuto o grave per troncare una parola. Ciò nonostante, l'apostrofo che caratterizza l'apocope rimane d'obbligo: - per l'aggettivointerrogativo o esclamativo "qua'?!" Esempi: Qua‘ casa? Oua' fémmena! - per quei sostantivi che indicano determinati gradi di parentela, se vengono usati per rivolgersi direttamente alla persona: Esempi: 'O no’ che vuo’! - 'A no’ , assettete! - 'O zi’ che faje? - 'A zi’ addò vaje? - per quei sostantivi, preceduti sempre dall'aggettivo "bella" - "bell’"/"bellu", quando vengono usati per rivolgersi direttamente alla persona. Esempi: Bella fe', ch’è stato? - Bella gio', aggiate paciénza - Bell' o', dateme na mano!

  45. Afèresi, rappresentata da un apostrofo a inizio parola, sta ad indicare l'eliminazionedi una vocale (raramente di una consonante) all'inizio di una parola. La lingua napoletana fa molto uso dell'aferesi davanti a parole che iniziano con la m e con la n. Esempi: 'mbrèllo, 'mmìria, 'mpìccio, 'mpustatézza, 'nfuso, 'ngrato, 'nnante, 'nzallanùto. L'aferesi è assolutamente d'obbligo: - davanti agli articoli determinativi 'o - 'a - 'e (il/lo - la - i/gli/le), anche quando questi vengono utilizzati per formare preposizioni articolate; - davanti alle preposizioni 'e (di) - 'a (da); - davanti ai pronomi personali 'o - 'a - 'e (lo - la- li/le). L'aferesi, dinanzi a parole che iniziano con la lettera "r", sottintende, solitamente, l'eliminazione della consonante "g" fatta eccezione per 'resia (eresia). Esempi: 'rammofono, 'rancascia, 'rattacàsa. L'aferesi è stata, da tempo, abolita dinanzi agli articoli indeterminativi nu (uno) e na (una).

  46. Prerogative morfologiche e fonetiche proprie del napoletano: Nicò, mo bbasta!

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