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Che cosa significa una visione della storia?

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naomi
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Che cosa significa una visione della storia?

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Presentation Transcript


  1. Che cosa significa una visione della storia? Vogliamo comprendere la storia come tutto per comprendere noi stessi. La storia è per noi il ricordo, di cui non solo abbiamo conoscenza, ma sulla cui base viviamo. Essa costituisce le fondamenta che sono già poste e a cui rimaniamo legati se vogliamo non disperderci nel nulla, ma prender parte all'essere-umano. Una visione della storia crea lo spazio da cui si desta la nostra coscienza dell'essere-umano. […] Ogni epoca ha la propria grandezza. Il passato ha cime e valli nel suo significato. Ci sono epoche tranquille, che sembrano contenere ciò che sarà per sempre, e che si sentono definitive. Ci sono epoche di svolta in cui avvengono rivolgimenti che, nel caso estremo, sembrano toccare le radici del genere umano. Karl Jaspers

  2. Scriveva Gioacchino Volpe nel 1922, l'anno che avrebbe segnato l'inizio della crisi dello Stato liberale: “Gli Italiani aspettano sempre una storia del loro Risorgimento: una storia di ampio respiro; penetrata e animata di realtà; illuminata dal «senno del poi», vale a dire dalla comprensione di quel che è l'Italia, nata da quello sforzo; una storia che non sia elogio né requisitoria, non ricerca di eroi da incorniciare per la patria galleria o di idoli da adorare come incarnazioni di verità assolute; una storia infine che, pur circoscrivendo, nella vita d'Europa e del mondo, l'Italia e, nell'Italia, una certa determinata epoca detta il Risorgimento, ci presenti poi quell'Italia parte di un tutto e piena dello spirito del mondo, e nel Risorgimento ci faccia sentire, viva, presente e operosa, la storia di vari secoli di vita italiana, quanti sono necessari per dar ragione di quel che il Risorgimento è stato e di quel che non è stato”.

  3. Il regime che ne è seguito non ha negato il Risorgimento, ma lo ha lentamente assorbito in una dimensione celebrativa e conservatrice, funzionale al proprio modello politico. Si dovrà attendere a lungo prima di ritrovarsi negli ideali e nella storia dell’unica rivoluzione politica che avuto l’Italia moderna.

  4. La storia ci serve soprattutto come strumento per indagare il presente e per riuscire a progettare il futuro. Il problema è capire se esiste davvero un comune sentire italiano, se c'è un senso di appartenenza al di là delle ideologie spicciole recenti, per certi versi se in questi 150 anni siamo cresciuti come popolo. L'Unità della nazione non è una conquista fatta, non è un obiettivo conquistato una volta per tutte, ma è un processo in continuo divenire; certo non siamo forse uniti completamente, ma siamo molto più uniti di come eravamo prima e lo diventeremo forse ancora di più nei prossimi anni se ci saranno politiche, modalità di pensiero, strategie volte a questo continuo processo di unità, che appunto non può significare omogeneizzazione.

  5. La memoria pubblica è un "patto" in cui ci si accorda su cosa trattenere e cosa lasciar cadere degli eventi del nostro passato. Su questi eventi si costruisce l'albero genealogico di una nazione. Sono i pilastri su cui fondare i programmi di studio per le scuole, i luoghi di memoria, i criteri espositivi dei musei, i calendari delle festività civili, le priorità da proporre nella grande arena dell'uso pubblico della storia, le scelte sulla base delle quali si orientano tutti i sentimenti del passato che attraversano la nostra esistenza collettiva. I fondamenti di quel "patto” cambiano a seconda delle varie "fasi" che scandiscono il processo storico di una nazione. Vent'anni fa, la classe politica uscita dal crollo della Prima Repubblica venne chiamata a una complessiva opera di "rifondazione". Si trattava, fra l'altro, di rinnovare un intero apparato simbolico, quell'insieme di pratiche di natura rituale sul quale un sistema politico fonda la propria legittimazione. Vent'anni dopo prendiamo atto di un vero fallimento. Non è una vicenda solo italiana. La frattura tra Novecento e Post - Novecento ha terremotato l'intera configurazione delle memorie ufficiali, degli Stati europei in particolare.

  6. A est, la fine del comunismo ha lasciato affiorare tra le macerie dei monumenti memoriali dello stalinismo nuovi brandelli di memorie, improntate a un nazionalismo aggressivo e vendicativo. In Occidente, il tramonto dello Stato "potente", dello Stato forte, della legittimazione che derivava ai suoi istituti dalla potenza economica del welfare, ha provocato una deflagrante implosione, spalancando le porte a una complessiva privatizzazione della memoria, all'affermarsi di un groviglio di memorie particolaristiche che non si riconoscono più in quella proposta dallo Stato nazionale. La specificità italiana sta proprio nel sommarsi della crisi, che in generale ha investito il ruolo dello Stato novecentesco, alla lunga e difficile transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica. Il nostro universo memoriale ne è stato complessivamente sconvolto. I partiti che avevano costruito e monopolizzato il vecchio "patto di memoria" sono tutti scomparsi, sostituiti da partiti che con il passato hanno un rapporto contraddittorio, volatile, spesso inesistente.

