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Politica ed economia d’Italia tra bizantini e longobardi

Politica ed economia d’Italia tra bizantini e longobardi. La creazione di un apparato politico-militare.

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Politica ed economia d’Italia tra bizantini e longobardi

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Presentation Transcript


  1. Politica ed economia d’Italia tra bizantini e longobardi

  2. La creazione di un apparato politico-militare I duces1delle nuove circoscrizioni furono capi militari nominati , in un primo tempo dall’esarca, il nome stesso di iudex, già usato per contraddistinguere la giurisdizione civile, finì con essere applicato anche ai duchi e agli ufficiali militari subordinati, i tribuni. Nell’ Italia bizantina parve dunque costituirsi un apparato politico-militare onnipresente, destinato a compensare, con la rigidezza di un'unica gerarchia di poteri, la discontinuità territoriale e le conseguenti difficoltà di un governo unitario.

  3. L’autorità militare surroga il potere civile Questa unificazione dei poteri locali nelle mani dei comandanti militari bizantini era una soluzione del problema politico-amministrativo radicalmente opposta al programma enunciato da Giustiniano, che aveva messo l’accento sulla distinzione delle funzioni civili da quelle militari e sulla scelta dei giudici provinciali nelle province medesime, così ostentando la volontà di correggere certe tendenze a porre l’amministrazione civile sotto la vigilanza dei capi militari. La separazione fra carriere militare e carriere civili si andava dileguando con il graduale svanire della burocrazia stessa civile, per lo meno nei suoi gradi più alti. Il prefetto del pretorio d’Italia, già diminuito nei suoi poteri scomparve nel corso del VII sec. Simile sorte ebbero i governatori civili delle provincie: tanto che le vecchie provincie svanivano di fronte alla destrutturazione imposta dalle necessità della difesa militare.

  4. Il Ceto di possesso Non vi era paragone tra il patrimonio fondiario della Chiesa di Ravenna, arricchita anche dai beni già in dotazione delle chiese ariane protette da Teodorico e il patrimonio di ogni ente o famiglia della regione. E se la potenza economica dell’arcivescovo oltrepassava di gran lunga i limiti regionali certo è che nei vari distretti dell’esarcato2e della pentapoli 3si concentrava la massima parte dei beni: una fortuna immensa, contratti a lunga durata, fino a tre generazioni e anche in perpetuo, dei quali godevano non tanto i coltivatori diretti, quanto i milites, i tribuni, perfino l’esarca, la classe militare insomma, coincidente con il ceto dei possessori.

  5. La Chiesa di Roma La Chiesa di Ravenna Con una simile base economica e un simile collegamento sociale, e con la responsabilità attribuita dalla legislazione bizantina a tutto l’episcopato dell’impero di vigilare attivamente sull’amministrazione pubblica, l’arcivescovo di Ravenna raccoglieva nella proprie mani una potenza temporale predominante nella regione, una potenza formalmente distinta dall’ordinamento pubblico ufficiale, ma collegata con i singoli membri dell’ordinamento medesimo e integrata da quella rete di subordinazioni ecclesiastiche. Questo graduale coordinarsi di tutta una società intorno a un prelato eminente fu in parallelo con ciò che avvenne nel ducato romano. Il patrimonium sancti petri si risolse in qualcosa di molto diverso così dalla vasta rete economico-amministrativa di un tempo fra i dispersi patrimonia della chiesa romana, divenne la base di una coordinazione regionale, che faceva esatto riscontro con quella rivale sul piano ecclesiastico del metropolita di Ravenna.

  6. La Chiesa di Roma Soltanto quando si ponga attenzione alla struttura, all’entità e alla distribuzione geografica di questo gigantesco supporto economico e amministrativo dell’autorità religiosa della sede romana, si può intendere come dalla fine del VI sec. al principio dell’VIII sec. La Chiesa di Roma , in contrasto con la debolissima attività esercitata nei regni romano-barbarici dell’Occidente, abbia mantenuto una capacità di azione ecclesiastica e di influenza sociale e politica nell’Occidente soggetto a Bisanzio, e come dalla metà VII sc. si sia potuta orientare verso un vasto disegno di dominazione politico-territoriale nel centro d’Italia. La Chiesa di Roma, che nello sconvolgimento provocato in Italia dalle controversie sul culto delle immagini già operava diplomaticamente di fronte ai longobardi in sostituzione e rappresentanza del potere imperiale carente.

  7. La distinzione sociale ed economica nella realtà longobarda La distinzione sociale ed economica all’interno del regno sottolineava a sua volta un fatto schiettamente politico. Il diritto alle armi, proprio dei longobardi, implicava partecipare non soltanto alle imprese di guerra e alla difesa militare del territorio, ma al controllo e alla dominazione politica esercitati sulla popolazione romana: che non era tutta di servi, bensì in buona parte di coltivatori personalmente liberi, di liberi artigiani e mercanti e di chierici. Il popolo longobardo deteneva intorno ai suoi capi e collaborando con essi, il monopolio del potere politico insieme con l’egemonia sociale e con una prevalenza assoluta del possesso fondiario.

