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La figura del caregiver e il ruolo della famiglia “Caso clinico transprofessionale ”

La figura del caregiver e il ruolo della famiglia “Caso clinico transprofessionale ” Dott.ssa Valentina Pavino Psicologa Clinica Psicoterapeuta Cognitiva Esperta nella valutazione e trattamento disturbi emotivo-comportamentali acquisiti Lumsa 2014.

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La figura del caregiver e il ruolo della famiglia “Caso clinico transprofessionale ”

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Presentation Transcript


  1. La figura del caregiver e il ruolo della famiglia “Caso clinico transprofessionale” Dott.ssa Valentina Pavino Psicologa Clinica Psicoterapeuta Cognitiva Esperta nella valutazione e trattamento disturbi emotivo-comportamentali acquisiti Lumsa 2014

  2. MODELLO BIOPSICOSOCIALELa famiglia come rete di cura: Tutta la famiglia e non solo il singolo paziente è coinvolta nei processi di salute e malattia. La famiglia come target legittimo dell’intervento.

  3. Caregiver familiare È un familiare che per disponibilità, ruolo e/o scelta presta cure, assistenza personale e psicologica al proprio caro non più autosufficiente …si parla di Caregiver Naturale o PrimaryCaregiver. (Scabini, Donati, 1995).

  4. Per essere caregiver occorre non solo l’affetto legato alla parentela ma occorre avere anche un bagaglio culturale, una buona solidità emotiva e il sostegno esterno per affrontare impegni gravosi e le tensioni emotive connesse al compito assistenziale

  5. Cosa succede ai familiari da un punto di vista psicologico e relazionale

  6. Le principali reazioni emotive dei familiari all’evento malattia

  7. Il duplice ruolo della famiglia • Di supporto e di stimolo per l’equipe nel processo di assistenza e recupero del pz • Anello di congiunzione tra la “dimensione di cura “ (ambiente riabilitativo) e la “dimensione del sociale” in cui il pz vive.

  8. Duplice scopo degli interventi dedicati ai caregivers • Lavoro diretto sul BENESSERE DEL CAREGIVER che ha bisogno dell’equipe per affrontare l’evento malattia e le sue ripercussioni • Lavoro indiretto sul BEN ESSERE DEL PZ creando un ambiente relazionale supportivo e protesico in grado di contenere i disturbi emotivo-comportamentali del pz.

  9. Finalità degli interventi dedicati ai caregivers • Trasmettere conoscenze e competenze specifiche sulla malattia per prendersi cura contemporaneamente di se stessi e del pz • Fornire strumenti per poter comprendere e gestire situazioni critiche • Insegnare a cogliere il significato dei cambiamenti in atto • Dare spazio all’elaborazione dei vissuti e delle emozioni connesse al caregiving

  10. Principali interventi per i caregivers • Incontri di equipe per dare e ricevere informazioni specifiche • Fare domande aperte • Pianificare consulenze • Momenti di informazione e d educazione • Distribuzione materiale divulgativo scritto • Compilazione diari di autosservazione • Suggerimenti biblioterapici

  11. Il contenuto degli interventi • Deve trasmettere informazioni sulla natura del danno e sulle conseguenze • Deve trasmettere informazioni e spiegazioni sulla diagnosi • Strategie legate ai disturbi del comportamento del pz • Il ruolo della famiglia e degli operatori nel progetto riabilitativo • Risorse sociali e comunitarie presenti sul territorio

  12. Scopo degli interventi • Indurre cambiamenti emotivi e cognitivi che consentano una riorganizzazione degli atteggiamenti e delle funzioni all’interno del sistema familiare stesso.

  13. L’importanza del cambiamento • Evitare una crisi del sistema familiare che comporterebbe un incremento del livello di disagio e di stress nei caregivers oltre alla comparsa di modalità disfunzionali di relazionarsi con il pz che influenzerebbero negativamente i suoi problemi comportamentali.

  14. Il supporto psicologico ai caregivers di pazienti con distrurbiemotivo-comportamentalia acquisiti Un caso transprofessionale

  15. PRINCIPALI DISTURBI EMOTIVI E COMPORTAMENTALI DEL PAZIENTE: • Disautonomie in tutte le attività di vita quotidiana • demotivazione • indifferenza emotiva • grave perdita d’interesse • Tono dell’umore depresso

  16. Individuazione dei bisogni: • DEL PAZIENTE: quelli legati all’autonomia personale , il bisogno di riconoscimento sociale e di essere una persona degna di stima. • DEL CAREGIVER: bisogno di sicurezza, supporto emotivo.

  17. Dati informativi sulla famiglia del paziente • Figlio: F. P., età 28 anni, ingegnere, celibe. • Moglie: C. P., età 51 anni, casalinga, SCL-90-R = IG 1,15 al 23/11/2009. Sintomi presenti: attivazione somatica, ipersensibilità, sintomi depressivi, ansia generale, ostilità, paranoia, stati alterati psicotici.