  7. Sul piano istituzionale, è rimasta sola la presidenza della Repubblica a costruire memoria, in un cambiamento di ruolo tanto drastico, quanto significativo, cominciato già con Pertini e reso più evidente prima da Ciampi, poi da Napolitano. I loro interventi, tuttavia, sono come chiazze d'olio in un mare in tempesta: rassicurano e placano, mentre tutt'intorno la burrasca imperversa e le onde del risentimento e della rissa memoriale continuano ad accavallarsi impetuose. Nel vuoto spalancatosi grazie all'inconsistenza del rapporto con il passato, proposto dalla nuova classe politica, si sono affermati altri e più potenti costruttori di memorie. Anche su questo terreno i venti della privatizzazione spirano robusti, alimentati dal mercato e dal sistema mediatico che ne organizza i contenuti. Oggi tutte le grandi narrazioni del passato sono affidate alla capacità dei media, in particolare della televisione di proporre un racconto commisurato al senso comune.

  8. I media hanno potentemente contribuito a legittimare l'impiego dei linguaggi specifici del qualunquismo spontaneo, del razzismo, del fanatismo sportivo. A partire dagli anni ottanta le televisioni private, in particolare, hanno lasciato emergere la forza egemonica della componente maggioritaria di un'opinione pubblica soprattutto settentrionale, maschile e con forti pulsioni xenofobe, contribuendo a rendere accettabile e diffusa una serie di luoghi comuni e di stereotipi prima confinati esclusivamente nella cerchia ristretta dei bar di periferia. Il sentirsi italiani, il riconoscersi in un valore che non sia l’essere tutti figli di uno stesso benessere e che si fondi su un comune nucleo civico, è oggi un sentimento che non suscita passione, mentre altre scelte si affermano in un universo affollato da derive familistiche, da egoismi aggressivi, da pulsioni che oscillano tra il rancore e la passività.

  9. Quali i limiti temporali del Risorgimento? Il processo di trasformazione della penisola italiana da un'espressione meramente geografica in una nazione unita e potente, è oggetto di una vasta letteratura. Quali limiti temporali si debbono assegnare al Risorgimento? Per la sua fine è stata proposta la data del marzo 1861, quando si giunse alla formale costituzione di un Regno unito. Un'alternativa è l'ottobre 1870, quando il plebiscito tenuto a Roma parve porre un suggello più definitivo al processo di unificazione nazionale. I patrioti più accesi sono andati ancor più lontano e hanno considerato parte di uno stesso periodo storico anche gli anni fino al 1919, allorché la definizione dei confini, seguita alla prima guerra mondiale, completò le frontiere alpine dell'Italia. Più difficile è trovare un accordo sulla data d'inizio del Risorgimento. Si potrebbe sostenere che soltanto nel periodo rivoluzionario compreso tra il 1846 e il 1849 il sentimento nazionale si diffuse effettivamente, in una misura realmente significativa, tra la popolazione delle varie regioni italiane. Gli storici hanno a volte adottato la data di comodo del trattato del 1815 che seguì le guerre napoleoniche; o, alternativamente, l'arrivo delle truppe francesi negli anni seguenti al 1794, con il loro nuovo messaggio rivoluzionario; altri hanno fatto iniziare il Risorgimento ancor prima, con i riformatori illuministi del Settecento. Un'altra interpretazione vede in Cavour e Mazzini gli eredi diretti dei signori medievali in continua lotta fra loro, che avevano combattuto contro gli invasori stranieri al fine di creare, più o meno consciamente, un grande Stato italiano.

  10. In ogni caso l'idea di un'Italia unita, come possibile entità politica, era in precedenza presente nell'animo popolare: eccetto che per pochi, si trattava forse soltanto di un'idea vaga, priva di incidenza pratica, ma la coscienza nazionale non nacque dal nulla dopo il 1800. La parola «risorgimento» venne dapprima usata per indicare ciò che oggi siamo soliti definire come il «rinascimento» del XV secolo. L'idea di un'unità culturale italiana è facilmente rintracciabile ancor prima di questa data. Dante e Petrarca, all'inizio del '300, vagheggiarono un ideale poetico di ciò che l'Italia avrebbe potuto essere, e Machiavelli, più tardi, sperò che apparisse un liberatore che sottraesse gli italiani al dominio straniero. Machiavelli, tuttavia, come Petrarca e Dante, era cittadino di Firenze, non dell'Italia e neppure della Toscana; e sebbene il suo orizzonte andasse oltre le mura della sua città, la realtà politica del suo mondo era rappresentata da un'Italia divisa in principati, repubbliche e città indipendenti. Gli italiani delle diverse regioni si erano per secoli scontrati per rivalità meramente locali, provocando o anche sollecitando regolarmente l'invasione di un capo straniero dopo l'altro, che li aiutasse nelle loro lotte private contro gli Stati italiani vicini. A causa dei disaccordi interni, tutti i conquistatori stranieri trovarono sempre appoggio in notevoli settori della popolazione locale: non solo per i francesi nel 1494, per gli spagnoli nel 1282, per i tedeschi nell'ultimo decennio del XII secolo e per gli arabi nel IX, pure per l'invasione napoleonica del 1796 e per la conquista austriaca del 1813-14. Persino nel 1849, alcuni ben noti personaggi italiani applaudirono il ritorno dei soldati austriaci in Italia.