  8. Una sorta di ceto di possesso nel mondo longobardo Per vie affatto diverse da quelle seguite dalle popolazioni ufficialmente subordinate all’esarca bizantino di Ravenna , anche l’Italia longobarda pervenne, nell’VIII sec., alla costruzione di un sistema sociale in cui la classe dei possessori si identificava con la classe militare e politica. I possessori liberi e armati del distretto militare longobardo (exercitales) non erano meno radicati nella vita locale di quanto fossero i milites delle città bizantine, e neppure essi mancavano di intraprendenza, nonostante la forte mano con cui Re Liutprando in quel tempo, reggeva i suoi longobardi. L’ ”esercito” del Re Longobardo era capillarmente insediato nel regno : era il ceto che ovunque emergeva, nella città e nei piccoli centri rurali. L’adesione alla pieve e alla diocesi non era soltanto un fatto religioso: rappresentava l’inquadramento sociale degli esercitali, l’appartenenza a quel medesimo ceto di possessori, da cui i vescovi e plebani venivano per lo più reclutati.

  9. Legislazione di re Liutprando Re Liutprando dovette con una norma esplicita e ampia proibire che si comperasse terra regia dai servi e minacciare gli actores4 colpevoli di vigilanza insufficiente. Nell’esprimere questo divieto Liutprando manifesta la sua indignazione contro l’ingiustizia degli arimanni, i quali vedono garantiti dalla legislazione regia i propri possessi ma non hanno rispetto per i possessi del re: essi che pur sono legati al re da un giuramento di fedeltà. Il potere regio pone l’accento sul carattere pubblico della generale subordinazione di arimanni e degli agenti e capi militari al re, rafforzandola con i vincoli di una devozione personale verso colui che, solo, rappresenta la stabilità e l’unità politica.

  10. La gerarchia nella realtà longobarda Nell’VIII sec. la gerarchia delle funzioni pubbliche ed ecclesiastiche corrispondeva, nel regno longobardo non meno che nell’esarcato bizantino d’Italia, a vari gradi di una gerarchia sociale ed economica, che si presentava ufficialmente e concretamente come classe armata, sorretta da un possesso prevalentemente fondiario, da cui era più o meno compiutamente inserita in singoli contesti regionali o locali. Le schiere che nel VI sc. Invasero l’Italia sotto la guida del Re Alboino, presentavano un ordinamento militare che corrispondeva ancora in gran parte all’ordinamento tribale del popolo. I corpi dell’esercito si articolavano secondo i nuclei parentali a cui appartenevano i guerrieri (farae).

  11. La tendenza autoritaria delle fare Lo stanziamento del popolo nelle varie regioni italiane avvenne attraverso il graduale arrestarsi dei corpi di spedizione e il distribuirsi delle fare entro ciascun territorio. I capi dei singoli corpi, i duchi, si insediarono in centri fortificati e divennero capi territoriali; e poiché ogni gruppo di fare che costituisse un corpo di occupazione, implicava rapporti interni complessi, non dipendenti soltanto dalla collocazione territoriale, ma dai vincoli delle parentele e da una tradizione di guerre e di conquiste, ogni ducato rivelò una tendenza all’autonomia.

  12. La restaurazione del potere regio La necessità di una difesa comune contro i pericoli esterni impose la restaurazione del potere regio, e da quel giorno l’evoluzione del popolo longobardo e dei suoi rapporti con la popolazione romana fu condizionata fortemente dall’orientamento della corte di Pavia verso un regime monarchico di carattere tendenzialmente romano. I duchi quando restaurarono il potere regio dopo il decennio di anarchia cedettero al Re Autari metà delle loro ricchezze. Ed è documentato che nell’VII sec. Re e duchi donarono largamente alla Chiesa. Tutto ciò presuppone un immenso patrimonio fiscale, proveniente in massima parte da terre già anteriormente pubbliche. Le donazioni regie provocavano accrescimenti anche in zone lontane.

  13. I Duchi con lo sviluppo del potere regio Lo sviluppo del potere regio in una monarchia a chiara base territoriale ebbe dunque un limite nelle sopravvivenze ducali, le quali anzi, si configurarono come formazioni politiche orientali verso un proprio ulteriore sviluppo e capaci di limitare la corte regia nella definizione dei distretti minori, nell’amministrazione del fisco ducale nella creazione di una piccola burocrazia centrale. L’autorità regia ebbe a Benevento e a Spoleto un riconoscimento più spesso formale che sostanziale; in tal modo i due grandi ducati longobardi si insediarono fra i territori bizantini tendenti pure essi all’autonomia e accentuavano il frazionamento politico della penisola. Fonte: Egemonie sociali e strutture del potere nel medioevo italiano – Giovanni Tabacco

  14. Glossario Limitanei Nell’esercito romano dal 4° sec., in contrapposizione ai comitatensi, i soldati stanziati alle frontiere e alle dirette dipendenze dei duces, comandanti militari delle province di confine. Come contadini-soldati, i l. risiedevano sul fondo in loro possesso. esarcato Nome dato dai bizantini ai due governatorati militari in cui raggrupparono i territori dell'Impero situati in Italia. Comandati da un esarca (gr. «comandante») Pentapolifu detta anche una delle province dell’Italia bizantina, pressappoco corrispondente all’antica Flaminia e presumibilmente già organizzata all’epoca dell’invasione longobarda. Il nome farebbe ritenere che si limitasse a 5 città actionarii Ufficiali medievali di grado inferiore (detti anche actores), preposti all’amministrazione dei possedimenti patrimoniali della Chiesa. Nel Regno longobardo dipendevano dai gastaldi o dai duchi Fonte: Treccani.it

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