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Insieme al Pontormo, suo alter-ego pittorico per molti anni, fu allievo di Andrea del Sarto e fu, sotto molti punti di vista, un ribelle alle costrizioni classiciste ormai in crisi. Partendo dalle costruzioni equilibrate del suo maestro, ne forza le forme esprimendo un mondo inquieto e tormentato.
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Insieme al Pontormo, suo alter-ego pittorico per molti anni, fu allievo di Andrea del Sarto e fu, sotto molti punti di vista, un ribelle alle costrizioni classiciste ormai in crisi. Partendo dalle costruzioni equilibrate del suo maestro, ne forza le forme esprimendo un mondo inquieto e tormentato Giovan Battista di Jacopo, detto il Rosso Fiorentino (Firenze, 1495 – Fontainebleau, 1540)
Il Vasari lo ricorda come uno dei pittori che studiò il cartone della Battaglia di Cascina di Michelangelo, pittore che senz'altro influenzò tutta la successiva generazione, lui compreso, ma che il Rosso rielaborò con un senso ancora più brutale di movimento, colori più innaturali e maggior distacco dalla tradizione.
nel 1521 realizzò il suo capolavoro: la Deposizione di Volterra, simile per la forma della tavola e per le misure, oltre che per il tema, a quella del Pontormo, tuttavia ne differisce profondamente per la concezione. Il Rosso ottiene il dramma per la volumetria angolosa che sfaccetta le figure, per il movimento convulso di alcuni personaggi, per i colori intensi prevalentemente rosseggianti stagliati sulla distesa uniforme del cielo. Le deformazioni dei corpi e dei volti giungono all'estrema esasperazione: il vecchio affacciato dall'alto sulla croce ha il viso contratto come una maschera. La disposizione asimmetrica delle scale genera un moto violento, accentuato dall'incertezza degli appoggi degli uomini che calano il corpo di Cristo, mentre la luce incide da destra con forza, creando aspri urti chiaroscurali.
Simile per la forma della tavola e per le misure, oltre che per il tema, a quella del Pontormo, tuttavia ne differisce profondamente per la concezione. Il Rosso ottiene il dramma per la volumetria angolosa che sfaccetta le figure, per il movimento convulso di alcuni personaggi, per i colori intensi prevalentemente rosseggianti stagliati sulla distesa uniforme del cielo. Le deformazioni dei corpi e dei volti giungono all'estrema esasperazione: il vecchio affacciato dall'alto sulla croce ha il viso contratto come una maschera. La disposizione asimmetrica delle scale genera un moto violento, accentuato dall'incertezza degli appoggi degli uomini che calano il corpo di Cristo, mentre la luce incide da destra con forza, creando aspri urti chiaroscurali
Nasce a Montaperti, nel podere lavorato da suo padre Iacomo di Pace. Il cognome acquisito del proprietario della terra Lorenzo Beccafumi il quale, a detta del Vasari, vedendo le doti artistiche del fanciullo, lo prese in casa e lo fece studiare. Tale precocità non è riscontrabile, data la totale mancanza di dipinti o documenti riferibili con sicurezza agli inizi dell'attività del Beccafumi. Domenico Beccafumi (Montaperti, 1486 – Siena, 18 maggio 1551)
La formazione del Beccafumi dovette svolgersi nell'ambito della cultura fiorentina più viva di quella senese. Della massima importanza fu senza dubbio il soggiorno che, secondo il racconto vasariano, il senese fece a Roma fra il 1510 e il 1512 allo scopo di vedere gli affreschi di Michelangelo e di Raffaello e di studiare le antichità. La stanza della Segnatura e ancor più la volta della Sistina costituirono inevitabilmente un potente incentivo alla formazione della maniera di Domenico
San Michele che scaccia gli angeli ribelli1528Chiesa di San Niccolò al Carmine, Siena
S. Michele scaccia gli angeli ribelli (1528)Pinacoteca di Sienaopera grandiosa con un sapiente gioco di luci e ombre a coprire e scoprire i corpi, fu rifiutata dai carmelitani per la loro chiesa perché giudicata troppo impudica nei corpi nud.