  11. L'autorità straniera, forse perché capace di trattare questi antagonismi locali con un certo distacco, ma anche perché poteva offrire ai virtuali rivoluzionari qualche speranza di cambiamenti radicali, oppure perché garantiva ai conservatori una valida difesa contro disordini e sconvolgimenti sociali, fu di solito ben accolta da parte di molti italiani. Questo è un punto importante per la comprensione del Risorgimento, perché, malgrado l'inevitabile e necessaria concentrazione degli sforzi più tardi diretta contro gli austriaci, la principale difficoltà per lo sviluppo del movimento patriottico non furono un governo o i governi stranieri, ma la lentezza della gran massa degli italiani ad accettare o addirittura a comprendere l'idea di unità nazionale. Persino tra gli intellettuali, lo stesso concetto di «Italia» rimaneva spesso distante e indefinito; si continuava, ad esempio, a parlare della «nazione lucchese»; la «Società patriottica», istituita sotto gli auspici di Maria Teresa a Milano nel 1776, si rivolgeva al patriottismo lombardo, non italiano; e allorché si concesse ad alcuni stranieri di farne parte, questi «stranieri» erano sia i veneziani e i piemontesi, sia gli inglesi e i tedeschi. Poteva capitare che i libri sulla storia italiana tralasciassero la storia della Lombardia, di Venezia o della Sicilia, e trattassero però quella di Trieste, dell'Istria, dei Grigioni, di Monaco e del «Tirolo italiano».

  12. Risorgimento: Brevi cenni storico –politici Il Risorgimento italiano: influenze e determinanti di Illuminismo - Romanticismo - Rivoluzione industriale - Socialismo L’idea di Nazione e di Patria Concetto di Europa L’Italia è suddivisa dopo il Congresso di Vienna 1815 in sette Stati – Le guerre d’indipendenza – Presa di Roma Italia oggi

  13. Risorgimento Brevi cenni storico - politici

  14. Il Risorgimento italiano È una storia cui non manca nulla: l'eroico e il grottesco, l'aulico e il ridicolo, il tragico e il rocambolesco. C'è tutto: amore e morte, sangue e nobildonne, tradimenti e intrighi, battaglie e rivolte, re e imperatori, papi e cortigiane, l'esilio e il ritorno, rotte disastrose e clamorose sorprese. Ci sono eroi sconosciuti, martiri il cui nome è completamente dimenticato, nobili e analfabeti morti sul patibolo, in battaglia, in ospedali improvvisati, in carcere, gridando quel «Viva l'Italia!» di cui oggi ci facciamo beffe. E ci sono uomini che dopo aver tentato di uccidersi l'un l'altro finiscono per allearsi in nome della stessa causa. Come Cavour, che del suo grande nemico seppe dire: «Garibaldi ha reso all'Italia il più grande dei servizi che un uomo potesse offrirle: egli ha dato agli italiani fiducia in loro stessi, ha provato all'Europa che gli italiani sanno battersi e morire sui campi di battaglia per riconquistarsi una patria».

  15. I fratelli d’Italia continueranno ad essere uniti come per l’addietro Illustrazione satirica dal periodico "I1 Fischietto", 20 gennaio 1849

  16. È una storia che merita di essere raccontata ancora. Abbiamo il doveredi farlo perché le vicende particolari, periferiche, diffuse in tutta l’Italia, non si disperdano. Guardiamo in faccia tutti i processi e i fatti storici, anche i più spiacevoli. Evitiamo, però, che la retorica dell’antiretorica nasconda l’intenzione di cancellare le tracce di una storia per la quale milioni di italiani si sono impegnati con disinteresse, eroismo, amore per la comunità. Leggiamo cosa sono state le Cinque giornate di Milano, le Dieci giornate di Brescia, la difesa della Repubblica romana, la resistenza di Venezia, ma vediamo anche i numeri della partecipazione alla missione garibaldina in Sicilia e prima ancora l'adesione di massa alle società segrete, luoghi di formazione della coscienza nazionale e della volontà di costruzione delle istituzioni comuni.

  17. Ricordiamoci dei dati materiali dell'Italia dei sette Stati voluta dai vincitori di Napoleone. Il Nord era poverissimo, dilagavano il colera, la malaria, le malformazioni, l'agricoltura irrazionale, poche le industrie. Unica speranza, l'emigrazione: l'America Latina negli anni trenta dell'Ottocento era invasa da liguri e piemontesi. Le città si erano spopolate. Nel Sud la dinastia dei Bourbon-Farnese aveva tentato di costruire un'amministrazione in un territorio abbandonato da qualsiasi legge per due secoli. In sessant'anni l'Italia aveva subito un catastrofico crollo della ricchezza e del reddito. Nel 1815 i salari erano pari alla metà di quelli che venivano corrisposti nel 1750. Nel 1850 il 30 per cento delle famiglie italiane era sottonutrito. L'aspettativa di vita alla nascita era di 30 anni contro i 47 anni degli Stati Uniti e i 42 dell'Inghilterra. Se si ebbero buoni risultati sul fronte amministrativo e militare, quasi non ve ne furono in termini di infrastrutture.

  18. Gli italiani del 1815 passavano la giornata raccogliendo legna per scaldarsi: 1,5 chili a famiglia al giorno. Il carbone non esisteva, fu una delle grandi innovazioni del secolo: era il segno fisico del progresso e, per la prima volta, aveva portato la possibilità di riscaldarsi davvero! Se una società segreta di oltre 500mila aderenti scelse di chiamarsi «Carboneria» fu per questo motivo. A questi Italiani il tentativo di Stato amministrativo portato dalle armate di Napoleone, soprattutto lo Stato italiano con capitale Milano (Repubblica italiana nel 1802 e poi Regno italico nel 1805), apparve nello stesso tempo un sopruso e un miglioramento. La volontà di tornare indietro imposta dal Congresso di Vienna fu una terribile violenza, che provocò la febbre della ribellione e della rivoluzione. I tre grandi protagonisti della nascita dell'Italia unita non appaiono mai soli, ma all'incrocio di reti di relazioni, spesso internazionali, che vanno di nuovo considerate con attenzione.