  18. Piano di Trattamento 1.Obiettivo dell’intervento psicologico al caregiver: migliorare la qualità della vita e favorire il processo di adattamento alla condizione attuale. Le strategie che verranno impiegate saranno quelle del counseling centrato sul problema. 2. Obiettivi a breve termine: ridurre gli effetti negativi dello stress causato dalla condizione clinica del marito attraverso interventi di natura psicoeducativa. 3. Setting: Azienda Ospedaliera S. Eugenio, reparto di neurologia, Roma. 4. Contesto: colloqui individuali. 5. Durata e frequenza delle sedute: 45 minuti circa, una volta alla settimana.

  19. PRINCIPALI TEMI EMERSI DAI COLLOQUI: • il controllo. • la paura della perdita. • il rischio dell’isolamento. • l’importanza di non negare i propri bisogni.

  20. OSSERVAZIONI • C. appare lucida e consapevole dei cambiamenti che la condizione clinica del marito ha determinato nella sua famiglia. • Sente la necessità di trovare nuovi modi di vivere la vita. • Nella relazione con gli altri si pone in modo ambivalente con aspettative spesso contrastanti: distrarsi, ricevere sostegno emotivo. • Mostra strategie di cooping centrate sul problema . • Difficoltà a manifestare le proprie emozioni. • La rabbia da cui sembra essere attraversata potrebbe essere un modo per reagire alla patologia.

  21. Chi è il Caregiver Professionale ???

  22. un esempio di caregiver professionale nella residenza sanitaria assistita San Michele Hospital di Aprilia

  23. ESSERE CAREGIVR PROFESSIONALE VUOL DIRE ESSERE FORMATI PER PRENDERSI CURA DI UNA PERSONA NON FAMILIARE CON DISTURBI EMOTIVO-COMPORTAMENTALI ACQUISITI

  24. Proviamo a distinguerre Caregiver familiareCaregiver professionale

  25. Caregiver professionale Una persona esterna al contesto familiare, assunta con un contratto di lavoro, che presta assistenza e che si prende cura della persona non autosufficiente. Il caregiverè un responsabile attivo e il suo compito è quello, all'interno del nucleo familiare di appartenenza e non, di farsi carico del benessere della persona che necessita di cure "in una condizione di momentanea o permanente difficoltà" (Rossi, 2006a, p. 152). Si definisce caregiverdi un anziano non autosufficiente, anche chi gli fa compagnia o offre una presenza affettiva e non solo chi si occupa materialmente dell'assistenza.

  26. Difficoltà di gestione Poca conoscenza delle abitudini della persona Relazione critica con il caregiver familiare Mancanza di collaborazione Disturbi del comportamento Stress, bourden professionale

  27. soluzioni Raccogliere e condividere informazioni (creare diari) Chiedere la collaborazione e la compresenza nelle attività problematiche. Promuovere la familiarità Analisi accurata antecedenti Valutazione stress lavoro correlato

  28. Punti di forza !! Non essere invischiati nelle dinamiche familiari Prospettiva privilegiata di osservazione Maggiore distanza emotiva Maggiore disponibilità all’ascolto Incontro nel qui ed ora L’ accudimento non necessita del superamento della fase di accettazione della malattia

  29. I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO • VERBALE • FISICA L’AGGRESSIVITA’

  30. A CHE COSA PUÒ ESSERE DOVUTA? • La malattia che accentua i tratti negativi del carattere • una situazione che gli può provocare uno stato di confusione • Un malessere fisico Non vi è alcuna intenzionalità

  31. CHE COSA FARE • RIDURRE AL MINIMO SITUAZIONI CHE POSSONO GENERARE ANSIA E FRUSTRAZIONE (ES.) • REAGIRE CON LA MASSIMA CALMA RASSICURANDO CON DOLCEZZA • SPOSTARE L’ATTENZIONE SU QUALCOSA DI PIACEVOLE

  32. CHE COSA FARE • NON INSISTERE E RINVIARE LE MANOVRE ASSISTENZIALI • CAMBIARE LA PERSOINA CHE PROPONE L’ATTIVITA’ SENZA SUCCESSO • RIFLETTERE SUL PROPRIO ASPETTO SOMATICO

  33. CHE COSA NON FARE • Sgridare il malato per i suoi comportamenti • Fargli la predica sui comportamenti che deve e non deve assumere • Domandargli perché si comporta così • Chiedergli che non lo faccia più.

  34. Gestione reazioni emotive Impariamo a conoscerle !!

  35. “Se mi sento incapace, significa che lo sono” Portate all’estremo le emozioni possono venir trattate alla stregua dei fatti

  36. A cosa servono le emozioni ? Comunicano qualcosa agli altri e li influenzano Organizzano e motivano l’azione Possono avere azione autovalidante

  37. Obiettivi della regolazione emotiva COMPRENDERE LE PROPRIE EMOZIONI: Identificare, osservare e descrivere l’emozione, comprendere cosa le emozioni fanno per te. RIDURRE LA VULNERABILITÀ EMOTIVA: Abbassare la vulnerabilità negativa (vulnerabilità della “mente emotiva”), incrementare le emozioni positive. RIDURRE LA SOFFERENZA EMOTIVA: Lasciare libero corso alle emozioni dolorose attraverso atteggiamento di osservazione non giudicante (“mente saggia”), modificare gli stati emotivi negativi attraverso azioni di segno opposto.

  38. - espressioni di: Gradimento Ammirazione Consenso Rispetto AmoreAscolto

  39. LA TERAPIA SIETE VOI !!!!!

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