Benvenuto nasce nel 1500, il 3 di novembre, a Firenze; muore nella stessa città il 14 febbraio del 1571 envenuto a 16 anni viene esiliato da Firenze per una rissa, vaga allora per Bologna, Pisa, Roma, e studia nelle botteghe orafe. Il suo talento di artigiano interessa il papa Clemente VII che, nel 1529, lo nomina capo della bottega pontificia. Due anni prima, nel 1527, sotto gli occhi dello stesso pontefice, Benvenuto combatte contro i Lanzichenecchi di Carlo V durante i nove mesi del sacco di Roma, e uccide il Conestabile di Borbone con un colpo di archibugio dalle mura di castel Sant’Angelo.
Le opere di questo periodo (candelabri per il vescovo di Salamanca, un gioiello per la famiglia Chigi) sono andate perdute. Intanto è protetto dal Cardinale Ippolito d’Este, così può passare solo qualche notte in prigione, dopo aver aggredito dal 1523 al 1530 tre persone, ucciso l’assassino di suo fratello, Cecchino, mercenario di Giovanni delle Bande Nere, e subìto una condanna per sodomia. Da una delle sue numerose fughe dalla legge nasce Cellini scultore di Bronzo. Nel 1535 infatti è a Venezia, dove conosce Jacopo Sansovino e la tecnica della fusione. Tornato a Roma viene arrestato nel 1538 con l’accusa di essersi impradonito di beni di proprietà del pontefice Clemente VII
Nel 1554 a Firenze esegue il suo capolavoro: il "Perseo", ubicato all’ombra della loggia dell’Orcagna dei Lanzi.
Nell'agosto del 1545, Benvenuto Cellini comincia l’opera che lo terrà occupato per circa nove anni: "Il Perseo", commissionatogli da Cosimo I. Nel 1554 la statua è collocata in Piazza della Signoria, sotto la loggia dei Lanzi e, nonostante le inimicizie di cui gode Benvenuto per via del suo caratterre "colloroso" (la definizione è del suo contemporaneo storico dell’arte, architetto e pittore, Giorgio Vasari),
Nella mitologia greca Perseo nasce dall’unione di Danae con Giove. La ragazza è segregata dal padre Acrisio, poiché un veggente ha prefigurato la morte dell’uomo ad opera di un nipote. Ma Giove, mutato in pioggia di oro, feconda Danae. Così nasce Perseo, che insieme con la madre viene raccolto in una cesta alla deriva dal re Polidette, il quale, desiderando sposare Danae, invia Perseo a combattere Medusa, sperando nella morte del ragazzo. Questi invece non solo decapita Medusa, ma nel viaggio di ritorno libera anche Andromeda da un orribile mostro. Tornato a casa elimina Polidette, ma in un torneo uccide accidentalmente il nonno Acrisio (come l’oracolo aveva predetto)
Cellini matura l’idea di Perseo trionfante sul corpo esangue di Medusa. Il piede sinistro è poggiato sul busto di Medusa, dal corpo scomposto e abbandonato; la spada nella mano destra e la testa di Medusa nella sinistra, appesa alle dita di Perseo per i capelli, con il sangue sgorgante dalla base del collo. Perseo ha un volto dall’aspetto deciso, vagamente reclinato, che sembra osservare malinconico il vuoto. In realtà il suo sguardo si posa sul sangue che non è visibile, ma si intuisce che dovrebbe imperlare il corpo di Medusa piovendo dalla testa mozza più in alto; anzi, Perseo pare persino scostarsi per evitare gli schizzi.
L’atteggiamento di Perseo è quello di un uomo dal portamento regale, umile, un eroe triste, che si assicura della morte di Medusa lasciando che il sangue provi il suo gesto.
La fase preparatoria del Perseo è testimoniata da due modelli, uno in cera e l'altro in bronzo dorato, conservati entrambi al Museo Nazionale del Bargello. Lo scopo dei due modelli era duplice: guida da seguire nella realizzazione dell'opera e modello per ottenere l'approvazione del committente dell'opera, Cosimo I. Il bronzo fu ottenuto mediante la realizzazione di un'anima, di un modello di cera, di un rivestimento. La fase finale fu la colata del bronzo durante cui, come Vasari racconta nelle vite (1558-66): sforzatosi per ore la ... valetudine di complessione non potette resistere tanto da causargli una febbre effimera addosso, la maggiore che immaginare si possa al mondo.