  19. La figura di Giuseppe Mazzini emerge con la forza dell'educatore di un intero popolo. La sfortuna di tanti suoi tentativi non può far venir meno il ruolo eccezionale di aver imposto il progetto dell'Italia unita, che per decenni le classi dirigenti dovettero in ogni caso perseguire. Il testo romantico e poetico del Giuramento degli affiliati della Giovine Italia è, con i Sepolcri del capitano napoleonico Ugo Foscolo, il manifesto degli italiani. Giuseppe Garibaldi è il comandante che ha dovuto costruirsi da solo un esercito e lo ha fatto per sette volte da Montevideo a Digione. Odiato e vinto dai generali invidiosi, gli venne impedito di comandare. Il suo esilio volontario a Caprera fu un gesto, un ammonimento, un dubbio costante che ha pesato per decenni sull'Italia in formazione. Eppure egli, come scrisse Cavour, restituì agli italiani l'orgoglio di se stessi.

  20. «Nel nome di Dio e dell'Italia, nel nome di tutti i martiri della santa causa italiana, caduti sotto i colpi della tirannide, straniera o domestica ... Io ... credente nella missione commessa da Dio all'Italia, e nel dovere che ogni uomo nato Italiano ha di contribuire al suo adempimento; Convinto che dove Dio ha voluto che fosse nazione, esistono le forze necessarie a crearla - che il popolo è depositario di quelle forze, - che nel dirigerle pel popolo e col popolo sta il segreto della vittoria; Convinto che la virtù sta nell'azione e nel sacrificio - che la potenza sta nell'unione e nella costanza della volontà-; Do il mio nome alla Giovine Italia, associazione d'uomini credenti nella stessa fede, e giuro: Di consacrarmi tutto e per sempre a costruire con essi l'Italia in nazione una, indipendente, libera, repubblicana ... »

  21. Cavour è il rivoluzionario che seppe imporre la costruzione dello Stato laico alle classi dirigenti grette ed egoiste del Piemonte confessionale; e impose a forza, a un re che lo detestava, il Parlamento come centro della vita di un paese che divenne l'Italia prima di esserlo, ospitando 40mila esuli da ogni parte di una penisola precipitata nella violenza e nella repressione dopo la sconfitta della guerra federale del 1848-1849. In realtà, volle costruire le istituzioni per un paese molto più grande e forte di quello che essi avevano sotto gli occhi. Quando si aprirono delle occasioni, puntò con energia e rapidità all'unificazione nazionale, aggregò attorno a sé, finanziandoli, esuli e rivoluzionari di ogni genere. Non va neppure dimenticata la figura mutante, misteriosa, tragica di quel Carlo Alberto di Savoia Carignano che diede vita a un pazzesco investimento militare in un paese, il Piemonte, di poco più di 3,5 milioni di abitanti.

  22. Immaginiamo di entrare nelle stanze di un museo immaginario: troviamo un mondo fatto di poesie, romanzi, opere liriche, soprattutto tante immagini. La pittura si trasforma in litografia industriale, la stampa sorge con i suoi giornali in cui compare, improvvisa e incredibile, la fotografia, segno fisico della nuova era. La prima foto che conosciamo è quella di Stefano Lecchi del bombardamento francese contro il Gianicolo, nel luglio del 1849. Non è una storia fatta solo di schioppi, sciabole e baionette. È la nascita degli strumenti del mondo moderno, con la stampa e la comunicazione al centro di tutto. Siamo vittime necessarie dell'anacronismo. Tuttavia, perché dobbiamo far retroagire problemi di un paese ricco, invecchiato, a bassa crescita, con una ricchezza netta delle famiglie pari a 8,5 volte il reddito annuo, come è l'Italia di oggi, con il processo di come si costruì lo Stato nazionale italiano?

  23. Certo, ci furono errori gravissimi, e molti. Dieci anni di brutale occupazione militare del Mezzogiorno e deportazioni. Un liberismo eccessivo, ed troppo rapido, trasformatosi in altrettanto esagerate politiche protezionistiche, e tanta, troppa corruzione. Ma se facciamo confronti anche solo in Europa si deve ammettere che l'Italia è un caso di eccezionale, irresistibile successo nel processo di nation building. I problemi di oggi non possono essere affrontati se siamo inconsapevoli della storia, ma di una storia di dettaglio, studiata con impegno da tutti noi. La storia è necessaria per parlare del futuro con uno sguardo disincantato, uno sguardo laico, che non sia già incastonato in posizioni pregiudiziali.

  24. Il Risorgimento non è di moda. Lo si considera una «cosa da liberali». Si dimentica che nel 1848 insorse l'Italia intera. Invece, l'Italia è una cosa seria. È molto più antica di 150 anni; è nata nei versi di Dante e Petrarca e ancor prima. È diventata nazione anche grazie a eroi spesso dimenticati. La nostra storia italiana è piena di figure che nella parabola di una breve stagione consumano la loro vita e nello stesso tempo rimangono come icone senza storia e senza fisionomia, perché nella vicenda che improvvisamente le proietta alla ribalta, nella scena che le inonda di luce, si perdono molti particolari e anche il dopo rimane in ombra, azzerato e annichilito dalla forza dell’evento.

  25. È un'Italia in armi, quella che fa il Risorgimento. Nel 1848 i volontari si contano a decine di migliaia (mentre oltre la metà dei ventimila lombardi e veneti richiamati dall'impero austriaco disertano). Lo stesso accade nel 1859, quando i volontari si uniscono ai piemontesi e poi a Garibaldi che risale la penisola da Sud. In tanti partivano cantando una canzone che alle elementari ci facevano imparare a memoria. Già all' epoca suonava un po' retorica. Ora che il Risorgimento è poco studiato, c’è da dubitare che i nostri figli l'abbiano mai sentita: Addio, mia bella, addio Il sacco è preparato 1'armata se ne va (alla morte incontro si va) sull' omero mi sta e se non partissi anch'io sono uomo sarebbe una viltà! e son soldato Tra quanti moriranno viva la libertà! forse ancor io morrò non ti pigliare affanno da vile non cadrò

  26. Chissà cosa direbbe dell'Italia di oggi Garibaldi, che conquistò un regno, ma con sé a Caprera non portò i quadri di Caravaggio e l'oro dei Borboni, bensì un sacco di fave e uno scatolone di merluzzo secco. Cosa direbbero i volontari della Grande Guerra, che scrivevano alle madri: «Forse tu non potrai capire come non essendo io costretto, sia andato a morire sui campi di battaglia, ma credilo, mi riesce le mille volte più dolce il morire in faccia al mio paese natale, per la mia Patria. Addio mia mamma amata, addio mia sorella cara, addio padre mio. Se muoio, muoio coi vostri nomi amatissimi sulle labbra, davanti al nostro Carso selvaggio».

  27. Oltre al ricordo è forse dimenticato il dolore per i morti per l’Italia? Ecco come il poeta Ungaretti ricorderà nelle sue poesie gli immensi sacrifici e i nostri caduti nella Grande Guerra: Questo è l'Isonzo Isonzo Da i fiumi - Cotici e qui meglio mi sono riconosciuto Stamani mi sono disteso una docile fibra in un’urna d’acqua dell'universo e come una reliquia Il mio supplizio ho riposato è quando non mi credo L’Isonzo scorrendo in armonia mi levigava Ma quelle occulte come un suo sasso mani (scritta a matita in un che m’intridono angolo di una scatola, mi regalano di cartucce - San Michele 16.8.1916) la rara (San Michele - 19.000 morti in 8 km. di fronte) felicità

  28. E ancora Ungaretti esprimerà il dolore per la morte dei compagni caduti per unificare il paese e nella consapevolezza di compiere il proprio dovere. Di queste case Di che reggimento siete, non è rimasto fratelli? che qualche brandello di muro Parola tremante nella notte Di tanti che mi corrispondevano Foglia appena nata non è rimasto neppure tanto Nell’aria spasimante involontaria rivolta Ma nel cuore dell’uomo presente alla sua nessuna croce manca fragilità Fratelli (Mariano 15 luglio 1916) È il mio cuore (Le sue poesie raccontano unasensazione di il paese più straziato fragilità, lo stare «comed'autunno / sugli alberi / le foglie», forte legame con i compatrioti, anche sconosciuti)Courton luglio ’18 (San Martino del Carso 27 agosto 1916)

  29.  ITALIA Loćvizza l’1 ottobre 1916 Sono un poeta un grido unanime sono un grumo di sogni Sono un frutto d'innumerevoli contrasti d'innesti maturato in una serra Ma il tuo popolo è portato dalla stessa terra che mi porta Italia E in questa uniforme di tuo soldato mi riposo come fosse la culla di mio padre Ungaretti Le sue poesie raccontano la consapevolezza di fare il proprio dovere, in una guerra condotta male, che costava un prezzo altissimo, ma contribuiva a unificare definitivamente il paese, a forgiare gli italiani, a riavvicinare settentrionali e meridionali, contadini e borghesi, laureati e analfabeti, accomunati dalla stessa uniforme. Una consapevolezza espressa in versi che si intitolano, appunto, Italia.

  30. Gli eroi e l’oblio Cosa direbbe il generale Perotti, capo del Cln piemontese, condannato a morte dal tribunale di Salò, che, ai suoi uomini, capitano Balbis e tenente Gennua, ansiosi di discolparlo e di addossarsi ogni responsabilità, grida: «Signori ufficiali, in piedi: viva l'Italia!»? «Viva l'Italia!» oggi è un grido scherzoso. Ma per molti italiani del Risorgimento e della Resistenza furono le ultime parole.

  31. NE PLEUREZ PAS CEUX QUI SONT MORTS, NE PLAIGNEZ PAS CEUX QUI VONT ENCORE MOURIR. ILS PAYENT LEUR DETTE. ILS VALENT MIEUX QUE CEUX QUI LES ÉGORGENT. DONC ILS SONT PLUS HEUREUX. (…) AH!, CE N'EST PAS SUR LES MARTYRS QU'IL FAUDRAIT PLEURER; C'EST SUR LES BOURREAUX. George Sand a Giuseppe Mazzini - 26 luglio 1849

  32. Ai popoli dell’Italia Meridionale Manifesto    […] «Popoli dell’Italia meridionale Le mie truppe si avanzano tra voi per raffermare l’ordine, Io non vengo ad imporvi la mia volontà, ma a fare rispettare la vostra. Voi potrete liberamente manifestarla: qualunque sia la gravità degli eventi, Io attendo tranquillo il giudizio dell’Europa civile e quello della storia, perché ho la coscienza di compiere i miei doveri di Re, e di Italiano! In Europa la mia politica non sarà forse inutile a riconciliare il progresso dei popoli colla stabilità delle monarchie. In Italia so’ che io chiudo l’era delle rivoluzioni.» Vittorio Emanuele Dato da Ancona, addì 9 ottobre 1860

  33. Il Risorgimento italiano va collocato in quel contesto storico tormentato che travolse tutto il XIX secolo in Italia e in Europa, ma con radici nel XVIII. È necessario per comprenderlo compiere un excursus storico e sociale dell’Italia, sia pur breve, a partire dalla fine del ‘700 e dagli inizi e di tutto il 1800. Un grande sconvolgimento aveva percorso la Francia con la Rivoluzione e Napoleone Bonaparte; la Germania ebbe il suo Risorgimento che la portò alla riunificazione dei numerosi stati che la costituivano; in altre nazioni europee si manifestarono moltissime insurrezioni tese a chiedere revisioni costituzionali e maggiore libertà. La rivoluzione francese fu preparata da una lenta evoluzione di una formidabile corrente di pensiero e grande movimento spirituale che fu l’Illuminismo, nato nella seconda metà del seicento come processo consapevole, allorché le forme razionalistiche e più intensamente secolarizzatrici della vita culturale e religiosa diedero vita ad una concezione unitaria su basi filosofiche. Si affermarono il valore dell’intelletto come criterio di base, il distacco dal trascendente e l’insofferenza per ogni tradizione, compresa quella religiosa.

  34. La Rivoluzione industriale fu una trasformazione di strutture che, prendendo l’avvio dall’Inghilterra del Settecento, sconvolse le basi dell’antico regime, col passaggio dalle tradizionali manifatture alla produzione meccanizzata e accentrata nella fabbrica, con la nascita della borghesia industriale, del capitalismo e della moderna classe operaria. Impulso dell’industria tessile, aumento dell’estrazione del carbone, aumento dei consumi, apertura di nuovi mercati. Introduzione della macchina a vapore, creazione di un’efficiente rete stradale e ferroviaria con miglioramento dei mezzi trasporto. Sviluppo degli ausiliari del commercio: banche assicurazioni. Si crearono due classi nuove; il capitalismo con ricchi industriali e la nuova classe operaia, diversa dagli artigiani dei villaggi e dai contadini, pronta a rivendicare diritti e migliori condizioni di vita.

  35. Nel contempo un altro movimento spirituale si manifestava in Germania nella seconda metà del XVIII sec.: il Romanticismo, che raggiunse il massimo delle sue espressioni nel 1800 in campo letterario, (Sturm und Drang), musicale, storico, filosofico e politico. Il romanticismo investì la complessità degli aspetti della vita, la diversità delle tradizioni nazionali con molteplicità di atteggiamenti. Il romanticismo apparve talora come movimento di restaurazione, ora come fede nella “bonténaturelle” dell’uomo, ora come esaltazione dei valori culturali, ora come individualismo e come soggettivismo, ora come affermazione delle forze irrazionali della vita e ora come trionfo della libertà dello spirito, ora come poesia della malinconia del dolore e della morte e ora come una nuova e più intima scoperta dell’esistenza, ora come coscienza di popolo e potenziamento dei sentimenti nazionali, ora come fatto speculativo che sboccò verso una nuova filosofia, una nuova mistica. La concezione della storia evolse verso una comprensione intellettualistica del “mito” inteso come espressione diretta dello spirito di un popolo e corrispondente alla rivendicazione del proprio “carattere nazionale ”, una prevalente tendenza antilluministica della storia.

  36. L’Ottocento sarà scosso inoltre da un altro grande movimento, conseguenza in parte della rivoluzione industriale, che trova un suo primo enunciato nel Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels nel 1848, cui seguiranno fermenti profondi per tutta l’Europa, ma che avrà sviluppo nella seconda parte del secolo e nel Novecento. La nuova ideologia sarà basata sull’uguaglianza sociale e una nuova forma di organizzazione economico – politica. C’erano stati precursori con basi e apporti filosofici importanti, ci fu lotta a sistemi oppressivi politici e religiosi, grosso travaglio intellettuale, conflitti sociali di portata gigantesca, movimenti rivoluzionari talora sconvolgenti la società e non più contenuti nei confini dei singoli stati, ma addirittura universali.

  37. Il popolo nelle campagne e nella città La vita delle masse popolari fu caratterizzata dalla persistenza di condizioni dure e spesso intollerabili con differenze regionali fortissime dovute a situazioni geografiche, economiche e politiche. Elemento comune: una notevole crescita demografica sia per l’aumento della natalità, sia per il decremento della mortalità conseguente alla diminuzione delle malattie infettive. L’alimentazione nelle campagne era squilibrata e insufficiente: pane di granoturco o segale o miglio, polenta, fagioli, formaggi, quasi assente la carne per l’alto costo. In città l’alimentazione era analoga, talvolta il mais era sostituito dal frumento. Le condizioni abitative erano disastrose quasi per tutti. Numerosissime persone per vano abitativo, rete fognaria inesistente, strade strette non aerate, umidità e sporcizia, conseguenti condizioni igieniche pessime. Vita promiscua e disagiata. Orari di lavoro sino a 14 ore con sfruttamento della manodopera infantile e femminile. Nel 1840 nella sola Lombardia 54.000 bambini tra i 6 e i 14 anni addetti negli opifici, elevata la presenza femminile con una metà sotto i 14 anni.

  38. I Nobili La nobiltà italiana prese le distanze dalla vecchia generazione nostalgica dell'Ancien Régime, e guardando alla Francia o all'Inghilterra liberale, molti esponenti della nuova generazione nobiliare preferirono un regime costituzionale rappresentativo che limitasse il potere dello Stato garantendo la partecipazione delle élite al governo (ma escludendone i ceti medi e gli strati più bassi della società). Anche nei decenni successivi una consistente parte del patriziato partecipò agli eventi risorgimentali. In Italia centro - settentrionale i nobili furono tra i maggiori esponenti del liberalismo moderato con indirizzo nazionale. Cosa significava essere nobile nell'Italia risorgimentale? La nobiltà era associata al godimento di titoli e privilegi sanzionati giuridicamente, al possesso di grandi proprietà fondiarie e al monopolio degli alti gradi militari e fino all'età napoleonica all'esercizio di un largo potere politico, che garantiva il ruolo di ceto dominante. Grande la diversificazione regionale e tipologica, per cui si deve parlare delle nobiltà italiane piuttosto che della nobiltà italiana, con una nobiltà alta e una minore, antica o recente, e un patriziato urbano dalle grandi famiglie terriere.

  39. La perdita dei privilegi, la fine del ruolo di «ceto dominante» patrizio, e in contrapposizione l'espandersi del moderno Stato burocratico e l'affermarsi della borghesia e della società capitalistica di mercato, segnarono un declino della nobiltà nel corso dell'Ottocento. Tuttavia le nobiltà europee e le italiane, rimasero politicamente e socialmente rilevanti fino agli inizi del XX secolo. Nel caso italiano il panorama nobiliare è molto variegato, e le élite di sangue reagirono in maniera diversa di fronte alla modernità. Durante la Restaurazione la nobiltà subalpina, che aveva conservato gran parte della ricchezza immobiliare, si distinse per un atteggiamento di chiuso immobilismo e di accentuazione della propria separatezza. Ciò non impedì che si sviluppasse una corrente favorevole alla modernizzazione del ruolo socio - politico dell'aristocrazia, rappresentata dal conte Cavour. In Lombardia parte dei gruppi nobiliari cercò invece di compensare i privilegi perduti investendo nella modernizzazione dell'agricoltura e in imprese capitalistiche. In Toscana, nello Stato pontificio e nel Regno delle due Sicilie la nobiltà mantenne una grande fortuna fondiaria e un indubbio prestigio, limitando l'apertura sociale verso i ceti bassi.

  40. La borghesia Il biennio 1848 – 49 segnò un mutamento nella società europea con l’affermazione della borghesia, quale ceto sociale depositario di quegli elementi di trasformazione che diverranno fondamentali per la modernizzazione dei vari stati in Italia dopo il 1861. Tale termine indicò, e per lungo tempo, un gruppo eterogeneo e composto da molte e differenti figure sociali, comprendenti tutte le attività professionali: gli imprenditori, i commercianti, i banchieri, la burocrazia statale, ecc. Si crearono per lunghissimo tempo strutture e meccanismi, alcuni dei quali verranno sradicati solo alla metà del XX sec. dopo l’esperienza fascista. In particolare va citato il modello borghese della famiglia, pilastro dell’etica sia privata sia pubblica.

  41. La famiglia Le donne In particolare va citato il modello borghese della famiglia, pilastro dell’etica sia privata sia pubblica. Netta separazione dei ruoli: alla donna l’educazione dei figli e della casa; la famiglia è la proiezione privata della società. Esaltazione della funzione di «angelo del focolare» e rafforzamento e identificazione del ruolo di moglie e di madre come unica soluzione di vita cui una donna poteva aspirare. I tratti dell'identità femminile all'interno della famiglia borghese dovevano essere la virtù, la sensibilità, la castità, la fedeltà, la predisposizione al sacrificio. Queste qualità erano accentuate anche dalla Chiesa cattolica, che promuoveva un'immagine di donna passiva e ubbidiente, che incarnava i valori morali e accettava supinamente le trasgressioni sessuali dei mariti; la Chiesa affidava alla donna anche il compito di difendere la civiltà cristiana dalle minacce della modernità.

  42. Il clero e le autorità ecclesiastiche Nel periodo napoleonico il clero e le autorità ecclesiastiche in genere, gelose delle loro antiche prerogative e del loro tradizionale potere, furono sempre in opposizione al regime e subirono a malincuore, il compromesso del Concordato, vedendo in esso un cedimento dell'autorità papale. L'offensiva clericale non disarmò mai, nemmeno nel momento di maggior fortuna dei rapporti di Napoleone con la Santa Sede. Mentre i vescovi e le più alte gerarchie ecclesiastiche conservavano verso le autorità governative, e il regime napoleonico in genere, un'apparente prudente neutralità e collaboravano col governo nel richiamare i disertori e i renitenti al rispetto delle leggi, le gerarchie inferiori non si curavano di nascondere la loro avversione e la loro diretta partecipazione alle operazioni dell'insorgenza. Nel Trentino e nel Tirolo, terre notoriamente ligie alla Chiesa, parroci e cappellani facevano aperta opera di ribellione dall'alto del pulpito, nonostante i ripetuti richiami del vescovo all'ubbidienza e alla sottomissione alle leggi.

  43. Sotto la spinta della radicalizzazione della politica religiosa di Napoleone e dell'acuirsi del conflitto con la Chiesa, culminato nell'occupazione di Roma e nella deportazione del pontefice a Fontainebleau, il compromesso con l'aristocrazia nera nei dipartimenti ex-pontifici e in quelli tradizionalmente cattolici cade e i rapporti tra le autorità ecclesiastiche e la società napoleonica arrivano al limite della rottura, mentre i gruppi sanfedisti si rafforzano, stringono i collegamenti con le varie centrali e affilano le armi in attesa del momento opportuno per riprendere l'offensiva. Nel novembre 1808 un manifesto affisso ad Osimo inveiva contro l'imperatore e il viceré, rappresentati entrambi come «crudeli sovrani, uomini prepotenti, ladri sovvertitori, distruggitori delle divine leggi, oppressori della cattolica religion».

  44. La Chiesa continuerà ad acuire e legittimare i sensi di estraneità allo Stato poiché si sente spodestata, non solo territorialmente, ma nelle sue prerogative di garanzia e ispiratrice del Potere. «Né eletti né elettori», non expedit (non è opportuno, sottinteso non collaborare), così il Sillabo del 1864, con l’elenco di quelli che agli occhi della gerarchia sarebbero i “principali errori del secolo”: libertà, democrazia, alfabetizzazione, la politica in tutti gli aspetti della moderna cittadinanza. La Roma pontificia inalbera una guerra di idee che condurrà ad una guerra di posizione di lunga durata contro lo Stato liberale uscito dalla rivoluzione risorgimentale. Lo Stato liberale, già quando era Regno di Sardegna, troverà la forza con la legge Siccardi di abolire le immunità ecclesiastiche, e di quei diritti tradizionali che ne facevano uno Stato nello Stato, legibus soluta.

  45. «Libera Chiesa in libero Stato» Certamente vi è lotta fra i due partiti, ma io non considero questa lotta come un male. Noi non possiamo immaginare uno stato di cose fondato sulla libertà, dove non siano partiti e lotte. La pace completa, assoluta, non è compatibile colla libertà. Bisogna saper accettare la libertàco' suoi benefizi, e forse anche co' suoi inconvenienti. [...] Vi sarà lotta, imperocché io non credo ad un accordo perfetto; vi sarà lotta, anzi è desiderabile che vi sia. Ove questa conciliazione si compiesse, io mi accingerei a sostenere non pochi assalti; anzi, dovendo parlar francamente, dirò, che se la Corte di Roma accetta le nostre proposte, se si riconcilia coll'Italia, se accoglie il sistema di libertà, fra pochi anni, nel paese legale, i fautori della Chiesa, o meglio, quelli che chiamerò il partito cattolico, avranno il sopravvento; ed io mi rassegno fin d'ora a finire la mia carriera nei banchi dell'Opposizione. (Ilarità prolungata). Camillo Benso di Cavour Discorso al Senato del 9 aprile 1861

  46. «Instrumentum regni» [...] e si persuadano che le ragioni della religione e dell'impero sono sì strettamente congiunte, che quanto vien quella a scadere, tanto dell'ossequio dei sudditi e della maestà del comando si scema. Come anzi conoscendo che la Chiesa di Cristo possiede tanta virtù per combattere la peste del Socialismo, quanto non ne possono avere le leggi umane, né le costrizioni dei magistrati, né le armi dei soldati; ridonino alla Chiesa quella condizione di libertà, nella quale possa efficacemente dispiegare i suoi benefici influssi a favore dell'umano consorzio. Leone XIII Enciclica Quod Apostolici Muneris, 1878

  47. Il movimento risorgimentale fu un movimento di massa. Il termine si presta a un equivoco, che va subito dissipato. Non tutti sono d'accordo, c'è una certa tradizione interpretativa che ritiene che il Risorgimento sia un movimento di élite: la figura più importante è Cavour e le scarse élite politiche e intellettuali che si riuniscono attorno a lui. Riteniamo sia una prospettiva sbagliata. Quando si dice «di massa» non si intende un'immagine apologetica e stereotipata di tutto un popolo che si risveglia da un lungo e disonorevole sonno dormito sotto straniere tirannie; venticinque milioni di persone che - come un sol uomo - scattano in lotta contro gli stranieri e gli oppressori. Così era la visione mazziniana, in quanto tale interessante: ma non è la realtà storica. Parlando di un movimento «di massa» vogliamo dire che, nell’arco 1796-1861, e in tempo più ristretto, 1846-1849, hanno partecipato al Risorgimento - inteso come un movimento politico che ha avuto come fine la costituzione nella penisola italiana di uno stato - nazione - attivamente molte decine di migliaia di persone, che altre centinaia di migliaia di persone, vicine ai militanti, al Risorgimento hanno guardato con partecipazione, con simpatia sincera o con cauta trepidazione.

  48. Nel contesto di una società largamente analfabeta, che appena comincia a comunicare con i giornali e con il telegrafo, che - salvo poche eccezioni sparpagliate per la penisola - ancora non viaggia in treno ma a piedi o in carrozza su strade sterrate e che per mare si muove con navi a vela e solo tardivamente con approssimativi piroscafi a vapore, il numero degli affiliati alle sette, dei rivoltosi del '820-’821, degli iscritti alla Giovine Italia, di coloro che scendono in piazza o partono volontari o guerreggiano nell'esercito regolare del Regno di Sardegna o organizzano ospedali o servizi di collegamento nel 1848-49, che tessono trame insurrezionali nei primi anni cinquanta, che si arruolano volontari nel 1859, nel 1860 e nel 1866, che vanno a votare ai plebisciti, che si affollano ai funerali di Mazzini, di Vittorio Emanuele, di Garibaldi e di altri ancora, è assolutamente imponente. È una dimensione che va presa sul serio: con ciò si vuol dire che tale dimensione «di massa» non va né guardata con infastidita sufficienza, né salutata come se fosse un valore automaticamente positivo; e che invece va decifrata, studiata, esaminata, sia nella sfera intima e familiare che in quella pubblica e patriottica.

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